Numero 3 - 2001

 
 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Le tre funzioni della pianificazione territoriale


Edoardo Salzano


Sono tre le funzioni essenziali cui la pianificazione di area vasta, in ambito provinciale, deve adempiere: strategica, per l’individuazione delle scelte principali sul territorio; di auto-coordinamento, attraverso la quale la pluralità degli attori è in grado di conoscere le scelte di competenza provinciale; d’indirizzo, consentendo agli enti locali di rapportarsi ex ante all’azione della provincia stessa. Edoardo Salzano, che ha ispirato le attività di formazione del Ptc, ne traccia le definizioni e ne descrive la loro applicazione concreta, in assenza di quadri di riferimento programmatici e legislativi operanti nella Regione Campania

 

 

 

 

 

l’intesa istituzionale sottoscritta il 28 giugno 2001 fra la Regione Campania e la Provincia di Salerno 

 

 

 

 

 

 

A ben vedere, l’esegesi legislativa, l’esame comparato delle legislazioni regionali, l’analisi delle pratiche professionali e amministrative e l’esplorazione della letteratura consentono di indicare tre funzioni essenziali cui la pianificazione territoriale provinciale (e in generale la pianificazione territoriale, a tutti i livelli) deve adempiere.

Una prima funzione può essere definita strategica. Si tratta di delineare le grandi scelte sul territorio, il disegno del futuro cui si vuole tendere, le grandi opzioni (in materia di organizzazione dello spazio e del rapporto tra spazio e società) sulle quali si vogliono indirizzare le energie della società. È una funzione che richiama i concetti di futuro, di comunicazione, di consenso.

Una seconda funzione può essere definita di autocoordinamento. Si tratta di rendere esplicite a priori e di rappresentare sul territorio le scelte proprie delle competenze provinciali: in modo che ciascuno (trasparenza) possa misurarne la coerenza e valutarne l’efficacia. In che modo, però, definire le scelte proprie della provincia? Nell’assenza di una specifica legislazione (e/o pianificazione) regionale, si è dovuto ragionare con attenzione, e procedere tentativamente per affrontare questo problema: se ne parlerà più avanti.

Una terza funzione può essere definita di indirizzo. Il livello di pianificazione più direttamente operativo (che è anche quello più tradizionale e sperimentato) è quello comunale, i cui piani sono soggetti all’approvazione degli enti sovraordinati1. L’esigenza di razionalità nei rapporti istituzionali, pretenderebbe invece che la coerenza tra le scelte dei diversi enti e la loro riconduzione a finalità d’interesse generale, non avvenisse più con i tradizionali sistemi di controllo a posteriori sulle decisioni degli enti sottordinati, ma indirizzando a priori, mediante opportune norme, la loro attività sul territorio.

 

 

Le competenze territoriali della provincia

 

Per distinguere le competenze tra i diversi livelli di governo si ricorre ormai, in Europa, al principio di sussidiarietà. Ma questo principio viene tirato da una parte e dall’altra, a secondo degli interessi di chi lo invoca. Conviene perciò rifarsi a una definizione ufficiale: a quel vero e proprio statuto dell’unione europea che è il trattato stipulato a Maastricht e ratificato e integrato ad Amsterdam. Secondo l’articolo 3b di quel trattato:

“Nei campi che non ricadono nella sua esclusiva competenza la comunità interviene, in accordo con il principio di sussidiarietà, solo se, e fino a dove, gli obiettivi delle azioni proposte non possono essere sufficientemente raggiunti dagli stati membri e, a causa della loro scala o dei loro effetti, possono essere raggiunti meglio dalla comunità”. 

In altre parole, secondo il principio di sussidiarietà là dove un determinato livello di governo non può efficacemente raggiungere gli obiettivi proposti e questi sono raggiungibili in modo più soddisfacente dal livello di governo sovraordinato, è a quest’ultimo che spetta la responsabilità e la competenza dell’azione. E la scelta del livello giusto va compiuta non in relazione a competenze astratte o nominalistiche, oppure a interessi demaniali, ma (come suggerisce il trattato europeo) in relazione a due elementi: la scala dell’azione (o dell’oggetto cui essa si riferisce) oppure i suoi effetti. É su questa base che è possibile distinguere in modo sufficientemente rigoroso e certo le competenze territoriali della provincia da quelle della regione e del comune.

