Nel 1949 riprende la pubblicazione della rivista Urbanistica. La
direzione è affidata ad Adriano Olivetti
che, nel suo primo articolo, scrive:
“l’attività urbanistica è in crisi dal
momento in cui l’individualismo è in
declino e il faticoso stabilirsi di un nuovo
rapporto tra persona e comunità è lungi
dall’essere concluso. L’urbanistica
reclama la pianificazione; e può darsi una
pianificazione democratica, cioè libera?
Questo interrogativo dominerà
implicitamente o esplicitamente il nostro
lavoro. E’ soltanto, abbiamo detto, nella
soluzione del rapporto individuo-collettività,
più propriamente oggi indicato nella
relazione persona-comunità, che è
possibile anticipare la soluzione naturale.
Tuttavia questa rimane affidata al
progredire della sistematica ricerca
scientifica, onde l’urbanistica,
erigendosi finalmente a scienza positiva,
vorrà garantirsi i necessari titoli di
responsabilità e serietà”1.
Ridefinire il ruolo dell’urbanistica all’interno della complessa
realtà configuratasi all’indomani della
guerra, costituiva per Olivetti2
un obiettivo importante per l’attivazione
di programmi e processi di riorganizzazione
sociale. Nel pensiero di Olivetti, secondo
quanto scrive Giuseppe Berta,
“all’urbanista spettava di ricomporre i
momenti della vita economica e sociale in un
disegno unitario, ricercando una connessione
organica tra privato e pubblico, tra
residenza e luogo di lavoro, tra centri di
produzione e centri di consumo, tra le sedi
di istruzione e di formazione professionale
e gli spazi demandati alla fruizione del
tempo libero (…). Era la realizzazione
piena dell’utopia di Lewis Mumford che
delegava al piano il compito di saldare, in
una prospettiva armoniosa e priva di
soluzioni di continuità, l’intero arco
entro cui si dipanavano le tappe della vita
umana, dall’infanzia alla maturità, che
l’urbanistica doveva rappresentare come
un’ininterrotta educazione alla socialità
e al recupero dei valori comunitari.
L’urbanistica era il veicolo privilegiato
per la valorizzazione di una prospettiva
umanistica e universalistica che si
realizzava mediante l’instaurazione di un
ordine sociale risultante
dall’accostamento e dalla concatenazione
di tante microcellule della vita
organizzata”3.
In questo contesto teorico si inseriscono in parte le proposte di
Adriano Olivetti, ma è nelle operazioni da
lui attivate e coordinate che si delineano
con maggiore forza gli obiettivi del suo
pensiero.
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Figura
1 - Completamento della rete stradale previsto dal piano
regolatore della Valle d’Aosta del
1934. Fonte: Il Piano Regolatore della Valle d’Aosta,
Torino, 2001 |
Già agli inizi degli anni trenta nei programmi di espansione e di
trasformazione del territorio teorizzati da
Adriano Olivetti, venivano delineate le
intenzionalità di definire programmi su
vasta scala. In effetti, il piano regolatore
della Valle d’Aosta, coordinato appunto da
Adriano Olivetti, definisce per la prima
volta un piano esteso alla scala
provinciale. Nella prefazione al piano di un
nuovo quartiere a Ivrea4, redatto
nel 1934 da Luigi Figini e Gino Pollini, in
riferimento ai processi di trasformazione da
definire nel piano, troviamo esplicitato il
programma di Olivetti:
“1. Realizzare una densità-abitante al kmq intermedia fra la
eccessiva densità tradizionale e la
irrealizzabilità di una soluzione totale
nel senso della casa individuale. Pertanto,
pur prevedendo in regioni topograficamente
adatte zone di case singole allo scopo di
soddisfare una insopprimibile esigenza in
questo senso, sarà fatto posto in larga
misura a elementi d’abitazione adatti alla
convivenza di 20-40 famiglie, provvisti di
servizi comuni e orientati nel modo più
razionale dal punto di vista sia
dell’insolazione, sia della componente
panoramica. Vasti giardini, orti, campi
sportivi, saranno a disposizione di ogni
singola unità e larghe zone verdi saranno
realizzabili fra le unità stesse.
