La
predisposizione del nuovo PTC di
Salerno, ovvero del principale
strumento disponibile per il governo
del territorio ad area vasta,
rappresenta un’occasione
importante non solo dal punto di
vista della pianificazione
urbanistica e territoriale, ma anche
dell’identificazione delle
prospettive e delle strategie di
sviluppo economico della provincia.
In una visione integrata dello
sviluppo territoriale, la
pianificazione urbanistica, proprio
perché tende a coinvolgere
interessi tra loro in conflitto e a
confrontarsi con problemi di
competizione d’uso tra le risorse,
costituisce un inevitabile terreno
di confronto sui possibili scenari e
strategie di sviluppo locale. Le
indicazioni programmatiche emerse
dalle analisi economiche, che
trovano un momento di sintesi nell’elaborazione
degli scenari per il dimensionamento
del piano e negli indirizzi per la
pianificazione urbanistica comunale,
riflettono interamente tale
necessità di integrazione. Per
queste ragioni il tema della domanda
di spazi per le attività
produttive, su cui si concentra in
particolare il presente contributo,
sarà affrontato ricostruendo
sinteticamente tutti gli elementi
necessari per una piena comprensione
delle scelte operate, in particolare
attraverso:
– una
prima sezione dedicata alle scelte
di metodo adottate dal PTC ai fini
della valutazione della domanda di
spazi per le attività produttive,
offrendo al tempo stesso un quadro
di sintesi degli indirizzi a tale
scopo formulati per il
dimensionamento dei PRG comunali;
– una
seconda sezione finalizzata ad una
breve ricostruzione della dinamica
socioeconomica che ha interessato la
Provincia di Salerno nell’ultimo
decennio, nonché delle prospettive
di sviluppo futuro;
– una
terza sezione, infine, interamente
dedicata alla rappresentazione degli
scenari di crescita programmatica
formulati nell’ambito del PTC,
anche ai fini delle scelte per il
dimensionamento del piano.
Il
dimensionamento del piano per le
attività produttive: aspetti
metodologici
La ricostruzione
di scenari relativi alla domanda e
al fabbisogno di spazi per le
attività produttive rappresenta un
esercizio complesso, in quanto
richiede precise valutazioni circa i
cambiamenti prevedibili sia nella
struttura produttiva e tecnologica
del sistema, che nei bisogni e nelle
aspirazioni economiche e sociali
della comunità locale. Non solo,
dunque, è necessario considerare i
numerosi elementi che a livello
locale possono influenzare lo
sviluppo dei diversi settori
economici (se non delle singole
aziende), ma al tempo stesso il
riferimento territoriale dev’essere
ampliato per tenere conto delle
tendenze generali e settoriali che
si manifestano sul piano nazionale e
internazionale. Gli scenari
formulati nell’ambito del PTC di
Salerno e successivamente
illustrati, tengono conto di tali
difficoltà, cercando di coniugare
esigenze metodologiche e necessità
operative, compiendo uno sforzo di
sistematizzazione che si auspica
possa contribuire al più ampio
dibattito sulla valutazione dei
piani.
Diversi sono i
motivi che spingono le imprese a
muoversi nello spazio, e al tempo
stesso ad esprimere una domanda di
superficie. La mobilità spaziale
delle imprese, legata ai processi di
natalità, mortalità o
trasferimento delle imprese
esistenti, avviene generalmente
mediante movimenti relativi e
movimenti assoluti: mentre i
primi sorgono quando si verificano
le condizioni per differenti tassi
di crescita tra aree geografiche
diverse; i secondi riflettono invece
i cambiamenti nell’organizzazione
spaziale delle imprese esistenti in
una determinata area e non
richiedono, in prima istanza, una
conoscenza approfondita dei fenomeni
che interessano altre parti del
territorio. Dal punto di vista
fisico-funzionale, i processi di
mobilità "assoluta" delle
imprese avvengono generalmente
mediante le seguenti modalità:
– chiusura
di imprese esistenti e/o
insediamento di nuove unità senza
variazioni di funzioni aziendali
nelle unità esistenti;
– insediamento
di nuove unità per effetto di
trasferimento parziale o totale di
funzioni aziendali tra unità
preesistenti;
– adeguamenti
delle localizzazioni esistenti per
trasferimenti parziali di funzioni
aziendali o processi di accorpamento
tra unità preesistenti.
– ampliamenti
e riduzioni di superfici occupate
nel sito originario di imprese
esistenti.
Diverse possono
essere le motivazioni alla base di
questi fenomeni e la quantificazione
della relativa domanda di spazi non
può anche in questo caso avvenire
attraverso criteri omogenei o
parametri standard. In via generale
è possibile distinguere tre tipi di
motivazioni principali:
– la
domanda derivante da esigenze di adeguamento
e razionalizzazione da parte
delle imprese esistenti, ovvero
dalla necessità di adeguare la
disponibilità di spazi esistente a
rapporti di superficie per addetto o
per unità di prodotto in grado di
accrescerne i livelli di
produttività;
– la
domanda derivante dai processi di crescita
e sviluppo del tessuto
produttivo: la prima originata dalla
richiesta delle imprese esistenti di
adeguare la disponibilità di spazi
ai maggiori livelli produttivi
previsti; la seconda legata alla
localizzazione di nuove imprese sul
territorio che lo sviluppo di taluni
settori o dell’insieme dell’economia
locale tende a favorire;
– la
domanda per esigenze di rilocalizzazione
delle imprese esistenti, determinata
dall’esistenza di incompatibilità
ambientali e/o dall’insorgere di
diseconomie insediative nelle
localizzazioni esistenti.
