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la rivista semestrale della Provincia di
Salerno diretta da Roberto Gerundo, mi ha
sollecitato ad esplicitare un breve commento
al testo legislativo predisposto
dall'assessore all'urbanistica della Regione
Campania, avv. Marco Di Lello, e denominato
"Norme sul governo del
territorio". La sollecitazione ha
altresì indirizzato il commento, riferito
di conseguenza ai temi dell'area vasta,
aspetto di primario interesse della rivista.
Nel giugno 2000 l'assessore all'urbanistica ha
promosso con il Dipartimento di Urbanistica
dell’Università Federico II un importante
convegno, sulla legislazione urbanistica
regionale. Ero negli Stati Uniti in quei
giorni e, quindi, non ho potuto contribuire
ai lavori. Né successivamente mi si sono
presentate opportunità di confronto. In
quel convegno l'assessore assunse l'impegno
di predisporre entro uno specifico tempo il
progetto di legge urbanistica regionale. Va
di conseguenza apprezzata la tempestività
con la quale l'elaborato é stato sottoposto
alla comunità regionale.
Che la pianificazione di area vasta sia il tema
cruciale del contemporaneo é constatazione
ampiamente condivisa. La recente legge
francese, richiamata nell'articolo di
Francesco Karrer apparso nel n. 1/2 di , ne esprime l'attualità, laddove l'agglomerazione
urbana, non comune né provincia, si propone
come soggetto fondante l'azione urbanistica.
E le agglomerazioni vanno correlate alla
rete di agenzie pubbliche statali che
avvolge l'intero territorio nazionale,
mirate a conoscere, facilitare i processi di
concertazione, promuovere progetti di
intervento.
Da quasi due lustri si pratica nel nostro paese
pianificazione di area vasta. Nel 1988
abbiamo intrapreso in Abruzzo la formazione
del piano territoriale della Provincia di
Teramo, in applicazione della Lr 18/1983. Il
suddetto piano territoriale di
coordinamento (Ptc) é approvato e
vigente. Nel 1987 abbiamo intrapreso la
formazione del piano territoriale
paesistico (Ptp) dei comuni della
Basilicata tirrenica approvato nei primi
anni novanta e vigente.
Il commento alle modalità sperimentate nella
pianificazione di area vasta é consueto
richiamo dei congressi e convegni promossi
dall'Istituto nazionale di urbanistica. Nel
recente XXIII Congresso di Napoli Piero
Cavalcoli ne ha proposto una significativa
riflessione critica.
La pianificazione di area vasta evidenzia, laddove già
in atto, sofferenze plurime.
Il circolo virtuoso necessario alla sua efficacia,
che si sintetizza nella categoria della
copianificazione tra livelli istituzionali,
ha scarsi riscontri. Le logiche di settore
non appaiono scalfite dall'istanza di
cooperazione interistituzionale.
Permane divario sostanziale tra fattori previsivi
concernenti la sostenibilità civile,
riferiti all'istanza di sviluppo
economico-produttivo e fattori concernenti
la sostenibilità ambientale, espressa dai
concetti di intangibilità e di identità
culturale, come interpretati nella
prassi.
Aumenta il divario tra potenzialità
dell'informazione resa possibile dai Sistemi
informativi territoriali (Sit) e capacità
di conoscenza, conseguente dalla perspicacia
della riflessione interpretante i fenomeni
territoriali. La mancanza di strutture
tecniche stabili, osservatori di
monitoraggio territoriale, non aiuta a
comprendere, simulare, prevedere.
Il
coordinamento delle politiche di gestione
del trasporto pubblico praticate dagli enti
funzionali, proprio agli stadi di prima
industrializzazione delle articolazioni
urbane, appare tuttora come la grande
innovazione praticata e da rafforzare.
Risultano non esercitati i fattori realmente
incidenti sull'affermarsi di solidarietà
territoriale su basi areali, quali quelli
connessi alle politiche tributarie e
fiscali, o alle politiche redistributive dei
costi di investimento necessari alla
capitalizzazione infrastrutturale.
L'esperienza della fiscalità immobiliare
maturatasi nelle contee degli Stati Uniti (i
development fees) é del tutto ignota
nelle nostre amministrazioni pubbliche.
L'auspicato travaso (Inu, XXII Congresso, 1998) dalle
politiche di vincolo alle politiche del
progetto appare non perseguito.
Su queste basi si é auspicata la revisione delle
leggi urbanistiche innovative promosse dalle
regioni nel corso degli anni novanta; una
sostanziale innovazione nella legislazione
statale; un più incisivo contenuto
progettuale dei Ptc, proiettato alle azioni
di valorizzazione e non solo di tutela,
nonché alla azioni di potenziamento e non
solo di riqualificazione; l'affermarsi della
pianificazione territoriale sub provinciale,
attraverso nuovi soggetti conseguenti ad
associazionismo intercomunale motivato da
interessi definiti attraverso programmi.
