Nota introduttiva
Il presente elaborato ha
la funzione di materiale di lavoro per
consentire all’istituzione regionale di
aprire, o riaprire e approfondire il tavolo
di lavoro con le province che, nel corso del
’98 diede impulso all’attività di
piano.
È costituito da una
bozza di relazione, una bozza di normativa e
una bozza manuale di stralci grafici,
essenziali per la formazione del quadro di
riferimento da completarsi come strumento
utile per accelerare i piani delle province
e dei comuni.
Se il tavolo di lavoro
sarà proficuo, si potrà presto completare
il lavoro costituendo il quadro con misure
pertinenti ai problemi sul tappeto.
Di fatto l’apparente
complessità del piano si dipana in due
aspetti, e facce della medaglia:
- la costruzione
della strategia dell’offerta di idoneità
funzionale del territorio
- la ricostruzione
dell’identità storica-culturale intorno
ai valori del patrimonio.
Il fatto che questi
obiettivi si possano comporre anche
attraverso la convergenza delle misure
contenute nel POR Campania 2000-2006 non è
un caso, ed è una coincidenza fortunata,
affinché possa partire con il 2001 una
azione combinata degli Enti locali più
incisiva e consapevole.
La bozza di normativa,
che prevede e si affida a un sistema di
procedure di intesa, nella scia della
programmazione negoziata, tenta di risolvere
il problema e il nodo della scala
intermedia.
Oggi c’è una
frammentazione tra il livello regionale e
quello degli interventi diretti alla spesa.
I documenti regionali si muovono a grande
scala, i progetti che vengono proposti e
finanziati con accordi di programma sono a
piccola scala e spesso si inceppano.
Da un lato si prefigurano
scenari di piano che stentano a decollare,
dall’altro, di fronte alla necessità di
realizzare opere, si procede con valutazione
di impatto ambientale avulsa da un quadro di
riferimento. La riflessione cui si esorta
con il presente elaborato è quella di
concordare la chiusura di un circolo che
trovi la coerenza tra promozione,
coordinamento e controllo delle azioni di
piano a ogni livello istituzionale.
La cartografia definitiva
del piano verrà fondata sulla carta
tematica di base della Regione,
georeferenziata, e digitalizzata su copia
raster masterizzata.
La cartografia
transitoria, usata per il presente elaborato
esemplificativo, ha valore puramente
informativo ed è in parte su programma
autocad in dotazione, in parte integrata
manualmente.
Le analisi e i tematismi
sinteticamente riportati nella cartografia
sono desunti da materiale in possesso degli
uffici, prodotti da precedenti studi e
analisi sui beni naturalistici e paesistici,
in varie occasioni istituzionali.
omissis
Metodologia di lavoro
Il lavoro svolto secondo
l’incarico ricevuto dalla GR ha impostato
la redazione del PUT come aggiornamento del
quadro di riferimento, come correttivo delle
cause di danno, come coerenza tra vincoli di
PTP e vincoli di difesa dei Parchi e Riserve
Naturali, come completamento delle misure di
tutela, siti bioitaly e corridoi ecologici,
tenuto conto del Testo Unico DLgs n. 490/99.
Le categorie individuate
e selezionate sono riferite a una scala di
tematismi:
Geomorfologico e
idrogeologico – crisi e riduzione del
rischio (secondo i programmi delle Autorità
di Bacino), Botanico vegetazionale –
risorse naturalistiche, Storico culturale
– patrimonio.
Quando le norme di tutela
assumono funzione di orientamento per gli
Enti Locali, demandano a Province e a Comuni
non la pedissequa applicazione, ma la
specificazione e l’approfondimento di
dettaglio delle misure di conservazione e di
valorizzazione.
In sostanza, guardando al
quadro comunitario di sostegno per l’uso
finalizzato dei fondi strutturali, POR
Campania Agenda 2000, e anche allo schema di
sviluppo dello spazio europeo, il PUT si fa
carico semplicemente di indicare le grandi
categorie di risorse, secondo una scala di
valori, insieme alle regole della
conservazione e della trasformabilità,
consentendo ad altri tavoli e ad altri
soggetti di formulare e precisare le
politiche di sostegno agli usi sostenibili o
anche compatibili delle medesime risorse.