2. Una tale espansione richiede un’urbanizzazione di vaste zone
agricole, talché il piano stesso deve
prevedere nel suo complesso territoriale
un’importante trasformazione agraria, di
cui enunciamo i sommi capi:
a) trasformazione di vaste unità agricole in appoderamenti razionali
da cedersi ai proprietari agricoli delle
zone da espropriare;
b) trasformazione agraria della regione circostante, attualmente legata
alla rotazione tradizionale, in unità
agricole specializzate nella produzione di
latte, frutta, verdura, abbandonando le
colture di minor reddito e specializzandole
quindi verso un’altra unità produttiva di
generi consumati direttamente dalla
popolazione operaia;
c) creazione di centri sperimentali agricoli capaci di organizzare e
facilitare la trasformazione agraria sopra
descritta. In questo nuovo piano il problema
del decentramento industriale con le sue
conseguenze tecniche e sociali sarà
esaminato fino al raggiungimento di nuove
soluzioni di equilibrio, realizzando una
esemplificazione atta a suggerire la
soluzione di problemi relativi alle zone
industriali. Il piano così tracciato assume
già l’importanza di un piano territoriale
e può e deve inquadrarsi nel piano generale
della Valle d’Aosta”5.
Veniva in questo modo introdotta la questione della necessità di
correlare le trasformazioni della città
alle trasformazioni del territorio. Esigenza
che è possibile ritrovare anche in altri
piani degli anni trenta. In particolare, nel
1939, nel piano per Napoli di Luigi
Piccinato veniva estesa all’intera area
regionale la volontà di risoluzione delle
problematiche interne alla città. Come
afferma lo stesso Piccinato: “Un piano
regolatore di Napoli che abbia, come il
presente, come primo obiettivo una messa a
punto di tutte le questioni, dalle più
generali alle particolari, deve pertanto
affrontare prima di ogni altro tema quello
di un piano regionale, come quello che
inquadra in sé e misura ogni altro problema
urbanistico cittadino. Di un piano regionale
cioè, nel quale le ragioni economiche, le
questioni amministrative, quelle del grande
traffico, quelle del turismo, quelle della
conservazione del paesaggio e quelle delle
comunicazioni siano studiate, proporzionate
e risolte in un programma generale”6.
Ma il maggiore impegno di Olivetti si manifesta nell’immediato
dopoguerra, in un momento in cui la
consapevolezza dei danni causati dalla non
pianificazione, caratterizzante il
periodo post bellico, emergeva negli studi e
nei dibattiti di quegli anni.
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Figura
2 - Planimetria del territorio di Ivrea. Fonte: Il Piano Regolatore della Valle d’Aosta,
Torino, 2001 |
In un testo del 1951, Luigi Piccinato, proprio in riferimento ai
processi di espansione e di ricostruzione,
esprime una critica verso lo stato del
territorio e degli strumenti pianificatori:
“Fino ad oggi infatti le zone
residenziali:
a) si sono sviluppate all’infuori di qualunque pianificazione
seguendo i dettami dell’interesse
immediato dei singoli e quello della
speculazione;
b) si sono sviluppate seguendo un piano regolatore locale di dettaglio
ma senza la guida di un piano generale della
città il quale avrebbe potuto (sia pure nel
quadro del solo interesse locale cittadino)
intervenire per individuare zone adatte o
diverse da quelle nelle quali praticamente
si è realizzata la zona residenziale;
c) si sono sviluppate seguendo un piano regolatore generale sbagliato
in quanto avulso appunto dal quadro della
pianificazione regionale che avrebbe dettato
norme ben diverse. Basta guardarsi attorno
per rendersi conto della gravità delle
conseguenze di ciò, quartieri interi a
forma di lunghi infiniti sobborghi allineati
lungo le arterie di traffico; gruppi di case
distribuite inorganicamente in località
nelle quali sono difficili o impossibili i
servizi elementari cittadini (acqua, luce,
gas, medico, scuole, ecc.); quartieri interi
addossati e frammisti alle industrie; zone
di turismo di villeggiatura soffocati da
quartieri che distruggono o annullano
l’efficienza delle spiagge, delle zone
termali, caotici gruppi di abitazione senza
regola distanziatissimi dai centri di lavoro
ecc. (…). Ingrandire a macchia d’olio un
villaggio esistente trasformandolo in una
cittadina sarebbe un errore: logico invece
strutturare la unità cittadina componendola
con varie comunità una delle quali sarà
rappresentata dal villaggio esistente il
quale, in molti casi, assumerà nuova
funzione e una nuova fisionomia nel nuovo
quadro”7.
