Gli scenari prefigurabili
La VIII Commissione
permanente della Camera dei Deputati
(Ambiente, territorio e lavori pubblici) ha
concluso i suoi lavori il 7 marzo 2000,
licenziando una proposta di testo unificato
recante "norme per il governo del
territorio" predisposta dal relatore,
Maria Rita Lorenzetti, sulla base dei lavori
di un comitato ristretto all’uopo
istituito.
Ci sarebbe stato il tempo
sufficiente per varare la riforma
urbanistica prima della conclusione di
questa XIII legislatura, ma a far data dal
marzo 2000, non sono seguite azioni incisive
finalizzate a chiudere l’annosa vicenda,
rimandando, presumibilmente, alla prossima
legislatura lo studio e l’eventuale
approvazione della riforma urbanistica.
Una riforma attesa da
oltre mezzo secolo, da quando,
sorprendentemente per le abitudini
nazionali, in pieno conflitto bellico fu
partorita la prima legge urbanistica
italiana, organicamente improntata ad una
visione unitaria e gerarchica del territorio
e dei modelli di pianificazione da
applicarvi, ben presto dimostratosi
bisognosa di modifiche e integrazioni.
Si ha, oggi, il rammarico
che il governo di centro-sinistra,
tradizionalmente sensibile ai temi del
governo del territorio, non sia riuscito a
riconoscere l’importanza e l’urgenza di
una riforma di tale portata, anche perché
non è assolutamente detto che essa debba
permanere all’attenzione di una diversa
compagine politica che dovesse affermarsi a
valle del rinnovo del Parlamento della
Repubblica, in programma per la primavera
del 2001.
Tanto la cultura
progressista è vicina alle politiche di
tutela ed uso razionale del territorio, da
sottrarre o da mettere al riparo da processi
intensivi di utilizzazione, tanto la cultura
conservatrice intende l’ambiente quale
scenario delle dinamiche
economico-produttive cui piegarsi ed essere
funzionale, a meno di salvaguardie
sporadiche, di valore emblematico e non con
valenza paradigmatica.
Ne è un esempio il
cosiddetto disegno di legge Berlusconi,
anch’esso con scarse possibilità di
conversione nella corrente legislatura, che
teorizza un ruolo neocentralistico,
efficiente ed iperdecisionista dello Stato
in materia di grandi infrastrutture, sull’onda
dello sconcerto che i tempi lunghi e,
talvolta, lunghissimi della realizzazione di
opere pubbliche nel nostro paese genera nell’opinione
pubblica.
È altresì evidente che
tali intollerabili ritardi devono essere
azzerati, ma in un quadro di regole moderne
ed efficaci e non in loro totale assenza.
In definitiva, si può
convenire sulla portata delle differenze
reali fra cultura progressista e
conservatrice in materia di governo del
territorio e di tutela dell’ambiente, che
sino ad oggi non erano mai venute alla luce
macroscopicamente in quanto le forze
impegnate nella direzione dello Stato,
addensate nel plurienfatizzato centro
politico, riuscivano a smussare le
divaricazioni culturali contenute al loro
interno producendo mediazioni, anche
avanzate, in grado di contemperare le
diverse esigenze, scontando il rischio,
spesso frequente, di abbassare l’efficacia
dei dispositivi legislativi emanati dal
Parlamento.
La visione conservatrice
del governo del territoterritorio,
storicamente, tende a disarticolare i
processi di pianificazione urbanistica, alle
diverse scale, divaricandosi fra un forte
centralismo di stampo decisionista,
relativamente ad alcuni, pochi, ambiti di
intervento, ed una altrettanto forte
autonomia locale, sui molti restanti,
generalmente priva di sostegno.
Si può affermare che si
contrastino, dalle rispettive posizioni
culturali, tendenze miranti al perseguimento
di forme di sviluppo socioeconomico che
poggiano le loro prospettive su fasi di
crescita che i progressisti affidano alla
attenuazione degli squilibri territoriali,
mentre, i conservatori, alla loro
accentuazione derivante dalla completa
liberazione delle dinamiche competitive
latenti nel territorio.
Tale divaricazione
concettuale, qualora assuma i tratti del
fondamentalismo ideologico, non aiuta né
supporta il progresso degli assetti
territoriali, che si riesce a perseguire
attivando un sapiente dosaggio di politiche
urbanistiche, in cui anche forme pilotate di
competitività spaziale possono essere
ammesse, sebbene in una logica e con i
metodi della pianificazione e non in quadro
di tendenziale deregolamentazione.