Alcune norme del PUT si
presentano quindi, come norme relazionali,
utili a regolare i rapporti tra politiche
dei parchi, politiche di difesa
idrogeologica e politiche produttive di
sviluppo nei vari settori. La cifra
unificante di tali norme è la tutela
orientata alla sostenibilità.
Questo è un principio di
indirizzo che genera regole essenziali, o si
traduce in regole essenziali, sulle quali
appoggiano anche regole non essenziali che
costituiscono lo spazio di applicabilità da
parte degli Enti Locali, accanto ovviamente
allo spazio contrattato delle intese
previste dalla legge.
Per meglio chiarire, i
Comuni con i piani regolatori o con le
figure pianificatorie di attuazione, alla
fine progetti urbani, progetti di
riqualificazione, come PRUSST ecc. ne fanno
una applicazione non pedissequa, ferme
restando la regola generale e la finalità
di indirizzo.
La Regione, con il PUT,
nel rispetto anche del quadro legislativo
regionale, individua i beni con la scala dei
valori, fissa le regole di base della tutela
e della conservazione, o della
trasformabilità secondo gradi scalari, e
offre agli Enti Locali ulteriori regole tra
le quali scegliere.
Questo è il senso di una
lettura non sistemica, ma relazionale, per
cui si fissano poche regole forti e si evita
la logica operazionale, che, nei precedenti
piani (PUT e PTP) spingeva al pedissequo e
banale adeguamento dello strumento comunale
al piano sovraordinato.
Il meccanico automatismo
preteso da quella concezione non ha sortito
che contraddizioni. L’esperienza ha
dimostrato che fondare i piani su modelli
percettivi o funzionali va bene per piccoli
campi di fenomeni circoscritti e parziali e
che tendere alla stabilità mediante regole
durevoli funziona su segmenti di realtà a
stati finiti, non funziona su sistemi
complessi che sfuggono alla predittività
del piano che pretende aspirare a un
equilibrio finale, mentre la realtà procede
per equilibri successivi.
Possiamo dire che regole
finali essenziali formano la parte
prescrittiva del PUT, mentre regole
inessenziali perché adattative ne formano
la parte comunicativa.
Se, in tal senso, e per
tale parte qualificante il piano può essere
visto come linguaggio (linguaggio tecnico,
giuridico ma anche storiografico) esso viene
assunto come strumento relazionale tra i
soggetti che agiscono come agenti sul
territorio.
Essi sono, dunque, agenti
di tutela, di conservazione e di
trasformazione, combinando le istruzioni del
piano regionale tradotte o traducibili in
regole locali, perché applicate a
specifiche realtà locali.
Le regole locali sono
essenzialmente in forma di progetti. Anche
se le Province si danno un PTC e i Comuni un
PRG, questi restano come traccia
intenzionale a fronte degli effettivi
progetti, che saranno fattibili e
cantierabili, mano a mano che dalla pratica
di bilancio emergeranno i fondi finalizzati,
e strutturati secondo assi e interventi
integrati come patti territoriali, progetti
di distretto, programmi integrati ecc..
Questa è la fonte dei "piani
finestra", con riferimento a finestre
cartografiche.
La presenza di un PTC non
esclude, anzi postula, che le Province
producano progetti pilota, programmi
complessi e percorsi operativi di sfera
pubblica convergenti con investimenti
privati (si tratta anche dei PRUSST DM
8.10.98 n. 1169 o con altre iniziative
analoghe).
La logica operazionale
ritorna in scena con i progetti perché vi
sono i tempi e i modi, le grandezze. È qui
che gioca la funzione adattativa del piano
regionale e anche del PTC Provinciale.
Siamo, infatti, nel caso
in cui nel processo, o in uno dei processi
di trasformazione di quello che si supponeva
un sistema ordinato, irrompono condizioni
impreviste secondo comportamenti spaziali e
temporali nuovi.
