Nell’ottobre
del 1990, pochi mesi dopo la morte
di Astengo, Bernardo Secchi lo
commemora sulle pagine di Casabella
con un articolo di cui, oltre che il
contenuto, è assai emblematico il
titolo: La costruzione della
pratica urbanistica.
"Giovanni Astengo – scrive
Secchi – ha rappresentato uno dei quattro
grandi; assieme ai più anziani
Piccinato, Samonà e Quaroni, da
loro diverso, Astengo rappresentava
una delle vie all’urbanistica nel
nostro paese. Una via fatta di un
instancabile rigore metodologico che
si faceva rigore intellettuale ed
ideale, e che Astengo trasferiva nel
proprio impegno accademico,
professionale e politico in modi
sovente incompresi e considerati
angusti […] (a differenza di
Piccinato) Astengo ha passato la
vita a "misurare le
distanze": fra la situazione
del nostro paese e […] quella dei
paesi del nord-Europa. A differenza
di Samonà, Astengo non ha esplorato
radici e fondamenti del pensiero e
della pratica degli urbanisti
europei […]La fiducia di Astengo
nel metodo scientifico, inteso nei
termini dell’empirismo logico dei
primi decenni del secolo, la fiducia
nella fertilità di una ragionata
"riduzione" era totale e
diveniva per lui costume di vita,
prima ancora che abitudine mentale.
A differenza di Quaroni, Astengo ha
evitato di porsi gli interrogativi
più inquietanti […] ha proposto
un’urbanistica fatta soprattutto
di pratica e di pratiche; di
esperienze concrete di costruzione e
gestione dei piani e di politiche,
di riflessioni sulle ineludibili
intersezioni tra la pratica dell’urbanista
e quelle degli altri soggetti
sociali che alla produzione e
gestione del piano concorrono".
Per la forza
travolgente della sua
"ragionata" riduzione, per
il suo metodo "ostensivo"
che "passa attraverso l’illustrazione
di esempi riusciti"(B. Secchi),
per aver fatto della pratica il
centro di gravità di tutta la sua
ricerca, Astengo è stato tanto
criticato dai maîtres à penser
dell’urbanistica italiana ed
europea. Ha scritto forse meno di
molti suoi colleghi, ed è un fatto
che i piani da lui realizzati non
sono poi tanti, ma è pur vero che
quelli attuati sono poi diventati un
insostituibile punto di riferimento
per generazioni successive di
urbanisti.
|
FIG 4.
COMPRENSORIO AGRARIO DI
TORINO
COMPOSIZIONE DELLA
POPOLAZIONE OCCUPATA SECONDO
LA PROFESSIONE |
Da "Per
una pianificazione attiva "
(di G. Astengo) – Urbanistica n.
13 del 1953:
"Non esiste
necessariamente una correlazione
quantitativamente commensurabile fra
ciò che si pone come esempio
dimostrativo e l’ambiente e il
pubblico al quale l’esempio è
diretto; […] il valore di un
esempio, di un esperimento, sta
anzitutto in se stesso, e quindi
anche nella sua potenziale
ripetibilità; […] le civiltà si
sviluppano precisamente per effetto
delle facoltà di mimesi, per cui la
maggioranza non creatrice può venir
trasfigurata da una minoranza
creatrice […] quindi un quartiere
e una borgata ben impostati, una
indagine ben condotta, un concorso
ben riuscito, un piano regionale ben
avviato, uno studio teorico
scientificamente corretto sono non
soltanto validi in sé come
testimonianza di slancio creativo o
rigore scientifico, ma possono
essere, o divenire, presto o tardi
determinanti di un nuovo ambiente
culturale, di un nuovo indirizzo di
vita".
Con questo
scritto, nel 1953, Astengo chiude
una fase: quella della ricerca e
dell’elaborazione in Piemonte che
lo ha impegnato dal 1942 sino alla
metà dagli anni Cinquanta; si
chiude la fase
"induttiva", che gli ha
fatto guardare al futuro della
società e del territorio da
pianificare come ad un non
conosciuto, un ignoto a cui si
poteva accedere solo attraverso un
processo lineare (da lui escogitato)
diviso in 4 fasi:
"conoscere",
"comprendere"
"giudicare",
"intervenire".
