Pianificazione
territoriale e urbanistica
Compito della
pianificazione territoriale e urbanistica è
regolare le trasformazioni del territorio,
per dare loro ordine e coerenza, attraverso
la definizione di un sistema di regole al
cui rispetto devono essere tenuti non solo i
soggetti privati, ma anche i soggetti
pubblici, quando esercitino il ruolo di
agenti delle trasformazioni1.
La regolazione delle
trasformazioni del territorio è obiettivo
di grande rilevanza politica, specie nel
momento in cui la pianificazione in quanto
tale è ripetutamente messa in discussione,
nell’euforia esasperatamente mercatistica
che pervade le schiere sempre più ampie
degli assertori della sua fine, cresciute
all’ombra del neoliberismo nostrano. L’impegno
riformatore della Sinistra in questo campo
(per la verità da molto tempo non evidente)
è a pieno titolo riprova della sua
capacità (anche questa oggi tutta da
dimostrare) di lavorare di nuovo a un
"progetto di società".
Il problema delle
risorse, di tutte le risorse attingibili dal
nostro pianeta, e oggi sempre più
forsennatamente consumate, è ormai
essenzialmente il problema del futuro: della
garanzia per le prossime generazioni di
poter fruire delle stesse risorse. È quindi
il problema della sostenibilità dello
sviluppo. Parlare di risorse significa
parlare di acqua, di aria, di suolo, ma
significa anche parlare di paesaggio, almeno
nell’accezione del termine data dalla
scuola della pianificazione ecologica del
territorio: quella di "sistema di
ecosistemi". In quest’ottica è
chiaro che la riduzione della biodiversità,
l’estinzione delle specie animali e l’alterazione
delle caratteristiche del paesaggio naturale
e di quello culturale sono esempi di
"consumo" di risorsa così come lo
sono l’esaurimento delle risorse idriche o
l’alterazione qualitativa della risorsa
atmosferica per effetto dei fenomeni diversi
di inquinamento. Lo sviluppo sostenibile è
sviluppo della libertà, di questa e delle
prossime generazioni, è libertà
sostenibile, come dice Amartya Sen2, nel
senso che sulla storia delle libertà
(economica, politica, sociale) si innesta la
questione ambientale. E l’unico modo per
permettersi uno sviluppo della libertà
(quindi uno sviluppo nell’equità, nella
pari opportunità per tutti i cittadini del
pianeta e per le stesse generazioni future
di fruire delle risorse rinnovabili, ma
esauribili), quindi uno sviluppo sostenibile
che non passi attraverso disuguaglianze e
coercizioni delle libertà (ovviamente a
danno dei più deboli) è poter disporre di
regole che consentano un uso razionale e
pianificato delle risorse.
La risorsa paesaggio è
utilizzata in maniera sostenibile se la sua
fruibilità è conservata per le generazioni
future. Non deve essere conservato il
paesaggio, come se si trattasse di un’entità
statica, capace di avere una vita senza
modificarsi continuamente; si tratta invece
di conservarne l’integrità fisica e l’identità
culturale, i caratteri fondamentali del suo
essere risorsa disponibile per il futuro.
Quindi non di conservare in senso stretto,
ma di puntare a uno sviluppo equilibrato,
che non comporti alcuna perdita delle
qualità intrinseche della risorsa
territorio; di puntare quindi alla qualità
dello sviluppo.
Articolazione dei livelli
di pianificazione
La molteplicità delle
implicazioni derivanti da ogni momento di
trasformazione e di sviluppo, la
complessità dei parametri che rappresentano
l’integrità fisica e l’identità
culturale del territorio, l’intreccio e la
sovrapposizione, nella valutazione degli
effetti delle trasformazioni del territorio,
di numerose settorialità, la necessità di
approcci interdisciplinari all’analisi dei
caratteri del territorio e del paesaggio,
hanno imposto storicamente l’articolazione
del processo di pianificazione secondo due
distinti schemi, che si sono
progressivamente arricchiti nel corso di
alcuni decenni:
- uno schema di
articolazione "verticale", tra
figure di pianificazione di diversa
estensione territoriale, generalmente
gerarchizzato: piani a scala vasta
(regionali, provinciali, comprensoriali),
piani comunali, piani particolareggiati;
- uno schema
"orizzontale", tra strumenti che
per ciascun livello di estensione coprono
aspetti diversi (talvolta neanche tanto)
delle relazioni tra intervento antropico e
territorio:
- a scala vasta:
piano territoriale regionale, piano
territoriale di coordinamento (provinciale),
piano del parco (aree protette), piano di
bacino (per la difesa del suolo), piano
paesistico;
- a scala
sub-comunale: piano particolareggiato; piano
di recupero urbano; piano di lottizzazione,
piano degli insediamenti produttivi (PIP),
piano di zona per l’edilizia economica e
popolare (PEEP), ecc.
