Numero 1/2 - 2000

 
 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

In transito verso il nulla


Luigi Scano


La "bozza di transito  per il preliminare di PUT" comincia ad essere oggetto di discussione fra gli specialisti e gli addetti alla pianificazione di area vasta in Campania. Critico il giudizio di Luigi Scano, consulente della Provincia di Salerno per la redazione del PTC, che trova contraddittoria la compresenza nel documento di precetti, sia normativi sia pianificatori, e di procedure solo enunciate, di cui non si prefigurano i meccanismi di funzionamento operativi 

 

 

 

 

 

L’"oggetto"

 

Dalla fine di luglio di quest’anno circola nelle province campane un "oggetto", prodotto dall’assessorato regionale all’urbanistica, di assai difficile identificazione.

Fin dalla titolazione si appalesa la sua incerta identità. È infatti denominato, nella prima pagina di copertina e nell’intestazione comparente nella medesima pagina (oltreché in tutte le successive), con due espressioni: "Bozza preliminare del quadro di riferimento territoriale per la redazione del piano urbanistico territoriale della Campania" e "Bozza di transito per il preliminare di piano urbanistico territoriale". E nei testi che la compongono è denominata, di volta in volta, con i più diversi lacerti delle espressioni ora riportate. Il che non sarebbe particolarmente grave se non fosse che l’ignorare la natura dell’"oggetto" (lo schema di un lavoro in fieri? la fase di un lavoro in progress? frammenti di un puzzle a diversi livelli di finitezza?) imbarazza assai nell’esprimere giudizi sullo stesso.

A ogni buon conto, nella sua parte denominata "relazione" si afferma, a un certo punto, che "la struttura del piano urbanistico territoriale è formata da un testo di legge con il quale il consiglio regionale assume il piano urbanistico territoriale e dal testo della normativa che potrà essere variato con provvedimento deliberativo del consiglio stesso, su proposta della giunta".

Poiché un’altra componente dell’"oggetto" è intitolata "normativa", si può immaginare che tale componente corrisponda a quella egualmente denominata nel passo ora riportato, che sarebbe inizialmente approvata quale allegato a una legge regionale la quale ultima dovrebbe limitarsi a conferirgli efficacia, e a stabilirne la modificabilità con l’ordinario procedimento amministrativo della deliberazione. Se così fosse, ci sarebbe da chiedersi perché dare luogo a un siffatto anomalo meccanismo procedimentale, invece di definire con legge regionale i procedimenti formativi (tutti amministrativi) degli strumenti di pianificazione regionali, e procedere quindi a formare, conformemente a essi, il primo piano urbanistico territoriale regionale. Forse perché, in tal caso, avrebbe fatto scandalo il definire dei moduli procedimentali, quali quelli ipotizzati, che escludono in ogni caso un confronto dialettico formalizzato (tramite la presentazione di osservazioni e l’obbligo di controdedurre alle stesse) con l’universalità dei cittadini, e con le loro forme organizzative.

Ma v’è un altro problema, ancora più rilevante: alcuni dei contenuti della "normativa" riguardano argomenti per i quali si deve ritenere vi sia "riserva di legge" (regionale). Si pensi alle disposizioni con cui si intende definire le procedure di formazione dei piani territoriali provinciali, a quelle con cui si intende conferire diversificate efficacie agli strumenti di pianificazione ai diversi livelli, a quelle che intendono dare corso alle possibilità di intese tra i titolari della pianificazione "ordinaria" e i titolari di pianificazioni "specialistiche", ai sensi dell’art. 57 del DLgs 112/1998. Per non parlare di quelle che pretendono di modificare vigenti disposizioni di legge! Anche ignorando queste ultime disposizioni, non si può non convenire che quelle che, comunque, attengono argomenti per i quali v’è "riserva di legge" non possono essere né poste né modificate con semplici provvedimenti amministrativi.

In estrema sintesi: l’elaborazione denominata "normativa" è un intricato assieme di precetti (si fa per dire, per molti di essi!) che tipicamente sono (e devono essere) espressi con la "forma di legge" e di precetti che tipicamente sono di natura "pianificatoria" (anche in quanto in relazione biunivoca con elementi territoriali, o loro categorie), e che altrettanto tipicamente sono di norma (e dovrebbero essere) espressi mediante provvedimenti amministrativi.

Se ne proseguirà comunque la disamina.