Dunque,
appartiene cronologicamente ad una
precisa situazione culturale,
tecnico-amministrativa e politica,
ma può senz’altro considerarsi
come un piano programmatico, del
resto mai disatteso, di tutta la sua
vasta attività. Nell’Italia del
II dopoguerra l’urbanistica cerca
di affermare la necessità di un suo
spazio autonomo fra le più antiche
branche del sapere
"scientifico", di chiarire
la sua ragion d’essere, appunto
come disciplina. I tecnici, inoltre,
avvertono la necessità di una
stretta relazione col potere
politico, al punto che non si
esclude, in prospettiva, di
subentrare in esso come classe
politica.
Di fronte al
problema della ricostruzione del
paese, ecco quali sono le principali
correnti di "pensiero"
urbanistico dispiegate sul campo: da
un lato il modello positivista (al
quale Astengo si può meglio far
aderire) che ricerca, anche a costo
di forzature semplificative, una
lineare e rigorosa definizione di
regole e metodo per la nuova
disciplina, dall’altro il modello
delle comunità autosufficienti che
prefigura una piena integrazione tra
fabbrica e società; il piano, da
tale integrazione, scaturisce
automaticamente come necessaria
conseguenza sovrastrutturale di una
mutazione strutturale. È un fatto
significativo, e vale la pena
ricordarlo, che fra i piani di
Astengo è possibile rintracciare
esempi concreti ed emblematici di
entrambe le tendenze: il Piano
Regionale del Piemonte (ABRR),
"frutto di una petizione di
principio e di una ricerca di
metodologie analitiche" (Tafuri),
ed Il piano AR per Milano, ispirato
al più ampio movimento del
regionalismo statunitense.
Gli studi per il
piano regionale del Piemonte trovano
una prima, abbastanza chiara,
esposizione in uno scritto apparso
sul n. 14 della rivista Metron
nel 1947: "Piano regionale
Piemontese" (di G. Astengo,
M. Bianco, A. Rizzotti e N. Renacco).
Successivamente, fra il 1952 ed il
1953, gli intenti teorici e
soprattutto quelli pratici dell’operazione
confluiranno nei due volumi
pubblicati dal Ministero dei lavori
pubblici "I piani regionali.
Criteri di indirizzo per lo studio
dei piani territoriali di
coordinamento in Italia" a
cura della commissione
interministeriale per i piani di
coordinamento. Infine, per
introdurci alle letture sul Piano
regionale del Piemonte, un ultimo
spunto di riflessione ci è offerto
da un altro scritto dello stesso
Giovanni Astengo "Urbanistica
assente", imperniato sull’analisi
del significato della realtà, sia
in senso sociale (conflitto
individuo-comunità) che geografico
(conflitto città-territorio).
|
FIG 5. BILANCIO
NUTRITIVO PER ZONE AGRARIE |
Da "Urbanistica
assente" -Urbanistica n. 3
del 1950:
"Che vi sia
un conflitto fra mentalità generale
e tendenza al rinnovamento non può
stupire, si tratta solo di stabilire
ragionatamente ed obiettivamente se
il complesso di idee, di opinioni,
di prevenzioni e di pregiudizi che
compongono la mentalità degli
indifferenti e degli oppositori ha
veramente in sé forza e peso tali
da soffocare ancora a lungo le forze
innovatrici, o se queste ultime
possiedono un’intima convinzione,
una coerenza logica e morale
capace di esercitare sulla
mentalità generale un’efficace
influenza, tale da rovesciare,
presto o tardi, la situazione e far
sì che proprio la minoranze
diventino domani catalizzatrici di
una futura mentalità
generale". […] "La
realtà complessa non è realtà
assoluta o trascendentale, è realtà
empirica, temporale ed
esistente, campo di indagine
scientifica […] Né problemi
filosofici si pongono di certo nello
studio della realtà urbana e
territoriale, bensì unicamente
problemi scientifici e pratici […]
Il piano urbanistico appare in
definitiva come elemento
equilibratore delle due sfere di
attività, pubblica e privata, e
come tale diventa strumento
indispensabile per le
amministrazioni centrali e
locali".
Nel dopoguerra,
la scelta di redigere un piano in
forma volontaria e non
istituzionale, rappresenta un forte
elemento politico di dibattito per
la ricostruzione dello stato
italiano.