La proliferazione delle
figure di pianificazione e l’affollamento
dei corrispondenti soggetti istituzionali
sono il miglior argomento dei nemici della
pianificazione. Del resto è fin troppo
facile parlare di fallimento della
pianificazione e dell’urbanistica in un
paese dove ci sono stati ben due condoni in
meno di dieci anni e dimostrare la
sostanziale inefficacia delle norme e dei
meccanismi con i quali, a partire dalla
legge urbanistica del 1942, si è preteso di
controllare lo sviluppo del territorio. Di
qui a sostenere la necessità di liberarsi
del tutto dall’inutile ingombro della
pianificazione il passo è breve, come
dimostra il recente "documento di
inquadramento delle politiche urbanistiche
comunali" del Comune di Milano. E a
considerare le stesse inefficaci e
disapplicate norme di tutela come iniqui
vincoli dai quali finalmente deve essere
giunta l’ora di sbarazzarsi attraverso l’ennesima
sanatoria universale, il passo deve essere
altrettanto breve e facile, come cerca di
mostrarci in questi giorni la giunta
regionale siciliana.
Ma si tratta, come spesso
succede quando le demagogie prevalgono sulla
ragionevolezza, del solito tentativo di
buttar via il bambino con l’acqua sporca.
È necessario invece
ridare efficacia alla pianificazione e al
controllo democratico dello sviluppo del
territorio, restituendo snellezza alle
procedure di formazione e approvazione degli
strumenti di pianificazione, eliminando
doppioni e sovrapposizioni di competenze,
adeguando i meccanismi di controllo
istituzionale, riarticolando la
distribuzione dei poteri tra organismi
statali e autonomie locali sulla base dei
più avanzati e ormai ampiamente condivisi
indirizzi federalistici.
Di tutto ciò dovrà
occuparsi l’ormai da tempo attesa legge
quadro, della quale sembra dovrà occuparsi
il prossimo parlamento. Ma prima ancora di
ciò deve occuparsi la Regione Campania, con
l’urgenza che le deriva dalla particolare
arretratezza e inefficacia del proprio
ordinamento normativo, nel solco delle
esperienze di riforma regionale della
materia che in più di un caso, in Lazio
come in Emilia, hanno consentito nei fatti
di innovare e sopravanzare, pur nei limiti
consentiti dalla normativa generale di
riferimento nazionale, lo stesso impianto
legislativo statale.
Articolazione dei poteri
Lo sviluppo e la tutela
di un territorio devono essere decisi da chi
vive in quel territorio e perciò lo conosce
meglio di chiunque altro. Il disegno dello
sviluppo del territorio e del paesaggio deve
essere perciò di competenza del Comune, nel
rispetto del principio di sussidiarietà.
Il potere dell’Autonomia
locale è limitato per due soli motivi:
- il territorio è
patrimonio non solo della comunità locale
che lo abita, né solo delle presenti
generazioni;
- alcune
problematiche dello sviluppo e della tutela
possono essere efficacemente affrontate solo
su una scala diversa da quella comunale.
