Numero 3 - 2001

 
 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

L'emergenza dello smaltimento dei rifiuti solidi


Vincenzo Belgiorno

Giuseppe D'Acunzi

Alfonso Donnarumma


La sostenibilità ambientale dei processi di trattamento dei rifiuti solidi urbani rappresenta il terreno di confronto fra pubbliche amministrazioni e comunità locali, ormai sensibili e guardinghe alle scelte d’allocazione dei siti di smaltimento. Vincenzo Belgiorno, Giuseppe D’Acunzi e Alfonso Donnarumma definiscono i termini del problema riguardo al territorio provinciale ed alla sua produzione di rifiuti, nell’ambito delle linee guida contenute nel piano regionale e con riferimento alle capacità di smaltimento degli impianti esistenti e programmati

 

 

 

 

 

 

 

 

La gestione dei rifiuti solidi urbani, nei diversi stadi di produzione, stoccaggio, trasporto e trattamento utili allo smaltimento definitivo, rappresenta un problema sociale recente. In poco più di dieci anni, si è infatti passati dal mero trasferimento dei rifiuti dal punto di produzione ad un’area di stoccaggio definitivo come le discariche, viste allora come sistemi di smaltimento economici ed ecologici, alla necessità di controllare la produzione dei rifiuti, progettare le metodologie ottimali di trattamento, minimizzare l’impatto ambientale e rendere massimo il recupero di risorse, così come imposto dal quadro normativo vigente (Belgiorno et al., 2000).

Nel 1996, lo stato di emergenza della Regione Campania ha comportato la redazione di un piano di dettaglio per lo smaltimento dei rifiuti che, in riferimento all’individuazione delle localizzazioni degli impianti principali, ha prodotto il rifiuto deciso della collettività e dei governi locali, con contrasti durissimi nell’intera regione, ad oggi ancora irrisolti. 

L’imposizione di siti e tecnologie, privata di un adeguato supporto di informazione e talvolta strumentalizzata dalle parti politiche, ha comportato nella collettività un atteggiamento di opposizione (del tipo not in my back-yard) conseguente alla logica difficoltà di accettare il rischio di un danno territoriale a fronte di vantaggi secondari o non ben definiti. 

Sebbene la percezione del rischio collegato allo smaltimento dei rifiuti non abbia motivazioni irrazionali o poco logiche, l’ignoranza negli aspetti tecnici ne amplifica la reale portata. L’opposizione della collettività sembra potersi collegare, in particolare, alla mancanza di fiducia nelle istituzioni e/o nelle aziende preposte alla gestione del servizio nelle ipotesi che (Belgiorno et al., 2000):

- l’attenzione verso i profitti aziendali comporti la trascuratezza per gli aspetti di tutela ambientale;

- l’esistenza di impianti efficienti possa comportare l’importazione di rifiuti da altre aree e causare una concentrazione di danno/disturbo;

- la qualità tecnica del personale non sia sufficiente alla gestione di sistemi tecnologicamente complessi;

- le istituzioni preposte al monitoraggio degli impatti e all’identificazione dei problemi non siano sufficientemente capaci o attrezzate.

Il sovrapporsi delle competenze e l’incertezza delle regole fa allora nascere il dubbio che la parte più debole possa dover subire e la convinzione che solo urlando si possano avere riconosciuti i propri diritti. 

Tale situazione sembra superabile solo con un lungo processo educativo, mirato a consentire una piena partecipazione del pubblico, con la consapevolezza che nessuna opzione è a costo zero ma che la creazione di posti di lavoro, il finanziamento di interventi di risanamento e le misure compensative per la popolazione residente possano produrre un beneficio complessivo al territorio prescelto per la localizzazione degli impianti.

Non è però negabile la necessità del coinvolgimento diretto della comunità alla valutazione della buona gestione del sistema di smaltimento, magari con il supporto di enti tecnici terzi che certifichino gli impatti previsti ed effettivi, assicurando maggiori certezze alla popolazione residente. La creazione di un’authority locale di regolamentazione, tecnicamente autorevole ed indipendente, con lo scopo di definire procedure, rafforzare i sistemi di controllo sul sistema di gestione, promuovere rapporti ed indagini sui disservizi e sui successi e comunicare con il territorio, sembra una svolta necessaria per prevedere l’inizio della fine dell’emergenza.