Il PUT, come il PTC
provinciale, non può pretendere di
controllare o prevedere ogni cosa, ogni
nuova variante o circostanza di peso
strategico.
Anzi la capacità
strategica del piano è giusto in questo,
che sia presente la funzione adattativa o,
meglio, reattiva alle nuove condizioni. Il
piano è quindi di tipo reattivo e, con
termine diverso, evolutivo.
In tal senso dà meno
importanza alle analisi dettagliate delle
realtà territoriali, ma non esclude alcune
indagini perché non esclude la funzione di
conoscenza, per quanto consapevole dei
limiti nei confronti delle dinamiche
relazionali. In pratica le regole che
abbiamo chiamato inessenziali servono a
riprodurre nuove regole da applicare in
circostanze che non siamo in grado di
prevedere oggi, tenendo fisse per buone le
regole che abbiamo designato come
essenziali.
Senza spingersi troppo in
là, con analogia linguistica, abbiamo l’alfabeto
e i fonemi, per passare alla grammatica e
alla sintassi e andare al componimento
letterario.
Le regole essenziali
possiamo chiamarle regole etiche, che
riguardano i principi di tutela dei valori
paesaggistici e naturalistici – l’indirizzo
che è riservato a ricercare la salute, la
sicurezza e la qualità dell’ambiente e i
limiti della sostenibilità.
Le regole variabili, per
questo inessenziali, ma non meno importanti,
riguardano l’orientamento alle scelte di
trasformazione, i gradi e limiti di
trasformabilità che possiamo chiamare
regole estetiche, perché gli interventi di
trasformazione e il nuovo da costruire
conservi ed esplichi qualità estetica e
qualità ambientale.
La prima regola
essenziale è, allora, non imporre regole in
conflitto con i processi naturali che si
traduce nel concetto della sostenibilità
generale: non consumare risorse con
velocità superiore a quella della
riproduzione delle stesse.
La seconda regola è
riparare le risorse, vale a dire riparare i
danni presenti.
L’azione è duplice:
preservare ciò che è sano e risanare ciò
che è danneggiato.
Si recupera su questa
azione il concetto di paesaggio attraverso
il restauro del paesaggio, che è un
importante scopo finale del lavoro.
Il paesaggio come sintesi
e manifestazione finale delle singole e
separate azioni del settore della difesa
idrogeologica, della tutela della natura,
dei boschi, delle acque, e del controllo di
qualità dei nuovi interventi urbanistici.
Il paesaggio si trova,
nasce e si recupera, all’incrocio delle
relazioni tra le azioni di settori.
È con tale impostazione,
già premessa nel programma di lavoro
approvato, che l’apparato delle regole è
stato riscritto, segnando almeno un passo
dagli strumenti tradizionali di tipo
vincolistico e fondato su procedure di
controllo, verso strumenti evolutivi fondati
su procedure relazionali.
Questa è la innovazione
della nuova normativa di PUT del resto non
del tutto nuova in Italia, se il dibattito
sul tema era ultra decennale.
Ne discendono regole di
grado secondo che sono di indirizzo per gli
Enti Locali: non promuovere progetti di
opere che ignorino il contesto ambientale,
per cui è meglio dare luogo a progetti
integrati, ed è opportuno seguire le
procedure di valutazione di impatto quando i
progetti siano fattori di trasformazione
locale.
Le procedure di esame e
di approvazione dei progetti si possono,
allora, snellire e abbreviare se comprese in
quelle di valutazione di impatto.
Le varianti migliorative,
opportunamente valutate come tali,
seguiranno procedure abbreviate, si darà
luogo a tavoli di intese fondati su tempi
ristretti.
Le regole dicono che sia
nel piccolo intervento, che nel grande, si
richiede una qualità coerente. Qualità di
progetto e qualità di esecuzione, tenendo
in conto i contesti riconosciuti come valori
tutelati da vincoli ambientali, ecologici e
infine paesaggistici, che il PUT a tal fine
individua e segnala.