Da ciò consegue:
la pianificazione del
territorio comunale deve essere effettuata
da ciascun Comune, che deve essere il
principale agente dell’attività di
controllo della conformità degli interventi
pubblici e privati alle prescrizioni di
piano;
la pianificazione deve
avvenire nel rispetto degli indirizzi e
delle prescrizioni stabilite nella
pianificazione territoriale di area vasta,
al fine di coordinare lo sviluppo dei
diversi territori comunali all’interno di
un progetto coerente di riassetto dell’intero
territorio provinciale;
la pianificazione
comunale deve uniformarsi agli strumenti di
pianificazione settoriale relativi a materie
di rilevanza sovracomunale (la difesa del
suolo e delle acque, la tutela dei beni
culturali, la mobilità intercomunale, i
distretti industriali, ecc.);
devono essere attivati
meccanismi certi e tempestivi di
sostituzione nel caso che i Comuni non
esercitino la loro competenza nei tempi
stabiliti o non rispettino gli indirizzi e
le prescrizioni di livello sovraordinato o
non garantiscano l’attuazione dei propri
strumenti di pianificazione.
Unicità della
pianificazione territoriale
Non c’è territorio
senza paesaggio, né paesaggio senza
territorio.
Non esiste quindi
pianificazione territoriale che non sia
anche paesistica.
A maggior ragione non c’è
bisogno di una pianificazione paesistica
diversa e separata dalla pianificazione
territoriale.
All’unificazione
"orizzontale" degli strumenti di
pianificazione deve corrispondere la
concentrazione delle competenze
istituzionali, affinché l’Amministrazione
pubblica eserciti, al fine di garantirne l’uso
sostenibile, un controllo delle
trasformazioni della risorsa territorio
dotato del massimo di efficacia e di rigore,
ma proprio per questo esente da
sovrapposizioni.
Le componenti della
pianificazione
La storia della
pianificazione urbanistica e territoriale
italiana degli ultimi decenni è anche
storia degli innumerevoli piani che hanno
impartito indirizzi largamente inattuati,
ovvero della pletora di strumenti di
programmazione e intervento (dalle varianti
di piano a quelli che Vezio De Lucia chiama
gli istituti eversori) con i quali in buona
sostanza sono state forzate, volta per
volta, le maglie ordite dal piano.
L’orientamento di
pensiero più evoluto richiede che la
pianificazione sappia nel contempo delineare
gli indirizzi strategici dello sviluppo
(senza per questo restare solo nebulosamente
e vagamente prescrittiva) e indicare le cose
concrete da affidare all’iniziativa
pubblica o privata per il recupero, la
riqualificazione e lo sviluppo del
territorio, precostituendo così essa stessa
il modello di un suo progressivo adattamento
al mutare delle condizioni oggettive dei
luoghi.
La pianificazione
urbanistica va perciò articolata in due
parti:
Una parte
"strutturale" che definisce le
trasformazioni del territorio compatibili
con la conservazione dell’integrità
fisica e dell’identità culturale, quindi
con il progetto di uso sostenibile della
risorsa territorio; che delinea, attraverso
norme precettive, le condizioni dell’intervento
di trasformazione; che richiede procedure di
formazione di maggiore garanzia
istituzionale;
Una parte
"programmatica" che definisce le
specifiche destinazioni d’uso, e le
trasformazione da attivare per iniziativa
pubblica e privata nel periodo di
svolgimento di una specifica esperienza di
governo di ciascuna realtà locale.
La parte programmatica
del piano generale può sostanziarsi o
completarsi in piani operativi quando le
trasformazioni previste richiedano ulteriori
elementi di specificazione e di dettaglio. I
piani operativi riassumono i diversi piani
attuativi o esecutivi tipizzati dalla legge
nazionale. "Spetterà alla
pianificazione generale precisare, in
aderenza alla concreta realtà dei diversi
territori e alle discipline dettate dalla
stessa pianificazione generale, i contenuti
e gli elementi costitutivi dello strumento
urbanistico di specificazione e di
dettaglio, in relazione alle diverse
fattispecie alle quali può applicarsi e
alle prestazioni richieste"3.
I piani territoriali a
scala vasta
L’elemento centrale
della pianificazione territoriale a scala
vasta è il PTC provinciale.
Il piano territoriale
regionale assume come proprie le previsioni
strutturali dei piani provinciali di
coordinamento e le adegua a propri indirizzi
generali di coordinamento per gli aspetti
relativi alla definizione degli assi
principali di sviluppo e delle linee
strategiche di governo del territorio
regionale (viabilità di livello regionale e
interregionale, individuazione dei
principali nodi di interscambio e di
intermodalità, definizione dei distretti
industriali, adeguamento alle linee dei
principali piani di settore regionali).