Si è ritenuto di
proporre le suddette argomentazioni, non
certo nuove ma, probabilmente, appannate
nella consapevolezza collettiva, in quanto
il nuovo decennio che si apre, oltre alla
magia di corrispondere al nuovo secolo ed al
nuovo millennio, avrà il carattere di un
bipolarismo maturo, nel quale si
scontreranno sempre di più opposte
concezioni che potrebbero sfociare in
altrettanti radicalismi, sia nella politica
economica e sociale che nella sua derivata
prima, rappresentata dai meccanismi di
governo del territorio.
A riprova di tali
valutazioni è da segnalare un importante
evento milanese denominato Progetto Città,
conferenza internazionale che nella seduta
di avvio propone il tema-ipotesi "le
città, l’urbanistica e l’alternativa ai
piani regolatori: una nuova concezione per
lo sviluppo del territorio"1. Come si
può notare, l’idea sottesa alla suddetta
impostazione non si basa sulla necessità di
un adeguamento, sul quale non si può che
concordare, in direzione di una loro
maggiore efficacia, di strumenti obsoleti,
che continuino, tuttavia, ad essere piani
e a +, essendo, viceversa, messa in
discussione le loro stesse valenze
costitutive.
Nei successivi paragrafi,
quindi, si rifletterà sullo stato della
normativa che inquadra la pianificazione
territoriale di area vasta, così come
evolutasi recentemente, anche in prospettiva
di un mantenimento, nel futuro, degli
attuali assetti legislativi, nel caso che la
riforma urbanistica, maturata ma non
approdata in legge in questa legislatura,
non sia ulteriormente perseguita dai futuri
governi.
Si tratteggeranno,
inoltre, gli aspetti salienti della proposta
formulata dalla VIII Commissione permanente
della Camera dei Deputati, sempre
limitatamente alla pianificazione
territoriale.
Per pianificazione
territoriale si intende l’azione di tutela
ed uso del suolo operata dalla provincia a
mezzo del piano territoriale di
coordinamento (PTC).
In conclusione, le
indicazioni di una prospettiva cui
affidarsi.
I risultati raggiunti
Negli anni ’90, a
partire dalla legge 142/1990, sul riordino
delle autonomie locali, per approdare al
DLgs 267/2000, recante il testo unico delle
leggi sull’ordinamento degli enti locali,
transitando per il DLgs 112/1998, relativo
al conferimento di funzioni e compiti
amministrativi dello Stato alle regioni ed
agli enti locali, in attuazione del capo I
della legge 59/1997, si è delineato in
maniera compiuta l’impianto normativo
afferente alla pianificazione territoriale
di coordinamento che la legge 1150/1942 pose
con grande enfasi fra i primi punti del suo
articolato, senza specificarne una
pluralità di aspetti che ne hanno
determinato la sostanziale inapplicabilità
per i successivi cinquanta anni.
In recente impianto
normativo richiamato, infatti, scioglie o
chiarisce ulteriormente molti dei nodi
rimasti a lungo irrisolti, quali la
individuazione del soggetto e la
denominazione dello strumento di
pianificazione, l’ambito geografico di
applicazione, i suoi contenuti, l’unicità
e le interdipendenze dello strumento dal
complesso della pianificazione di settore, l’efficacia,
il ruolo ed i compiti delle regioni nella
specificazione degli aspetti procedurali ed
operativi (vedi testo nel riquadro).
L’assetto territoriale
in ambito di area vasta viene
definitivamente affidato alle
amministrazione provinciali, che redigono il
PTC, esteso all’interezza del territorio
di competenza, quale strumento unitario di
governo delle trasformazioni urbanistiche.
I livelli della
pianificazione urbanistica vengono ridotti a
due: di area vasta e comunale, superando le
precedenti tendenze che, nel corso degli
anni, avevano immaginato un ruolo centrale
della pianificazione territoriale alla scala
direttamente regionale o la frantumazione di
tale ruolo nell’iniziativa attribuita, da
una incerta normativa, alle comunità
montane.
La provincia inquadra il
PTC all’interno di un ruolo di
programmazione socioeconomica chiaramente
delineato, sia verso il basso, il sistema
dei comuni, sia verso l’alto, la regione.