Da cui la proposta:
“Se si vuole raggiungere lo scopo di
risollevare dai mali di una pessima
urbanistica (anzi: da quelli dell’assenza
totale di urbanistica) quale quella che ci
angustia da più di un secolo, sia le città
che le campagne che le montagne non vi è
che un mezzo: razionalizzare le future
attività industriali, agricole ed edilizie
attraverso una ordinata distribuzione dei
centri di produzione, di lavoro, di
residenza; programmare una logica
urbanizzazione del suolo attraverso nuove comunità
organiche ben attrezzate ed
economicamente efficienti”8.
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Figura
3 - Aerofotografia di Ivrea. Fonte: Il Piano Regolatore della Valle d’Aosta,
Torino, 2001 |
Un anno dopo, in occasione del discorso inaugurale del IV Congresso
dell’Inu del 1952 - La pianificazione
regionale - Adriano Olivetti
evidenziando la necessità di integrare le
scelte della pianificazione di quartiere con
le scelte di pianificazione regionale,
sottolineava come il ritardo della
pianificazione regionale fosse imputabile
sia al mancato coordinamento tra gli
strumenti pianificatori e l’organizzazione
economica, sia ad un’errata scala
dimensionale della regione storica. “Nella
situazione attuale disponiamo di taluni
strumenti essenziali della pianificazione,
ne abbiamo cioè completa padronanza
tecnica: alludo all’unità residenziale
autosufficiente, alla borgata rurale, al
piano paesistico. Fino ad oggi questi
strumenti sono stati però troppo spesso
scarsamente o malamente usati attraverso
parziali e dispendiosi tentativi di
innestare iniziative nuove su vecchie e
inadeguate strutture. L’inizio della
pianificazione apre perciò nuove e grandi
possibilità. Ma è d’uopo renderci conto
delle difficoltà che ci attendono.
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Figura
4 - Sezione stradale con il progetto di un nuovo quartiere ad
Ivrea. Fonte: Il Piano Regolatore della Valle d’Aosta,
Torino, 2001 |
Non basterà infatti - ai fini di una certa politica sociale ed
economica - che il piano regionale sia
elaborato ed assuma forma giuridica.
Occorrerà che esso sia integrato di taluni
elementi di espressione e di attuazione
urbanistica che sono, abbiamo detto, i
quartieri residenziali, i piani particolari.
Sono noti gli ostacoli gravissimi che si
frappongono alla realizzazione di questi
elementi organizzati del dispositivo
d’intervento: disponibilità o
accessibilità delle aree più razionabili,
organizzazione delle attrezzature economiche
e dei servizi sociali e culturali,
finanziamento delle opere igieniche stradali
e delle altre sussidiarie. In particolare,
una condizione essenziale di progresso
risiede nel coordinamento armonico tra il
dispositivo urbanistico e le fonti di vita
economica. Quest’indispensabile
coordinamento è invece considerato ancor
oggi come fattore secondario. Prima
procedono le industrie a costruire o
ingrandire fabbriche senza una visione
precisa delle conseguenze urbanistiche delle
loro attività; poi, sotto la pressione del
disordine sociale, si cercano rimedi quando
le soluzioni organiche sono ormai divenute
impossibili (…). Non sarà mai inutile
ripetere che il piano regionale va inteso
come piano territoriale di coordinamento.
Come tale, il piano regionale è
indispensabile per porre in evidenza i
problemi d’insieme. La soluzione atta a
divenire esecutiva di complessi edilizi
rispondenti alla coscienza sociale dei nuovi
tempi ed alle esigenze produttive
dell’industria, dell’agricoltura, di un
turismo seriamente inteso, suscita problemi
ravvicinati di collegamento, postulando
infine una scala dimensionale più ristretta
della regione storica. La regione ha la
giusta dimensione per prospettare in un
quadro sintetico i molti e diversi problemi
sociali, economici e territoriali che si
pongono nel nostro paese, ma la definizione
esecutiva del piano richiede pertanto questa
limitazione organica”9.
