La Francia ridimensiona
"Sdau" e "Pos" e lancia
agglomerazioni, progetto urbano e "mixitè
sociale". L’Assemblea nazionale
francese ha approvato, il 21 marzo scorso
(in prima lettura), il testo di riforma
della legge urbanistica del 1967. La legge
è stata proposta dal ministro Gayssot
(trasporti e lavori pubblici) e dal
Segretario di Stato Besson (abitazione).
In attesa del
completamento dell’iter parlamentare,
appare comunque utile riflettere su alcuni
dei profili più significativi della
proposta.
L’interesse non è solo
di tipo specialistico e/o comparativo. L’avvicinamento
delle discipline nazionali dell’assetto
del territorio e dell’uso degli immobili
(compresi il trattamento fiscale della
proprietà e delle attività che vi
svolgono) è, infatti, oramai una
"posta" irrinunciabile da parte
della Ue.
La realizzazione del
mercato unico da un lato, e lo sviluppo
della politica dello "spazio
comune" (ambiente,
coesione-solidarietà, reti di territori, di
città e di infrastrutture), dall’altro,
impongono se non l’omogeneizzazione,
almeno, appunto, l’avvicinamento delle
diverse discipline nazionali.
Prima di illustrare
sinteticamente le caratteristiche della
nuova legge, sono opportune due
considerazioni di ordine comparativo.
Malgrado le leggi di
riforma della decentralizzazione e delle
procedure della programmazione (quest’ultima
ha esaltato l’istituto del "contrat
de plan") degli inizi degli anni ’80,
la competenza legislativa in materia
urbanistica in Francia è rimasta allo
Stato.
Così il problema della
diversità di trattamento, quindi di
possibile alterazione del mercato
immobiliare e delle convenienze
localizzative in genere causato dalle
"urbanistiche regionali", è
risolto alla radice, almeno per quanto
riguarda la regolazione amministrativa e
procedurale.
La seconda considerazione
inerisce il titolo della legge:
"Solidarietà e rinnovamento
urbano" (Sru). Due cioè delle
questioni centrali del processo di
urbanizzazione contemporaneo vengono così
coniugate.
Questioni che sono
divenute veri e propri imperativi e come
tali ispirano gran parte della politica
territoriale della Ue, come noto.
La dimensione
territoriale nella quale si realizzano
questi obiettivi è quella dell’"agglomerazione"
urbana (secondo la legge Chevénement del
1999: comunità urbana, quando superiore a
500mila abitanti; comunità di
agglomerazione, quando si raggiungono i
50mila abitanti attorno a una città-centro
di 15mila abitanti; comunità di Comuni,
senza alcuna soglia di popolazione).
L’obiettivo è sempre
quello di neutralizzare le conseguenze
negative della frammentazione dei Comuni
(oltre 36mila); già praticato con la legge
di riforma della programmazione che ha
esaltato, come già ricordato, lo strumento
del "contrat de plan" tra Stato e
Regioni e tra queste e i dipartimenti e
quindi i Comuni e tra questi soggetti.
Lo scopo è quello di
ridurre l’inefficacia di una spesa
pubblica troppo frazionata senza però
deprimere il ruolo democratico, delle
collettività locali anche se eccessivamente
frammentate.
Con la nuova legge
urbanistica l’agglomerazione, oggi quasi
solo entità statistica e di riferimento per
l’articolazione della spesa pubblica, di
fatto viene promossa a vero e proprio
livello di decisione. Da qui alcune delle
critiche più accese.
Questa aspirazione aveva
già condotto alle leggi Voinet sull’"aménagement"
del territorio e Chévenement (già
richiamata) sull’intercomunalità,
entrambe del 1999, che con l’occasione
verranno pure riformate.
Inoltre, con la nuova
legge l’agglomerazione diviene luogo di
solidarietà e riduzione della concorrenza
all’interno delle agglomerazioni (al
momento, quelle in qualche modo riconosciute
sono 250 circa).
