La
gestione dei rifiuti solidi urbani, nei
diversi stadi di produzione, stoccaggio,
trasporto e trattamento utili allo
smaltimento definitivo, rappresenta un
problema sociale recente. In poco più di
dieci anni, si è infatti passati dal mero
trasferimento dei rifiuti dal punto di
produzione ad un’area di stoccaggio
definitivo come le discariche, viste allora
come sistemi di smaltimento economici ed
ecologici, alla necessità di controllare la
produzione dei rifiuti, progettare le
metodologie ottimali di trattamento,
minimizzare l’impatto ambientale e rendere
massimo il recupero di risorse, così come
imposto dal quadro normativo vigente (Belgiorno
et al., 2000).
Nel
1996, lo stato di emergenza della Regione
Campania ha comportato la redazione di un
piano di dettaglio per lo smaltimento dei
rifiuti che, in riferimento
all’individuazione delle localizzazioni
degli impianti principali, ha prodotto il
rifiuto deciso della collettività e dei
governi locali, con contrasti durissimi
nell’intera regione, ad oggi ancora
irrisolti.
L’imposizione di siti e tecnologie, privata di un adeguato supporto
di informazione e talvolta strumentalizzata
dalle parti politiche, ha comportato nella
collettività un atteggiamento di
opposizione (del tipo not in my back-yard)
conseguente alla logica difficoltà di
accettare il rischio di un danno
territoriale a fronte di vantaggi secondari
o non ben definiti.
Sebbene la percezione del rischio collegato allo smaltimento dei
rifiuti non abbia motivazioni irrazionali o
poco logiche, l’ignoranza negli aspetti
tecnici ne amplifica la reale portata.
L’opposizione della collettività sembra
potersi collegare, in particolare, alla
mancanza di fiducia nelle istituzioni e/o
nelle aziende preposte alla gestione del
servizio nelle ipotesi che (Belgiorno et al.,
2000):
-
l’attenzione verso i profitti aziendali
comporti la trascuratezza per gli aspetti di
tutela ambientale;
- l’esistenza di impianti efficienti possa comportare
l’importazione di rifiuti da altre aree e
causare una concentrazione di
danno/disturbo;
-
la qualità tecnica del personale non sia
sufficiente alla gestione di sistemi
tecnologicamente complessi;
- le istituzioni preposte al monitoraggio degli impatti e
all’identificazione dei problemi non siano
sufficientemente capaci o attrezzate.
Il
sovrapporsi delle competenze e
l’incertezza delle regole fa allora
nascere il dubbio che la parte più debole
possa dover subire e la convinzione che solo
urlando si possano avere riconosciuti i
propri diritti.
Tale
situazione sembra superabile solo con un
lungo processo educativo, mirato a
consentire una piena partecipazione del
pubblico, con la consapevolezza che nessuna
opzione è a costo zero ma che la
creazione di posti di lavoro, il
finanziamento di interventi di risanamento e
le misure compensative per la popolazione
residente possano produrre un beneficio
complessivo al territorio prescelto per la
localizzazione degli impianti.
Non
è però negabile la necessità del
coinvolgimento diretto della comunità alla
valutazione della buona gestione del sistema
di smaltimento, magari con il supporto di
enti tecnici terzi che certifichino gli
impatti previsti ed effettivi, assicurando
maggiori certezze alla popolazione
residente. La creazione di un’authority
locale di regolamentazione, tecnicamente
autorevole ed indipendente, con lo scopo di
definire procedure, rafforzare i sistemi di
controllo sul sistema di gestione,
promuovere rapporti ed indagini sui
disservizi e sui successi e comunicare con
il territorio, sembra una svolta necessaria
per prevedere l’inizio della fine
dell’emergenza.
