Nella primavera del 2000,
a Roma, in occasione di una delle giornate
organizzate dall’Istituto Nazionale di
Urbanistica, in commemorazione del decennale
della scomparsa di Giovanni Astengo, si
commentavano le attività pionieristiche del
grande urbanista nel campo della
pianificazione territoriale, di cui
presentiamo un ampio stralcio nella sezione
antologica di questo numero primo della
nostra rivista.
Mi colpì, nel corso del
dibattito, il robusto attacco che Marcello
Vittorini formulò al concetto di area
vasta, se non alla sua stessa denominazione,
cui ascriveva una serie non irrilevante di
guasti inflitti ai processi di
pianificazione in corso nel paese.
Dall’iniziale
delusione, per me che pensavo al nome della
rivista, già messa in discussione prima
della sua uscita, passai alla soddisfazione
di vedere confermate le motivazioni che ne
hanno determinato la nascita.
A ben vedere, il male non
era nel nome, ma nelle mistificazioni che
dietro di esso si erano andate celando, in
particolare, nel corso degli anni ’90.
Nell’ultimo decennio,
infatti, a fronte della svolta impressa alla
pianificazione territoriale dalla legge
142/1990, con l’individuazione della
provincia quale ente unico e intermedio di
pianificazione e gestione del territorio,
fra comuni e regione, si sono andati
materializzando livelli, soggetti e
strumenti di pianificazione, comodamente
collocatisi sotto l’ombrello rassicurante
della dizione area vasta, tendenziosamente
minando l’autorità e la costruendo
autorevolezza della provincia stessa e del
piano territoriale di coordinamento (PTC),
suo braccio operativo per l’assetto del
territorio di competenza. Sui territori
provinciali e interprovinciali sono
cominciati ad intervenire lo Stato e le
regioni con l’istituzione di parchi e
riserve naturali, ai sensi della legge
394/1991; con la individuazione dei
distretti industriali sanciti dalla legge
317/1991, eredi più accreditati, almeno per
il Mezzogiorno, delle aree di sviluppo
industriale, i cui piani, sin dal 1957, anno
della loro istituzione, hanno goduto dell’efficacia
dei PTC; con i piani di bacino, in letargo
dal 1989 e rivitalizzati dalla legge
267/1998, a seguito del disastro di Sarno
avvenuto nello stesso anno; con i piani
territoriali paesistici, cui rinnovata
aggressività è stata conferita dal
Ministero per i beni culturali e ambientali
a seguito del commissariamento della inerte
Regione Campania (per la verità non l’unica,
anche se la sola prescelta) agli adempimenti
imposti dalla legge 431/1985; oltre che con
una serie numerosa di piani ipersettoriali
riguardanti coltivazione di cave,
distribuzione di carburanti, smaltimento di
rifiuti, depurazione delle acque, riserve di
caccia, portualità turistica, rottamazione
veicoli, campeggi, bacini di traffico, ecc.
che intervengono capillarmente sull’assetto
del territorio, in termini localizzativi e
normativi. Alla pluralità di strumenti di
pianificazione si abbina un’analoga
pluralità di soggetti che, per tutti gli
anni ’90, hanno lavorato ai fianchi le
province italiane, ancora frastornate dalle
nuove competenze ad esse attribuite e dal
rinvigorimento scaturito dall’elezione
diretta dei loro presidenti.
Per il momento, a poco è
valso il processo federativo, prudente ma
progressivo, in atto nel nostro paese: il
DLgs 112/1998 ha sancito la unicità del PTC,
ma con eccessive cautele; la recente riforma
costituzionale ha riconosciuto la provincia
quale ente autonomo con proprio statuto,
poteri e funzioni, in un quadro di
sussidiarietà, al pari di regione, comuni e
delle new entry aree metropolitane, ma ciò
è, anche se non da costruire ex novo, da
perfezionare con tenacia.
La frantumazione delle
competenze in materia di pianificazione di
area vasta non è, tuttavia, frutto di sola
confusione amministrativa in una materia
anch’essa vasta, ma di un’azione tattica
attivata, in buona parte, dalla pluralità
di soggetti scese in campo. Faccio
riferimento ai soggetti istituzionali che
hanno visto, a far data dal 1993, un
incessante travaso di personale politico
dalle sedi, una volta potenti, dei partiti a
quelle amministrative, con particolare
preferenza per quelle di governo del
territorio.
Peraltro, gli stessi
soggetti istituzionali, rimasti saldamente
nelle mani delle burocrazie ministeriali o
regionali, si sono, non di rado, accodati a
comportamenti che hanno visto affermarsi una
sorta di potere di parere, antagonista di un’azione
propositiva di gestione attiva del
territorio per il settore di competenza; un
potere di parere che sarebbe prevalso anche
sulle previsioni e prescrizioni dei piani
che tali soggetti avrebbero dovuto redigere,
la cui conformità sarebbe stata, in ogni
caso, oggetto di controllo interpretativo,
caratterizzata da ampi gradi di
discrezionalità.
La rincorsa alla
sovraordinarietà, avente come principale
destinatario la provincia ed il suo PTC,
oltre che ovviamente il sistema delle
autonomie locali comunali, ai fini di
rilanciare nella partita del controllo del
territorio, ha prodotto solo ripetuti bluff,
poiché molti dei soggetti istituzionali che
vi facevano ricorso non potevano vantare
alcun punto in mano. Per uscire da metafora,
non disponevano di nessun buon piano e, a
volte, di nessun piano. Di qui,
probabilmente, la diffidenza inizialmente
ricordata verso la denominazione di area
vasta, ampiamente assunta per caratterizzare
una titolarità, nel settore, della
richiamata pluralità di soggetti
istituzionali operanti sul territorio.