La legge fa propria la
logica della programmazione integrata degli
interventi urbanistici (anche con l’ambiente,
nell’ottica della sostenibilità:
riduzione dell’occupazione/consumo di
suolo in generale e densificazione in
particolare per quanto riguarda lo spazio
urbanizzato) e l’obiettivo dell’aumento
dell’efficacia/effettività del diritto
urbanistico (cfr. "L’urbanisme: pour
un droit plus efficace" e "L’utilité
publique aujourd’hui",
rispettivamente del 1992 e del 1999, opere
entrambe pubblicate dalla Documentation
Française, che riportano il parere del
Consiglio di Stato al riguardo).
Le altre novità
riguardano i livelli di pianificazione. Lo
Stc (Schéma de cohérance territoriale),
redatto ogni dieci anni alla struttura dell’agglomerazione,
sostituisce lo Sdau (Schèma d’aménagement
et d’urbanisme).
Tutti i piani di settore,
quali ad esempio i piani locali di habitat (Phl),
la carta di urbanistica commerciale, i piani
degli spostamenti urbani (Pdu), così come i
piani locali d’urbanistica (Plu), che
sostituiscono i Pos (piani di occupazione
del suolo), debbono essere compatibili con
lo Stc.
Il Plu deve essere
concepito come un vero e proprio
"progetto urbano". La Zac (zone d’aménagement
concerté) deve essere integrata con il Plu.
Per favorire la
realizzazione di consistenti progetti di
rinnovo urbano, l’edificabilità privata
singola può essere congelata per un periodo
di cinque anni.
Nel caso dei piccoli
Comuni, al posto del Plu viene redatta una
"carta comunale".
Come si vede si
utilizzano anche gli strumenti tipici della
pratica della concertazione di cui alla
legge di riforma della programmazione voluta
da Mitterand agli inizi degli anni 1980 –
"contract", "charte" su
tutti – declinati per le esigenze
regionali, intercomunali, dell’ambiente,
ecc. Fra l’altro, anche per l’attuazione
delle cosiddette "Agende 21"
locali.
La proposta è
contrastata da chi ritiene, in specie i
piccoli Comuni, di vedere nel potere delle
agglomerazioni la riduzione del proprio e
quindi di chi giudica la legge come un
tentativo di ricentralizzazione del potere.
Inoltre, da chi vede
nella legge un freno alla realizzazione di
progetti di urbanizzazione già decisi: la
mancanza dello Stc, la cui entrata in vigore
è prevista a partire dal 2002, infatti li
congela.
Un’ulteriore critica
viene da chi ritiene eccessiva la riduzione
del contenuto normativo degli strumenti
urbanistici locali, al punto da temere per
la certezza dell’istituto del permesso di
costruzione (si temono infatti molti più
contenziosi di quelli per l’annullamento
delle previsioni dei Pos): il Plu infatti
rispetto al precedente Pos costituisce un
semplice documento di orientamento.
Le opposizioni criticano
il peso – ritenuto eccessivo – dato al
principio della "mixité sociale"
nelle zone di abitazione.
Il clima politico è
abbastanza surriscaldato anche a causa della
con testualità della discussione sulla
legge di riforma dei trasporti pubblici, che
trasferisce molte competenze alle Regioni,
ma secondo l’opposizione non adeguate
risorse, e delle decisioni della Ciadt sulla
spesa per il territorio e l’approvazione
di nuovi contrat de plan tra lo Stato e le
Regioni.
Certamente la Sru
favorisce le agglomerazioni che già
dispongono di progetti comuni e/o dove la
negoziazione tra Comuni è da più tempo
praticata.
Gli eletti locali sono
chiamati a mettere molto più impegno nelle
questioni di sviluppo del territorio e delle
città; altrettanto dovranno fare le
strutture amministrative: la legge non le
mette più al riparo dalla verifica della
conformità, richiedendo loro infatti di
impegnarsi soprattutto nella valutazione dei
risultati attesi.
Oltre al nostro
Parlamento anche le Regioni, come si
comprende, possono trovare nella riforma
Gayssot-Besson utili spunti di riflessione
per il loro lavoro di riforma e gestione
urbanistica.