Oltre al tema del ruolo e della necessità della pianificazione
regionale, nelle intenzioni
politico-urbanistiche di Adriano Olivetti vi
era, dunque, la convinzione che la soluzione
ai problemi della società italiana
all’indomani della seconda guerra
mondiale, poteva essere la realizzazione di
un piano in cui le componenti economiche
fossero strettamente connesse e relazionate
alle componenti territoriali: “Il piano
organico cui guardava Olivetti era il
prodotto di un coerente raccordo tra le
trasformazioni economiche e la loro
dislocazione sul territorio,
dell’interazione tra sviluppo economico e
riassetto delle risorse ambientali: esso era
in una parola la risultante della fusione di
economia e urbanistica (…). Ma l’istanza
della fusione delle due discipline celava in
realtà il primato dell’urbanistica, come
scienza chiamata a dare forma organizzata
alla progettualità dei disegni di
trasformazione sociale (…). Ciò
esplicitava il principio, che avrebbe
naturalmente trovato applicazione nella
società canavesana, secondo cui l’analisi
economica doveva rappresentare l’atto
preliminare della politica di piano e
indicare ad essa le coordinate di sviluppo
da seguire, ma il momento gestionale della
pianificazione doveva essere demandato agli
urbanisti”10.
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Figura
5 - Stralcio planimetrico di Ivrea. Fonte: Urbanistica n. 33, 1961 |
Inoltre, secondo Olivetti, per evitare che la pianificazione stessa
finisse col favorire un’azione
centralistica e autoritaria da parte della
struttura statale, occorreva attivare
processi di riorganizzazione territoriale
legati alla definizione di programmi
economici: “Difficile dire in quali anni,
lungo il decennio tra il ’40 e il ’50,
Olivetti abbia sviluppato in direzione
risolutamente antistatalista le sue teorie
sulla pianificazione (…). Subito dopo la
liberazione, Olivetti aveva sperato in una
rifondazione su basi totalmente decentrate e
regionaliste dello Stato, in parallelo con
una definizione delle sue funzioni nella
sfera della pianificazione: quando vide
disattesa questa speranza, dovette
convincersi che ben poco spazio andava
lasciato allo stato nella promozione
dell’attività economica”11.
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Figura
6 - Schema di ipotetico sviluppo industriale e residenziale del
Canavese. Fonte: Urbanistica n. 33, 1961 |
Il programma di studi per l’area del Canavese costituisce
l’occasione per attuare le idee e le
convinzioni che Olivetti sosteneva potessero
trasformare in modo organico il
territorio. In effetti, nel programma per il
Canavese è possibile individuare
l’applicazione delle teorie urbanistiche
più significative di Olivetti. Osserva
Bruno Caizzi: “Senza essere contrastato da
mille resistenze, senza doversi estenuare
nelle anticamere dei ministeri alla ricerca
di compromessi amministrativi e di
accondiscendenze burocratiche, (Adriano
Olivetti) poté studiare un piano
urbanistico meno esteso di quello della
Valle d’Aosta, rimasto sulla carta, ma più
puntuale e nella sua parte fondamentale,
attuato. Ivrea col suo territorio intorno
offriva un tema assai impegnativo e
allettante di piano regolatore: una città
nuova da armonizzare col vecchio centro
faticosamente articolato fra fiume e colle,
una grande industria in espansione, una
popolazione operaia che in larga misura si
sposta quotidianamente verso il capoluogo
dai paesi minori del Canavese, una
persistente complementarità fra
l’economia industriale della città e
quella prevalentemente agricola del
contado”12.
Nel 1952 il Comune di Ivrea, appoggiato dai finanziamenti della società
Olivetti, decise di far redigere il piano
regolatore generale della città.
L’incarico fu affidato ad un gruppo di tecnici, il Gtcuc – gruppo
tecnico per il coordinamento urbanistico del
Canavese - composto dagli architetti
Quaroni, Renacco, Fiocchi e dall’ingegnere
Ranieri. Il gruppo lavorò in collaborazione
con l’autorità comunale di Ivrea e con
una squadra di consulenti specializzati in
statistica, geografia antropica, economia
agraria, economia generale, pedagogia e
igiene mentale. Il piano assunse le forme di
un piano intercomunale col fine di
analizzare, valutare e programmare
l’influenza economica e sociale che la
città esercitava sul suo circondario.
