L’"oggetto"
Dalla fine di luglio di
quest’anno circola nelle province campane
un "oggetto", prodotto dall’assessorato
regionale all’urbanistica, di assai
difficile identificazione.
Fin dalla titolazione si
appalesa la sua incerta identità. È
infatti denominato, nella prima pagina di
copertina e nell’intestazione comparente
nella medesima pagina (oltreché in tutte le
successive), con due espressioni:
"Bozza preliminare del quadro di
riferimento territoriale per la redazione
del piano urbanistico territoriale della
Campania" e "Bozza di transito per
il preliminare di piano urbanistico
territoriale". E nei testi che la
compongono è denominata, di volta in volta,
con i più diversi lacerti delle espressioni
ora riportate. Il che non sarebbe
particolarmente grave se non fosse che l’ignorare
la natura dell’"oggetto" (lo
schema di un lavoro in fieri? la fase
di un lavoro in progress? frammenti
di un puzzle a diversi livelli di
finitezza?) imbarazza assai nell’esprimere
giudizi sullo stesso.
A ogni buon conto, nella
sua parte denominata "relazione"
si afferma, a un certo punto, che "la
struttura del piano urbanistico territoriale
è formata da un testo di legge con il quale
il consiglio regionale assume il piano
urbanistico territoriale e dal testo della
normativa che potrà essere variato con
provvedimento deliberativo del consiglio
stesso, su proposta della giunta".
Poiché un’altra
componente dell’"oggetto" è
intitolata "normativa", si può
immaginare che tale componente corrisponda a
quella egualmente denominata nel passo ora
riportato, che sarebbe inizialmente
approvata quale allegato a una legge
regionale la quale ultima dovrebbe limitarsi
a conferirgli efficacia, e a stabilirne la
modificabilità con l’ordinario
procedimento amministrativo della
deliberazione. Se così fosse, ci sarebbe da
chiedersi perché dare luogo a un siffatto
anomalo meccanismo procedimentale, invece di
definire con legge regionale i procedimenti
formativi (tutti amministrativi) degli
strumenti di pianificazione regionali, e
procedere quindi a formare, conformemente a
essi, il primo piano urbanistico
territoriale regionale. Forse perché, in
tal caso, avrebbe fatto scandalo il definire
dei moduli procedimentali, quali quelli
ipotizzati, che escludono in ogni caso un
confronto dialettico formalizzato (tramite
la presentazione di osservazioni e l’obbligo
di controdedurre alle stesse) con l’universalità
dei cittadini, e con le loro forme
organizzative.
Ma v’è un altro
problema, ancora più rilevante: alcuni dei
contenuti della "normativa"
riguardano argomenti per i quali si deve
ritenere vi sia "riserva di legge"
(regionale). Si pensi alle disposizioni con
cui si intende definire le procedure di
formazione dei piani territoriali
provinciali, a quelle con cui si intende
conferire diversificate efficacie agli
strumenti di pianificazione ai diversi
livelli, a quelle che intendono dare corso
alle possibilità di intese tra i titolari
della pianificazione "ordinaria" e
i titolari di pianificazioni
"specialistiche", ai sensi dell’art.
57 del DLgs 112/1998. Per non parlare di
quelle che pretendono di modificare vigenti
disposizioni di legge! Anche ignorando
queste ultime disposizioni, non si può non
convenire che quelle che, comunque,
attengono argomenti per i quali v’è
"riserva di legge" non possono
essere né poste né modificate con semplici
provvedimenti amministrativi.
In estrema sintesi: l’elaborazione
denominata "normativa" è un
intricato assieme di precetti (si fa per
dire, per molti di essi!) che tipicamente
sono (e devono essere) espressi con la
"forma di legge" e di precetti che
tipicamente sono di natura "pianificatoria"
(anche in quanto in relazione biunivoca con
elementi territoriali, o loro categorie), e
che altrettanto tipicamente sono di norma (e
dovrebbero essere) espressi mediante
provvedimenti amministrativi.
Se ne proseguirà
comunque la disamina.
