Il dibattito sulla pianificazione d’area vasta e sulle sue varie
articolazioni si è snodato, in maniera
impetuosa quanto inefficace, tra gli anni
sessanta ed ottanta, accentuandosi in
particolar modo con l’istituzione delle
regioni, destinatarie della delega in
materia urbanistica sancita dall’art. 117
della Costituzione.
Tuttavia solo con la legge 142/1990 il legislatore, nell’individuare
i tre livelli di pianificazione (regionale,
provinciale e comunale), ha attribuito alle
province il ruolo di armonizzare tra loro,
in coerenza con le linee generali della
pianificazione di livello regionale, gli
strumenti urbanistici - generali o di
settore - di più comuni ricompresi nella
medesima area, con specifico riferimento,
tra l’altro, all’individuazione delle
vie di comunicazione di livello
sovracomunale, alla tutela delle zone di
particolare interesse (ad esempio
ambientale) ed alla localizzazione dei nuovi
insediamenti.
Per far fronte a tali pressanti esigenze, quindi, alla provincia è
stato demandato il compito di predisporre ed
adottare il piano territoriale di
coordinamento (Ptc) - già previsto
dagli artt. 5 e 6 della legge 1150/1942 -
che, ai sensi dell’art. 15 della legge
142/1990, come recepito dall’art. 20 del
DLgs 267/2000 “determina gli indirizzi
generali di assetto del territorio e, in
particolare, indica:
a) le diverse destinazioni del territorio in relazione alla prevalente
vocazione delle sue parti; b) la
localizzazione di massima delle maggiori
infrastrutture e delle principali linee di
comunicazione;
c) le linee di intervento per la sistemazione idrica, idrogeologica ed
idraulico-forestale ed in genere per il
consolidamento del suolo e la regimazione
delle acque”.
Si tratta, chiaramente, di una definizione contenutistica molto
ridotta. Né d’altra parte avrebbe potuto
essere diversamente, per effetto della
richiamata delega di cui all’art. 117
della Costituzione: alle regioni, infatti,
è attribuito, ai sensi dell’art. 20 del
Tu sull’ordinamento degli enti locali, il
potere di dettare gli indirizzi della
programmazione socio-economica e
territoriale, ed è proprio a tali indirizzi
che il Ptc va anzitutto uniformato, in
ossequio alla distribuzione concentrica
delle varie competenze in materia di
pianificazione territoriale prevista dal
legislatore.
Lo stesso Tu del 2000, peraltro, affida proprio alle regioni il compito
di stabilire “le procedure di
approvazione” dei Ptc, la cui
predisposizione ed adozione, come sopra
rilevato, compete già alle province; ed è
noto come la gran parte delle regioni
italiane abbiano già legiferato in materia.
La Regione Campania, dal canto suo, sta per colmare tale lacuna
dotandosi di una legge in materia
urbanistica - già approvata dalla giunta
regionale lo scorso 5 giugno - che
finalmente supplirà all’imbarazzante
silenzio normativo serbato finora e che
definirà, tra l’altro, sia i contenuti
dei vari strumenti di pianificazione
territoriale ed urbanistica, sia le
procedure della loro formazione.
Per quanto attiene specificamente alla pianificazione territoriale
provinciale, il disegno di legge in
itinere prevede uno strumento di
carattere generale (Ptc) e piani settoriali
disciplinanti specifici interessi ed attività
coinvolgenti l’uso del territorio; il Ptc,
in particolare, potrà assumere valore e
portata di piano territoriale paesistico
- teso a garantire la protezione della
natura, dell’ambiente, delle acque, della
difesa del suolo e della tutela delle
bellezze naturali - oltre che di piano
territoriale dei parchi, di cui alla
legge 394/1991 ed alla Lr 33/1993, e di piano
di bacino, di cui alla legge 183/1989 ed
alla Lr 8/1994.