In termini
generali è evidente come, mentre le
prime due tipologie forniscono
generalmente un apporto netto al
fabbisogno complessivo di spazi, nel
caso del fabbisogno da
rilocalizzazione si tratta viceversa
di considerare le possibilità di
riutilizzo degli spazi dismessi dai
processi di trasferimento, spesso in
grado di ospitare attività più
compatibili o comunque idonee ai
diversi contesti urbanistici e
ambientali. In ogni caso alle
diverse motivazioni, oltre che
metodologie e tecniche di
valutazione appropriate, corrisponde
anche una differente suddivisione
dei compiti di indirizzo e
programmazione tra i diversi momenti
della pianificazione urbanistica e
territoriale.
Nel caso della
domanda derivante da fenomeni di mobilità
relativa o legata a processi di
vero e proprio sviluppo del
sistema produttivo locale, l’attenzione
sarà prevalentemente concentrata
sui possibili fattori di attrazione
offerti dalle diverse
localizzazioni, tra i quali la
maggiore o minore disponibilità di
spazi – e quindi i suoi costi
relativi – giocherà un ruolo
rilevante ma non prevalente. Accanto
alla disponibilità di aree, sarà
infatti l’insieme delle
convenienze localizzative
- legate alle infrastrutture,
alla mobilità, ai mercati di
approvvigionamento e di sbocco – a
orientare le scelte delle imprese.
È evidente in questo caso il ruolo
strategico assunto della
pianificazione ad area vasta nell’assicurare
un quadro complessivo di
compatibilità tra gli obiettivi di
sviluppo economico e le esigenze di
tutela e sostenibilità ambientale
del territorio. Dal punto di vista
della domanda di spazi, si tratta di
un compito che interessa sia gli
aspetti quantitativi – in termini
assoluti - del dimensionamento;
sia gli aspetti distributivi legati
agli ambiti territoriali da
privilegiare; sia, infine, agli
aspetti per così dire qualitativi
connessi alla definizione dei
criteri per la scelta delle
localizzazioni puntuali.
All’estremo
opposto si pone viceversa il caso
dei processi di mobilità che
nascono da mutamenti del contesto
ambientale in cui l’impresa opera,
che tendono a generare una domanda
di spazi per rilocalizzazione
in senso stretto (che non prevede,
cioè, un significativo consumo
aggiuntivo di spazio) dettata da
fattori di spinta essenzialmente
esogeni all’impresa. Il prevalere
di fattori di spinta rispetto a
quelli di attrazione implica
chiaramente la ricerca di una
destinazione quanto più possibile
vicina all’origine dello
spostamento. In questo caso la
pianificazione comunale, cui
spettano compiti di disegno minuto
del territorio, è la sola in grado
di individuare quelle soluzioni
capaci di compenetrare il rispetto
dei vincoli e delle esigenze di
tutela e valorizzazione del
territorio, con la preferibilità
sociale delle diverse soluzioni
alternative possibili, anche
considerati gli elevati costi
economici che tali processi
generalmente comportano dal punto di
vista degli stakeholders
presenti sulla scena locale.
Nei casi in cui,
infine, i processi di mobilità
risultano determinati da esigenze
prevalentemente di natura endogena
al tessuto di imprese esistenti,
legate alle prospettive di crescita
o di razionalizzazione
produttiva, entrambe i livelli della
pianificazione risultano
direttamente coinvolti. Il PTC, in
particolare, vede in quest’ambito
decisionale esaltato il proprio
ruolo di coordinamento,
rappresentando un punto di
riferimento indispensabile per
garantire razionalità e coerenza
alle scelte operate dai singoli
comuni. Soprattutto con riferimento
al comparto industriale ed ai
servizi alle imprese, infatti,
qualunque sistema produttivo locale
tende inevitabilmente a travalicare
i confini amministrativi comunali
per assumere una dimensione
tipicamente ad area vasta. In tali
condizioni l’offerta di spazi è
in buona parte fungibile e può anzi
essa stessa modificare le tendenze
localizzative delle imprese. Pur non
entrando nel merito di valutazioni
che possono essere espresse solo a
partire da una più approfondita
conoscenza delle singole realtà
locali, e che resteranno pertanto
affidate alle responsabilità ed al
potere decisionale del livello
comunale di pianificazione, si
comprende la necessità che a
livello di PTC venga definito un
sistema di metodologie, tecniche e
parametri di valutazione in grado di
garantire coerenza alle singole
previsioni di piano. Gli stessi
scenari di crescita socioeconomica
elaborati dal PTC a livello di
ambiti territoriali (ovvero
aggregazioni di comuni a forte
integrazione spaziale), intendono
inoltre rappresentare un preciso
punto di riferimento per le scelte
dei PRG comunali, le cui previsioni,
pur con la necessaria flessibilità,
dovranno risultare compatibili con
le corrispondenti previsioni
effettuate dagli altri comuni come a
livello provinciale aggregato.