La sollecitazione verte pertanto sulla riflessione
concernente i contenuti degli strumenti di
pianificazione di area vasta.
In questo contesto é da collocare il commento dei
caratteri della proposta che l'assessorato
della Regione Campania ha predisposto.
Governare il territorio ha pretese
egemoniche sulla vita delle comunità e
degli uomini; suggerisce una concezione
oggettistica, che non dovrebbe ritrovarsi
nella legislazione incisiva sulla
multidimensione che il territorio
interpreta. Più cauta ed incisiva é la
denominazione "Tutela ed uso del
suolo", adottata nel 1977 da G. Astengo
nella legge regionale piemontese e poi
ripresa in tanti testi legislativi.
Ai sensi della consuetudine interpretativa, la
pianificazione urbanistica si esercita a
livello territoriale e comunale (legge
1150/1942, art. 1), attraverso piani
generali o esecutivi. Il Dpr 616/1977 (Attuazione
della delega di cui all'art. 1 della legge
22 luglio 1975, n. 382, Titolo V, Assetto ed
utilizzazione del territorio), ne specifica
le molteplici responsabilità e su queste si
sono consolidati i piani urbanistici
generali di settore. La pianificazione
paesistica é per sua natura territoriale ed
attiva limitazioni all'uso a tempo
indeterminato, non comportanti indennizzi
(Corte Costituzionale, sentenza 56/1968).
Fondativo é il Titolo I della proposta di legge,
laddove si tende ad attualizzare detta
interpretazione.
Si adopera infatti nel testo un diffuso ricorso alla pianificazione
territoriale ed urbanistica, da
esercitare attraverso piani generali
e piani settoriali (art. 7).
Si dovranno configurare quindi piani territoriali,
generali o settoriali; e piani
urbanistici, generali o settoriali.
Detti piani si caratterizzeranno con
riferimento all'efficacia delle
disposizioni, di incidenza strutturale,
con validità a tempo indeterminato e di
incidenza programmatica, operanti in
archi temporali limitati.
La categoria del piano strutturale, e del piano
operativo, suggerita dall'Inu, ha
caratterizzato la nuova legislazione
regionale ove proposta. Trattasi di
differenziati strumenti di pianificazione,
caratterizzati dalla diversa efficacia delle
disposizioni.
Nella proposta regionale campana, gli strumenti sono
generali o settoriali, con disposizioni di
diversa incidenza, compresenti nello
strumento.
Il testo si propone di confermare la validità del piano
urbanistico comunale (Puc), di contenuto
generale. Questa scelta é culturalmente
impegnativa e da condividere, laddove il Puc
si presenta tuttora come il fondamentale
strumento di equità distributiva,
solidarietà, sostenibilità
multidimensionale (capitale sociale,
capitale istituzionale, capitale fisico
naturale, capitale finanziario), qualità
paesistica-morfologica.
La proposta di legge campana pone le condizioni
affinché non si perpetui la formazione di
aree bianche, attualmente conseguenti
alla decadenza dei vincoli a contenuto
espropriativo, attraverso la legittimazione
della perequazione urbanistica (art. 12) e
la disciplina del comparto (art. 33). Con
tale disposizione si consolida il contenuto
strutturale a tempo indeterminato del Puc,
naturalmente generale.
Gli strumenti della pianificazione esecutiva
configurano atti di pianificazione e
non strumenti di pianificazione.
Si comprende di conseguenza la distinzione tra gli
strumenti di pianificazione urbanistica e
quelli propri alla pianificazione
territoriale, di cui al Titolo II della
proposta.
Attraverso la figura del piano territoriale
regionale (Ptr), (art. 13) e delle linee
guida della pianificazione territoriale di
carattere subregionale, la regione si
candida ad assumere il ruolo di attore
significativo nella pianificazione di area
vasta.
In un contesto ampiamente caratterizzato dalla tesi
del fare insieme nell'area vasta cose
scarsamente significanti, in quanto
manutentorie e non innovative, a me sembra
che vada accolto con compiacimento l'imporsi
all'attenzione di un attore significativo,
sempre che l'attore riesca ad assolvere il
ruolo dichiarato.