L’idea di
definire un piano di coordinamento
urbanistico su basi regionali nasce
in un particolare momento in cui, da
un lato, la legge urbanistica del
1942 propone la possibilità di
compilare piani territoriali di
coordinamento su scala regionale e
dall’altro lato, le vicende legate
all’evento bellico, impongono la
necessità di definire per ambiti
più estesi il difficile processo di
ricostruzione.
La possibilità
di dover costruire nuovi alloggi,
nuovi stabilimenti industriali,
nuove vie di comunicazione era la
grande occasione per definire un
nuovo metodo di intervento
pianificato sul territorio nel tempo
e nello spazio.
Ma, la
definizione di un nuovo metodo, si
può cogliere solo attraverso la
concretezza di un piano.
Non è un quindi
un caso che, l’aspetto più
interessante di questo studio sia
proprio la continua esigenza di dare
una definizione precisa ad ogni
elemento strutturante il piano.
Il punto di
partenza è l’individuazione degli
elementi descrittivi per una
completa analisi dello stato di
fatto: sette capitoli suddividono la
prima sezione del piano. Sette
indicatori per una corretta
conoscenza della realtà: analisi
riguardanti il territorio, analisi
demografiche, analisi della
situazione agricola, analisi della
situazione industriale e
commerciale, analisi delle
attrezzature edilizie, analisi delle
comunicazioni, analisi di produzione
e consumo di energia elettrica. Un’interessante
bibliografia delle fonti statistiche
regionali e nazionali, dimostra
inoltre l’intenso sforzo per la
ricerca di dati difficili da
reperire in un momento di grossa
crisi per le istituzioni all’indomani
della guerra.
Per ciascuna di
queste categorie conoscitive vengono
successivamente definite le
principali linee direttrici
attraverso le quali il processo
possa verificarsi nelle condizioni
di più alta efficienza. Infine, l’elencazione
dei principi tecnici da applicare
per realizzare l’effettiva
trasformazione del territorio,
conferma l’idea di una
pianificazione regionale volta alla
concreta risoluzione dei problemi
che superi il limite dell’impostazione
frammentaria e discontinua,
caratterizzante la cultura
urbanistica italiana dell’epoca.
|
FIG 7. DISTRIBUZIONE
E DIMENSIONE DEI CENTRI
INDUSTRIALI |
Metron n. 14,
Roma, 1947
– Cenni
sul piano regionale piemontese
–
Da pag. 7 a 8 –
Rappresentazione della
"situazione di fatto"
Metodologia di
ricerca e rappresentazione
statistica
"La
conoscenza della realtà dei fatti
costituisce la base su cui opera la
scienza urbanistica teorica e
pratica; pertanto assume notevole
importanza lo studio dei
procedimenti analitici che
permettono l’indagine delle situazioni
di fatto, in una determinata
circoscrizione territoriale, dal
punto di vista urbanistico.
Tale studio
costituisce nel suo complesso il
dominio di una branca della scienza
urbanistica, che denomineremo urbanistica
analitica e che, per quanto è a
nostra conoscenza, non è stata
finora sistematicamente trattata.
Assolutamente
indispensabile appare l’approfondimento
di tale branca, sia per il
raggiungimento di una corretta
valutazione dei fatti, sia, in
generale, per la istituzione di una
metodologia che conduca ad analisi,
rappresentazioni e risultati
corretti e confrontabili.
Riteniamo
pertanto opportuno indugiare
brevemente nella esposizione delle
indagini eseguite per il piano
piemontese.
Premettiamo
alcune osservazioni generali.
Definiamo
anzitutto oggetto, scopo e metodo
dell’urbanistica analitica.
L’oggetto,
ossia la materia su cui
eserciteranno le ricerche da
intraprendere, è il complesso
sociale di una determinata
circoscrizione territoriale. Scopo
delle ricerche è la conoscenza e la
valutazione di quegli aspetti della
vita associata, che hanno diretta o
indiretta attinenza colla
organizzazione edilizia (intesa in
senso lato) del complesso sociale
preso in esame. Il metodo,
cioè la via da seguire nelle
ricerche stesse, è quello induttivo
della scienza Statistica.