Il
piano regionale di smaltimento dei rifiuti
solidi
Lo
stato di emergenza nel settore dello
smaltimento dei rifiuti nella Regione
Campania è stato dichiarato dal Consiglio
dei ministri in data 11 febbraio 1994. Per
il protrarsi della situazione di estrema
gravità, il Presidente del consiglio, con
ordinanza n. 2425 del 18/03/1996, e il
Ministro degli interni, delegato al
coordinamento della protezione civile, con
ordinanza n. 2470 del 31/10/1996, hanno
nominato il Presidente della regione
commissario delegato per lo smaltimento dei
rifiuti, con l’incarico di redigere un
piano di interventi.
In
data 31/12/1996, è stato promulgato il piano
regionale di smaltimento dei rifiuti solidi,
successivamente revisionato a seguito
dell’emanazione del DLgs 22 del 5/2/1997,
anche noto come Decreto Ronchi, con
il recepimento delle norme europee e la
definizione di obiettivi a breve termine
sulla applicazione della raccolta
differenziata dei rifiuti.
Il
piano suddivide il territorio regionale in ambiti
territoriali ottimali per lo smaltimento
(Atos), rappresentati in Figura 1,
per i quali sono previsti:
-
la gestione dei rifiuti urbani, secondo
criteri di efficienza e di economicità;
-
l’autosufficienza della gestione dei
rifiuti urbani non pericolosi;
-
lo smaltimento dei rifiuti speciali in
luoghi prossimi a quelli di produzione, al
fine di favorire la riduzione della
movimentazione dei rifiuti;
-
il raggiungimento di percentuali minime di
raccolta differenziata.
Con
la Lr 10/1993, il territorio della Provincia
di Salerno, sostanzialmente corrispondente
all’Atos 5, in considerazione
dell’estensione territoriale, della
disomogeneità morfologica e della diversa
densità abitativa, è stato suddiviso nei
bacini:
-
Salerno 1: localizzato a nord
del territorio, comprende 20 comuni per un
totale di circa 390.000 abitanti.
Costituisce una zona cuscinetto tra l'area
metropolitana di Napoli e la parte residua
della Provincia di Salerno. La densità di
popolazione dell’area è particolarmente
elevata.
- Salerno
2: comprende il capoluogo di
provincia ed altri 39 comuni. È costituito
da un territorio esteso che va dalla
penisola sorrentina (Positano è l'ultimo
comune del salernitano) fin quasi ad
Agropoli sulla costa e arriva fino al Comune
di Sacco nell’entroterra. La popolazione
residente supera le 420.000 unità, ma i
numerosi centri della costa e le varie
località d'interesse archeologico fruiscono
di una elevata presenza turistica.
- Salerno
3: comprende 45 comuni dell'entroterra
nella porzione orientale della provincia.
Caratteristiche specifiche del bacino sono
costituite dalle impervie caratteristiche
orografiche, dalla difficoltà di
collegamento e dalla dispersione della
popolazione sul territorio, con gran parte
dei centri abitati con meno di 5.000
abitanti.
- Salerno
4: costituito da 49 comuni,
occupa la fascia costiera e l'immediato
entroterra della parte meridionale della
provincia. La popolazione residente è
complessivamente pari a 123.000 unità e il
centro più popoloso è Agropoli, con circa
19.000 residenti.
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Figura
1 - Ambiti territoriali ottimali di
smaltimento della Regione Campania |
La
quantità complessiva di rifiuti solidi
urbani prodotti nella Provincia di Salerno,
desunta dai conferimenti medi eseguiti dai
singoli comuni negli ultimi mesi di
esercizio delle discariche comprensoriali,
è di circa 1200 ton/g, come evidenziato in Tabella
1, nella quale si riporta la produzione
giornaliera complessiva per abitante nei
quattro bacini dell’Atos 5.
Tabella
1
La
composizione merceologica dei rifiuti
prodotti, di interesse per la valutazione
delle soluzioni impiantistiche perseguibili
ed economicamente convenienti, è riportata
in Figura 2 e non evidenzia
differenze significative con i dati
nazionali.