In sette punti vennero individuate le proposte e le linee direttrici
del piano:
“1. Il concetto di espansione di Ivrea a grappolo, al fine di
mantenere nella crescita della città il
maggior perimetro di contatto con il verde
circostante.
2. L’idea di una città federazione di unità residenziali, capace di
soddisfare i desideri di ciascuno dei suoi
componenti e più ancora quelli delle loro
associazioni.
3. La previsione di una anulare interna che dia maggior vita al punto
ambientalmente più interessante della città
e del nuovo ponte sul fiume che offra la
possibilità di comunicazione nel senso più
stretto della parola e nel suo più ampio
significato di contatto umano stabilisca
anche formalmente un tentativo di unione tra
la città vecchia e quella nuova.
4. La previsione di quartieri residenziali adatti a soddisfare una
sentita esigenza di vita associata integrati
da sufficienti attività complementari che
escludano il materializzarsi di uno zoning
di classe.
5. L’oculato risanamento del vecchio centro che, salvaguardando
l’aspetto generale della zona ed il suo
caratteristico impianto urbanistico, sarà
verificato con l’inserimento di ampie
attrezzature a servizio di tutta la città e
dei comuni limitrofi onde allontanare il
pericolo di trasformare questa zona storica
un pezzo da museo archeologico.
6. L’espansione industriale che avverrà non in modo intensivo tale
da formare compatti monoblocchi ma in modo
estensivo e discontinuo separando le
officine con spazi liberi, agricoli, che ne
assicurino un certo respiro ed un senso di
libertà, creando così un quadro ambientale
sano, vivace e più gradevole, tale da
influire positivamente sulla psicologia di
chi lavora.
7. L’ordinamento della rete delle grandi comunicazioni che, senza
intaccare le zone di naturale sviluppo della
città, sia sufficientemente prossima al
complesso urbano, onde riversare in questo i
benefici dell’importante traffico
turistico che i programmi in atto
favoriranno sempre di più”13.
|
Figura
7 - Progetto di una scuola nel quartiere di nuova costruzione
ad Ivrea. Progetto di L. Quaroni e
A. De Carlo. Fonte: Tafuri M. (1964), Ludovico Quaroni e lo
sviluppo dell’architettura moderna
in Italia, Milano |
All’interno del programma per l’area del Canavese, due sono le
questioni in cui si rispecchia fortemente
l’ideologia e la metodologia proposta da
Adriano Olivetti: l’importanza della
interdisciplinarità nella fase di analisi e
la dimensione dell’area di intervento. Nel
discorso tenuto nel 1956 al VI Congresso Inu
- Piani intercomunali e piani comunali -
Adriano Olivetti dirà: “Nella maggior
parte delle nostre regioni, con
l’eccellenza di quelle minori che
comprendono soltanto una o due province, né
i confini delle regioni stesse, né le unità
amministrative locali, le province in cui
sono divise si basano su fatti economici,
storici e culturali omogenei e unitari.
Risultato: l’assenza di una vera e
feconda, vitale iniziativa entro l’area
locale, onde una dispersione di interessi e
una confusione nello sforzo (…). L’uomo
non può più operare da solo in tutti i
campi. La concreta, nuova definizione delle
aree subregionali - un tracciamento
scientifico di queste aree e
l’instaurazione di una nuova volontà
amministrativa e culturale - è uno degli
essenziali compiti, preliminari alla
creazione di una civiltà cooperativa ed
assistenziale. Poiché, ci ricorda un
sociologo illuminato, il Mumford, come
l’uomo non può avere rapporti fecondi col
mondo circostante finché non possiede
un’intima e ferma personalità, così una
comunità non può impegnarsi nei necessari
scambi e rapporti con altre comunità finché
non ha una vita completa su basi
indipendenti e solide. Questo significa che
la ricostruzione culturale nell’ambito
della regione è una parte essenziale del
compito politico ed amministrativo. I nostri
piani più razionali devono rispettare
l’urgenza emotiva delle finalità, dei
desideri, dei bisogni umani; il meccanismo
più perfetto resta immoto finché i suoi
organi non vengano azionati da questi
mezzi”14.