 

Valenza dello strumento e delle sue norme

 

Viene affermato (art. 1, comma 2) che il piano urbanistico territoriale ha, tra l’altro, le medesime finalità dei piani territoriali paesistici, ai sensi del comma 1 dell’art. 149 del DLgs 490/1999 ("Testo unico delle disposizioni legislative in materia di beni culturali e ambientali"), per cui con la sua formazione la Regione Campania assolverebbe all’obbligo posto dalla citata disposizione di legge. Ed è specificato (art. 1, comma 11) che tale valenza è esplicata in particolare relativamente: alle componenti territoriali sottoposte al cosiddetto "vincolo paesaggistico" ope legis, alle cosiddette "vaste località" sottoposte al medesimo "vincolo" con provvedimenti amministrativi, ai parchi e alle riserve naturali e alle relative aree contigue (che per il vero sono già tutte comprese nella prima categoria), alle aree disciplinate da piani territoriali paesistici approvati con decreti ministeriali (che ragionevolmente coincidono con aree rientranti nelle precedenti categorie), alle aree sottoposte a vincolo temporaneo di totale immodificabilità con i decreti ministeriali fatti salvi dall’art. 1- quinquies del decreto legge 312/1985, convertito nella legge 431/1985 (che sono al contempo da considerare ordinariamente "vincolate" con provvedimento amministrativo, per cui rientrano nella seconda categoria).

Si precisa (art. 2, comma 2) che le disposizioni del piano si distinguono in "prescrizioni vincolanti di tutela paesistico-ambientale", "prescrizioni vincolanti di prevenzione dei rischi di danno ambientale", "prescrizioni che richiedono adeguamenti dei piani sottordinati", "indirizzi e direttive alla pianificazione". E viene precisato (art. 2, comma 3) che le "prescrizioni vincolanti" sono "immediatamente prevalenti sugli strumenti urbanistici e su loro eventuali varianti". Ottimamente, verrebbe da dire: si assume un orientamento, in ordine alla possibile efficacia dei piani territoriali regionali, e in genere sovracomunali, già fatto proprio dalle più mature ed efficaci legislazioni regionali in materia, e ripetutamente riconosciuto perfettamente legittimo dalla Corte costituzionale.

Ma subito nasce qualche perplessità, giacché si apprende (art. 5, comma 1) che gli elaborati grafici del piano urbanistico territoriale sono redatti in scala 1:100.000, cioè in una scala assolutamente inidonea all’individuazione di componenti ed elementi territoriali ai quali applicare disposizioni immediatamente precettive e direttamente operative.

Dopodiché inizia la faticosa ricerca delle "prescrizioni vincolanti", ovvero il tentativo di sceverarle nel complesso delle disposizioni della "normativa".

Non sembrano essere tali quelle relative alle "risorse della naturalità" (art. 7) che elencano una lunga serie di "aree naturali protette" (buona parte delle quali rientranti tra le componenti territoriali sottoposte al cosiddetto "vincolo paesaggistico" ope legis), e indicano mediante quali, diversi, strumenti di pianificazione debbono essere disciplinate e tutelate. Preoccupandosi peraltro di stabilire che "in via eccezionale la giunta regionale può deliberare in deroga a quanto stabilito nei piani [...] [relativi alle predette "aree naturali protette"] la localizzazione di specifici interventi esclusivamente pubblici per i quali sia adeguatamente motivata la particolare rilevanza sociale con esclusione di impianti che arrecano danni ambientali e comunque per interventi ecocompatibili". Naturalmente, giudice unico della "ecocompatibilità", e comunque della non dannosità ambientale (ma il recare "danni ambientali" non dovrebbe essere precluso sempre e dovunque?), sarebbe la medesima giunta regionale. La disposizione è, ad ogni buon conto, incommentabile: si può soltanto far presente che essa, con riferimento almeno alle "aree naturali protette" di rilevanza nazionale sarebbe anche formalmente illegittima.

Non sembrano essere "prescrizioni vincolanti" le disposizioni relative alle "aree di preminente interesse paesaggistico e storico testimoniale" (art. 8), le quali aree corrispondono soltanto in parte (chissà perché) alle componenti e agli elementi territoriali per i quali il piano dovrebbe avere efficacia di piano territoriale paesistico, e le quali disposizioni consistono nell’enunciazione di genericissime (e pessimamente espresse) finalità, la qual cosa non impedisce che parte delle stesse possa essere del tutto incongrua rispetto a talune delle componenti e degli elementi territoriali indifferenziatamente cacciati in un unico "canestro": basti pensare al "potenziamento e al completamento di strutture di servizio, di commercio, di supporto al turismo, di ricettività a rotazione d’uso e di infrastrutture", che non sembra proprio vadano perseguiti, a esempio, lungo la riva del mare e dei fiumi, o sui crinali montani.