Su questa base
metodologica, a partire da una
valutazione delle prospettive di
sviluppo provinciale, ottenuta anche
attraverso la costruzione di un
sistema di scenari di crescita
demografica ed economico-sociale, è
stato quindi definito il quadro
delle valutazioni e delle scelte
programmatiche del PTC di Salerno.
I cambiamenti
dello scenario esogeno: processi di
sviluppo e domanda di spazio nella
"nuova economia"
L’analisi della
domanda di spazi ha richiesto in
primo luogo una ricostruzione delle
trasformazioni che caratterizzano l’attuale
fase dello sviluppo economico sia a
livello locale che a livello
globale. In una realtà ancora
scarsamente industrializzata come
quella salernitana, in particolare,
il tema del dimensionamento del
Piano per le attività produttive ha
richiesto una profonda riflessione
sul ruolo che questo comparto sarà
effettivamente in grado di svolgere
nello sviluppo futuro dell’area.
La perdita di peso relativo che le
attività manifatturiere continuano
a registrare in termini
occupazionali in tutte le economie
più avanzate, costituisce solo la
manifestazione più evidente di un
fenomeno più complesso, la cui
interpretazione appare
indispensabile ai fini di una
corretta interpretazione del modello
di sviluppo economico-territoriale
che caratterizza la nostra provincia
e delle prospettive di sviluppo
futuro.
Com’è noto, la
crescente interdipendenza e
integrazione economica che si
manifesta sui mercati
internazionali, non solo con l’aumento
del volume e della varietà nelle
transazioni (di capitali, beni e
servizi), ma anche una più rapida
ed ampia diffusione della
tecnologia, tende ad accentuare il
confronto competitivo fra le
imprese, intensificandone la
concorrenzialità e premiandone la
capacità di anticipazione nell’introduzione
di innovazioni. La perdita di
importanti strumenti di politica
economica a livello centrale, in
primo luogo relative al controllo
dei cambi e monetarie (oltre che di
fatto fiscali e di bilancio), non
consente inoltre alle imprese di
compensare i differenziali di costo
attraverso l’aumento dei prezzi e
la manovra dei tassi di cambio.
Nel nostro Paese,
soprattutto nei settori industriali
tipici del Made in Italy, l’accelerazione
dei processi competitivi e di
produttività del lavoro ha
privilegiato la ricerca delle economie
di integrazione e
agglomerazione piuttosto che un
rilancio delle produzioni basate
sulle grandi dimensioni e sulle economie
di scala, fornendo un ulteriore
spinta ai processi già avviati
dalle imprese a partire dalla metà
degli anni ’80. Ci si riferisce in
particolare: alla riduzione del
numero medio di addetti per impresa
(downsizing); alla
tendenziale eliminazione delle
scorte e dei magazzini (just in
time); all’esternalizzazione
di quelle parti del processo
produttivo – soprattutto di tipo
terziario – che realizzate all’interno
non garantiscono più adeguati
livelli di efficienza e profitto (outsourcing).
Si tratta di un
insieme di fenomeni potenzialmente
in grado di favorire, dunque, un’inversione
di tendenza strutturale alla
crescita della domanda di spazi per
unità di prodotto da parte delle
imprese. Il rapido sviluppo delle
nuove tecnologie dell’informazione
e della comunicazione rendono
inoltre meno costosi tali processi,
contribuendo a rivoluzionare le
coordinate spazio-temporali dei
sistemi produttivi, sia a livello
nazionale che a livello regionale e
locale. Una tendenza, dunque, alla
riduzione del peso delle produzioni
"materiali" su quelle
"immateriali" che non deve
però condurre a conclusioni
affrettate circa il ruolo esercitato
dalle attività manifatturiere nei
processi di sviluppo locale
soprattutto nel caso di aree, come
quella in esame, scarsamente
industrializzate:
– in primo
luogo perché la rilevanza crescente
delle produzioni
"immateriali" non si
accompagna ad una riduzione delle
produzioni "materiali" in
termini assoluti, come testimonia la
costante crescita del valore
aggiunto direttamente generato dalle
attività manifatturiere;
– in
secondo luogo perché il calo dell’occupazione
industriale nelle aree più avanzate
è in parte conseguenza di un
fenomeno di "illusione"
statistica, derivante dai processi
di trasformazione in atto nell’organizzazione
produttiva: i prodotti
"immateriali" sono infatti
in buona parte input intermedi che
vedono come domanda finale la stessa
produzione "materiale" (in
un certo senso, dunque, aumenta il
contenuto immateriale dei prodotti
materiali);
– in terzo
luogo perché il grado di
"saturazione" raggiunto
nelle aree a maggiore sviluppo
industriale del Centro-Nord d’Italia
o europeo, costituisce un’interessante
opportunità di crescita per quelle
aree, come quella salernitana,
caratterizzate da alti livelli di
disoccupazione ed elevata qualità
delle risorse umane disponibili (ci
si riferisce a quei processi di mobilità
relativa delle imprese
precedentemente ricordati).