Al PTC si conformano le
previsioni di enti ed amministrazioni
pubbliche, nell’esercizi delle rispettive
competenze.
La normativa vigente si
apre, inoltre, a soluzioni innovative quando
sottolinea il potenziale ruolo della
provincia nell’approvazione dei piani
comunali, così come da regolamentarsi da
parte delle regioni, attribuendone,
comunque, il compito di vagliarne la
conformità al PTC. Introducendo, in tal
modo, l’ipotesi di una semplificazione
delle procedure di approvazione dei piani
comunali, che potrebbe essere ridotta alla
sola conformità al piano sovraordinato,
vale a dire al PTC.
Infine, la regione, con
propria legge, rimane responsabile della
determinazione delle procedure di
approvazione del PTC, quindi, estensivamente
delle fasi e dell’articolazione della sua
formazione.
Da ultimo, viene
riconosciuta la unicità del PTC quale
strumento di pianificazione di area vasta,
assorbente le competenze in materia
paesistica, ambientale e di difesa del
suolo, in un quadro di concertazione con i
vari enti competenti e nella salvaguardia
delle autonomie decisionali degli stessi.
Si può concludere
sottolineando il rilevante avanzamento
registrato dalla normativa sulla
pianificazione territoriale in questi ultimi
dieci anni, tale da approdare ad un quadro
di riferimento da considerarsi in gran parte
soddisfacente, anche perché ordinariamente
integrabile da parte delle regioni, che ne
possono ampiamente particolareggiare gli
aspetti appena accennati, come quello della
copianificazione o della semplificazione
delle procedure di approvazione degli
strumenti di pianificazione sott’ordinati.
Il lavoro svolto
Le "norme per il
governo del territorio", licenziate a
marzo dalla VIII Commissione permanente
della Camera dei Deputati, tendono a
delineare una legge di principi che
riarticola il processo di pianificazione
alle diverse scale e mediante un numero
definito di strumenti urbanistici
- piani territoriali provinciali, piani
urbanistici comunali, piani metropolitani,
piani operativi – sancendone la unicità
(vedi testo nel riquadro). Il ddil
affronta i temi di attualità della perequazione,
della sussidiarietà, della sostenibilità,
degli standard urbanistici, dell’espropriazione
per pubblica utilità ed altri, riallineando
i risultati più avanzati emersi dal
dibattito urbanistico in corso nell’ultimo
decennio.
Il ruolo della regione,
in tema di pianificazione di area vasta, si
concentra sulla predisposizione di quadri
di riferimento, che perdono la loro
valenza di decisori dell’assetto fisico
per assumere il ruolo di coordinamento e di
verifica di compatibilità e di coerenza fra
le attività di pianificazione derivanti dai
soggetti competenti e di strumento di
verifica fra scelte di assetto territoriale
e lineamenti della programmazione
socioeconomica regionale.
Relativamente alla
pianificazione territoriale, definita di
ambito provinciale, il ddil si
propone di sistemare la normativa già
vigente addentrandosi in aspetti
procedurali, quali la conferenza
territoriale, le misura di salvaguardia,
le forme di partecipazione.
In tale sforzo di
sistematizzazione si inquadra la figura del
piano metropolitano, che dovrebbe assorbire,
in uno, il piano territoriale ed il piano
urbanistico comunale, oltre ad un lieve
avanzamento a chiarimento del rapporto da
instaurasi fra PTC e i cosiddetti piani
specialistici o di settore, estesi alla aree
naturali protette, alla tutela dei beni
culturali e dell’ambiente, alla difesa del
suolo ed alla prevenzione dei rischi.
L’obiettivo che il ddil
intende centrare consiste nel restringere il
ventaglio delle potenziali divaricazione
normative che la legislazione regionale
potrebbe determinare, orientandone i
percorsi.
In tale ottica, tuttavia,
sarebbe stato più utile e coerente con la
dichiarazione di perseguimento del principio
di sussidiarietà, dichiarato in uno dei
primi articoli, concentrare gli sforzi
maggiormente su cosa le regioni
debbano fare, piuttosto che sul come.
Il ddil, pur
dichiarandosi di principi, non rifugge dal
vizio, antico dello Stato centralista, di
regolamentare aspetti di dettaglio, specie
di naturale procedurale, che dovrebbero
essere lasciati all’autonomia decisionale
regionale.