Si può riconoscere che siano "prescrizioni vincolanti" quelle esattamente così denominate e riferite alla "tutela paesistico-ambientale" (epigrafe dell’art. 10). Esse si traducono in una serie di divieti (art. 10, comma 1) che potrebbero considerarsi immediatamente precettivi e operativi; peccato che non si capisca quali siano "i [sic!] componenti strutturanti del paesaggio campano" per i quali dovrebbero valere, e che un’attenta lettura porta a ritenerli straordinariamente aderenti ai caratteri di alcune di tali ipotizzabili componenti, quanto estranee ai caratteri di altre. E si traducono altresì (art. 10, comma 2) in tipiche direttive rivolte alla pianificazione provinciale, a quella comunale, e agli eventuali interventi pianificatori regionali di maggiore specificazione: con tutta evidenza, non si tratta di disposizioni che possano essere "immediatamente prevalenti sugli strumenti urbanistici e su loro eventuali varianti", per l’ottima ragione che espressamente richiedono di essere mediate da (e in) altri strumenti di pianificazione.

A ogni buon conto, è stabilito (art. 4, comma 4) che "pareri, intese o accordi per la valorizzazione di opere o interventi pubblici che comportino variazioni delle prescrizioni vincolanti di tutela e di salvaguardia sono ammissibili", solo che siano preceduti dagli "aggiornamenti conoscitivi delle mutate condizioni territoriali e ambientali", nonché da una "verifica della compatibilità ambientale" condotta secondo "la procedura di valutazione ambientale strategica" (che per ora nessuno sa che cosa sia).

 

Tutto rinviato

 

In realtà, si prevede che ogni determinazione reale sia demandata a successivi interventi pianificatori, che, è detto (art. 3, comma 1), devono "attuare" il piano di cui qui si tratta.

Vengono elencati: i "piani di dettaglio a valenza paesistica", i "piani di dettaglio o di attuazione per particolari e complesse problematiche territoriali", i piani territoriali provinciali, "ogni altro strumento di pianificazione territoriale o di programmazione avente implicazione territoriale, previsto da leggi statali e regionali" (quindi, presumibilmente, i "programmi integrati di intervento", i "programmi di recupero urbano", i "programmi di riqualificazione urbana", i "programmi di riqualificazione urbana e di sviluppo sostenibile del territorio", e forse anche gli "accordi di programma quadro", i "patti territoriali" e i "contratti di area"), e infine le "direttive di indirizzo" da emanarsi dal consiglio regionale. Queste ultime sono configurate (art. 4, commi 1, 2 e 3) come veri e propri strumenti di pianificazione. Peraltro si prevede che possano riferirsi all’intero territorio regionale, allorquando, invece, non si riferiscano a "delimitate aree", cioè a "finestre cartografiche".

Le "finestre cartografiche" sono una delle rilevanti innovazioni (almeno terminologiche) dell’"oggetto" di cui si sta trattando, e danno luogo a un’altra invenzione: i "piani di finestra" (art. 9, comma 2). I quali, si badi bene, non coincidono (o non coincidono necessariamente) con le "direttive di indirizzo" riferite a "delimitate aree", né con i "piani di dettaglio a valenza paesistica", né con i "piani di dettaglio o di attuazione per particolari e complesse problematiche territoriali". Almeno con le ultime due categorie di "piani" hanno però in comune una caratteristica: non si capisce, né si riesce a desumere, attraverso quali procedure debbano essere formati. Si dice però (art. 9, comma 2) che possono essere formati, oltre che dalla regione, anche dalle province, nel qual caso costituiscono variante del piano territoriale di coordinamento provinciale (misteriosa e imperscrutabile essendone la ragione). Le quali province sono tenute (art. 6, comma 1) a prevedere che i rispettivi piani territoriali di coordinamento si attuino, praticamente dappertutto, tramite "progetti o programmi integrati".

 

Tirando le somme

 

Altro ancora si potrebbe raccontare, e commentare. Ma ne vale la pena? certamente no.

Anche perché non indurrebbe a mutare il giudizio complessivo relativo all’"oggetto" sulla natura della quale ci si interrogava all’inizio di questo scritto.

Né a modificare l’auspicio che sia sollecitamente quanto silenziosamente accantonato, a favore dell’avvio, su tutt’altre basi, di un’effettiva ed efficace attività regionale di produzione legislativa in materia di urbanistica, e di formazione di strumenti di pianificazione.

 

 

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