A
ben vedere, l’esegesi legislativa,
l’esame comparato delle legislazioni
regionali, l’analisi delle pratiche
professionali e amministrative e
l’esplorazione della letteratura
consentono di indicare tre funzioni
essenziali cui la pianificazione
territoriale provinciale (e in generale la
pianificazione territoriale, a tutti i
livelli) deve adempiere.
Una prima funzione può essere definita strategica. Si tratta di
delineare le grandi scelte sul territorio,
il disegno del futuro cui si vuole tendere,
le grandi opzioni (in materia di
organizzazione dello spazio e del rapporto
tra spazio e società) sulle quali si
vogliono indirizzare le energie della società.
È una funzione che richiama i concetti di futuro,
di comunicazione, di consenso.
Una seconda funzione può essere definita di autocoordinamento.
Si tratta di rendere esplicite a priori e di
rappresentare sul territorio le scelte
proprie delle competenze provinciali: in
modo che ciascuno (trasparenza) possa
misurarne la coerenza e valutarne
l’efficacia. In che modo, però, definire
le scelte proprie della provincia?
Nell’assenza di una specifica legislazione
(e/o pianificazione) regionale, si è dovuto
ragionare con attenzione, e procedere
tentativamente per affrontare questo
problema: se ne parlerà più avanti.
Una terza funzione può essere definita di indirizzo. Il
livello di pianificazione più direttamente
operativo (che è anche quello più
tradizionale e sperimentato) è quello
comunale, i cui piani sono soggetti
all’approvazione degli enti sovraordinati.
L’esigenza di razionalità nei rapporti
istituzionali, pretenderebbe invece che la
coerenza tra le scelte dei diversi enti e la
loro riconduzione a finalità d’interesse
generale, non avvenisse più con i
tradizionali sistemi di controllo a
posteriori sulle decisioni degli enti
sottordinati, ma indirizzando a
priori, mediante opportune norme, la
loro attività sul territorio.
Le
competenze territoriali della provincia
Per distinguere le competenze tra i diversi livelli di governo si
ricorre ormai, in Europa, al principio di
sussidiarietà. Ma questo principio viene
tirato da una parte e dall’altra, a
secondo degli interessi di chi lo invoca.
Conviene perciò rifarsi a una definizione
ufficiale: a quel vero e proprio statuto
dell’unione europea che è il trattato
stipulato a Maastricht e ratificato e
integrato ad Amsterdam. Secondo l’articolo
3b di quel trattato:
“Nei campi che non ricadono nella sua esclusiva competenza la comunità
interviene, in accordo con il principio di
sussidiarietà, solo se, e fino a dove, gli
obiettivi delle azioni proposte non possono
essere sufficientemente raggiunti dagli
stati membri e, a causa della loro scala o
dei loro effetti, possono essere raggiunti
meglio dalla comunità”.
In altre parole, secondo il principio di sussidiarietà là dove un
determinato livello di governo non può
efficacemente raggiungere gli obiettivi
proposti e questi sono raggiungibili in modo
più soddisfacente dal livello di governo
sovraordinato, è a quest’ultimo che
spetta la responsabilità e la competenza
dell’azione. E la scelta del livello
giusto va compiuta non in relazione a
competenze astratte o nominalistiche, oppure
a interessi demaniali, ma (come suggerisce
il trattato europeo) in relazione a due
elementi: la scala dell’azione (o
dell’oggetto cui essa si riferisce) oppure
i suoi effetti. É su questa base che
è possibile distinguere in modo
sufficientemente rigoroso e certo le
competenze territoriali della provincia da
quelle della regione e del comune.
La
pratica della concertazione
Naturalmente, distinguere le competenze tra i diversi livelli
istituzionali conduce a comprendere a quale
degli enti appartenga la responsabilità
delle scelte e della decisione finale. Ciò
non significa affatto abbandonare la pratica
della concertazione tra le rappresentanze
degli interessi pubblici e collettivi: anzi,
sollecita a praticarla correttamente là
dove non viene praticata, o viene applicata
in modo insufficiente o distorto.