Il piano territoriale di
coordinamento provinciale definisce i
principali obiettivi ambientali, culturali e
socio-economici dello sviluppo e determina
le condizioni generali e gli indirizzi di
coordinamento delle pianificazioni urbane di
livello comunale. Individua e pianifica le
funzioni e le attività di trasformazione di
livello sovracomunale e si raccorda agli
strumenti della pianificazione territoriale
specialistica (piani dei parchi, piani di
bacino). Assume la valenza di piano
paesistico dell’intero territorio
provinciale.
Il piano territoriale di
coordinamento provinciale è strumento di
indirizzo e inquadramento, dotato però di
carattere precettivo per tutti, e solo,
quegli aspetti e oggetti che alla scala
sub-provinciale non siano governabili con
efficacia.
Il piano territoriale di
coordinamento provinciale è approvato dalla
Provincia sulla base dell’intesa raggiunta
in un’apposita conferenza di servizi
(conferenza territoriale), convocata dalla
Provincia stessa, alla quale partecipano
tutti i soggetti istituzionali sovracomunali
titolari di funzioni riguardanti la
regolazione dello sviluppo del territorio.
La conferenza esamina il piano e ne verifica
la coerenza con i vincoli e le disposizioni
vigenti, relative a beni culturali,
ambiente, difesa del suolo, protezione dei
rischi derivanti da calamità naturali.
I piani urbanistici
I piani urbanistici
comunali definiscono l’assetto del
territorio del Comune.
La componente strutturale
del piano urbanistico comunale ha validità
a tempo indeterminato.
La componente
programmatica, che può essere parte
integrante del piano urbanistico o può
essere rinviata ai piani operativi, ha la
durata di cinque anni.
Il meccanismo della
convenzione, applicabile tanto alle
lottizzazioni che a singole concessioni (nei
casi di non obbligatorietà del piano
operativo) garantisce una tutela avanzata
dell’integrità territoriale e nello
stesso tempo consente anche al singolo
cittadino modalità d’intervento oggi
precluse, orientate nel senso della
perequazione.
Le varianti ai piani
urbanistici sono approvate con le stesse
modalità dei piani.
I piani urbanistici
comunali sono redatti nel rispetto delle
norme precettive e degli indirizzi del piano
territoriale di coordinamento provinciale.
Essi vengono approvati dal Comune sulla base
dell’intesa raggiunta in un’apposita
conferenza di servizi (conferenza
urbanistica) convocata dal Comune stesso,
alla quale partecipano tutti i soggetti
istituzionali sovracomunali titolari di
funzioni riguardanti la regolazione dello
sviluppo del territorio. La conferenza
esamina il piano e ne verifica la coerenza
con le disposizioni del piano territoriale
di coordinamento provinciale, nonché con i
vincoli e le disposizioni vigenti relative a
beni culturali, ambiente, difesa del suolo,
protezione dei rischi derivanti da calamità
naturali.
Gli strumenti della
programmazione economica degli interventi
pubblici e pubblico/privati (PRUSST, patti
territoriali, ecc.) devono comunque essere
conformi alle disposizioni dei piani
urbanistici.
I piani operativi
I piani operativi
assumono la stessa valenza della componente
programmatica dei piani urbanistici, per
quelle aree per le quali il piano stesso
richiede la preventiva approvazione del
piano operativo.
I piani operativi sono
approvati dal Comune e non sono sottoposti
alla valutazione della conferenza di servizi
di cui al punto precedente.
I tempi della
pianificazione
La mancanza di certezza
sui tempi della pianificazione territoriale
e urbanistica è il secondo grande argomento
a favore dei nemici della pianificazione.
Una pianificazione senza tempi certi è come
la giustizia dei processi interminabili:
opprime senza garantire, è inefficace e
ingiusta.