Il piano regionale di smaltimento dei rifiuti solidi

Lo stato di emergenza nel settore dello smaltimento dei rifiuti nella Regione Campania è stato dichiarato dal Consiglio dei ministri in data 11 febbraio 1994. Per il protrarsi della situazione di estrema gravità, il Presidente del consiglio, con ordinanza n. 2425 del 18/03/1996, e il Ministro degli interni, delegato al coordinamento della protezione civile, con ordinanza n. 2470 del 31/10/1996, hanno nominato il Presidente della regione commissario delegato per lo smaltimento dei rifiuti, con l’incarico di redigere un piano di interventi.  

In data 31/12/1996, è stato promulgato il piano regionale di smaltimento dei rifiuti solidi, successivamente revisionato a seguito dell’emanazione del DLgs 22 del 5/2/1997, anche noto come Decreto Ronchi, con il recepimento delle norme europee e la definizione di obiettivi a breve termine sulla applicazione della raccolta differenziata dei rifiuti.

Il piano suddivide il territorio regionale in ambiti territoriali ottimali per lo smaltimento (Atos), rappresentati in Figura 1, per i quali sono previsti: 

- la gestione dei rifiuti urbani, secondo criteri di efficienza e di economicità; 

- l’autosufficienza della gestione dei rifiuti urbani non pericolosi; 

- lo smaltimento dei rifiuti speciali in luoghi prossimi a quelli di produzione, al fine di favorire la riduzione della movimentazione dei rifiuti; 

- il raggiungimento di percentuali minime di raccolta differenziata.

Con la Lr 10/1993, il territorio della Provincia di Salerno, sostanzialmente corrispondente all’Atos 5, in considerazione dell’estensione territoriale, della disomogeneità morfologica e della diversa densità abitativa, è stato suddiviso nei bacini:

- Salerno 1: localizzato a nord del territorio, comprende 20 comuni per un totale di circa 390.000 abitanti. Costituisce una zona cuscinetto tra l'area metropolitana di Napoli e la parte residua della Provincia di Salerno. La densità di popolazione dell’area è particolarmente elevata.

- Salerno 2: comprende il capoluogo di provincia ed altri 39 comuni. È costituito da un territorio esteso che va dalla penisola sorrentina (Positano è l'ultimo comune del salernitano) fin quasi ad Agropoli sulla costa e arriva fino al Comune di Sacco nell’entroterra. La popolazione residente supera le 420.000 unità, ma i numerosi centri della costa e le varie località d'interesse archeologico fruiscono di una elevata presenza turistica.

- Salerno 3: comprende 45 comuni dell'entroterra nella porzione orientale della provincia. Caratteristiche specifiche del bacino sono costituite dalle impervie caratteristiche orografiche, dalla difficoltà di collegamento e dalla dispersione della popolazione sul territorio, con gran parte dei centri abitati con meno di 5.000 abitanti.

- Salerno 4: costituito da 49 comuni, occupa la fascia costiera e l'immediato entroterra della parte meridionale della provincia. La popolazione residente è complessivamente pari a 123.000 unità e il centro più popoloso è Agropoli, con circa 19.000 residenti.

 Figura 1 - Ambiti territoriali ottimali di smaltimento della Regione Campania

La quantità complessiva di rifiuti solidi urbani prodotti nella Provincia di Salerno, desunta dai conferimenti medi eseguiti dai singoli comuni negli ultimi mesi di esercizio delle discariche comprensoriali, è di circa 1200 ton/g, come evidenziato in Tabella 1, nella quale si riporta la produzione giornaliera complessiva per abitante nei quattro bacini dell’Atos 5.