 

La pratica della concertazione

 

Naturalmente, distinguere le competenze tra i diversi livelli istituzionali conduce a comprendere a quale degli enti appartenga la responsabilità delle scelte e della decisione finale. Ciò non significa affatto abbandonare la pratica della concertazione tra le rappresentanze degli interessi pubblici e collettivi: anzi, sollecita a praticarla correttamente là dove non viene praticata, o viene applicata in modo insufficiente o distorto.

La concertazione ha la sua ragione essenziale nella necessità di abbreviare i tempi delle decisioni in tutte le (numerosissime) questioni nelle quali diversi enti rappresentativi di interessi pubblici e collettivi sono coinvolti. Si tratta di abbandonare la prassi di trasferire le pratiche da un ufficio all’altro, con relativa lettera di trasmissione debitamente firmata e protocollata in uscita e in entrata, collocarle in ordine nella relativa pila di pratiche sulla scrivania del dirigente del competente ufficio, da questo trasmessa al funzionario istruttore, da questo poi restituita per la firma al dirigente, trasmessa all’ufficio mittente, per poi collocare questo segmento del procedimento in serie con tutti gli altri necessari segmenti. Si tratta di abbandonare questo procedimento e di stabilire2  che, quando ne ricorre la necessità oppure periodicamente, funzionari delegati dei diversi uffici competenti per una questione si riuniscono, discutono, decidono, verbalizzano la decisione assunta, stabilendo la data di un successivo incontro in quei soli casi in cui uno o più degli uffici coinvolti ha bisogno di approfondire la conoscenza della questione.

Naturalmente, nell’ambito di questo procedimento (nuovo solo perché l’antica prassi ministeriale delle conferenze di amministrazioni e delle conferenze di servizi è stata abbandonata o corrotta negli ultimi decenni) occorre distinguere con cura i portatori dei diversi interessi e il sistema delle garanzie cui i procedimenti oggi (sia pure in forme spesso distorte dal barocchismo normativo e dallo smarrimento della ragione originaria dei diversi passaggi procedimentali) sono espressione. Ma a questo, nella materia della pianificazione, dovrebbe provvedere un’avveduta e aggiornata legislazione regionale. 

 

Tre aree di competenza provinciale

 

Da questo punto di vista, applicando in modo rigoroso il principio di sussidiarietà, si può dire che le competenze della provincia si esplicano in tre grandi aree:

a) la tutela delle risorse territoriali (il suolo, l’acqua, la vegetazione e la fauna, il paesaggio, la storia, i beni culturali e quelli artistici), la prevenzione dei rischi derivanti da un loro uso improprio o eccessivo rispetto alla sua capacità di sopportazione (carrying capacity), la valorizzazione delle loro qualità suscettibili di fruizione collettiva. È evidente che questo compito spetta in modo prevalente alla provincia, a causa della scala, generalmente infraregionale e sovracomunale, alla quale le risorse suddette si collocano;

b) la corretta localizzazione degli elementi del sistema insediativo (residenze, produzione di beni e di servizi, infrastrutture per la comunicazione di persone, merci, informazioni ed energia) che hanno rilevanza sovracomunale. Il limite superiore, rispetto all’insieme di elementi collocabili in questa categoria, dovrebbe essere costituito da ciò che viene definito dalla pianificazione di livello regionale ma, come si è detto, in Campania questa è assente;

c) le scelte d’uso del territorio le quali, pur non essendo di per sé di livello provinciale (a differenza delle precedenti), richiedono ugualmente una visione di livello sovracomunale per evitare che la sommatoria delle scelte comunali contraddica la strategia complessiva delineata per l’intero territorio provinciale (per esempio, il dimensionamento della residenza e delle attività), oppure che le normative comunali contraddicano le scelte relative alle grandi opzioni d’uso del territorio (per esempio, in materia di tutela e valorizzazione dei beni culturali e delle risorse ambientali).