La funzione relazionale
del piano indirizza a connettere gli
interventi edilizi e di trasformazione ai
contesti ambientali di pertinenza; in tal
senso le norme sono accompagnate da un
regolamento o catalogo delle tipologie che
si presentano. Ogni Comune è invitato a
formare il proprio catalogo delle tipologie
riferite ai contesti. Con questo non si
intende provocare una nuova gabbia di
vincoli normativi, ma promuovere un
orientamento progettuale, se si vuole, l’orientamento
culturale ai progetti Comunali.
La correlazione al
contesto ai fini di tutela è un indirizzo,
il catalogo di tipologie è un orientamento.
Si intende orientare la
manutenzione urbana verso un livello
decoroso di qualità media.
Dopo oltre mezzo secolo
di tutela l’ambiente urbano è svilito da
depositi provvisori di rottami e rifiuti, da
materiali scadenti per rattoppare strade e
marciapiedi, da cartelloni pubblicitari
giganteschi e di ostacolo alla pulizia, da
muretti, scale, ringhiere, grate,
cancellate, lampioni, tutti di pessima e
trascurata fattura di materiali inidonei e,
a volte pericolosi per l’incolumità.
Le case sono coperte da
superfetazioni di plastica, di alluminio, di
ferro arrugginito, con sporgenze e falde a
ridosso di muri ciechi, di scale a giorno,
di pensiline, che spesso vanno a detrimento
di componenti antichi e storici dei
fabbricati preesistenti.
Anche sugli aspetti
riguardanti la manutenzione urbana si tende
a orientare i Comuni a darsi un catalogo
tipologico che, per essere rispettoso dei
valori e coerente con le preesistenze, si
connette alla storia e tradizione di ogni
singolare centro storico, e sarà diverso da
Comune a Comune, nella speranza, di
indirizzo questa, di ridurre l’omologazione
dei materiali e dei tipi o modelli (art. 158
DLgs. n. 490/99 – colore delle facciate
dei fabbricati).
Non diversamente è per
il catalogo delle essenze botaniche con lo
scopo di evitare distruzioni e
contaminazioni di specie.
I giardini monumentali e
i parchi urbani, di cui è ricca la
Campania, sono tutelati dalla legge, ma la
tutela va ottenuta con la manutenzione
stagionale, a volte permanente, che non può
ammettere contaminazioni con essenze
eterogenee o esogene.
Il Comune, in tal senso,
fa un passo avanti nella complessiva azione
di progettazione urbana e nessuno più dell’Ente
locale e della società civile è in grado
di assumere coscienza storica dei valori da
salvaguardare del proprio patrimonio.
Constatato che la
pedissequa osservazione di specifiche
tecniche, ancorché singolarmente buone, non
garantisce un risultato di qualità nel
senso di consono all’ambiente e al suo
contesto, si è inteso aggiungere una
valenza, non codificabile in un codice di
informazioni estetiche, ma reperibile nello
studio dei valori che ogni Comune farà su
se stesso, sul suo patrimonio.
Il principio di
orientamento non va solo in direzione della
conservazione dell’esistente, ma anche
della produzione di qualità nei nuovi
interventi, soprattutto nelle aree o zone
periferiche o in quei microcontesti
interstiziali tra vecchio e nuovo che sono
la matrice trascurata delle contaminazioni
del banale e scadente costruire come viene
viene.
Il PUT così concepito,
il suo corpo di norme, oltre alla tutela e
alla conservazione dei valori accertati,
documentati, per andare alla ricerca e alla
stimolazione di una qualità diffusa, non
tende a un paesaggio compiuto, definito e
predeterminato, ma al ripristino delle
regole per fare bene.
Per questo gli indirizzi
e l’orientamento che offre agli Enti
locali devono lasciare spazi di invenzione
per gli interventi e dare le coordinate dei
percorsi progettuali.
omissis
Strategia di orientamento
Proprio perché il PUT è
strumento di orientamento urbanistico per
gli Enti locali, stabiliti i principi della
tutela del patrimonio, vanno indicate linee
strategiche per lo sviluppo, che sono
desunte e mutuate dai documenti regionali e
statali, propositivi o decisivi dei termini
dello sviluppo.