La concertazione ha la sua ragione essenziale nella necessità di
abbreviare i tempi delle decisioni in tutte
le (numerosissime) questioni nelle quali
diversi enti rappresentativi di interessi
pubblici e collettivi sono coinvolti. Si
tratta di abbandonare la prassi di
trasferire le pratiche da un ufficio
all’altro, con relativa lettera di
trasmissione debitamente firmata e
protocollata in uscita e in entrata,
collocarle in ordine nella relativa pila di
pratiche sulla scrivania del dirigente del
competente ufficio, da questo trasmessa al
funzionario istruttore, da questo poi
restituita per la firma al dirigente,
trasmessa all’ufficio mittente, per poi
collocare questo segmento del procedimento
in serie con tutti gli altri necessari
segmenti. Si tratta di abbandonare questo
procedimento e di stabilire
che, quando ne ricorre la necessità
oppure periodicamente, funzionari delegati
dei diversi uffici competenti per una
questione si riuniscono, discutono,
decidono, verbalizzano la decisione assunta,
stabilendo la data di un successivo incontro
in quei soli casi in cui uno o più degli
uffici coinvolti ha bisogno di approfondire
la conoscenza della questione.
Naturalmente, nell’ambito di questo procedimento (nuovo solo perché
l’antica prassi ministeriale delle conferenze
di amministrazioni e delle conferenze
di servizi è stata abbandonata o
corrotta negli ultimi decenni) occorre
distinguere con cura i portatori dei diversi
interessi e il sistema delle garanzie cui i
procedimenti oggi (sia pure in forme spesso
distorte dal barocchismo normativo e dallo
smarrimento della ragione originaria dei
diversi passaggi procedimentali) sono
espressione. Ma a questo, nella materia
della pianificazione, dovrebbe provvedere
un’avveduta e aggiornata legislazione
regionale.
Tre
aree di competenza provinciale
Da questo punto di vista, applicando in modo rigoroso il principio di
sussidiarietà, si può dire che le
competenze della provincia si esplicano in
tre grandi aree:
a) la tutela delle risorse territoriali (il suolo, l’acqua, la
vegetazione e la fauna, il paesaggio, la
storia, i beni culturali e quelli
artistici), la prevenzione dei rischi
derivanti da un loro uso improprio o
eccessivo rispetto alla sua capacità di
sopportazione (carrying capacity), la
valorizzazione delle loro qualità
suscettibili di fruizione collettiva. È
evidente che questo compito spetta in modo
prevalente alla provincia, a causa della
scala, generalmente infraregionale e
sovracomunale, alla quale le risorse
suddette si collocano;
b) la corretta localizzazione degli elementi del sistema insediativo
(residenze, produzione di beni e di servizi,
infrastrutture per la comunicazione di
persone, merci, informazioni ed energia) che
hanno rilevanza sovracomunale. Il limite
superiore, rispetto all’insieme di
elementi collocabili in questa categoria,
dovrebbe essere costituito da ciò che viene
definito dalla pianificazione di livello
regionale ma, come si è detto, in Campania
questa è assente;
c) le scelte d’uso del territorio le quali, pur non essendo di per sé
di livello provinciale (a differenza delle
precedenti), richiedono ugualmente una
visione di livello sovracomunale per evitare
che la sommatoria delle scelte comunali
contraddica la strategia complessiva
delineata per l’intero territorio
provinciale (per esempio, il dimensionamento
della residenza e delle attività), oppure
che le normative comunali contraddicano le
scelte relative alle grandi opzioni d’uso
del territorio (per esempio, in materia di
tutela e valorizzazione dei beni culturali e
delle risorse ambientali).
Il
percorso compiuto (e quello da compiere).
L'AVVIO
DEL PROCESSO
L’amministrazione provinciale ha avviato le procedure per formare il piano
territoriale di coordinamento (Ptc) tra
la fine del 1995 e l’inizio del 1996,
provvedendo a compiere tre atti, preliminari
rispetto all’avvio di un processo di
pianificazione:
1. la definizione degli indirizzi culturali, politici e amministrativi
secondo i quali l’amministrazione
intendeva che si procedesse al governo del
territorio;
2. l’affidamento ad un urbanista, coadiuvato da alcuni esperti di
settore, dell’incarico di collaborare con
l’amministrazione per percorrere le prime
tappe di un processo di pianificazione;
3. la decisione di costituire, rafforzando la struttura tecnica
esistente, un vero e proprio ufficio per la
pianificazione territoriale incaricato,
nelle fasi iniziali, di collaborare alla
stesura del documento preliminare e di
costituire il luogo della formazione dei
successivi atti di pianificazione.
Gli
indirizzi della giunta
Per fornire l’orientamento politico-culturale al lavoro di
pianificazione l’amministrazione
provinciale predisponeva e il consiglio
approvava un documento di indirizzi.