Il contesto
endogeno: struttura ed evoluzione
dell’economia salernitana
Le analisi
preparatorie condotte per il nuovo
PTC hanno permesso di ricostruire un
quadro organico riguardante, sia le
caratteristiche strutturali del
sistema socio-economico provinciale,
sia la fase congiunturale più
recente attraversata dall’economia
salernitana. L’immagine che ci
restituiscono le diverse analisi
effettuate, è innanzi tutto quella
di un sistema economico che mostra
evidenti segni di vitalità, pur all’interno
di un quadro strutturale
contraddistinto dalla prevalenza di
elementi di forte debolezza.
Nonostante i segnali positivi degli
ultimi anni, grave resta in
particolare l’incapacità da parte
del sistema economico provinciale di
assicurare adeguate opportunità
occupazionali alla forza lavoro
locale, anche se la grande rilevanza
che assume il fenomeno del sommerso
anche nella nostra realtà deve in
parte ridimensionare le conseguenze
sociali del fenomeno. Il forte peso
tuttora assunto dai tradizionali
comparti di specializzazione, come l’agricoltura
e le costruzioni, costituisce un
ulteriore punto di debolezza del
sistema produttivo locale,
considerate le deboli prospettive
che li caratterizzano almeno in
termini occupazionali.
L’evoluzione
strutturale delle attività
extra-agricole attraverso i dati
censuari
Nell’ultimo
intervallo intercensuario 1991-96 il
settore manifatturiero ha
manifestato sul piano occupazionale
una tendenziale riduzione
confermando il trend negativo già
evidenziato nel corso del decennio
precedente. Se questo fenomeno
risulta comune a tutte le aree
territoriali del Paese, è pur vero
come esso non abbia assunto ovunque
la stessa intensità. Mentre,
infatti, fra il ’91 ed il ’96,
gli addetti al manifatturiero nella
sola provincia di Salerno si
riducono complessivamente del 4,7%,
nel Mezzogiorno ed a livello
nazionale tale riduzione assume un’intensità
decisamente maggiore (-9,6% per il
Mezzogiorno e -6,8% per l’Italia).
Ciò significa che - in quest’ultimo
arco temporale - l’industria
manifatturiera salernitana ha
dimostrato, sul piano occupazionale,
una maggiore capacità di tenuta
rispetto a quanto evidenziato
mediamente dagli altri contesti
locali (Grafico 1).
La prima metà
degli anni ’90 ha rappresentato al
contempo un momento di importante
trasformazione nelle caratteristiche
produttive dell’apparato
manifatturiero provinciale. I
principali settori di
specializzazione dell’economia
salernitana hanno subito in questi
ultimi anni un processo di parziale
ridimensionamento in termini
occupazionali: alimentare
(-6,1%); tessile ed abbigliamento
(-9,9%); fabbricazione di macchine
elettriche, di apparecchiature
elettriche ed ottiche (-9,4%);
fabbricazione di prodotti della
lavorazione di minerali non
metalliferi (-13,4%); industria del
legno e dei prodotti in legno
(-18%). All’opposto l’occupazione
è cresciuta in altri comparti che
non rappresentano settori
"vocazionali" dell’apparato
produttivo provinciale, come ad
esempio: la fabbricazione di
articoli in gomma e plastica
(+49,3%); l’industria conciaria,
delle pelli e del cuoio (+34,9%); l’industria
della fabbricazione di macchine ed
apparecchi meccanici (+16,8%)
(Grafico 2).
I dati relativi
all’ultimo Censimento indicano
inoltre come si sia verificata una
progressiva modifica dell’articolazione
territoriale dello sviluppo
industriale salernitano. I
tradizionali poli di
industrializzazione - in
particolare la zona attorno al
capoluogo e quella di Nocera
Inferiore - hanno subito un
ulteriore ridimensionamento
(rispettivamente -1.700 addetti nell’area
di Salerno e -682 in quella di
Nocera Inferiore) - mentre sembra
confermarsi l’emergere di nuovi
poli manifatturieri come Battipaglia
e Agropoli, che confermano il trend
positivo già evidenziato nel corso
del decennio precedente. Artefici di
questa performance, nel caso
di Battipaglia sono stati
soprattutto: il
tessile-abbigliamento (+237
addetti); la fabbricazione di
articoli in gomma e materie
plastiche (+219 addetti); la
fabbricazione di macchine ed
apparecchi elettrici, di apparecchi
radiotelevisivi e di apparecchiature
per le telecomunicazioni (+215
addetti). Per ciò che riguarda l’area
di Agropoli la crescita
occupazionale si spiega viceversa
soprattutto in virtù dell’ottima
performance fatta registrare dalla
fabbricazione di articoli in gomma e
materie plastiche (+198 addetti) e
dalla produzione di metallo e dalla
fabbricazione di prodotti in metallo
(+187 addetti).