Per lo stesso piano
metropolitano, attese le notevoli differenze
strutturali delle aree metropolitane nel
nostro paese, in termini di estensione,
popolazione, morfologia urbana, sarebbe ben
difficile imporre, per ciascuna di esse, la
coincidenza fra PTC e piani urbanistici
comunali, ipotizzando, in non pochi casi,
uno strumento di difficile approntamento, da
un punto di vista tecnico, e di complicata
operatività, da quello gestionale.
Le procedure di
formazione del PTC, incentrate sull’istituto
della conferenza di servizi, così come
regolamentata dalla legge 241/1990, non
appare idonea, in quanto derivata da un
meccanismo utile alla approvazione di
progetti, in un quadro di accertata
compatibilità urbanistica, e non di piani,
che ben altro impatto e responsabilità
istituzionale rivestono.
Da tale ipotesi, alla
luce della recente formulazione sulla
conclusione delle conferenze di servizi,
così come integrata dalla legge 340/2000,
emergerebbe che, in caso di pareri
dissenzienti, possa prevalere quello dell’ente
che indice la conferenza di servizi,
espresso dal suo organo esecutivo. Se
si dovesse accogliere tale ipotesi, ne
deriverebbe che un PTC potrebbe essere
approvato con il parere contrario della
regione, sulla base di una deliberazione di
giunta provinciale. A tal proposito va
sottolineato come il vituperato sistema di
pianificazione gerarchica ed a cascata vada
superato, evidentemente, per quanto riguarda
la processualità temporale delle scelte di
assetto del territorio, come ampia e non
rituale dovrà essere la procedura di
concertazione fra gli enti, l’azione
tecnica di copianificazione, il rispetto del
principio di sussidiarietà, sia orizzontale
che verticale.
Ma la gerarchia, in
termini di primus inter pares, non
può e non deve essere completamente
abolita: è la regione a decidere, in
definitiva, compatibilità e coerenze fra i
PTC delle diverse province di cui è
composta, come non può che essere la
provincia, sulle analoghe problematiche
relative ai comuni che ricomprende.
Il ddil, in ultima
analisi, sembra indugiare eccessivamente
sulle tendenze emerse nel dibattito sulla
leggerezza delle scelte di pianificazione,
in una rincorsa, a tratti demagogici, al
riconoscimento di forme di autonomia
decisionale che rischiano di pervenire al condominio,
quale entità minima ed autosufficiente di
pianificazione e gestione del territorio.
Il punto della situazione
Con la nuova legislatura,
i tempi della discussione e del varo della
riforma urbanistica si allungheranno, fermo
restando la fisiologica incertezza sui nuovi
orientamenti in materia da parte di chi
risulterà vincitore dalla contesa
elettorale.
Anche se la compagine di
governo dovesse essere confermata, infatti,
non è difficile prevedere un rinnovato
protagonismo, di natura culturale oltre che
politico, dei nuovi eletti, che non tarderà
a dispiegarsi.
Per altro, come
prefigurato nei precedenti paragrafi, la
trattazione della pianificazione di area
vasta contenuta nel ddil urbanistica
non costituisce la parte più innovativa
della proposta o quella di cui si è
manifestata particolare esigenza, da parte
dei soggetti della pianificazione.
Converrà, probabilmente,
spingere sulle assemblee regionali,
attualmente in fase iniziale del loro
mandato, affinché assumano responsabilmente
il compito loro assegnato dalla normativa
statale vigente e approvino le disposizioni
legislative di loro competenza.
Ciò almeno per quelle
regioni, fra le quali spicca negativamente
la pattuglia meridionale, che non vi hanno
ancora provveduto.
Ma anche per le numerose
dotatesi di buone e recenti legislazioni
urbanistiche, si porrà il compito di
definire ulteriormente il ruolo della
pianificazione provinciale, avviando una,
sia pur graduale e garantista,
riduzione ad unum degli strumenti che
a vario titolo si affollano sul territorio
italiano.
Un territorio con tanti
controllori e nessun gestore.
1 Conferenza
Internazionale Progetto Città, Fiera di
Milano 19-21 febbraio 2001, organizzata da
Il Sole24Ore, Fiera Milano Congressi,
Gestione Fiere Compagnia delle Opere.