I tempi medi della
pianificazione in Campania sono sempre
ultradecennali. Contribuiscono a ciò in
misura eguale:
- l’atteggiamento
non sempre convinto e coerente degli stessi
committenti della pianificazione urbanistica
(sono sempre numerosi i casi di inerzia, di
lentezza estenuante nella formazione degli
strumenti urbanistici e nell’adozione dei
relativi atti amministrativi, così come
sono numerosi e abbondantemente documentati
i casi di piani ipertrofici);
– l’inefficacia
delle azioni surrogatorie messe in atto in
caso di inerzia dei Comuni (di norma la
nomina dei commissari ad acta si traduce in
ulteriore stiramento dei tempi già
patologici del processo di pianificazione);
– l’incongruenza
e la pesantezza di meccanismi di controllo
sovraordinato (CTR, Provincia, Comunità
montana, Regione) che non di rado
determinano azioni di accanimento nei
confronti di ciò che dovrebbe rientrare
nell’autonomia decisionale della comunità
interessata;
– l’incapacità
di produrre strumenti coerenti e non
sovrapposti di pianificazione di area vasta.
L’urbanistica ha
bisogno di tempi certi per la redazione dei
piani, per la valutazione democratica di
osservazioni e opposizioni, per le
approvazioni. Scaduti i tempi fisiologici
occorre che siano attivati automaticamente
processi sostitutivi, nel pieno rispetto del
principio di sussidiarietà. Occorre inoltre
che le procedure di approvazione siano tutte
raggruppate in un unico procedimento, nella
forma della conferenza di servizi.
I meccanismi di controllo
Nella Campania si è
manifestata più che altrove, la pesantezza
del doppio sistema di controllo della
qualità degli interventi di trasformazione
del territorio. Un doppio sistema che
prevede l’azione contemporanea di
organismi statali e regionali deputati ad
esercitare azione tutoria sugli interventi
pubblici e privati. Un doppio sistema che
diventa triplo nelle aree protette e
quadruplo o quintuplo quando si considerino
gli organismi che presiedono alle diverse
forme della pianificazione territoriale
specialistica (Autorità di Bacino, Genio
Civile, Forestale, ecc.). Un doppio sistema
che costa il doppio o il triplo al
contribuente senza garantire affatto la
qualità dello sviluppo.
Che tuttavia continua ad
essere "ideologicamente"
giustificato proprio dalla ridicola
interpretazione della gestione dei poteri di
controllo assunta da questa Regione con la
costituzione delle commissioni edilizie
comunali integrate.
Una Regione che esercita
il potere delegato dallo Stato sulla tutela
dei valori paesistici in maniera autorevole
ed efficace, rende assai meno significativa
e assai meno sostenibile la presenza
occhiuta, e a sua volta normalmente
inefficace delle Soprintendenze.
L’approvazione dei
piani territoriali di coordinamento, che
sono piani paesistici, ma non più a pelle
di leopardo, è motivo di acquisizione di
efficacia ed autorevolezza da parte della
Regione.
Il doppio binario
La necessità di un
approccio ampio ed evoluto alla problematica
della pianificazione urbanistica, nel solco
aperto dal dibattito e dalle recenti
proposte di legge nazionale, non impedisce
che contestualmente si operi per una
modifica urgente di alcune norme della
legislazione preesistente, in particolare
della legge regionale 14/1982, al fine di
colmare evidenti lacune procedurali e di
ridare comunque impulso ad una azione di
pianificazione a scala comunale
sostanzialmente bloccata da lungo tempo.
Le azioni principali
riguardano:
– procedure di
approvazione dei piani territoriali di
coordinamento provinciali;
– normazione dei
cambi di destinazione e d’uso;
– unificazione
delle procedure di rilascio delle singole
concessioni attraverso l’estensione e
specificazione della procedura della
conferenza di servizi.
1 Cfr. Luigi Scano: Il
governo pubblico del territorio e la
qualità sociale. Atti del convegno
"Crisi della pianificazione o crisi dei
pubblici poteri?" – Eboli, 14
ottobre 2000.
2 Amartya Sen: Lo
sviluppo è libertà – Milano,
2000
3 Luigi Scano: Il
governo pubblico del territorio e la
qualità sociale. Atti del convegno
"Crisi della pianificazione o crisi dei
pubblici poteri?" – Eboli, 14
ottobre 2000.