L’urbanistica
analitica altro non è, in
definitiva, che una branca, ancora
poco esplorata, della Statistica.
Secondo i
procedimenti analitici di detta
scienza, la grande unità organica
oggetto di studio, viene decomposta
nei suoi elementi o fattori,
e questi classificati secondo
modalità quantitative o qualitative
di certi loro caratteri.
La metodologia
statistica fornisce gli strumenti
scientifici per lo studio della
distribuzione spaziale e temporale
dei caratteri e per la ricerca dei
rapporti di mutua relazione fra vari
caratteri di vari fattori.
I risultati di
queste analisi ed elaborazioni
numeriche, parte delle quali è
fornita direttamente dai censimenti
ufficiali e parte invece necessita
di ricerche ed elaborazioni
particolari, costituiscono in
complesso il quadro della situazione
di fatto di una determinata
circoscrizione territoriale,
riferita ad un determinato tempo. Il
quadro viene completato da
rappresentazioni grafiche, che
permettono la valutazione simultanea
delle parti e dell’insieme di una
data indagine, nonché l’esame
della distribuzione territoriale dei
valori che la compongono".
|
FIG 8. REGIONE
PIEMONTESE
SITUAZIONE 1938 DEL TRAFFICO
STRADALE |
Da pag. 20 a 24
– Principi generali dell’urbanistica
regionale
Quali gli scopi
di un piano regionale?
Scopo generale
del piano urbanistico è quello di
trasformare gradualmente la
situazione di fatto di una data
circoscrizione territoriale in modo
da crearvi, in tempo più o meno
breve, le più efficienti condizioni
possibili per le attività
produttive e le migliori condizioni
ambientali di vita per la
popolazione.
Per illustrare
questo concetto noi possiamo pensare
ad esempio che la Regione, oggi
determinata nel suo stato attuale
dall’elemento naturale, ma ancor
più dal lavoro dell’uomo
attraverso i millenni ed erede di
una plurisecolare vita borghigiana,
si trovi un po’ nelle condizioni
di una vecchia bottega artigiana, in
cui siamo stati immessi da poco
tempo macchinari modernissimi, senza
procedere ad una completa revisione
e riorganizzazione delle
attrezzature.
Se si vuole che
la nuova macchina, impiantata nella
vecchia bottega, renda, è
necessario rivedere i vecchi
strumenti, sostituire gli inadatti o
gli inservibili, distribuire tutti
gli attrezzi secondo un processo di
lavorazione che non è più quello
artigianale: ripulire e riordinare.
Ecco il compito
del piano urbanistico.
Naturalmente non
si potranno apportare
istantaneamente trasformazioni
integrali. Il patrimonio edilizio,
che noi abbiamo ereditato dalle
precedenti generazioni, con tutti i
suoi errori e le sue manchevolezze,
non può essere annullato o
interamente rifatto. Si tratta però
di dare inizio ad un’opera di
graduale ma profondo ordinamento, si
tratta essenzialmente di
razionalizzare tutte le opere
edilizie che verranno eseguite nel
prossimo futuro, per imprimere ad
esse una giusta direzione. Si tratta
in definitiva di stabilire le linee
direttrici principali lungo le quali
tutta l’attività edilizia,
pubblica e privata, industriale e
agricola, prossima e lontana, possa
indefinitamente svolgersi nelle
condizioni di più alta efficienza.
Considero in
astratto ed in generale il concetto
di efficienza e delle migliori
condizioni ambientali di vita
resterebbe tuttavia ancora molto
vago, se esso non avesse in concreto
ed in particolare significati
tecnici ben precisi nei singoli
settori, cui si riferisce, e sui
quali è opportuno soffermarsi
alquanto […].
Per l’edilizia
industriale significa:
a) Predisporre
nei complessi urbani esistenti,
nelle aree di espansione degli
stessi e nelle località di
creazione di nuovi centri delle zone
da destinare esclusivamente ad uso
industriale;
b) Nella
determinazione di zone industriali
tener conto di tutti quei fattori
ubicazionali che pongono una data
area in condizioni geograficamente
favorevoli all’arrivo delle
materie prime, alla loro
trasformazione, alla distribuzione
dei prodotti, ai reciproci scambi di
semilavorati tra industrie di un
unico ciclo produttivo, all’afflusso
e alla residenza della manodopera;
c) Attrezzare
le zone industriali con servizi
generali utili al buon funzionamento
della zona e ad incrementare l’efficienza
degli impianti.