In un quadro così
complesso ed estremamente dinamico, si è
sentita la necessità di radicare un punto
di dibattito ragionato e ragionevole sulla
pianificazione territoriale, innanzi tutto
per contribuire ad uscire da una condizione
che potrebbe scivolare, alternativamente,
sia verso una progressiva paralisi da
intreccio di aree vaste, sia verso una nuova
governance, in cui ciascuno dei soggetti in
gioco tracci responsabilmente e
concretamente i limiti delle proprie
competenze e verifichi l’efficacia della
propria azione. Perché un quadro così
delineato dovrebbe sbilanciarsi verso il
dominio positivo dell’azione
amministrativa?
Di là dalle battaglie
perdute dai sostenitori di una pratica
corrente di governo del territorio, in
questo caso si può nutrire un certo
ottimismo sul decorso favorevole della
patologia.
Il ricorso all’arma del
potere di parere, che in passato tante
rendite di posizione aveva fatto maturare,
non sembra più dare i frutti copiosi, anche
se sterili, che aveva sino a qualche tempo
fa prodotto. L’ansia di progresso sociale
e di competitività economico-produttiva che
il fenomeno della globalizzazione sta
imponendo ai mercati oltre che alla società
tutta, va rendendo improduttivo e perdente
il perseguimento di forme di potere
autoreferenziali, che non dimostrino di
saper dispiegare, in tempi certi, elementi
di modernizzazione e distribuire ricchezza
in modo trasparente. Il problema va
riguardato, quindi, in termini pratici e non
meramente etici, che pure rappresentano il
riferimento più alto.
AREA VASTA intende
essere il punto d’approdo di tali
esperienze, in verità non sempre mirate
alla massimizzazione di posizioni di potere
istituzionali ma, in qualche caso, anche
dettate da sincera volontà di arginare il
disfacimento del territorio e del suo
ambiente naturale o tradizionalmente
antropizzato, al fine di attivare proficue
dinamiche collaborative.
Quale migliore occasione
per puntare l’obiettivo su una provincia
italiana, fra le più vaste (14ª), popolose
(8ª), articolate in comuni (9ª) del paese;
meridionale, gravata dalle storiche
contraddizioni che Carlo Levi interpretò
immaginando un simbolico confine disteso
appena oltre la campagna di Eboli, quasi a
denunciare un limite al di là del quale,
non più di cinquant’anni fa, il
territorio non appariva raggiunto dalla
moderna organizzazione dello Stato e che,
ancora oggi, ha un indice di dotazione
infrastrutturale che è poco più della
metà della media nazionale (57,8/100,
fonte: UPI 2000); ma oggi con uno dei parchi
nazionali più estesi e suggestivi d’Italia,
interamente in essa ricompresso; infine, fra
le prime del paese e la prima fra le
meridionali ad essere pervenuta ad una prima
e definitiva stesura del suo PTC.
Un piano che ha come AREA VASTA
la semplice ma densa di tradizioni immagine
della bussola, strumento, peraltro, ideato o
almeno ingegnerizzato in queste terre dall’amalfitano
Flavio Gioia nel 1302.
In Provincia di Salerno
si è avviata una sperimentazione che tende
a porre il PTC come reale strumento di
coordinamento delle trasformazioni
territoriali e delle attività di tutela, in
atto o da prevedere nel prossimo futuro.
Un’idea di futuro che
deve essere comunicata e deve trovare il
più ampio consenso, da cui il contributo
che AREA VASTA
si propone di offrire al dibattito
locale e nazionale sul tema.
Il nodo centrale della
pianificazione di area vasta oggi è nell’applicazione
del principio di sussidiarietà, ormai
riconosciuto anche costituzionalmente. Esso
si articola in sussidiarietà verticale, in
base al quale le decisioni devono essere
assunte quanto più vicino possibile ai
cittadini-fruitori delle stesse, al livello
minimo efficiente, e in sussidiarietà
orizzontale, che sancisce l’arretramento
progressivo della pubblica amministrazione
ogni qual volta le libere energie delle
popolazioni, nelle forme associative ed
imprenditoriali più opportune, siano in
grado di soddisfare i propri bisogni. In una
quadro di tendenziale società aperta, l’ordine
che si generasse senza piano ne farebbe
scivolare l’ispirazione liberale in
pratiche liberiste, traguardo che non ci
sentiamo di condividere. Ecco perché
AREA VASTA
sostiene un’idea di pianificazione
territoriale di coordinamento che non
registri sempre meno contenuti strategici e
sempre più la tendenza al mero
coordinamento: ciò, se eccessivamente
spinto, contradirrebbe lo stesso principio
di sussidiarietà, in omaggio ad una
retorica del localismo che ispirerebbe
politiche non praticabili in territori
connotati da elevata scarsità di risorse d’ogni
genere e tipo. Se la certezza è difficile
da costruire, l’incertezza non deve essere
elevata al rango di prassi e dilagare nei
processi di pianificazione vanificandone le
stesse prospettive fondanti.
Ci auguriamo che, con i
prossimi numeri, il dibattito, scientifico
ed applicativo, sull’area vasta e sulle
sue forme di governo si vada arricchendo con
il contributo di coloro che hanno
partecipato a questa prima sfida e di tutti
gli altri che vi si vorranno associare.