 

Il percorso compiuto (e quello da compiere). L'AVVIO DEL PROCESSO

 

L’amministrazione provinciale ha avviato le procedure per formare il piano territoriale di coordinamento (Ptc) tra la fine del 1995 e l’inizio del 1996, provvedendo a compiere tre atti, preliminari rispetto all’avvio di un processo di pianificazione: 

1. la definizione degli indirizzi culturali, politici e amministrativi secondo i quali l’amministrazione intendeva che si procedesse al governo del territorio3;

2. l’affidamento ad un urbanista, coadiuvato da alcuni esperti di settore, dell’incarico di collaborare con l’amministrazione per percorrere le prime tappe di un processo di pianificazione4;

3. la decisione di costituire, rafforzando la struttura tecnica esistente, un vero e proprio ufficio per la pianificazione territoriale incaricato, nelle fasi iniziali, di collaborare alla stesura del documento preliminare e di costituire il luogo della formazione dei successivi atti di pianificazione. 

 

Gli indirizzi della giunta

 

Per fornire l’orientamento politico-culturale al lavoro di pianificazione l’amministrazione provinciale predisponeva e il consiglio approvava un documento di indirizzi.

Il documento di indirizzi individua i principali obiettivi cui la pianificazione territoriale è chiamata a fornire idonee soluzioni:

- il ruolo della questione ambientale, individuato nel porre le risorse ambientali “non come vincolo allo sviluppo ma come parametro implicito di qualificazione”;

- la “valorizzazione del sistema dei beni e delle risorse storiche e paesistiche-ambientali per il loro valore intrinseco e per la loro stessa potenzialità economica”, da considerare come condizione primaria per gli altri sistemi;

- il ruolo della pianificazione territoriale “nella determinazione dei criteri di organizzazione degli insediamenti urbani, la localizzazione dei servizi e delle attrezzature di livello sovracomunale, la funzionalità del sistema della mobilità” che deve essere finalizzato al miglioramento della qualità del sistema insediativo;

- l’assunzione dell’obiettivo del superamento della attuale distinzione tra aree forti e aree marginali, puntando su un “modello insediativo pluricentrico sul territorio che miri a correggere la spontanea aggregazione di funzioni ed insediamenti attorno al capoluogo e ai centri maggiori”;

- la riqualificazione e l’articolazione dell’offerta turistica basata sull’esaltazione della differenza dei siti e l’assunzione di nuove strategie per il rafforzamento, la razionalizzazione e la riconversione ecologica delle funzioni industriali, commerciali, turistiche e industriali;

- la soluzione del problema della mobilità attraverso una visione integrata delle diverse reti e modalità e affrontando anche la questione della localizzazione sul territorio delle funzioni generatrici di domanda di traffico;

- la definizione di norme, indirizzi e direttive per la riqualificazione delle aree già urbanizzate e abitate, aumentando la dotazione di verde e di servizi, stimolando il recupero della permeabilità dei suoli, aumentando il grado di ossigenazione, utilizzando i corsi d’acqua previo disinquinamento e rinaturalizzazione ecc.

Il documento enuncia infine indirizzi relativi alla questione delle risorse da mobilitare, alla formazione di ambiti sovracomunali, agli strumenti di pianificazione e al loro iter.

 

Il documento preliminare e il gruppo di lavoro

 

La convenzione con il consulente - coordinatore (l’autore di queste note) veniva stipulata il 23 settembre 1996. Essa prevedeva che la redazione del Ptc avvenisse in due fasi, la prima delle quali concernente la formazione di un documento preliminare. Per la redazione del documento preliminare e lo svolgimento delle analisi necessarie il consulente-coordinatore si è avvalso dell’apporto di consulenti specialistici da lui stesso designati5

Il documento preliminare è stato consegnato all’amministrazione il 20 marzo 1997. Era approvato dal consiglio provinciale6, e la giunta provinciale ha dato l’avvio alle proposte in esso formulate attraverso le deliberazioni della giunta provinciale n. 404 del 27 marzo 1998 e n. 849 del 20 maggio 1998.