Le difficoltà ad assolvere questo ruolo hanno in
altre regioni condotto ad attribuire alla
regione la responsabilità della formazione
del quadro di riferimento territoriale
per la programmazione, escludendosi
l'impegno alla redazione del Ptr. Le
difficoltà non vanno sottovalutate ed é
illusorio ritenere che possa sostituirsi
l'accuratezza della pianificazione
territoriale paesistica sperimentata,
redatta in taluni casi nella scala
metrica1:5.000, con elaborati rappresentati
nella scala metrica 1:200.000. Sono queste
difficoltà di merito che hanno condotto in
talune regioni (ad esempio Emilia Romagna,
Lombardia) alla delega delle funzioni di
pianificazione territoriale paesistica alle
province. La scarsa efficacia del piano
territoriale regionale paesistico emiliano
ha reso necessaria questa ulteriore
elaborazione.
Suscita perplessità il ricorso ad espressioni che
hanno caratterizzato la legislazione
regionale emanata nel corso degli anni
ottanta, quali il dimensionamento ed
i criteri cui ricondursi nella
pianificazione provinciale. Il procedimento
(art. 15) esprime fiducia nella meccanica di
un'ingegneria istituzionale ampiamente
sconfessata nell'esperienza trascorsa, in
quanto priva di consapevolezza dei contenuti
di ingegneria reale dei processi
coinvolgenti l'uso del suolo. Nella nostra
esperienza in Abruzzo, l'attesa per la
formazione delle decisioni regionali ha
bloccato per anni la definizione della
pianificazione provinciale.
Si é cercato nei recenti anni (leggi delle Regioni
Toscana, Basilicata, Emilia) di sostituire
alla meccanica del procedimento l'oggettività
della valutazione, anche se relativa,
fondata su informazione e su indicatori
di stato e processo volti a costruire
conoscenza. In un contesto diverso il
percorso potrebbe approfondirsi.
Non é da sottovalutare la grande difficoltà che i
comuni riscontrano nel procedimento
partecipatorio fondato sulla osservazione,
la sua necessaria controdeduzione,
condizione per l'approvazione. Che il
procedimento possa dispiegarsi
realisticamente nell'istruttoria del Ptr
appare più esito di ottimismo della
ragione, che di realismo amministrativo. Ciò
tanto più se riferito ai caratteri salienti
della nostra regione, tuttora caratterizzata
da sostanziali squilibri nella distribuzione
della popolazione, dei servizi alle imprese
ed alle famiglie, dei fattori della
produzione. Quanto evidenziato nel volume
"Risorse e programmazione del
cambiamento in Campania" (Clean,
Napoli, 1992) non é di certo mutato e solo
la persistente mancanza di integrazione tra
saperi - amministrativo, programmatorio,
tecnico progettuale - consente di non
assumere i suddetti caratteri come sostegno
dell'innovazione legislativa.
La pianificazione di area vasta trova nella
pianificazione provinciale generale la sua
principale modalità applicativa. La
proposta tende ad integrare quanto già
sancito nella legislazione nazionale,
maturatasi nel corso degli anni novanta. In
questo senso appaiono significativi i
criteri di integrazione.
Gli obiettivi annunciati (art. 18, comma 2)
attribuiscono ruolo prioritario alla
decodificazione dei caratteri territoriali.
E ciò limita sostanzialmente il ruolo del
piano provinciale.
Trattasi infatti di una ipotesi interpretativa del
contenuto del Ptc consolidatasi in
specifiche condizioni storiche, laddove si
é ritenuta scarsa la conoscenza dei
caratteri del territorio, ed il programma
sul futuro é stato dedotto dai caratteri
dell'esistente (il mantenimento
migliorativo). Non si valuta in questa
ipotesi il fondamentale assunto della teoria
del piano, nel cui ambito il ruolo di
acquisizione di informazioni e di conoscenza
andrebbe attribuito a strutture specifiche
di qualificata validità scientifica, non
avendo specifiche causali connessioni con i
processi di decisione, essenza intima del
piano.
Sulla base di queste ipotesi si sono impegnate
amministrazioni provinciali, pervenendo
attraverso alcuni anni di impegno ad esiti
noti agli addetti ai lavori. Costoro si
domandano oggi che senso abbia promuovere
piani territoriali di tal natura. Questo
quesito mi si é presentato in tutta la sua
evidenza nell'esperienza di formazione del
progetto preliminare di piano territoriale
della Provincia di Napoli e mi ha condotto
ad escludere ulteriori impegni con la detta
amministrazione.
È da ritenersi riduttivo assumere quale contenuto
primario del piano provinciale la formazione
del Sit, sia per la relatività della fonte
di informazione, condizionata dagli scopi
per cui la si promuove e, quindi, dalle
responsabilità assunte dal soggetto che la
promuove; sia dall'evoluzione delle
tecnologie informatiche, e di rilevazione e
rappresentazione cartografica e statistica.