Il raggruppamento
di numerose attività industriali
permetterà di ripartire e sostenere
l’onere di detti servizi, che
andranno dagli allacciamenti
stradali ai raccordi ferroviari,
piani caricatori, magazzini
generali, centrali termiche
collettive, oleodotti, impianti di
posta pneumatica, ecc. In un’area
industriale attrezzata ogni nuovo
impianto diventa automaticamente
compartecipe degli investimenti di
capitale della comunità.
d) Distribuire
gli stabilimenti nell’interno
delle aree industriali tenendo conto
del ciclo produttivo generale e dei
reciproci scambi dei semilavorati e
di prodotti, dando ai singoli
stabilimenti la possibilità di
espandersi e di contrarsi
conformando volta a volta le
dimensioni alle esigenze economiche
e tecniche, in continuo divenire,
della produzione industriale.
Per la circolazione
stradale significa introdurre
nella rete varia esistente quelle
modifiche che permettono:
a) di
formare una completa rete di strade
di grande traffico veloce
tecnicamente efficiente (sezioni
adeguate alle intensità di
traffico, piste separate, incroci
selezionati e corredati da manufatti
che eliminano i punti di conflitto,
ecc.);
b) di
allacciare razionalmente le grandi
linee di traffico regionali ai
centri esistenti secondo la tecnica
combinata delle linee anulari di
circonvallazione e delle linee di
penetrazione e di attraversamento
veloce;
c) di
riorganizzare la viabilità interna
cittadina dei centri esistenti colla
rigorosa classificazione in:
– arterie
di grande traffico veloce
(attraversamento e suoi affluenti);
– vie
cittadine a traffico automobilistico
lento (delimitanti i quartieri
residenziali);
– strade
residenziali pedonali e miste
(interne ai quartieri);
d) di
combinare l’allacciamento fra le
strade di varia classe in modo che
dalle linee di penetrazione e di
attraversamento veloce si dipartano
a giusta distanza, evitando il più
possibile gli incroci a livello, le
arterie di grande traffico veloce.
Su queste si innestino a livello le
vie cittadine a traffico lento,
dalle quali si accederà alle strade
residenziali. In tutti i casi, sia
rigorosamente evitata l’intersezione
a livello fra gli attraversamenti
veloci e le strade residenziali.
|
FIG 9. REGIONE
PIEMONTESE
SITUAZIONE 1938 DEL TRAFFICO
FERROVIARIO |
Questi, in
riassunto, alcuni fondamentali e
noti principi tecnici di carattere
particolare oggi diffusamente
divulgati dalla più evoluta tecnica
urbanistica, e la cui rigorosa
applicazione consente una razionale
risoluzione dei problemi edilizi e
quindi la progressiva creazione di
condizioni ambientali di vita
migliori e più efficienti delle
attuali.
Molti di essi si
riferiscono a problemi che si
riscontrano e si risolvono
unicamente in sede di piano comunale
e particolareggiato, ma già
parecchi di essi, soprattutto quelli
che si riferiscono alla tecnica
delle nuove unità urbane, alla
zonizzazione industriale e alla
viabilità generale, riguardano
problemi che non si possono
impostare e risolvere altrimenti che
in sede di piano regionale.
|
FIG 11. PLANIMETRIA
GENERALE DELLE NUOVE UNITA'
ORGANICHE |
Da pag. 27 a 29
(testo integrale completo di note)
[…] Se si
continua a costruire, un po’
meglio di prima, ma cogli stessi
sistemi e nelle stesse località di
prima, si saranno lasciati i
problemi urbanistici demografici e
sociali allo stesso punto di prima:
i centri industriali continueranno
ad affollarsi e ad enfiarsi, le
montagne a languire. Né l’espansione
a macchia d’olio né il
frazionamento dell’attività
edilizia in mille opere slegate
permetteranno mai una rigorosa
applicazione dei principi tecnici
enunciati.