Anche i sistemi
locali interessati da un processo di
riduzione della base occupazionale
hanno tuttavia registrato un
sostanziale consolidamento dell’occupazione
nei settori di prevalente
specializzazione:
– nell’area
di Nocera Inferiore, dove si assiste
ad una crescita nel settore
alimentare (+67 addetti), pur a
fronte di un forte ridimensionamento
dell’occupazione manifatturiera
complessiva (-682 addetti);
– nell’area
di Eboli dove tende a consolidarsi
il ruolo del settore delle
confezioni (+260 addetti) in un
quadro generale che vede il settore
manifatturiero subire un lieve
arretramento (-57 addetti);
– nell’area
di Sala Consilina dove si conferma
la lenta, ma costante, espansione
del settore delle calzature (+69
addetti);
– infine
nell’area di Positano che mantiene
sostanzialmente invariati i livelli
occupazionali nel settore delle
confezioni di articoli di vestiario.
Spostando il
focus delle analisi dal settore
manifatturiero a quello dei servizi,
si possono cogliere alcune ulteriori
fenomenologie che meritano di essere
analizzate. Nonostante i limiti dei
dati censuari1, si può
osservare:
– una forte
crescita dell’occupazione nel
settore dei servizi alle imprese
(+27% fra il ’91 ed il ’96, pari
a circa 4.200 nuovi addetti), in
linea con quella rilevabile su scala
regionale, ma assai più pronunciata
di quella mediamente verificatasi
sia nel Mezzogiorno (+20%) che nel
resto del Paese (+22%);
– altrettanto
positivo risulta essere l’andamento
dell’occupazione nei servizi
legati all’infrastruttura
distributiva2, anche
se la crescita, in questo caso,
assume un’intensità assai più
contenuta (+8% nella nostra
provincia, a fronte di una
variazione che, per l’intero
territorio nazionale, si attesta in
media al 3%);
– estremamente
negativo nella nostra provincia
risulta viceversa l’andamento dell’occupazione
nei servizi per il consumo finale
privato (il calo degli addetti
risulta pari al -21%, a fronte del
-10% che si rileva a livello
nazionale), in gran parte dovuto
alla crisi che ha investito il
settore della piccola distribuzione
commerciale (Grafico 3).
Le tendenze
recenti del mercato del lavoro
provinciale
L’evoluzione
registrata dall’economia
provinciale nel corso del triennio
1996-99 continua ad evidenziare,
accanto alle tradizionali fragilità
del tessuto produttivo, anche l’emergere
di alcuni segnali positivi,
registrando in particolare una
crescita occupazionale di 2 punti e
mezzo percentuali. Tuttavia
analizzando tale andamento con
riferimento ai principali
macrosettori si può osservare come:
– continua
il calo dell’occupazione agricola,
che si riduce di quasi 5 punti
percentuali, sia pure con dinamiche
meno negative di quelle registrate a
livello regionale e nazionale (-17%
e –11%);
– dopo
la performance relativamente
positiva dei primi anni ’90, il
settore manifatturiero presenta una
dinamica crescente, passando
dalle 40 mila alle 42 mila unità,
con un aumento anche in questo caso
superiore a quanto avvenuto in media
nazionale e regionale (+3,8% contro
il +1,2% e il +3,7%);
– il
settore delle costruzioni mostra una
buona resistenza, con una
contrazione del –0,7% a fronte di
una contrazione di oltre 4 punti
percentuali registrata ad esempio a
livello regionale;
– in
crescita anche le attività
terziarie, anche se con una
dinamiche inferiori a quelle medie
regionali e nazionali, il
comparto presenta comunque nella
provincia con un incremento del 4%
(dalle 214 mila unità del 1996 alle
222 mila unità del 1999), a fronte
di una crescita media nazionale
superiore ai 5 punti percentuali.
Il peso dell’occupazione
nell’industria in senso stretto
sembra dunque essersi accresciuto
negli ultimi anni, pur restando
fortemente sottodimensionato
rispetto al dato medio nazionale. L’evoluzione
positiva del settore manifatturiero
viene peraltro confermata anche dall’andamento
delle esportazioni, cresciute fra
il 1996 e il 1999 di oltre il 22%, a
fronte di una dinamica inferiore
agli 8 punti percentuali in media
nazionale. Le imprese locali
hanno così mostrato una capacità
di competere sui mercati
internazionali ben superiore della
media nazionale, nonostante il non
favorevole andamento dei cambi
rispetto all’area dell’Euro. L’analisi
delle esportazioni per settore
evidenzia come siano stati
soprattutto i settori di
specializzazione della struttura
produttiva locale ad aver mostrato
la performance relativamente
più positiva. In particolare si
può osservare come:
– il
settore dei prodotti alimentari,
delle bevande e dei tabacchi, che da
solo assorbe oltre il 50% delle
esportazioni provinciali, ha
mostrato una crescita superiore al
25% rispetto all’8,6% medio
nazionale;
– il
settore degli articoli in gomma e
materie plastiche ha registrato
una crescita del 27%, contro un
aumento il 13% medio nazionale;
– il
settore dei prodotti in metallo
ha presentato una dinamica superiore
al 12%, rispetto alla stazionarietà
del dato medio nazionale.