Le deliberazioni della giunta provinciale incaricavano il consulente generale - coordinatore di indicare all’amministrazione gli esperti cui affidare i compiti d’analisi e di proposta nei seguenti settori: assetto geomorfologico, dell’idraulica e dell’idrogeologia; assetto naturalistico; struttura del paesaggio e dell’economia agro-forestale; sistemi di raccolta e trattamento dei rifiuti e promozione del risparmio energetico; demografia, economia e politica economica, dei settori economici e del mercato delle costruzioni, problemi della mobilità, definizione dell’architettura del sistema informativo territoriale7.

Il tentativo di raccordare gli incarichi relativi al sistema naturalistico con il parco nazionale del Cilento (il quale stava avviando la formazione del relativo piano), per evitare duplicazione di spese e inutile dispendio di risorse ha provocato un consistente ritardo nell’affidare l’incarico per tale settore8

Anche le difficoltà incontrate nel dotare l’ufficio di piano del personale, delle attrezzature e delle risorse necessarie per il suo corretto funzionamento hanno comportato una dilatazione dei tempi inizialmente previsti. La bozza del Ptc è stata presentata all’amministrazione nel giugno 1999 quando l’ufficio di piano era ancora privo di personale, ed approvata nel gennaio 2000. 

I mesi successivi hanno però consentito di avviare e rendere l’ufficio di piano stabile. La collaborazione con la Provincia di Bologna nell’ambito del Progetto Pass e, successivamente, l’outsourcing dei servizi informatici con la società Risorse Ambientali di Salerno hanno infine consentito di formare il personale e di renderlo operativo.

 

 

Le condizioni necessarie per l'elaborazione del piano

 

Il lavoro fin qui condotto è stato necessario per soddisfare alcune condizioni irrinunciabili per l’elaborazione di un piano territoriale concepito secondo i principi enunciati nei paragrafi iniziali della relazione, così come era stato ipotizzato.

Tali condizioni sono:

- un solido apparato analitico è indispensabile per definire le condizioni alle trasformazioni e per tradurre le ipotesi di assetto in regole e direttive vincolanti per i comuni e per gli altri soggetti interessati;

- un ufficio di piano stabile e collaudato è necessario per raccogliere le informazioni in possesso degli enti locali, per dialogare con i comuni nella fase di specificazione delle direttive di piano e per procedere alla fase di gestione e di successiva traduzione del piano in progetti specifici ad una scala più dettagliata;

- un sistema informativo continuamente alimentato e interrogato, costituisce la premessa per organizzare i dati necessari per la costruzione del piano e per un loro costante aggiornamento;

- una legge urbanistica regionale che sancisca i compiti del piano territoriale e che restituisca alla provincia il compito di coordinare l'attività pianificatoria dei comuni affidandole un ruolo attivo nel processo di formazione dei piani regolatori comunali quale condizione indispensabile affinché al piano sia conferita la necessaria autorità e le sue indicazioni assumano un necessario carattere vincolante.

Per quanto riguarda i primi due punti (la costituzione dell’ufficio e il sistema informativo) si può dire che è stata posta una base solida, che deve certamente essere consolidata e resa permanente con un’adeguata politica di acquisizione di risorse (sia in termini di personale che di servizi, di attrezzature e di programmi). Per quanto riguarda il terzo punto, la legge regionale, sembra che il lavoro sia finalmente avviato: nessuno di quanti hanno partecipato al lavoro per il piano mancherà di seguire con attenzione gli sviluppi che si manifesteranno nei palazzi della regione.

 

 

Le tappe successive: il Ptc come strumento di governo sostanziale

 

Che fare nell’attesa di una legge regionale che dia efficacia piena alle prescrizioni del Ptc? Crediamo che si debba distinguere l’efficacia del piano come atto amministrativo e normativo (che è certamente un aspetto essenziale, ma non esclusivo) e l’efficacia del piano come strumento di autodisciplina, di governo sostanziale (per adoperare un termine alla moda verrebbe voglia di parlare di governance). 