In effetti nella relazione al piano, lo stesso Nello Renacco spiegava
come: “Tutti gli aspetti della vita si
ritrovano in una collettività urbana. Perciò
tutte le discipline che in qualche modo si
riferiscono all’uomo e al suo ambiente,
dovrebbero collaborare con l’urbanistica
nello studio di una pianificazione urbana e
ancor più nelle pianificazioni di portata
più vasta. Nell’équipe di Ivrea si è
cercato di avere la collaborazione di quelle
scienze che sembravano fondamentali: la
geografia, in quanto studio dell’ambiente,
e pensando naturalmente alla geografia umana
e ai settori di questa che più si
interessano al significato dinamico dei dati
geografici; l’economia, come studio delle
possibilità produttive della collettività,
ed anche delle sue possibilità di consumo;
l’agraria data la particolare importanza
dell’economia agricola nella zona; la
statistica come moderno strumento di
indagine dei fenomeni collettivi; infine,
quelle che più tradizionalmente sono
chiamate scienze umane: la storia, la
pedagogia, la psicologia, la sociologia. In
quest’ultima, che ha per suo oggetto lo
studio delle società umane nel loro
insieme, sembrerebbero assorbite tutte le
altre ricerche, come altrettanti capitoli
particolari di un’opera generale. E non è
ben chiaro se l’urbanistica debba essere
anch’essa un capitolo. È posto così il
problema dei rapporti tra le diverse
discipline all’interno dell’équipe. Il
problema non si presenta facile, per
l’incerta definizione dei campi di studio
di alcune discipline. La soluzione dovrebbe
essere cercata in una cooperazione di tutte,
piuttosto che in una subordinazione di
alcune ad altre. O, meglio, nella
subordinazione di tutte, alla pari, ad una
scienza della pianificazione, che non
coincida più con nessuna disciplina
specializzata, ma che abbia per sua
specialità esclusiva lo studio delle
interrelazioni: che tragga dalle scienze
specializzate i suoi dati, relativi
all’ambiente o alla produzione o alla
struttura sociale o ad altro, e che rinvii
alla scienze specializzate per i
provvedimenti tecnici necessari ad
intervenire nelle situazioni (…). Data la
complessa struttura delle città moderne, e
dato ciò che oggi si chiede alla
pianificazione, l’urbanista non può
essere una sola persona a meno di non farne
un autocrate. Se l’urbanista è chi fa il
piano, l’urbanista coincide con l’intera
èquipe”15.
La fase di analisi fu così strutturata: “Per 48 comuni, attenendosi
a uno schema preordinato che i fatti
modificavano (e curando all’estremo la
storicizzazione dei dati) con la propria
evidenza, vennero stese 48 monografie che
contenevano: dati fisici, dati economici,
dati edili, dati urbanistici, dati
sociologici, ecc. praticamente dalle
coerenze alle condizioni delle strade; dalle
caratteristiche atmosferiche alle colture e
divisioni delle proprietà; dalla situazione
religiosa a quella politica; dalle
professioni alle età della popolazione;
dalle caratteristiche dei nuclei familiari
alla frequentazione e condizione delle
scuole, asili; dai bilanci comunali al
numero di lettere, cartoline, di telegrammi,
di telefonate in arrivo o in partenza; dalla
demografia alle emigrazioni e immigrazioni;
dalla partecipazione alla lotta partigiana,
alla presenza o meno di oratori, sale da
ballo, cinema, ecc., nulla venne trascurato.
Di tutto si cercò di dar ragione, indicando
anche quali rapporti si desumevano, dai dati
e dagli incontri con la popolazione, tra il
comune in esame e la città di Ivrea”16.
|
Figura
8 - Grafico indicante l’andamento della popolazione nel
Canavese. Fonte: Urbanistica n. 33, 1961 |
Nel 1952 Olivetti affermava: “Un piano regionale - esteso cioè al
territorio di una regione storica - non può
coordinare l’economia edilizia. Esso si
presta invece assai bene a predisporre la
rete delle comunicazioni stradali,
autostradali, ferroviarie e a porre taluni
problemi di insieme. Ma la soluzione atta a
diventare esecutiva di complessi edilizi
rispondenti alla coscienza dei nuovi tempi e
alle esigenze umane e sociali
dell’industria, dell’agricoltura, ai
problemi di un nuovo turismo seriamente
inteso, investe problemi ravvicinati di
coordinamento e problemi
tecnico-organizzativi che solo un’autorità
nuova, dotata di vasti e congeniali poteri,
potrà realizzare con successo ed
adeguatezza”17.