Per sollevare
contemporaneamente città, campagna
e montagna dai mali di una cattiva
urbanistica, praticata da mezzo
secolo e per razionalizzare la
futura attività edilizia,
industriale ed agricola, non c’è
che un rimedio: instaurare una ordinata
urbanizzazione del suolo, che
preveda la successiva creazione nel
tempo di nuove unità organiche,
in cui troveranno contemporaneamente
lavoro e abitazione i senza-tetto,
gli ex abitatori di alloggi
sovraffollati o di tuguri
inabitabili, e gli emigrati dall’eccedenza
demografica agricola e montana38.
|
FIG 12. ZONIZZAZIONE
DEL CONCENTRICO DI TORINO |
Questi potranno
diventare in tal modo i fortunati
pionieri di una nuova civiltà del
lavoro, impostata sulle più
efficienti, più gradevoli e più
serene condizioni ambientali di
vita, frutto di una intelligente ed
umana applicazione dei mezzi tecnici
più moderni.
Il principio
generale della urbanizzazione
regionale capace di connettere le
singole risoluzioni in un grande
tessuto omogeneo, sta precisamente
in questa procedura e in questo
concetto:
Convogliare la
massima parte dell’attività
edilizia verso la formazione di
nuove unità cittadine organiche
perfettamente attrezzate ed
economicamente attive.
Questo principio
richiede, per poter essere tradotto
in pratica, i seguenti presupposti:
1) la
possibilità di effettivamente
coordinare le attività edilizie,
attraverso una opportuna procedura;
2) la
possibilità di trasferire impianti
industriali in condizioni
ubicazionali migliori e di maggior
rendimento;
3) la
possibilità di creare nuove
attività di produzione industriale;
4) la
possibilità di organizzare
tecnicamente le singole unità
produttive entro un ciclo tecnico il
più possibilmente completo ed
efficiente (la zona industriale);
5) la
possibilità di estendere, sull’intero
territorio regionale una oculata e
previdente zonizzazione, che
predisponga con lungimiranza gli
adeguati vincoli sulle aree, che si
prevedono, in futuro, destinate all’impianto
delle nuove unità organiche.
Il principio
urbanistico enunciato, che non
esclude per altro applicazioni di
dettaglio della tecnica urbanistica
a tutto il territorio, può essere
nucleare per tutte le regioni
industrialmente evolute.
La sua
applicazione è fonte di grandi
trasformazioni economiche e sociali
e feconda di deduzioni. Innanzitutto
viene introdotto un metodo cosciente
di urbanizzazione graduale ed
organica del suolo, che permette la
filiazione dal vecchio ceppo
regionale di gemmazioni nuove, sane
(igienicamente ed economicamente) e
di grande vitalità. Ogni nuovo
accrescimento è controllato e
portato a vivere nelle migliori
condizioni: eugenetica
scientificamente perfetta (Matrix).
|
FIG 13. PLANIMETRIA
DELLE NUOVE UNITA' DA STURA
A CHIAVASSO |
Non solo, ma i
benefici influssi di questo metodo
vengono risentiti in tutta la
Regione, nei grandi e nei piccoli
centri, nella campagna e nella
montagna.
Anche ai problemi
isolati e particolari viene impressa
una direzione nuova e ben definita,
anche per i vecchi centri può
essere impostata, in questo senso
una proficua revisione urbanistica.
Anziché anelare a sempre nuove
espansioni, e si potranno iniziare
con profitto una minuta opera di
riorganizzazione interna basata
sulla determinazione, nel tessuto
già costruito, di zone ben
delimitate, che possano ricevere la
individualità di un quartiere e che
colla integrazione di attrezzature
collettive mancanti, con una solerte
politica edilizia di sfollamento,
diradamento e di risanamento, e con
la intensificazione di zone verdi,
possano aspirare a diventare quartieri
attrezzati39. Anche
per i vecchi centri potrà quindi
essere applicato il concetto
federativo dei nuovi quartieri
organici.
38
Della
regione sottoposta a piano o di
altre regioni vicine e lontane, esse
pure afflitte da esuberanza di mano
d’opera.
39
Introduciamo
questa nuova dizione per riservare
la denominazione di "quartiere
organico" ai quartieri di nuova
costruzione, in cui siano
rigorosamente rispettate le regole
del soleggiamento della densità e
della circolazione, purtroppo
irrimediabilmente compromesse nelle
zone anche solo parzialmente
costruite dei centri attuali.