Se dal primo punto di vista occorre certamente attendere la legge regionale, dal secondo punto di vista molte cose si possono fare. Si può adoperare il Ptc:

- come elemento al quale adeguare, o riferire, le scelte che i diversi settori dell’amministrazione provinciale compiono giorno per giorno (dai bilanci ai progetti di opere, dai progetti di finanziamento alle iniziative di promozione di attività ecc.);

- come insieme di scelte strategiche sul territorio cui riferirsi per esprimere pareri e per esercitare pressioni sulle decisioni di competenza di enti sovraordinati: dalla regione alle aziende di Stato;

- per orientare le scelte della pianificazione comunale e insieme di criteri cui riferire le valutazioni dei piani comunali, sia da parte della provincia (per quel pugno di comuni soggetti all’approvazione provinciale), sia da parte delle comunità montane;

- come insieme di scelte sul territorio da specificare e approfondire nei singoli ambiti intercomunali, in collaborazione con i comuni interessati: interessanti esperienze in proposito sono state compiute nell’implementazione della pianificazione provinciale bolognese;

- per orientare l’attività delle imprese e le opportunità degli investimenti, facendone il quadro di riferimento per la concertazione tra pubblico e privato nelle numerose sedi a ciò deputate.

Per svolgere questo insieme di attività e dare in tal modo efficacia al Ptc, occorre in primo luogo svolgere un’ampia azione di informazione e comunicazione del piano. A questo fine stiamo predisponendo gli strumenti per consentire a tutti gli operatori interessati (dai funzionari e dagli eletti della provincia, dei comuni, delle comunità montane, della regione e degli altri enti pubblici, ai professionisti, alle associazione, agli imprenditori, fino ai semplici cittadini) di conoscere il piano in tutti i suoi aspetti e le sue componenti. Su questa base occorrerà che l’amministrazione provinciale definisca un programma di attività da svolgere e individui le risorse da investire per rendere la conoscenza del Ptc e la sua concreta utilizzazione un patrimonio comune della comunità salernitana.

 

 

Valore e limiti dell’efficacia del Ptc della Provincia di Salerno

 

Il contenuto del Ptc e le sue scelte principali sono illustrate negli articoli redatti dai funzionari dell’ufficio di piano che hanno attivamente collaborato alla stesura definitiva degli elaborati e che sono, tuttora, i custodi del piano in vista della sua adozione e della successiva fase di gestione. Qui di seguito mi preme fare alcune considerazioni sull’efficacia del Ptc anche in assenza di una legge urbanistica regionale. 

 

 

Due strumenti per il piano

 

Le opzioni del piano territoriale richiedono per la loro compiuta realizzazione di utilizzare due strumenti distinti, ma fortemente legati fra loro: 

- un efficace sistema di regole, capace di garantire la tutela delle risorse territoriali, la prevenzione dei rischi, della preservazione delle loro qualità;

- un insieme di azioni di trasformazione, affidato alla iniziativa dei diversi soggetti che agiscono sul territorio (dal parco alla regione, dai comuni alle aziende e agli altri soggetti privati e pubblici) e alla capacità di coordinamento e di promozione che la provincia saprà esercitare.

Le due componenti, regolativa e propositiva, sono entrambe essenziali per la realizzazione del piano: quest’ultimo non produrrà l’effetto desiderato né se affiderà la propria efficacia solamente all’insieme di regole, né tantomeno se rinuncerà ad esso, affidandosi alle iniziative che di volta in volta verranno avvertite come prioritarie.

Viceversa laddove regole e investimenti saranno riferiti ai medesimi oggetti e al medesimo sistema di obiettivi, si potrà raggiungere il traguardo più ambizioso di orientare lo sviluppo verso forme più equilibrate e, come si usa dire in questi tempi, sostenibili9.