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Figura
2 - Composizione merceologica di
riferimento della produzione di
rifiuti nell'Atos 5 |
Il
piano regionale prevedeva la realizzazione
sul territorio della Provincia di Salerno
di:
-
tre stazioni di trasferenza ed impianti per
la produzione di combustibile derivato
dai rifiuti (Cdr), ubicati a Cava dei Tirreni,
Polla e Castelnuovo-Casalvelino;
-
due impianti di compostaggio, ubicati a S.
Marzano sul Sarno e a Polla;
-
un termovalorizzatore, con produzione di
energia elettrica, ubicato nell’area ASI
del comune di Battipaglia, dotato di una
discarica per inerti e ceneri.
A seguito di verifiche sulla effettiva produzione di rifiuti e della
potenzialità degli impianti previsti nel
piano regionale e, per effetto del parere
contrario della Provincia di Salerno,
l’ipotesi di realizzazione dell’impianto
di termovalorizzazione sul territorio
provinciale è venuta meno, mentre è stata
confermata la necessità di realizzare
almeno un impianto di produzione del Cdr. Da
questo impianto, il combustibile prodotto
dai rifiuti dovrebbe essere inviato al
termovalorizzatore previsto nell’area
napoletana. In Tabella 2 si riporta
la classificazione del Cdr della American
Society for Testing and Materials (Astm),
divenuta un riconosciuto riferimento
internazionale.
Tabella
2
In Figura
3 si mostra lo schema di processo
dell’impianto di produzione del Cdr
realizzato in Provincia di Avellino.
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Figura
3 - Schema di processo dell'impianto
di produzione del Cdr realizzato a
Pianodardine (AV) |
Lo stato attuale
Ad
oggi, la mancata realizzazione degli
impianti di recupero e/o smaltimento
definitivo non consente di intravedere una
rapida soluzione. È, infatti, da osservare
che:
- dal 9
giugno 2001 la discarica di Serre ha
esaurito la sua potenzialità ed è stata
definitivamente chiusa;
- la
discarica di Polla, attualmente in esercizio
ma con una ridotta capacità residua,
consente lo smaltimento di meno di 200 ton/g
a fronte delle circa 1200 prodotte
dall’intero ambito territoriale;
- la
raccolta differenziata è, di fatto, attiva
in pochi comuni dell’Atos, con quantità
complessive di rifiuti recuperati
decisamente modeste rispetto agli obiettivi
indicati dal DLgs 22/1997;
-
l’avvio dell’esercizio delle stazioni di
tritovagliatura di Giffoni Valle Piana e
Palomonte, utili alla separazione della
frazione secca da quella organica, permette
la potenziale stabilizzazione
dell’organico separato ed una più facile
accettazione in discarica della frazione
secca, ma senza l’individuazione dei siti
di scarico controllato del secco e la
realizzazione degli impianti di compostaggio
non ne consente lo smaltimento definitivo.
Le
uniche possibilità di smaltimento
attualmente perseguibili sembrano essere
costituite dallo stoccaggio provvisorio in
aree comunali, spesso non idonee ad una
lunga permanenza dei rifiuti, o da impianti
di trattamento esterni al territorio
provinciale, individuati dal commissariato
di governo.
In data 31 luglio 2001, il commissariato di governo,
in seguito ad uno studio affidato alla
Facoltà di Ingegneria dell’Università di
Salerno, sulla base di criteri tesi a
considerare il minimo rischio per la salute
pubblica ed il minimo impatto sui sistemi
ambientali, ha confermato l’area
industriale di Battipaglia come sito
ottimale per la localizzazione
dell’impianto di produzione del Cdr.
Risulta, però, evidente la necessità di affrontare
un periodo transitorio di circa 18 mesi,
utile per la progettazione dell’impianto,
le approvazioni e la successiva
realizzazione, nel quale non sarà possibile
fare affidamento sull’esercizio
dell’impianto.
In
tale lasso temporale, è difficile
individuare soluzioni diverse
dall’utilizzo di una discarica
controllata. È, altresì, evidente come,
anche a regime, ovvero dopo il completamento
e la messa in esercizio degli impianti
definitivi, risulti comunque necessario fare
ricorso all’utilizzo di un sito di
conferimento controllato.