Il documento di indirizzi individua i principali obiettivi cui la
pianificazione territoriale è chiamata a
fornire idonee soluzioni:
- il ruolo della questione ambientale, individuato nel porre le risorse
ambientali “non come vincolo allo sviluppo
ma come parametro implicito di
qualificazione”;
- la “valorizzazione del sistema dei beni e delle risorse storiche e
paesistiche-ambientali per il loro valore
intrinseco e per la loro stessa potenzialità
economica”, da considerare come condizione
primaria per gli altri sistemi;
- il ruolo della pianificazione territoriale “nella determinazione
dei criteri di organizzazione degli
insediamenti urbani, la localizzazione dei
servizi e delle attrezzature di livello
sovracomunale, la funzionalità del sistema
della mobilità” che deve essere
finalizzato al miglioramento della qualità
del sistema insediativo;
- l’assunzione dell’obiettivo del superamento della attuale
distinzione tra aree forti e aree marginali,
puntando su un “modello insediativo
pluricentrico sul territorio che miri a
correggere la spontanea aggregazione di
funzioni ed insediamenti attorno al
capoluogo e ai centri maggiori”;
- la riqualificazione e l’articolazione dell’offerta turistica
basata sull’esaltazione della differenza
dei siti e l’assunzione di nuove strategie
per il rafforzamento, la razionalizzazione e
la riconversione ecologica delle funzioni
industriali, commerciali, turistiche e
industriali;
- la soluzione del problema della mobilità attraverso una visione
integrata delle diverse reti e modalità e
affrontando anche la questione della
localizzazione sul territorio delle funzioni
generatrici di domanda di traffico;
- la definizione di norme, indirizzi e direttive per la
riqualificazione delle aree già urbanizzate
e abitate, aumentando la dotazione di verde
e di servizi, stimolando il recupero della
permeabilità dei suoli, aumentando il grado
di ossigenazione, utilizzando i corsi
d’acqua previo disinquinamento e
rinaturalizzazione ecc.
Il documento enuncia infine indirizzi relativi alla questione delle
risorse da mobilitare, alla formazione di
ambiti sovracomunali, agli strumenti di
pianificazione e al loro iter.
Il
documento preliminare e il gruppo di lavoro
La convenzione con il consulente - coordinatore (l’autore di queste
note) veniva stipulata il 23 settembre 1996.
Essa prevedeva che la redazione del Ptc
avvenisse in due fasi, la prima delle quali
concernente la formazione di un documento
preliminare. Per la redazione del documento
preliminare e lo svolgimento delle analisi
necessarie il consulente-coordinatore si è
avvalso dell’apporto di consulenti
specialistici da lui stesso designati.
Il documento preliminare è stato consegnato all’amministrazione il
20 marzo 1997. Era approvato dal consiglio
provinciale,
e la giunta provinciale ha dato
l’avvio alle proposte in esso formulate
attraverso le deliberazioni della giunta
provinciale n. 404 del 27 marzo 1998 e n.
849 del 20 maggio 1998.
Le deliberazioni della giunta provinciale incaricavano il consulente
generale - coordinatore di indicare
all’amministrazione gli esperti cui
affidare i compiti d’analisi e di proposta
nei seguenti settori: assetto geomorfologico,
dell’idraulica e dell’idrogeologia;
assetto naturalistico; struttura del
paesaggio e dell’economia agro-forestale;
sistemi di raccolta e trattamento dei
rifiuti e promozione del risparmio
energetico; demografia, economia e politica
economica, dei settori economici e del
mercato delle costruzioni, problemi della
mobilità, definizione dell’architettura
del sistema informativo territoriale.
Il tentativo di raccordare gli incarichi relativi al sistema
naturalistico con il parco nazionale del
Cilento (il quale stava avviando la
formazione del relativo piano), per evitare
duplicazione di spese e inutile dispendio di
risorse ha provocato un consistente ritardo
nell’affidare l’incarico per tale
settore.
Anche
le difficoltà incontrate nel dotare
l’ufficio di piano del personale, delle
attrezzature e delle risorse necessarie per
il suo corretto funzionamento hanno
comportato una dilatazione dei tempi
inizialmente previsti. La bozza del Ptc è
stata presentata all’amministrazione nel
giugno 1999 quando l’ufficio di piano era
ancora privo di personale, ed approvata nel
gennaio 2000.