Come si è già asserito, la Provincia di Salerno potrà conferire efficacia al Ptc, anche in essenza di una legge regionale che ne ponga i presupposti giuridici complessivi, assumendolo come inquadramento sistemico e vincolante di tutte le sue proprie azioni ed attività suscettibili di avere incidenza sulle trasformazioni ed utilizzazioni del territorio: segnatamente ove esse debbano (o possano) essere organizzate e definite mediante programmi di investimenti, ovvero mediante piani o programmi settoriali.

Agli indirizzi normativi è affidato il compito di definire le condizioni alle trasformazioni, espresse attraverso precetti vincolanti, oppure direttive alla pianificazione sub-provinciale e di settore. Tuttavia, per essere veramente efficace, il Ptc non potrà limitarsi a definire la gamma delle possibilità di trasformazione, demandando interamente alle singole iniziative (dei comuni, delle comunità montane, degli altri soggetti, pubblici e privati) la sua attuazione.

Compito del piano è anche quello di definire, fra gli interventi possibili, quelli prioritari, quelli esclusivamente in carico all’amministrazione provinciale, quelli per i quali la provincia potrà fornire il necessario sostegno, economico o organizzativo. In breve si renderà necessario affiancare alle norme una vera e propria agenda di progetti e iniziative che possano essere realizzate nei termini di validità del piano.

In secondo luogo, come è emerso chiaramente dalla lettura per ambiti e per sistemi del territorio, molte iniziative di riassetto e sviluppo del territorio richiederanno una forte azione di coordinamento, poiché coinvolgeranno numerosi enti. È il caso, per esempio, della pianificazione delle fasce fluviali o della fascia costiera; o ancora della risoluzione dei nodi della mobilità, non solo e non tanto dal punto di vista tecnico-trasportistico, quanto dal punto di vista del loro corretto inserimento nel territorio e della loro interconnessione con la viabilità locale (e quindi con le scelte relative alla localizzazione e alle trasformazioni possibili degli insediamenti urbani). Oppure, ancora, delle iniziative congiunte che debbono essere intraprese dai comuni per rendere compiuta la loro organizzazione in sistemi locali, in grado di supplire alla singola debolezza di ognuno di loro, di contrapporsi all’egemonia delle aree più forti e di valorizzare le risorse locali. Ed è proprio il coordinamento delle politiche settoriali e dell’azione dei comuni che costituisce uno dei contenuti principali della pianificazione provinciale, come previsto dalla legge nazionale 142/1990.

 

 

Il Ptc come quadro di riferimento

 

Com’è noto, ed è stato più volte ricordato, la Regione Campania è tuttora priva di una legge organica ed unitaria in materia di urbanistica. In particolare, essa non ha ancora provveduto a disciplinare l'esercizio, da parte delle province, delle loro funzioni (proprie) di pianificazione territoriale, definendo i contenuti dei piani territoriali provinciali, i procedimenti di formazione, le efficacie.

È peraltro fuori di dubbio che al Ptc la Provincia di Salerno può, per mero atto di volontà politica, conferire la valenza di piano dei piani, cioè di inquadramento sistemico e vincolante delle proprie azioni ed attività, in particolare ove siano definite mediante programmi di investimenti, piani o programmi settoriali.

Inoltre il Ptc può essere assunto dalla Provincia di Salerno quale ineludibile riscontro ai fini dell'approvazione degli strumenti urbanistici generali dei comuni per i quali tale atto, in invarianza della legislazione regionale costitutivo della vigenza dei suddetti strumenti urbanistici, è di competenza della medesima provincia. V'è da considerare peraltro che, sempre in invarianza della legislazione regionale, per buona parte dei comuni l'approvazione degli strumenti urbanistici generali è di competenza delle comunità montane, mentre per il capoluogo è di competenza regionale, cosicché, al fine di ottenere che anche questi altri soggetti assumano il Ptc quale ineludibile riscontro ai fini dell'approvazione degli strumenti urbanistici generali comunali, occorrerebbe raggiungere con gli stessi delle intese a ciò finalizzate.