 

Tabella 1

 

La composizione merceologica dei rifiuti prodotti, di interesse per la valutazione delle soluzioni impiantistiche perseguibili ed economicamente convenienti, è riportata in Figura 2 e non evidenzia differenze significative con i dati nazionali.

 Figura 2 - Composizione merceologica di riferimento della produzione di rifiuti nell'Atos 5

Il piano regionale prevedeva la realizzazione sul territorio della Provincia di Salerno di:

- tre stazioni di trasferenza ed impianti per la produzione di combustibile derivato dai rifiuti 1 (Cdr), ubicati a Cava dei Tirreni, Polla e Castelnuovo-Casalvelino;

- due impianti di compostaggio, ubicati a S. Marzano sul Sarno e a Polla;

- un termovalorizzatore, con produzione di energia elettrica, ubicato nell’area ASI del comune di Battipaglia, dotato di una discarica per inerti e ceneri.

A seguito di verifiche sulla effettiva produzione di rifiuti e della potenzialità degli impianti previsti nel piano regionale e, per effetto del parere contrario della Provincia di Salerno, l’ipotesi di realizzazione dell’impianto di termovalorizzazione sul territorio provinciale è venuta meno, mentre è stata confermata la necessità di realizzare almeno un impianto di produzione del Cdr. Da questo impianto, il combustibile prodotto dai rifiuti dovrebbe essere inviato al termovalorizzatore previsto nell’area napoletana. In Tabella 2 si riporta la classificazione del Cdr della American Society for Testing and Materials (Astm), divenuta un riconosciuto riferimento internazionale.

 

 

Tabella 2

 

In Figura 3 si mostra lo schema di processo dell’impianto di produzione del Cdr realizzato in Provincia di Avellino. 

 

 

 Figura 3 - Schema di processo dell'impianto di produzione del Cdr realizzato a Pianodardine (AV)

 

Lo stato attuale

Ad oggi, la mancata realizzazione degli impianti di recupero e/o smaltimento definitivo non consente di intravedere una rapida soluzione. È, infatti, da osservare che:

- dal 9 giugno 2001 la discarica di Serre ha esaurito la sua potenzialità ed è stata definitivamente chiusa;

- la discarica di Polla, attualmente in esercizio ma con una ridotta capacità residua, consente lo smaltimento di meno di 200 ton/g a fronte delle circa 1200 prodotte dall’intero ambito territoriale;

- la raccolta differenziata è, di fatto, attiva in pochi comuni dell’Atos, con quantità complessive di rifiuti recuperati decisamente modeste rispetto agli obiettivi indicati dal DLgs 22/1997;

- l’avvio dell’esercizio delle stazioni di tritovagliatura di Giffoni Valle Piana e Palomonte, utili alla separazione della frazione secca da quella organica, permette la potenziale stabilizzazione dell’organico separato ed una più facile accettazione in discarica della frazione secca, ma senza l’individuazione dei siti di scarico controllato del secco e la realizzazione degli impianti di compostaggio non ne consente lo smaltimento definitivo.

Le uniche possibilità di smaltimento attualmente perseguibili sembrano essere costituite dallo stoccaggio provvisorio in aree comunali, spesso non idonee ad una lunga permanenza dei rifiuti, o da impianti di trattamento esterni al territorio provinciale, individuati dal commissariato di governo. 

In data 31 luglio 2001, il commissariato di governo, in seguito ad uno studio affidato alla Facoltà di Ingegneria dell’Università di Salerno, sulla base di criteri tesi a considerare il minimo rischio per la salute pubblica ed il minimo impatto sui sistemi ambientali, ha confermato l’area industriale di Battipaglia come sito ottimale per la localizzazione dell’impianto di produzione del Cdr. 

Risulta, però, evidente la necessità di affrontare un periodo transitorio di circa 18 mesi, utile per la progettazione dell’impianto, le approvazioni e la successiva realizzazione, nel quale non sarà possibile fare affidamento sull’esercizio dell’impianto.

In tale lasso temporale, è difficile individuare soluzioni diverse dall’utilizzo di una discarica controllata. È, altresì, evidente come, anche a regime, ovvero dopo il completamento e la messa in esercizio degli impianti definitivi, risulti comunque necessario fare ricorso all’utilizzo di un sito di conferimento controllato. 