I
mesi successivi hanno però consentito di
avviare e rendere l’ufficio di piano
stabile. La collaborazione con la Provincia
di Bologna nell’ambito del Progetto
Pass e, successivamente, l’outsourcing
dei servizi informatici con la società
Risorse Ambientali di Salerno hanno infine
consentito di formare il personale e di
renderlo operativo.
Le
condizioni necessarie per l'elaborazione del
piano
Il
lavoro fin qui condotto è stato necessario
per soddisfare alcune condizioni
irrinunciabili per l’elaborazione di un
piano territoriale concepito secondo i
principi enunciati nei paragrafi iniziali
della relazione, così come era stato
ipotizzato.
Tali
condizioni sono:
-
un solido apparato analitico è
indispensabile per definire le condizioni
alle trasformazioni e per tradurre le
ipotesi di assetto in regole e direttive
vincolanti per i comuni e per gli altri
soggetti interessati;
-
un ufficio di piano stabile e collaudato è
necessario per raccogliere le informazioni
in possesso degli enti locali, per dialogare
con i comuni nella fase di specificazione
delle direttive di piano e per procedere
alla fase di gestione e di successiva
traduzione del piano in progetti specifici
ad una scala più dettagliata;
-
un sistema informativo continuamente
alimentato e interrogato, costituisce la
premessa per organizzare i dati necessari
per la costruzione del piano e per un loro
costante aggiornamento;
-
una legge urbanistica regionale che sancisca
i compiti del piano territoriale e che
restituisca alla provincia il compito di coordinare
l'attività pianificatoria dei comuni
affidandole un ruolo attivo nel processo di
formazione dei piani regolatori comunali
quale condizione indispensabile affinché al
piano sia conferita la necessaria autorità
e le sue indicazioni assumano un necessario
carattere vincolante.
Per
quanto riguarda i primi due punti (la
costituzione dell’ufficio e il sistema
informativo) si può dire che è stata posta
una base solida, che deve certamente essere
consolidata e resa permanente con
un’adeguata politica di acquisizione di
risorse (sia in termini di personale che di
servizi, di attrezzature e di programmi).
Per quanto riguarda il terzo punto, la legge
regionale, sembra che il lavoro sia
finalmente avviato: nessuno di quanti hanno
partecipato al lavoro per il piano mancherà
di seguire con attenzione gli sviluppi che
si manifesteranno nei palazzi della regione.
Le
tappe successive:
il Ptc come strumento di governo sostanziale
Che
fare nell’attesa di una legge regionale
che dia efficacia piena alle prescrizioni
del Ptc? Crediamo che si debba distinguere
l’efficacia del piano come atto amministrativo
e normativo (che è certamente un
aspetto essenziale, ma non esclusivo) e
l’efficacia del piano come strumento di
autodisciplina, di governo sostanziale
(per adoperare un termine alla moda verrebbe
voglia di parlare di governance).
Se
dal primo punto di vista occorre certamente
attendere la legge regionale, dal secondo
punto di vista molte cose si possono fare.
Si può adoperare il Ptc:
-
come elemento al quale adeguare, o riferire,
le scelte che i diversi settori
dell’amministrazione provinciale compiono
giorno per giorno (dai bilanci ai progetti
di opere, dai progetti di finanziamento alle
iniziative di promozione di attività ecc.);
-
come insieme di scelte strategiche sul
territorio cui riferirsi per esprimere
pareri e per esercitare pressioni sulle
decisioni di competenza di enti
sovraordinati: dalla regione alle aziende di
Stato;
-
per orientare le scelte della pianificazione
comunale e insieme di criteri cui riferire
le valutazioni dei piani comunali, sia da
parte della provincia (per quel pugno di
comuni soggetti all’approvazione
provinciale), sia da parte delle comunità
montane;
-
come insieme di scelte sul territorio da
specificare e approfondire nei singoli
ambiti intercomunali, in collaborazione con
i comuni interessati: interessanti
esperienze in proposito sono state compiute
nell’implementazione della pianificazione
provinciale bolognese;
-
per orientare l’attività delle imprese e
le opportunità degli investimenti,
facendone il quadro di riferimento per la
concertazione tra pubblico e privato nelle
numerose sedi a ciò deputate.