La responsabilità del Sit andrebbe scissa
da quella propria alla formazione del piano
territoriale, alleggerendo di conseguenza
l'elaborazione tecnica connessa alla
formazione di questi strumenti, e
l'elaborazione amministrativa necessaria
alla loro formalizzazione. Ciò é
ampiamente praticato nella pianificazione
urbanistica, laddove gli elaborati
investigativi e di sintesi configurano le
condizioni per le scelte di piano, ma non
configurano impegni assunti attraverso il
piano. Va affermato quale criterio di
pianificazione che il piano, anche
territoriale generale, é progetto del
futuro, di valorizzazione,
infrastrutturazione, trasformazione, con le
implicazioni molteplici che
dall'affermazione conseguono.
Al Ptc si attribuiscono contenuti strutturali (art.
18, comma 5) e di programmazione attuativa
(art. 18, comma 5) con riferimento alla
verifica preventiva della fattibilità delle
sue previsioni di intervento.
La
chiarezza dell'enunciato comporta
specificazione del senso. I contenuti degli
studi di fattibilità di cui alla legge
109/1994 rientrano tra le elaborazioni del
Ptc, con riferimento alle molteplici
verifiche di sostenibilità. Proprio per
quanto evidenziato sulla opportunità di
qualificare il Ptc come progetto, va colto
con compiacimento questo assunto, che
caratterizza la proposta di legge.
Perplessità suscitano i criteri di dimensionamento,
che il Ptc dovrebbe promuovere onde
indirizzare la formazione dei piani
urbanistici comunali. I piani redatti nel
passato si sono caratterizzati per il
dimensionamento, obbligatorio nella Lr
urbanistica vigente, del fabbisogno
residenziale. Ma l'evoluzione dei ruoli e
dei bisogni conduce a ritenere riduttivo il
fondare su questa componente il progetto del
futuro. La nuova domanda da dimensionare
dovrebbe vertere sui bisogni di spazi per la
produzione di servizi terziari, per la
produzione manifatturiera, per la produzione
di attività connesse all'entertainment,
tutti segmenti di domanda privi di fonti
statistiche generali e condizionati
dall'esplorazione da svolgere in sede
comunale.
Rilevante é il riconoscimento al Ptc “di valore e
portata di piano territoriale paesistico
(Ptp)” (art. 18, comma 7). Questa figura
di piano tuttavia non ha tuttora
specificazione tecnica e sono disponibili
differenziate modalità di specificazione.
Il nostro Ptp della Basilicata tirrenica é
profondamente diverso nei contenuti da
quelli redatti in Campania. L'esigenza di
specificazione di merito é già stata
espressa nel corso della conferenza
nazionale sul paesaggio e non ha tuttora
avuto risposta. I problemi metodologici e
tecnici che si pongono onde assolvere a tale
valore e portata non sono da
sottovalutare, dovendosi condividere
l'interpretazione con gli organi decentrati
delle amministrazioni centrali dello Stato.
Le intese sul metodo andrebbero
sancite in sede preventiva, prima della
formazione dello schema di Ptc, onde fondare
le intese nel merito su procedura già
definita.
Il procedimento di formazione del Ptc (art. 20) si
fonda su elaborazione dello schema; adozione
da parte della giunta e non da parte del
consiglio provinciale; pubblicazione e
divulgazione; presentazione non condizionata
di osservazioni; istruttoria e valutazione
delle osservazioni; adozione del piano;
trasmissione alla regione con verifica di
compatibilità effettuata dall'assessorato
competente in materia urbanistica; eventuali
successive integrazioni dedotte da
conferenza di servizi; loro ratifica da
parte del consiglio provinciale;
approvazione con delibera della giunta
regionale e pubblicazione sul Burc.
Il procedimento appare laborioso. I piani
urbanistici, per la laboriosità del
procedimento istruttorio, hanno riscontrato
perdita di credibilità. Come semplificare
il procedimento istruttorio é tema centrale
della riflessione amministrativa e
progettuale. Il modello Milano si
impone all'attenzione per la capacità di
condurre ad approvazione in sei mesi i
programmi integrati di intervento, con
effetti positivi con riferimento alla
competitività urbana. Non basta
demonizzare; occorre riflettere sulle
condizioni, anche procedimentali, che
rendono scarsamente efficace la
pianificazione territoriale ed urbanistica.
La legge regionale, in conformità all'art.
20, comma 4 del DLgs 8 agosto 2000, n. 267,
potrebbe sancire l'attribuzione
dell'approvazione del Ptc alla provincia,
evitando il sistema di controlli a cascata
cui comunque si ispira la proposta, quanto
meno con riferimento agli esiti delle intese
faticosamente perseguite con le
amministrazioni centrali e con i comuni,
riservandosi la dichiarazione di
compatibilità e sancendone le implicazioni
sulla funzione di redistribuzione che la
regione assolve attraverso la programmazione
dello sviluppo locale. |