 

Autorità di bacino ed enti parco

 

Un secondo promettente percorso può essere costituito dalla definizione (possibilmente formalizzata) di rapporti di collaborazione con i soggetti titolari di interventi pianificatori specialistici: essenzialmente le autorità di bacino e gli enti gestori dei parchi. Si tratterebbe, un po’ paradossalmente, di rovesciare la previsione del già ricordato e riportato art. 57, comma 1 del DLgs 31 marzo 1998, n. 112, secondo il quale “la regione, con legge regionale, prevede che il Ptc (...) assuma il valore e gli effetti dei piani di tutela nei settori della protezione della natura, della tutela dell'ambiente, delle acque e della difesa del suolo e della tutela delle bellezze naturali, sempreché la definizione delle relative disposizioni avvenga nella forma di intese fra la provincia e le amministrazioni, anche statali, competenti”.

Non sarebbe, in questa ipotesi operativa, ed almeno nel breve/medio periodo, il Ptc ad assumere (giuridicamente) il valore e gli effetti dei piani per i parchi e dei piani di bacino, o dei loro stralci, sulla base di opportune intese con i relativi enti di gestione e con le relative autorità di bacino, ma sarebbero invece i piani per i parchi ed i piani di bacino od i loro stralci a dare efficacia al Ptc.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Note

1 Benché ad osservatori esterni ciò sembri incredibile, in Campania i piani comunali non sono approvati da un unico ente (generalmente le regioni hanno delegato le province) ma i piani dei comuni capoluoghi di provincia sono approvati dalla regione, quelli compresi nelle comunità montane (104 comuni su 158) da queste e solo il residuo (53 su 158) dalla provincia. Torna al punto d'invio della nota

 

2 Come, seppure in termini assai verificati, fanno la legge 5/1995 della Regione Toscana, la legge 28/1995 e la legge 31/1997 della Regione Umbria, la legge 23/1999 della Regione Basilicata, la legge 38/1999 della Regione Lazio, la legge 20/2000 della Regione Emilia Romagna. Torna al punto d'invio della nota

 

3 Deliberazione del consiglio provinciale n. 330 del 24 ottobre 1995. Torna al punto d'invio della nota

 

4 Deliberazioni del consiglio provinciale n. 358 del 5 dicembre 1995 e n. 67 del 21 maggio 1996. Torna al punto d'invio della nota

 

5 Imma Apreda, urbanista, per il sistema insediativo, Luigi Scano, esperto in normative urbanistiche, per il quadro normativo, Antonio Sforza, esperto in problemi del traffico e della mobilità, per il sistema della mobilità, nonché la Cles srl per il sistema economico-sociale. Torna al punto d'invio della nota

 

6 Deliberazione n. 177 del 20/12/1997. Torna al punto d'invio della nota

 

7 Tra il 22 maggio 1998 e il 14 luglio 1998 venivano sottoscritte le convenzioni d’incarico con gli esperti Giuliano Cannata (soc. Alpha Cygni) per l’assetto geomorfologico, idraulico e idrogeologico, Matelda Reho per la struttura del paesaggio e dell’economia agroforestale, Maria Berrini (Ambiente Italia) per i sistemi di raccolta e trattamento dei rifiuti e la promozione del risparmio energetico, Paolo Leon (Cles) per la demografia, l’economia e la politica economica, l’analisi dei settori economici e del mercato delle costruzioni, le analisi dell’assetto economico-sociale, Giulio Cantarella per la mobilità, e le proposte relative ai sistemi delle infrastrutture e dei trasporti, Moreno Daini per la definizione dell’architettura del sistema informativo territoriale. Torna al punto d'invio della nota

 

8 La convenzione d’incarico con Stefano Mazzoleni e il suo gruppo fu sottoscritta il 22 gennaio 1999. Torna al punto d'invio della nota

 

9 Lo sviluppo del Sit e l’utilizzo di strumenti informatici rende possibile selezionare ogni elemento territoriale e visualizzare tutte le determinazioni del piano (siano esse regole o proposte). Tale strumento appare pertanto particolarmente adeguato alla struttura del piano così come concepita. Torna al punto d'invio della nota

 

 

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