Tale
ovvia considerazione, non sempre compresa
dai non tecnici, è conseguente al fatto che
i trattamenti di recupero energetico dei
rifiuti solidi urbani, previa produzione del
Cdr e combustione nel termovalorizzatore,
comportano, in ogni caso, la produzione di
flussi di scarto, la cui unica possibilità
di smaltimento consiste nel conferimento
controllato in discarica. Tale esigenza,
d’altra parte, è ben chiara nei
riferimenti normativi, ove viene confermata
la necessità di smaltimento in discarica
delle frazioni residuali dei trattamenti di
recupero energetico dei rifiuti urbani.
Per
valutare l’entità della frazione residua
da conferire in discarica, a seguito della
messa in esercizio degli impianti previsti,
è possibile fare riferimento al piano
provinciale di gestione dei rifiuti solidi
urbani ed assimilati. Detto strumento di
programmazione, eseguiti gli idonei bilanci
di massa, indica la necessità di
smaltimento in discarica, nella situazione a
regime, nell’ipotesi ottimale, ma
estremamente lontana, del raggiungimento
dell’obiettivo del 35% previsto dal DLgs
22/1997 per la raccolta differenziata e
dell’esercizio ordinario dell’impianto
di Cdr, di un quantitativo complessivo di
residui da trattamento pari a 143.709
ton/anno, corrispondenti ad oltre il 35%
della produzione complessiva.
Nell’ipotesi
più attuale del funzionamento dei soli
impianti di tritovagliatura previsti, con
l’effettivo recupero e trasformazione
della frazione organica in compost (da
ritenersi difficoltosa in riferimento alle
pregresse esperienze di produzione da un
rifiuto non differenziato all’origine) o
in terreno di copertura, il quantitativo di
rifiuti da smaltire in discarica, in
riferimento alla ottimistica previsione del
15% di raccolta differenziata, risulta pari
complessivamente a 225.935 ton/anno, pari a
circa il 53 % della produzione totale.
In
definitiva, pur nell’ipotesi assolutamente
teorica del raggiungimento di
un’efficienza del 100% nella separazione
della frazione organica negli impianti di
vagliatura, con riferimento al solo periodo
occorrente per la realizzazione
dell’impianto di Cdr, ottimisticamente
assunto pari a 18 mesi, il volume residuo di
rifiuti da smaltire è stimabile in oltre
600.000 m3.
D’altra
parte, prevedendo per questo lasso temporale
lo smaltimento dei rifiuti negli impianti di
produzione del Cdr fuori provincia, occorre
comunque individuare il sito che possa, in
seguito alla messa in esercizio
dell’impianto di produzione del Cdr di
Battipaglia, consentire lo smaltimento della
frazione residua.
Il Cdr è definito dalla legge italiana (Dl
462/1996 e Dma del 19/01/1995) come un
rifiuto destinato al riutilizzo in un ciclo
di produzione di energia, purché sia
ottenuto da rifiuti definiti solidi urbani
e/o assimilabili secondo il Dpr 915/1982,
attraverso la raccolta differenziata e/o
cicli di lavorazione che ne aumentano il
potere calorifico, riducono la presenza di
materiale metallico, vetri, inerti,
materiale organico putrescibile, contenuto
di umidità e di inquinanti entro limiti
fissati dalla stessa normativa e sia
certificata la temperatura di rammollimento
delle ceneri.
Bibliografia
Belgiorno V., De Feo G., Rizzo L., RMA Napoli (2000)
La gestione dei rifiuti solidi urbani nella
Provincia di Avellino, Atti del convegno
“La gestione integrata dei rifiuti solidi
urbani”, Avellino.
Provincia di Salerno (2000), Piano provinciale di smaltimento dei
rifiuti solidi urbani.
Belgiorno V., D’Acunzi G., Ferrari G. (2001), Nota sullo stato
attuale dell’emergenza dei rifiuti solidi
urbani in Provincia di Salerno e prospettive
di soluzione, Relazione del Gruppo di
Valutazione della Prefettura di Salerno.
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