Su questo aspetto lo
"schema di sviluppo dello spazio
europeo", messo a punto dai Ministri
dell’assetto del territorio degli Stati
membri dell’UE può essere utile documento
generale di riferimento.
La breve trattazione che
se ne fa qui non indulge alla separazione
tra organizzazione e qualità ambiente, da
un lato, e determinismo fisico dall’altro,
ché anzi il tentativo di questo PUT sta
nella coazione e convergenza di qualità
ambientale e sviluppo produttivo, secondo il
più volte invocato principio di
sostenibilità.
È stato detto nei
documenti preparatori e al tavolo di lavoro
congiunto, lavorando secondo il metodo dell’analisi
multicriteria e dei dati misti o metadata
– un modo non meno scientifico di
qualsiasi altro – per tener conto che il
PUT, tranne che per i principi essenziali
della tutela, non decide qui e ora, ma
decisioni future, per esigenze inconoscibili
al momento, vanno assunte secondo processi
che, per quanto guidati e orientati,
seguiranno l’autonomia istituzionale che
all’atto pratico saranno in grado di
esplicare, anche in virtù di ius
superveniens da strumenti di legge ancora
allo studio, e che fanno parte dell’evoluzione
istituzionale federalista.
Questo non vuol dire che
il PUT sia un metapiano, ma un piano
complesso adattativo a scala regionale.
Come dire osservare una
distribuzione a grana grossa, opportunamente
scelta per perdere solo le informazioni che
si ritengono non essenziali, da affidare a
piani di finestra o di area vasta di livello
provinciale o subprovinciale.
Allo steso modo il PUT
non può essere sovraproducente o sovratono
alle righe che definiscono la funzione
regionale del governo del territorio. Lo
schema di sviluppo dello spazio europeo ha
indicato tre grandi linee di azione politica
sul territorio:
- un sistema di città
equilibrato e policentrico
- la parità di accesso
alle infrastrutture e alla conoscenza
- la gestione prudente e
lo sviluppo del patrimonio naturale e
culturale
Il documento ritiene
inaccettabile un modello territoriale
costituito da un unico centro urbanizzato
distinto dal resto del territorio, e auspica
una organizzazione policentrica, fondata
anche sulla cooperazione tra le città di
livello regionale, indicando anche per l’area
metropolitana di Napoli la funzione
strategica di "città porta" d’Europa.
Tale indicazione orienta
le attrattive per gli interventi secondo una
strategia urbana integrata e plurisettoriale.
Spinge, infatti, ed
esorta affinché le città (vedremo quale
sistema) facciano piani ecologici per
ridurre consumo del suolo, dell’energia e
produzione dei rifiuti.
Questa è una linea che
il PUT accoglie come orientamento
strategico, che è anche in sintonia con la
più autorevole bibliografia sull’area
metropolitana e con i documenti, anche a
circolazione interna alla Regione, come a
suo tempo prodotti dal CTS che non hanno
trovato risoluzione di efficacia normativa.
Il PUT si presenta,
dunque, come un macrocontenitore
prescrittivo-descrittivo teso a comprendere
la complessità per mezzo dell’organizzazione
o formulazione non predicibile dello spazio
regionale, in cui sono distinguibili dei
trend o tendenze, ma non l’evoluzione
dipendente da variabili non ancora comparse
all’orizzonte dei fatti economici.
In pratica si può dire
che lavora su conoscenze fisiche e quasi
conoscenze dei fenomeni, tenendo conto di
ragionevoli intervalli dei valori statistici
nei trend considerati, e delle possibili
ramificazioni di fenomeni in corso, a grosse
maglie o a grana grossa, come si è detto,
sapendo che alcuni insiemi di eventi sono
formati da componenti decoerenti, per cui
non è dato preferire una probabilità a un’altra,
specialmente se le sequenze di casi
probabilistici sono abbastanza lunghe.