Questa tematica fu appunto ripresa negli studi per il Canavese per la
definizione dell’area di intervento. Nella
relazione, Renacco sosteneva appunto: “La
regione individuata intorno a Ivrea, che si
è convenuto chiamare eporediese,
rappresenta una subregione del Canavese che
a sua volta per lunga tradizione storica
costituisce una subregione del Piemonte.
L’eporediese o comprensorio di Ivrea,
rappresenta dunque l’unità territoriale
minima a cui possa applicarsi un piano
regionale che abbia per centro Ivrea. La sua
definizione solleva l’esigenza di una
pianificazione urbanistica subregionale. La
legge urbanistica, come è noto, prevede tre
livelli di pianificazione: i piani comunali,
i piani intercomunali e i piani territoriali
di coordinamento, il cui campo di
applicazione non è ulteriormente definito.
Di fatto, nella pratica riconosciuta dal
Ministero dei lavori pubblici i piani
territoriali sono stati interpretati come
piani regionali identificando i territori di
loro competenza con quelle regioni in cui,
per lunga tradizione, si è abituati a
ripartire il territorio nazionale e che
hanno, per certo una realtà storica e
sociale ma non hanno una precisa figura
giuridica. Crediamo che gli studi condotti a
Ivrea, in questo campo, valgano a mostrare
l’opportunità di prendere in
considerazione i piani subregionali,
intermedi tra quelli comunali e quelli
regionali. Si intende che non bisogna
fermarsi a questo: i piani subregionali, o
comprensoriali, saranno a loro volta nuclei
di piani intercomprensoriali; ed infine di
piani regionali”18.
Intanto, nel 1954 venne costituito l’Istituto per il rinnovamento
urbano e rurale (I-Rur) del Canavese, il
cui obiettivo era l’orientamento dello
sviluppo e del riequilibrio delle aree in
cui l’espansione della Olivetti gravitava.
Come osserva Giuseppe Berta: “Con la
costituzione dell’I-Rur del Canavese nel
1954, Olivetti aveva sperato di fornire
un’esemplificazione pratica di ciò che
intendeva per pianificazione decentrata
basata sull’integrazione di industria e
agricoltura, e di offrire una soluzione
organizzata che fosse trasferibile anche in
realtà sociali assai difformi dalla
situazione canavesana. L’I-Rur può a
giusto titolo essere considerato come punto
d’approdo nella storia dell’impegno
olivettiano per una gestione razionale del
territorio, un impegno che aveva avuto
inizio con l’elaborazione del piano
regolatore della Valle d’Aosta nel 1937 e
aveva trovato slancio negli anni cinquanta
col problema della redazione del piano
regolatore di Ivrea”19.
L’aspetto più innovativo è costituito
senz’altro da una applicazione
dell’ideologia di Olivetti che vedeva in
una riorganizzazione dei confini
amministrativi, definita dal piano, la
possibilità di realizzazione del piano
stesso. Olivetti intendeva l’istituzione
dell’I-Rur, ente tecnico-finanziario, come
“atto a realizzare questi strumenti di
lavoro della pianificazione urbanistica per
rendere la formazione di un piano e la sua
esecuzione un processo unitario continuo”20.
In effetti, nello statuto dell’I-Rur si legge: “Art. 3. L’I-Rur
si propone:
a) di studiare ed effettuare programmi su base comunale ed
intercomunale, intesi a migliorare le
condizioni sociali ed economiche del
Canavese, lo standard di vita ed il livello
culturale della popolazione, in vista
soprattutto di dare un contributo al
problema del pieno impiego della mano
d’opera;
b) di promuovere, creare o sviluppare l’organizzazione tecnica
necessaria all’esecuzione dei piani di cui
alla precedente lettera a); di promuovere,
creare o sviluppare ed eventualmente gestire
concrete attività artigiane, industriali od
agricole, ed assumere partecipazione ad
attività artigiane, industriali od agricole
ed in genere a qualunque attività
economica, sempre nell’ambito ed agli
scopi di cui alla precedente lettera a);
c) di coordinare e controllare gli organismi di cui alla lettera b);
d) di porre a disposizione la sua organizzazione ed attività per la più
celere esecuzione di tutti i piani di
interesse sociale che verranno formulati
dalle amministrazioni comunali del Canavese,
anche svolgendo per le medesime
amministrazioni una consulenza sociale ed
economica;
e) di assumere tutte le funzioni che gli possono essere delegate da
enti pubblici centrali o locali,
nell’ambito dei suoi scopi statuari;
f) di aderire, associarsi o federarsi ad istituti che si pongano sul
piano provinciale, regionale, nazionale o
internazionale scopi analoghi a quello
dell’I-Rur”21.