In tali ipotesi, ed in ogni caso in cui se ne ravvisi la
necessità, l’adozione del Ptc sarà
preceduta da una conferenza preliminare alla
quale saranno invitate le amministrazioni
statali interessate, la regione e tutti gli
altri enti pubblici competenti, al fine di
definire le opportune intese; in ogni caso,
nel procedimento di formazione del Ptc si
inseriranno ulteriori fasi procedimentali,
tra cui:
a) l’eventuale indizione di una conferenza, alla quale saranno
chiamati a partecipare gli enti locali e le
organizzazioni sociali, culturali,
ambientaliste e sindacali di livello
provinciale;
b) la verifica di compatibilità del piano con il piano
territoriale regionale (Ptr) - ovvero
con le linee guida della programmazione
territoriale regionale, e con i piani
settoriali regionali - che sostituirà
l’attuale controllo di conformità;
c) la possibilità per la provincia di proporre modifiche allo stesso
Ptr o alle linee guida della programmazione
territoriale regionale;
d) l’approvazione del Ptc con delibera di giunta regionale.
Come evidenziato, dunque, la nuova legge urbanistica regionale recherà,
quanto prima, una dettagliata disciplina che
scioglierà annose questioni attinenti al
ruolo ed agli strumenti della pianificazione
provinciale.
Fino all’entrata in vigore della nuova normativa, tuttavia, è
innegabile che il procedimento di formazione
dei Ptc dovrà seguire le (poche)
disposizioni attualmente vigenti in materia;
ed in proposito non appare improponibile una
soluzione che veda demandata
all’amministrazione regionale, pur in
assenza di un’espressa previsione
legislativa, la competenza relativa
all’approvazione dei Ptc stessi.
Si è già detto infatti della netta verticalizzazione delle funzioni
pianificatorie che permea l’attuale
contesto normativo; tale specifica
impostazione gerarchica, dettata in
primis dalla legge 1150/1942 (e nella
Regione Campania dalla Lr 14/1982), si
traduce nell’attribuzione all’ente
pubblico territoriale sovraordinato sia
delle funzioni di controllo dei piani
adottati dall’ente sottordinato, sia del
potere di approvazione di detti piani.
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Twin Towers (1989) - Foto di Roberto
Buonanno |
Nel caso in esame lo stesso DLgs 267/2000, uniformandosi ai criteri
stabiliti dalla legge 1150/1942, e
ricalcando pedissequamente il disposto
dell’art. 15 della legge 142/1990, prevede
al terzo comma dell’art. 20 che “i
programmi pluriennali e il piano
territoriale di coordinamento sono trasmessi
alla regione ai fini di accertarne la
conformità agli indirizzi regionali della
programmazione socio-economica e
territoriale”, lasciando così
intendere che a tale fase di verifica ben
potrebbe far seguito, in considerazione
della specifica natura dei compiti
attribuiti alla regione, e soprattutto in
mancanza di una normativa regionale di segno
opposto, l’approvazione dei Ptc.
D’altra parte tale dato trova espressa conferma nel disposto
dell’art. 1 del Dpr 8/1972, con cui alle
regioni sono state trasferite, tra le altre,
le funzioni amministrative concernenti
proprio “l’approvazione dei piani
territoriali di coordinamento previsti
dall’art. 5 della legge 17 agosto 1942, n.
1150 e successive modificazioni ed
integrazioni”.
Ed a conferma di quanto finora esposto preme rilevare anche che, se
l’approvazione dei piani regolatori
generali (Prg) dei comuni capoluogo di
provincia della Regione Campania è rimessa
- ex art. 4 bis della Lr 14/1982,
come modificata dalla Lr 24/1989 -
all’amministrazione regionale, e se i Ptc
costituiscono, per propria natura, strumenti
di pianificazione gerarchicamente
sovraordinati agli stessi Prg, a maggior
ragione l’approvazione dei Ptc può
seguire lo stesso modulo procedimentale
dettato per l’approvazione degli strumenti
urbanistici comunali sopra individuati.
In conclusione, appare possibile ritenere che la regione - destinataria
di una funzione di controllo, inteso in
senso lato, degli atti di pianificazione del
territorio di propria competenza -
costituisca senz’altro l’ente titolato,
nella temporanea assenza di una specifica
disciplina di settore, a provvedere
all’approvazione dei Ptc.
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