In tal senso il PUT
andrà gestito nel tempo come un IGUS
(information gathering and utilizing
system), vale a dire un sistema di raccolta
e utilizzo di informazioni, come sistema
complesso adattativo della Regione per
orientare gli Enti locali nelle direzioni di
piano, secondo quei procedimenti di intese
previste dalla legge.
La normativa tecnica di
attuazione, si dice qui per l’ultima
volta, è dunque formata di norme essenziali
di tutela, prescrittive e applicate ai
riconosciuti valori del patrimonio da
conservare, e di norme evolutive, di tipo
procedimentale e comportamentale, applicate
in maniera adattativa alle decisioni che
riguardano assetti urbanistici degli Enti
locali o scelte territoriali strategiche di
livello regionale, come ad esempio per il
piano regionale dei trasporti o per il piano
dei porti, o per quello dell’attività
estrattiva, ecc.
Del resto, anche per
quanto riguarda il patrimonio, la Conferenza
Nazionale sul Paesaggio ha espresso la
novità culturale o concettuale in direzione
dell’attualizzazione del paesaggio. L’impegno,
cioè, a guidare le trasformazioni verso
soglie di qualità. Non solo conservare,
restaurare e recuperare, non solo salvare il
salvabile, ma intervenire migliorando.
Vanno distinti livelli di
scala, diversi e vari piani di scala, dal
macro al micro. Il PUT esprime opzioni,
guida e indirizza, ma i progetti si fanno a
livello locale, secondo le procedure della
contrattazione e delle convenzioni, intese e
accordi tra livelli.
Se questo è l’attuale
stadio di manutenzione del quadro
legislativo, bisogna attenervisi, pur non
volendo mitizzare l’urbanistica
contrattata, che finora ha prodotto
risultati alquanto incerti, anche questo va
detto.
Resta, al centro del PUT,
il tema della tutela della risorsa
ambientale come reticolo unificante del
quadro normativo. Questo spinge a sottendere
alle norme che guidano la trasformazione la
cultura dell’urbanistica perequativa che
sta ispirando la riforma statale, anche se
lo studio di proposta è ancora presso la
Conferenza Stato-regioni. Si chiederà agli
Enti locali, i comuni come ultima sede, di
produrre piani ecologici e perequativi,
sulla base degli indirizzi del PUT
regionale, e sulla fiducia verso una nuova
generazione di sindaci che vanno assumendo
consapevolezza del valore delle risorse
ambientali come capitale collettivo e
patrimonio da valorizzare ma non da
consumare.
omissis
Conclusione della scheda
Ricapitolando il
framework, l’impalcato è strutturato
secondo disposizioni che sono:
– principi e
strategie di orientamento scopi, obiettivi,
preferenze intese, patti, contratti e
accordi
procedure
– norme o regole
della trasformabilità e sostenibilità
vincoli e restrizioni
valutazioni
confronti
– norme tecniche
generali
specifiche
tipologiche
– norme di
relazioni causali
finestre cartografiche
figure pianificatorie
locali
procedure.
La selezione e varia
combinazione di norme costituisce l’indirizzo
e l’orientamento per singole finestre
cartografiche.
Nell’amministrazione
dell’urbanistica si daranno, allora,
comportamenti di tipo standardizzato, in
applicazione di norme tecniche o di
restrizioni, adeguamenti e correttivi
strategici con intese e coordinamenti tra
livelli di soggetti decisori, in
applicazione di regole relazionali e
causali.
In pratica si avranno
norme come prescrizioni, che vanno
semplicemente applicate, e norme come regole
di procedimento del decision making.
Per quanto riguarda i
riferimenti del presente piano alle origini
per lo sviluppo si è preferito, al posto
della produzione di idee e modelli desunti
dalla vasta bibliografia sulla Campania, si
è preferito guardare alla strategia dello
sviluppo delineata nel POR Campania Agenda
2000 dell’edizione 02, pubblicata sul BURC
del 21 settembre 1999, all’edizione 05 che
a sua volta assume gli obiettivi del PSM
(Piano di Sviluppo del Mezzogiorno):
– relazione delle
risorse naturali e ambientali
– relazione delle
risorse culturali e storiche
– relazione delle
risorse umane sistemi locali di sviluppo
– miglioramento
della qualità delle città, delle
istituzioni locali e della vita associata
– reti e nodi di
servizio
A tali tematiche il
presente piano è trasversale, con specifica
attenzione alle risorse naturali, ambientali
e culturali, ma anche con una sezione
dedicata al modo di costruire un’offerta
selettiva di idoneità funzionali per l’armatura
territoriale di sostegno allo sviluppo.