Nel 1955 il consiglio comunale respinse il piano. Un anno dopo, venne
approvato un piano ispirato agli stessi
criteri di quello respinto di cui fu
utilizzato solo il materiale di indagine.
|
Figura
9 - Schema andamento della popolazione dei 48 comuni nel
Canavese: i cerchi pieni indicano la
crescita della popolazione; i cerchi
vuoti indicano la decrescita. Fonte: Urbanistica n. 33, 1961 |
|
Figura
10 - Ambiente di lavoro nello stabilimento “Olivetti” di
Pozzuoli |
Note
1 Olivetti A.(1949), Riprendendo il cammino, in Urbanistica,
n. 1, p. 2.
2
Al riguardo si confronti il testo di Rossano
Astarita (2000), Gli architetti di
Olivetti. Una storia di committenza
industriale, Milano.
3
Berta G.(1980), Le idee al potere.
Adriano Olivetti tra la fabbrica e la
Comunità, Ivrea, p. 144.
4
Il piano per un nuovo quartiere per Ivrea
costituiva una parte integrante del piano
per la Valle d’Aosta. Il territorio del
circondario di Ivrea fu restituito alla
provincia di Torino in occasione della
costituzione della Regione autonoma della
Valle d’Aosta nel febbraio del 1948.
5
Olivetti A.(1934), Prefazione al Piano di
un quartiere nuovo a Ivrea, Ivrea.
Edizione consultata: Il Piano Regolatore
della Valle d’Aosta, Torino, 2001, p.
225.
6
Piccinato L. (1976), Relazione al Piano
Regolatore della città di Napoli, in Urbanistica,
n. 65, 1976, p. 7.
7
Piccinato L. (1951), Pianificazione
regionale, in Malusardi F.(1993),
Luigi Piccinato e l’urbanistica moderna,
Roma, p. 211.
8
Ivi, p. 217.
9
Olivetti A. (1952), Discorso inaugurale
al IV Congresso INU, in Urbanistica,
n. 10/11, p. 1.
10
Berta G. (1980), Le idee al potere.
Adriano Olivetti tra la fabbrica e la
Comunità, Ivrea, p. 39.
11
Ivi, p. 128.
12
Caizzi B.(1962), Camillo e Adriano
Olivetti, Torino, p. 293.
13
Renacco N. (1955), Il Piano Regolatore
Generale di Ivrea, in Urbanistica,
n. 15/16, p. 192.
14
Olivetti A. (1956), Urbanistica e libertà
locali, in “Comunità” n. 44,
consultato in Fabbri M., Greco A.,
Menozzi L., Valeriani E. (1986), (a cura
di), Architettura urbanistica in Italia
nel dopoguerra, Roma, p. 44.
15
Renacco N. (1955), Il Piano Regolatore
Generale di Ivrea, in Urbanistica,
n. 15/16, p. 190.
16
Carlo Doglio, direttore della fase di
analisi in Caizzi B. (1962), Camillo e
Adriano Olivetti, Torino, p. 294.
17
Olivetti A. (1952), Condizioni per il
progresso dell’urbanistica italiana,
in Urbanistica, n. 9, p. 2.
18
Renacco N. (1955), Il Piano Regolatore
Generale di Ivrea, in Urbanistica,
n. 15/16, p. 193.
19
Berta G. (1980), Le idee al potere.
Adriano Olivetti tra la fabbrica e la
Comunità, Ivrea, p.162.
20
Olivetti A. (1952), Condizioni per il
progresso dell’urbanistica italiana,
in Urbanistica, n. 9, p. 3.
21
Statuto dell’Istituto per il rinnovamento
urbano e rurale nel Canavese in Berta G.
(1980), Le idee al potere. Adriano
Olivetti tra la fabbrica e la Comunità,
Ivrea, p.260.
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