La buona performance
del manifatturiero non è stato
comunque in grado di modificare
sostanzialmente il quadro negativo
del mercato del lavoro locale. La
riduzione del tasso di
disoccupazione, che pure si è
realizzato, è stato infatti
influenzato soprattutto dalla
riduzione della partecipazione al
lavoro. Gli attivi si sono ridotti
di quasi il 4%, passando dalle 409
mila unità del 1996 alle 394 mila
unità del 1999, accrescendo così
il divario nei tassi di attività
della popolazione provinciale
rispetto al dato medio nazionale
(53% contro il 60% nazionale). La
riduzione del tasso di
disoccupazione è ha quindi avuto
origine essenzialmente in un
incremento dei fenomeni di
"scoraggiamento" e nella
ripresa dei flussi migratori in
uscita della forza lavoro.
Risorsa lavoro e
risorsa spazio in un contesto
dinamico: gli scenari di crescita
per la Provincia di Salerno
L’evoluzione
della popolazione, pur fondandosi su
basi biologiche e sociali, presenta
implicazioni economiche di grande
portata. Fecondità, mortalità,
flussi migratori e le conseguenti
modificazioni nella struttura per
età della popolazione, influenzano
l’offerta di lavoro, non solo dal
punto di vista dimensionale, ma
anche determinando la sequenza dei
ruoli esercitati dalle diverse
componenti strutturali della
popolazione. A loro volta i processi
economici rappresentano variabili
determinanti dei processi
demografici, influenzando i tassi di
natalità, di mortalità e
soprattutto la variazione dei flussi
migratori. Al fine di prefigurare
dei possibili sentieri di crescita
per il futuro della Provincia, è
stato quindi impostato un modello di
sviluppo in grado di integrare gli
aspetti demografici agli aspetti di
natura più strettamente economica.
In particolare, la ricostruzione di
un sistema di scenari, sia
tendenziali che programmatici, è
stata basata su tre moduli base in
grado di considerare congiuntamente
le determinanti demografiche e
socioeconomiche dello sviluppo
locale: a) le proiezioni
demografiche e dell’offerta di
lavoro; b) gli scenari settoriali di
crescita produttiva e della domanda
di lavoro; c) la ricostruzione degli
scenari aggregati tendenziali e
programmatici.
Mentre per quanto
riguarda l’offerta di lavoro si è
assunto come riferimento per il PTC
uno scenario di tipo tendenziale
(assumendo per il prossimo futuro il
mantenimento dei flussi migratori
sui livelli registrati nel recente
passato e la tendenziale riduzione
dei tassi di fecondità), per la
stima della dinamica della domanda
di lavoro stati costruiti due
differenti scenari:
– il primo
– lo scenario tendenziale
– è stato ricostruito assumendo
una crescita della produttività del
lavoro e del valore aggiunto in
linea con quanto avvenuto nell’economia
provinciale nel corso dell’ultimo
ciclo economico;
– il
secondo scenario - lo
scenario programmatico - è
stato costruito assumendo,
viceversa, una ipotesi-obiettivo di
attenuazione degli squilibri sul
mercato del lavoro3.
I risultati delle
proiezioni demografiche hanno
mostrato come, in assenza dei flussi
migratori, la popolazione
provinciale tenderebbe ad aumentare
- pur se a tassi via via
decrescenti - fino al 2006, per
poi declinare leggermente negli
ultimi cinque anni considerati.
Nello scenario comprendente le
dinamiche migratorie, più rilevante
ai fini del PTC, la popolazione
presenta una dinamica demografica
meno favorevole, in quanto la
contrazione dei saldi naturali viene
ulteriormente aggravata dai saldi
negativi della componente
migratoria. Nel complesso del
periodo la popolazione mostrerebbe
comunque una contrazione di poco
superiore all’1%, passando dalle
1.092.034 unità del 1998 alle
1.077.751 unità del 2011. A livello
territoriale emergono comunque
notevoli differenziazioni, più
evidenti nello scenario comprensivo
dei flussi migratori:
– la Piana
del Sele risulta l’area con la
dinamica più accentuata (+7,1),
aggiungendo al saldo naturale
positivo un consistente afflusso
migratorio;
– l’Agro-Nocerino-Sarnese
registra una crescita contenuta
(+1,5%), passando dalle 282.630
unità del 1998 alle 286.865 unità
del 2011;
– l’Area
di Salerno presenta una
contrazione del -2,8% della
popolazione residente, mentre nel Cilento
Costiero si registra una
contrazione poco inferiore del –2,2%;
– contrazioni
comprese fra il -5,4% e il -7,7% si
registrano nella Costiera
Amalfitana, nel Vallo di
Diano e nell’Area del
Cratere;
– il Cilento
Interno e il Saprese
presentano la riduzione della
popolazione più elevata (circa il
-12%).
Tali risultati
rappresentano il primo passo per
analizzare l’evoluzione che
presumibilmente sarà seguita nel
prossimo futuro dalle componenti del
mercato del lavoro legate all’offerta4.