Per
svolgere questo insieme di attività e dare
in tal modo efficacia al Ptc, occorre in
primo luogo svolgere un’ampia azione di
informazione e comunicazione del piano. A
questo fine stiamo predisponendo gli
strumenti per consentire a tutti gli
operatori interessati (dai funzionari e
dagli eletti della provincia, dei comuni,
delle comunità montane, della regione e
degli altri enti pubblici, ai
professionisti, alle associazione, agli
imprenditori, fino ai semplici cittadini) di
conoscere il piano in tutti i suoi aspetti e
le sue componenti. Su questa base occorrerà
che l’amministrazione provinciale
definisca un programma di attività da
svolgere e individui le risorse da investire
per rendere la conoscenza del Ptc e la sua
concreta utilizzazione un patrimonio comune
della comunità salernitana.
Valore
e limiti dell’efficacia del Ptc della
Provincia di Salerno
Il
contenuto del Ptc e le sue scelte principali
sono illustrate negli articoli redatti dai
funzionari dell’ufficio di piano che hanno
attivamente collaborato alla stesura
definitiva degli elaborati e che sono,
tuttora, i custodi del piano in vista della
sua adozione e della successiva fase di
gestione. Qui di seguito mi preme fare
alcune considerazioni sull’efficacia del
Ptc anche in assenza di una legge
urbanistica regionale.
Due
strumenti per il piano
Le opzioni del piano territoriale richiedono per la loro compiuta
realizzazione di utilizzare due strumenti
distinti, ma fortemente legati fra
loro:
- un efficace sistema di regole, capace di garantire la tutela delle
risorse territoriali, la prevenzione dei
rischi, della preservazione delle loro
qualità;
- un insieme di azioni di trasformazione, affidato alla iniziativa dei
diversi soggetti che agiscono sul territorio
(dal parco alla regione, dai comuni alle
aziende e agli altri soggetti privati e
pubblici) e alla capacità di coordinamento
e di promozione che la provincia saprà
esercitare.
Le due componenti, regolativa e propositiva, sono entrambe essenziali
per la realizzazione del piano:
quest’ultimo non produrrà l’effetto
desiderato né se affiderà la propria
efficacia solamente all’insieme di regole,
né tantomeno se rinuncerà ad esso,
affidandosi alle iniziative che di volta in
volta verranno avvertite come prioritarie.
Viceversa laddove regole e investimenti saranno riferiti ai medesimi
oggetti e al medesimo sistema di obiettivi,
si potrà raggiungere il traguardo più
ambizioso di orientare lo sviluppo verso
forme più equilibrate e, come si usa dire
in questi tempi, sostenibili.
Come si è già asserito, la Provincia di Salerno potrà conferire
efficacia al Ptc, anche in essenza di una
legge regionale che ne ponga i presupposti
giuridici complessivi, assumendolo come
inquadramento sistemico e vincolante di
tutte le sue proprie azioni ed attività
suscettibili di avere incidenza sulle
trasformazioni ed utilizzazioni del
territorio: segnatamente ove esse debbano (o
possano) essere organizzate e definite
mediante programmi di investimenti, ovvero
mediante piani o programmi settoriali.
Agli indirizzi normativi è affidato il compito di definire le condizioni
alle trasformazioni, espresse attraverso
precetti vincolanti, oppure direttive alla
pianificazione sub-provinciale e di settore.
Tuttavia, per essere veramente efficace, il
Ptc non potrà limitarsi a definire la gamma
delle possibilità di trasformazione,
demandando interamente alle singole
iniziative (dei comuni, delle comunità
montane, degli altri soggetti, pubblici e
privati) la sua attuazione.
Compito del piano è anche quello di definire, fra gli interventi
possibili, quelli prioritari, quelli
esclusivamente in carico
all’amministrazione provinciale, quelli
per i quali la provincia potrà fornire il
necessario sostegno, economico o
organizzativo. In breve si renderà
necessario affiancare alle norme una vera e
propria agenda di progetti e iniziative che
possano essere realizzate nei termini di
validità del piano.
In secondo luogo, come è emerso chiaramente dalla lettura per ambiti
e per sistemi del territorio, molte
iniziative di riassetto e sviluppo del
territorio richiederanno una forte azione di
coordinamento, poiché coinvolgeranno
numerosi enti. È il caso, per esempio,
della pianificazione delle fasce fluviali o
della fascia costiera; o ancora della
risoluzione dei nodi della mobilità, non
solo e non tanto dal punto di vista
tecnico-trasportistico, quanto dal punto di
vista del loro corretto inserimento nel
territorio e della loro interconnessione con
la viabilità locale (e quindi con le scelte
relative alla localizzazione e alle
trasformazioni possibili degli insediamenti
urbani). Oppure, ancora, delle iniziative
congiunte che debbono essere intraprese dai
comuni per rendere compiuta la loro
organizzazione in sistemi locali, in grado
di supplire alla singola debolezza di ognuno
di loro, di contrapporsi all’egemonia
delle aree più forti e di valorizzare le
risorse locali. Ed è proprio il
coordinamento delle politiche settoriali e
dell’azione dei comuni che costituisce uno
dei contenuti principali della
pianificazione provinciale, come previsto
dalla legge nazionale 142/1990.