Valenza dello strumento e
delle sue norme
Viene affermato (art. 1,
comma 2) che il piano urbanistico
territoriale ha, tra l’altro, le medesime
finalità dei piani territoriali paesistici,
ai sensi del comma 1 dell’art. 149 del
DLgs 490/1999 ("Testo unico delle
disposizioni legislative in materia di beni
culturali e ambientali"), per cui con
la sua formazione la Regione Campania
assolverebbe all’obbligo posto dalla
citata disposizione di legge. Ed è
specificato (art. 1, comma 11) che tale
valenza è esplicata in particolare
relativamente: alle componenti territoriali
sottoposte al cosiddetto "vincolo
paesaggistico" ope legis, alle
cosiddette "vaste località"
sottoposte al medesimo "vincolo"
con provvedimenti amministrativi, ai parchi
e alle riserve naturali e alle relative aree
contigue (che per il vero sono già tutte
comprese nella prima categoria), alle aree
disciplinate da piani territoriali
paesistici approvati con decreti
ministeriali (che ragionevolmente coincidono
con aree rientranti nelle precedenti
categorie), alle aree sottoposte a vincolo
temporaneo di totale immodificabilità con i
decreti ministeriali fatti salvi dall’art.
1- quinquies del decreto legge
312/1985, convertito nella legge 431/1985
(che sono al contempo da considerare
ordinariamente "vincolate" con
provvedimento amministrativo, per cui
rientrano nella seconda categoria).
Si precisa (art. 2, comma
2) che le disposizioni del piano si
distinguono in "prescrizioni vincolanti
di tutela paesistico-ambientale",
"prescrizioni vincolanti di prevenzione
dei rischi di danno ambientale",
"prescrizioni che richiedono
adeguamenti dei piani sottordinati",
"indirizzi e direttive alla
pianificazione". E viene precisato
(art. 2, comma 3) che le "prescrizioni
vincolanti" sono "immediatamente
prevalenti sugli strumenti urbanistici e su
loro eventuali varianti". Ottimamente,
verrebbe da dire: si assume un orientamento,
in ordine alla possibile efficacia dei piani
territoriali regionali, e in genere
sovracomunali, già fatto proprio dalle più
mature ed efficaci legislazioni regionali in
materia, e ripetutamente riconosciuto
perfettamente legittimo dalla Corte
costituzionale.
Ma subito nasce qualche
perplessità, giacché si apprende (art. 5,
comma 1) che gli elaborati grafici del piano
urbanistico territoriale sono redatti in
scala 1:100.000, cioè in una scala
assolutamente inidonea all’individuazione
di componenti ed elementi territoriali ai
quali applicare disposizioni immediatamente
precettive e direttamente operative.
Dopodiché inizia la
faticosa ricerca delle "prescrizioni
vincolanti", ovvero il tentativo di
sceverarle nel complesso delle disposizioni
della "normativa".
Non sembrano essere tali
quelle relative alle "risorse della
naturalità" (art. 7) che elencano una
lunga serie di "aree naturali
protette" (buona parte delle quali
rientranti tra le componenti territoriali
sottoposte al cosiddetto "vincolo
paesaggistico" ope legis), e
indicano mediante quali, diversi, strumenti
di pianificazione debbono essere
disciplinate e tutelate. Preoccupandosi
peraltro di stabilire che "in via
eccezionale la giunta regionale può
deliberare in deroga a quanto stabilito nei
piani [...] [relativi alle predette
"aree naturali protette"] la
localizzazione di specifici interventi
esclusivamente pubblici per i quali sia
adeguatamente motivata la particolare
rilevanza sociale con esclusione di impianti
che arrecano danni ambientali e comunque per
interventi ecocompatibili".
Naturalmente, giudice unico della "ecocompatibilità",
e comunque della non dannosità ambientale
(ma il recare "danni ambientali"
non dovrebbe essere precluso sempre e
dovunque?), sarebbe la medesima giunta
regionale. La disposizione è, ad ogni buon
conto, incommentabile: si può soltanto far
presente che essa, con riferimento almeno
alle "aree naturali protette" di
rilevanza nazionale sarebbe anche
formalmente illegittima.
Non sembrano essere
"prescrizioni vincolanti" le
disposizioni relative alle "aree di
preminente interesse paesaggistico e storico
testimoniale" (art. 8), le quali aree
corrispondono soltanto in parte (chissà
perché) alle componenti e agli elementi
territoriali per i quali il piano dovrebbe
avere efficacia di piano territoriale
paesistico, e le quali disposizioni
consistono nell’enunciazione di
genericissime (e pessimamente espresse)
finalità, la qual cosa non impedisce che
parte delle stesse possa essere del tutto
incongrua rispetto a talune delle componenti
e degli elementi territoriali
indifferenziatamente cacciati in un unico
"canestro": basti pensare al
"potenziamento e al completamento di
strutture di servizio, di commercio, di
supporto al turismo, di ricettività a
rotazione d’uso e di infrastrutture",
che non sembra proprio vadano perseguiti, a
esempio, lungo la riva del mare e dei fiumi,
o sui crinali montani.