Queste sono, infatti, influenzate,
oltre che dalle dinamiche
demografiche, anche dai tassi di
attività delle diverse componenti
della popolazione, che tendono a
modificarsi nel tempo, sia in
connessione ai mutamenti che
investono il quadro socio-economico,
che sulla base delle modificazioni
che riguardano i modelli
socioculturali della popolazione,
oltre che dello stesso andamento
della domanda di lavoro. In
particolare, sulla base di opportune
ipotesi circa la possibile
evoluzione della domanda di lavoro,
lo scenario di tipo tendenziale
porta a prevedere per la provincia
di Salerno una crescita del numero
degli occupati di circa l’8% fra
il 1999 e il 2011 (dalle 334 mila
alle 362 mila unità, con una
crescita essenzialmente sostenuta
dalle attività terziarie. L’effetto
"trascinamento" che la
prevista crescita della domanda
tenderà ad esercitare sulle forze
di lavoro5, l’offerta
di lavoro nel complesso della
Provincia dovrebbe registrare in
definitiva un aumento di oltre
20.000 unità, portando il tasso di
attività dal 53% a circa il 55,4%.
Gli scenari formulati
precedentemente sull’offerta e la
domanda di lavoro, portano così a
prefigurare una riduzione degli
squilibri esistenti sul mercato del
lavoro provinciale, anche se la
contestuale crescita delle forze di
lavoro tende inevitabilmente ad
attenuare l’impatto positivo
esercitato dall’incremento dell’occupazione
sui tassi di disoccupazione (Tabella
1).
TABELLA
1
Rinviando per il
momento ulteriori considerazioni sui
risultati ottenuti, è evidente come
le dinamiche prefigurate dagli
scenari elaborati presentino
importanti implicazioni per il
mercato del lavoro locale, oltre che
dal punto di vista del mercato
abitativo e dei servizi alla
popolazione.
Concentrando in
questa sede l’attenzione sulla
domanda di spazi delle attività
industriali e dei servizi vendibili
legata alle motivazioni per crescita
e sviluppo, che, per quanto
ampiamente illustrato, sono le
uniche ritenute rilevanti ai fini
della pianificazione ad area vasta,
emerge come6:
– l’occupazione
prevista al 2011 si assesta nello
scenario tendenziale sulle 226 mila
unità – industria in senso
stretto e servizi vendibili
- con un incremento di circa
40.000 addetti rispetto alla
consistenza del 1999, comportando un
fabbisogno aggiuntivo di superficie
coperta di circa 4,4 milioni di
metri quadri7;
– il
conseguimento dello scenario
programmatico richiederebbe,
naturalmente, una maggiore
previsione di domanda di spazi per
le superfici coperte, che
raggiungerebbe infatti gli oltre 5,8
milioni di metri quadri fra il 1999
e il 2011 (Tabella 2).
TABELLA
2
Come si vede, la
crescita occupazionale necessaria
per raggiungere gli obiettivi
assunti nello scenario programmatico
interessa in questo caso anche il
settore della trasformazione
industriale, che richiederebbe un
fabbisogno aggiuntivo di oltre 1,5
milioni di metri quadri, con un
incremento rispetto alla situazione
attuale di circa il 40%. Rimarrebbe,
d’altra parte, sempre sostenuta la
domanda di superfici coperte del
settore dei servizi vendibili, in
questo scenario quantificabile in
circa 4,3 milioni di metri quadri.
Considerazioni
conclusive
I risultati delle
analisi di scenario condotte per la
provincia di Salerno, ripropongono
inesorabilmente la difficile
condizione socioeconomica
strutturale che caratterizza la
nostra provincia. Nonostante siano
state assunte ipotesi relativamente
ottimistiche rispetto alla
indicazioni più fornite dai modelli
di previsione demografica elaborati
dall’Istituto Nazionale di
Statistica, emerge infatti
chiaramente come nello scenario
tendenziale:
– con
riferimento all’orizzonte di piano
(2011), l’offerta di
lavoro tenderà a crescere in
misura consistente (+6%), con un
incremento determinato sia dalla
positiva dinamica della popolazione
residente, che soprattutto da una
maggiore partecipazione al lavoro
della componente femminile;
– più
accentuata appare la dinamica della
domanda di lavoro prevedibile sulla
base delle recenti tendenze
positive: dopo la perdita di posti
di lavoro registrata fra il 1991 e
il 1996 e la ripresa registrata nel
triennio successivo, nel prossimo
decennio l’occupazione tenderebbe
a crescere dell’8,4%, sostenuta
però esclusivamente dalla forte
crescita dei servizi vendibili;
– le
diverse dinamiche della domanda e
dell’offerta di lavoro si
riflettono naturalmente in un
relativo miglioramento delle
condizioni sul mercato del lavoro
che appaiono però del tutto
insufficienti: il tasso di
disoccupazione nel complesso della
provincia resterebbe infatti al 2011
al 13,3%.
In tale
condizioni il conseguimento dei pur
elevati livelli di disoccupazione
attualmente registrati in media
nazionale (11% circa)8
richiederebbe comunque una crescita
dei posti di lavoro di quasi 43 mila
unità rispetto agli attuali livelli
della domanda di lavoro (+15 mila
rispetto al tendenziale). Una
crescita che solo il comparto
manifatturiero potrebbe
realisticamente assicurare.