Tale ovvia considerazione, non sempre compresa dai non tecnici, è conseguente al fatto che i trattamenti di recupero energetico dei rifiuti solidi urbani, previa produzione del Cdr e combustione nel termovalorizzatore, comportano, in ogni caso, la produzione di flussi di scarto, la cui unica possibilità di smaltimento consiste nel conferimento controllato in discarica. Tale esigenza, d’altra parte, è ben chiara nei riferimenti normativi, ove viene confermata la necessità di smaltimento in discarica delle frazioni residuali dei trattamenti di recupero energetico dei rifiuti urbani.

Per valutare l’entità della frazione residua da conferire in discarica, a seguito della messa in esercizio degli impianti previsti, è possibile fare riferimento al piano provinciale di gestione dei rifiuti solidi urbani ed assimilati. Detto strumento di programmazione, eseguiti gli idonei bilanci di massa, indica la necessità di smaltimento in discarica, nella situazione a regime, nell’ipotesi ottimale, ma estremamente lontana, del raggiungimento dell’obiettivo del 35% previsto dal DLgs 22/1997 per la raccolta differenziata e dell’esercizio ordinario dell’impianto di Cdr, di un quantitativo complessivo di residui da trattamento pari a 143.709 ton/anno, corrispondenti ad oltre il 35% della produzione complessiva.  

Nell’ipotesi più attuale del funzionamento dei soli impianti di tritovagliatura previsti, con l’effettivo recupero e trasformazione della frazione organica in compost (da ritenersi difficoltosa in riferimento alle pregresse esperienze di produzione da un rifiuto non differenziato all’origine) o in terreno di copertura, il quantitativo di rifiuti da smaltire in discarica, in riferimento alla ottimistica previsione del 15% di raccolta differenziata, risulta pari complessivamente a 225.935 ton/anno, pari a circa il 53 % della produzione totale.

In definitiva, pur nell’ipotesi assolutamente teorica del raggiungimento di un’efficienza del 100% nella separazione della frazione organica negli impianti di vagliatura, con riferimento al solo periodo occorrente per la realizzazione dell’impianto di Cdr, ottimisticamente assunto pari a 18 mesi, il volume residuo di rifiuti da smaltire è stimabile in oltre 600.000 m3. 

D’altra parte, prevedendo per questo lasso temporale lo smaltimento dei rifiuti negli impianti di produzione del Cdr fuori provincia, occorre comunque individuare il sito che possa, in seguito alla messa in esercizio dell’impianto di produzione del Cdr di Battipaglia, consentire lo smaltimento della frazione residua.

 

 

 

 

 

 

1 Il Cdr è definito dalla legge italiana (Dl 462/1996 e Dma del 19/01/1995) come un rifiuto destinato al riutilizzo in un ciclo di produzione di energia, purché sia ottenuto da rifiuti definiti solidi urbani e/o assimilabili secondo il Dpr 915/1982, attraverso la raccolta differenziata e/o cicli di lavorazione che ne aumentano il potere calorifico, riducono la presenza di materiale metallico, vetri, inerti, materiale organico putrescibile, contenuto di umidità e di inquinanti entro limiti fissati dalla stessa normativa e sia certificata la temperatura di rammollimento delle ceneri.

Bibliografia

Belgiorno V., De Feo G., Rizzo L., RMA Napoli (2000) La gestione dei rifiuti solidi urbani nella Provincia di Avellino, Atti del convegno “La gestione integrata dei rifiuti solidi urbani”, Avellino.

Provincia di Salerno (2000), Piano provinciale di smaltimento dei rifiuti solidi urbani.

Belgiorno V., D’Acunzi G., Ferrari G. (2001), Nota sullo stato attuale dell’emergenza dei rifiuti solidi urbani in Provincia di Salerno e prospettive di soluzione, Relazione del Gruppo di Valutazione della Prefettura di Salerno.

 

 

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