Si può riconoscere che
siano "prescrizioni vincolanti"
quelle esattamente così denominate e
riferite alla "tutela
paesistico-ambientale" (epigrafe dell’art.
10). Esse si traducono in una serie di
divieti (art. 10, comma 1) che potrebbero
considerarsi immediatamente precettivi e
operativi; peccato che non si capisca quali
siano "i [sic!] componenti strutturanti
del paesaggio campano" per i quali
dovrebbero valere, e che un’attenta
lettura porta a ritenerli straordinariamente
aderenti ai caratteri di alcune di tali
ipotizzabili componenti, quanto estranee ai
caratteri di altre. E si traducono altresì
(art. 10, comma 2) in tipiche direttive
rivolte alla pianificazione provinciale, a
quella comunale, e agli eventuali interventi
pianificatori regionali di maggiore
specificazione: con tutta evidenza, non si
tratta di disposizioni che possano essere
"immediatamente prevalenti sugli
strumenti urbanistici e su loro eventuali
varianti", per l’ottima ragione che
espressamente richiedono di essere mediate
da (e in) altri strumenti di pianificazione.
A ogni buon conto, è
stabilito (art. 4, comma 4) che
"pareri, intese o accordi per la
valorizzazione di opere o interventi
pubblici che comportino variazioni delle
prescrizioni vincolanti di tutela e di
salvaguardia sono ammissibili", solo
che siano preceduti dagli
"aggiornamenti conoscitivi delle mutate
condizioni territoriali e ambientali",
nonché da una "verifica della
compatibilità ambientale" condotta
secondo "la procedura di valutazione
ambientale strategica" (che per ora
nessuno sa che cosa sia).
Tutto rinviato
In realtà, si prevede
che ogni determinazione reale sia demandata
a successivi interventi pianificatori, che,
è detto (art. 3, comma 1), devono
"attuare" il piano di cui qui si
tratta.
Vengono elencati: i
"piani di dettaglio a valenza
paesistica", i "piani di dettaglio
o di attuazione per particolari e complesse
problematiche territoriali", i piani
territoriali provinciali, "ogni altro
strumento di pianificazione territoriale o
di programmazione avente implicazione
territoriale, previsto da leggi statali e
regionali" (quindi, presumibilmente, i
"programmi integrati di
intervento", i "programmi di
recupero urbano", i "programmi di
riqualificazione urbana", i
"programmi di riqualificazione urbana e
di sviluppo sostenibile del
territorio", e forse anche gli
"accordi di programma quadro", i
"patti territoriali" e i
"contratti di area"), e infine le
"direttive di indirizzo" da
emanarsi dal consiglio regionale. Queste
ultime sono configurate (art. 4, commi 1, 2
e 3) come veri e propri strumenti di
pianificazione. Peraltro si prevede che
possano riferirsi all’intero territorio
regionale, allorquando, invece, non si
riferiscano a "delimitate aree",
cioè a "finestre cartografiche".
Le "finestre
cartografiche" sono una delle rilevanti
innovazioni (almeno terminologiche) dell’"oggetto"
di cui si sta trattando, e danno luogo a un’altra
invenzione: i "piani di finestra"
(art. 9, comma 2). I quali, si badi bene,
non coincidono (o non coincidono
necessariamente) con le "direttive di
indirizzo" riferite a "delimitate
aree", né con i "piani di
dettaglio a valenza paesistica", né
con i "piani di dettaglio o di
attuazione per particolari e complesse
problematiche territoriali". Almeno con
le ultime due categorie di "piani"
hanno però in comune una caratteristica:
non si capisce, né si riesce a desumere,
attraverso quali procedure debbano essere
formati. Si dice però (art. 9, comma 2) che
possono essere formati, oltre che dalla
regione, anche dalle province, nel qual caso
costituiscono variante del piano
territoriale di coordinamento provinciale
(misteriosa e imperscrutabile essendone la
ragione). Le quali province sono tenute
(art. 6, comma 1) a prevedere che i
rispettivi piani territoriali di
coordinamento si attuino, praticamente
dappertutto, tramite "progetti o
programmi integrati".
Tirando le somme
Altro ancora si potrebbe
raccontare, e commentare. Ma ne vale la
pena? certamente no.
Anche perché non
indurrebbe a mutare il giudizio complessivo
relativo all’"oggetto" sulla
natura della quale ci si interrogava all’inizio
di questo scritto.
Né a modificare l’auspicio
che sia sollecitamente quanto
silenziosamente accantonato, a favore dell’avvio,
su tutt’altre basi, di un’effettiva ed
efficace attività regionale di produzione
legislativa in materia di urbanistica, e di
formazione di strumenti di pianificazione.