Il
Ptc come quadro di riferimento
Com’è noto, ed è stato più volte ricordato, la Regione Campania è
tuttora priva di una legge organica ed
unitaria in materia di urbanistica. In
particolare, essa non ha ancora provveduto a
disciplinare l'esercizio, da parte delle
province, delle loro funzioni (proprie)
di pianificazione territoriale, definendo i
contenuti dei piani territoriali
provinciali, i procedimenti di formazione,
le efficacie.
È peraltro fuori di dubbio che al Ptc la Provincia di Salerno può,
per mero atto di volontà politica,
conferire la valenza di piano dei piani,
cioè di inquadramento sistemico e
vincolante delle proprie azioni ed attività,
in particolare ove siano definite mediante
programmi di investimenti, piani o programmi
settoriali.
Inoltre il Ptc può essere assunto dalla Provincia di Salerno quale
ineludibile riscontro ai fini
dell'approvazione degli strumenti
urbanistici generali dei comuni per i quali
tale atto, in invarianza della legislazione
regionale costitutivo della vigenza dei
suddetti strumenti urbanistici, è di
competenza della medesima provincia. V'è da
considerare peraltro che, sempre in
invarianza della legislazione regionale, per
buona parte dei comuni l'approvazione degli
strumenti urbanistici generali è di
competenza delle comunità montane, mentre
per il capoluogo è di competenza regionale,
cosicché, al fine di ottenere che anche
questi altri soggetti assumano il Ptc quale
ineludibile riscontro ai fini
dell'approvazione degli strumenti
urbanistici generali comunali, occorrerebbe
raggiungere con gli stessi delle intese a ciò
finalizzate.
Autorità
di bacino ed enti parco
Un secondo promettente percorso può essere costituito dalla
definizione (possibilmente formalizzata) di
rapporti di collaborazione con i soggetti
titolari di interventi pianificatori
specialistici: essenzialmente le autorità
di bacino e gli enti gestori dei parchi. Si
tratterebbe, un po’ paradossalmente, di
rovesciare la previsione del già ricordato
e riportato art. 57, comma 1 del DLgs 31
marzo 1998, n. 112, secondo il quale “la
regione, con legge regionale, prevede che il
Ptc (...) assuma il valore e gli effetti dei
piani di tutela nei settori della protezione
della natura, della tutela dell'ambiente,
delle acque e della difesa del suolo e della
tutela delle bellezze naturali, sempreché
la definizione delle relative disposizioni
avvenga nella forma di intese fra la
provincia e le amministrazioni, anche
statali, competenti”.
Non sarebbe, in questa ipotesi operativa, ed almeno nel breve/medio
periodo, il Ptc ad assumere (giuridicamente)
il valore e gli effetti dei piani per
i parchi e dei piani di bacino, o dei loro
stralci, sulla base di opportune intese con
i relativi enti di gestione e con le
relative autorità di bacino, ma sarebbero
invece i piani per i parchi ed i piani di
bacino od i loro stralci a dare efficacia al
Ptc.
Note
Come, seppure in
termini assai verificati, fanno la legge
5/1995 della Regione Toscana, la legge
28/1995 e la legge 31/1997 della Regione
Umbria, la legge 23/1999 della Regione
Basilicata, la legge 38/1999 della Regione
Lazio, la legge 20/2000 della Regione Emilia
Romagna.
Deliberazioni del
consiglio provinciale n. 358 del 5 dicembre
1995 e n. 67 del 21 maggio 1996.
La convenzione
d’incarico con Stefano Mazzoleni e il suo
gruppo fu sottoscritta il 22 gennaio 1999.
Lo sviluppo del Sit e
l’utilizzo di strumenti informatici rende
possibile selezionare ogni elemento
territoriale e visualizzare tutte le
determinazioni del piano (siano esse regole
o proposte). Tale strumento appare pertanto
particolarmente adeguato alla struttura del
piano così come concepita.
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