È evidente come
in questo quadro, mettere in
alternativa la crescita dell’industria
con quella dei settori terziari più
innovativi, non sembra rappresentare
una strada percorribile, almeno nel
breve e medio periodo. Di fronte
agli squilibri esistenti sul mercato
provinciale del lavoro ed alla
prospettiva – precedentemente
indicata - di un ulteriore
incremento dell’offerta di lavoro
(delle persone, cioè, in cerca di
occupazione), dovuta sia alle
dinamiche demografiche che al
prevedibile – e auspicabile
- aumento dei tassi di
attività della popolazione, una
maggiore crescita del settore
industriale sembra rappresentare
ancora una condizione necessaria
- anche se non sufficiente –
per creare le risorse necessarie per
uno sviluppo duraturo e meno
dipendente dai trasferimenti esterni9.
Settori tradizionali come il
commercio, l’edilizia, il settore
pubblico, o anche un settori
terziari con significative
potenzialità come il turismo10
o la cosiddetta "nuova
economia" in generale, non
sembrano infatti in grado di
produrre quelle ricadute sull’economia
locale che la dimensione degli
squilibri occupazionali richiedono.
Proprio per
quanto riguarda il turismo, in
particolare, non bisogna dimenticare
come la presenza di un settore
manifatturiero vitale costituisca
una condizione necessaria per
accrescere l’impatto sull’economia
locale prodotta dalla stesse
attività turistiche, così
importanti nel caso di Salerno. Come
è noto, la spesa turistica non
alimenta soltanto lo sviluppo delle
attività più direttamente connesse
(alberghi, ristoranti, attività
commerciali, trasporti, ecc.), ma
impatta anche su tutta una serie di
altri comparti: se si guarda non ai
consumi, ma ai settori di origine,
si scopre come una quota piuttosto
consistente della spesa turistica,
pari a circa 1/3 del totale, vada ad
alimentare proprio il comparto della
trasformazione industriale11.
Pur se in misura diversa, un
discorso analogo potrebbe essere
fatto per quei settori legati alle
nuove tecnologie dell’informazione
e comunicazione che pure possono
rappresentare un’opportunità
decisiva per la crescita della
nostra Provincia. È quindi in quest’ottica
integrata dello sviluppo che gli
scenari sulla domanda potenziale di
spazio formulati nell’ambito del
PTC andranno attentamente valutati.
1
I
dati del Censimento intermedio del
‘96 resi noti dall’ISTAT non
sono perfettamente sovrapponibili a
quelli relativi al Censimento del
1991. La diversa natura delle due
rilevazioni - quella del
Censimento del 1991 a carattere
esaustivo, riguardante cioè l’universo
delle imprese operanti sul
territorio nazionale e quella del
Censimento intermedio del 1996 di
natura campionaria - richiede
una notevole attenzione nell’interpretazione
dei dati.
2
In
questa categoria funzionale sono
ricomprese le reti di distribuzione
dei prodotti finali e di trasporto
di merci e persone, cioè: commercio
all’ingrosso ed intermediazione
mobiliare; trasporti e servizi
ausiliari; comunicazioni.
3
Tale
scenario non è stato quindi
formulato tanto a scopi "previsivi",
quanto programmatici, ovvero al fine
di quantificare la crescita
necessaria per portare, alla fine
del periodo considerato, i tassi di
disoccupazione provinciale sui
livelli obiettivo identificati.
4
Si
rammenta che nell’analisi
economica l’offerta sul mercato
del lavoro è rappresentata dalla
popolazione attiva (la forza
lavoro), ovvero da quella parte
della popolazione in età lavorativa
che si rende attivamente disponibile
ad accettare un occupazione.
5
La
stima della popolazione attiva al
2011 è stata ricalibrata per tener
conto della relazione esistente tra
l’andamento dell’occupazione e l’evoluzione
della popolazione in età lavorativa
e dell’offerta di lavoro.
6
Si
tenga presente che l’analisi delle
superfici occupate per addetto,
seppure condotta con riferimento ai
dati offerti ormai dall’ultimo
Censimento disponibile, ha comunque
consentito di osservare come consumo
di spazio risultasse, sia nelle
attività manifatturiere che nei
servizi, decisamente inferiore al
dato medio nazionale.
7
Si
tenga presente che si è assunto che
il processo di adeguamento della
dimensione delle superfici per
addetto proceda linearmente per
tutto il periodo 1991-2011. Le stime
al 1999 incorporano quindi già una
parte dell’incremento dei
fabbisogni di spazio che, qualora
non intervenuti, richiederebbero una
previsione di domanda di spazio per
il periodo 1998-2011 sensibilmente
superiore.
8
Al
momento delle elaborazioni è stato
utilizzato il dato medio nazionale
1999 pari all’11,4%.
9
Quanto
accaduto ad esempio nella vicina
Basilicata può essere considerata
una dimostrazione delle rilevanti
possibilità di crescita che i
sistemi di PMI presentano anche nel
Mezzogiorno.
10
Cfr.
in proposito quanto argomentato dal
CLES nel volume su "L’economia
turistica nella provincia di
Salerno".
11
Cfr.
in proposito le stime riportate nel
"Settimo Rapporto sul Turismo
Italiano".