A tal fine il piano
indica due quadri di opportunità:
1. l’insieme di Aree di
sviluppo produttivo, composte da nuclei e
agglomerati ASI esistenti e distretti
industriali individuati.Con l’insieme,
sistemico o tendente a sistema, dell’offerta
di attrezzature in riferimento alla rete dei
servizi.
2. le procedure e le
modalità per costruire strumenti attuativi,
sulla base di accordi e di intese, come
programmazione integrata, in termini formali
di programmi integrati di area.
Allo scopo di agevolare
processi di sviluppo e di semplificare i
percorsi strumentali, il piano indica,
dunque, due strumenti principali, il
programma integrato di intervento e la
valutazione di impatto ambientale.
Due strumenti già
regolati dalla Regione e che consentono la
semplificazione e l’accelerazione delle
procedure. In termini di politica del
territorio il piano considera la strategia
di sviluppo a partire dal corridoio
plurimodale tirrenico e dalla designazione
dei caratteri dell’area metropolitana di
Napoli. I settori strategici di riferimento
sono quelli più forti presenti in Campania:
l’aerospaziale, l’agroindustriale, le
telecomunicazioni, la produzione di
trasporto ferroviario, le concerie e la
produzione di pellami.
Obiettivo iniziale
individuato, nella generica e generale
ricerca delle economie esterne a favore
delle imprese, è la condizione e il
potenziamento della rete territoriale delle
risorse tecnicamente attrezzate, da
orientare alla interrelazioni utili a
connettere la produzione di beni con le
fonti di ricerca internazionali, nazionali e
regionali.
Obiettivo connesso è la
creazione di più poli di direzionalità
specializzati come centri di servizi
diversificati a seconda dei settori
produttivi che devono supportare o
sostenere, o sia perché scientifici e
tecnologici. Nuove localizzazioni
industriali attrezzate sono demandate alla
intesa tra enti, fermo restando il rispetto
del sistema naturalistico-ambientale e
storico testimoniale tutelato dal piano.
Questa perché, alla
lettura della documentazione del POR
Campania è rilevato che:
- la programmazione
regionale deve destinare politiche
strutturali per accrescere l’efficienza
economica del sistema produttivo e l’efficienza
sociale ed economica del mercato del lavoro;
- sono rilevate ancora
carenze infrastrutturali, a eccezione di
strade e ferrovie, nella reti idriche, di
assistenza sociale, di energia e di
comunicazioni;
- è rilevata l’inefficienza
della funzione direzionale metropolitana.
La bozza preliminare che
qui si presenta pone sul tappeto queste
tematiche con accenni di soluzione che si
sottopongono alla discussione e alla
cooperazione per costruire uno strumento
comune di pianificazione coerente nel
linguaggio e negli scopi.
Per quanto riguarda i
riferimenti del presente piano alle opzioni
per lo sviluppo si è preferito, al posto
della produzione di idee e modelli desunti
dalla vasta bibliografia sulla Campania, si
è preferito guardare alla strategia dello
sviluppo delineata nel POR Campania Agenda
2000 dell’edizione 02, pubblicata sul BURC
del 21 settembre 1999, all’edizione 05 che
a sua volta assume gli obiettivi del PSM
(Piano di Sviluppo del Mezzogiorno):
– valorizzazione
delle risorse naturali e ambientali
– valorizzazioni
delle risorse culturali e storiche
– valorizzazione
delle risorse umane
– sistemi locali
di sviluppo
– miglioramento
della qualità delle città, delle
istituzioni locali e della vita associata
– reti e nodi di
servizio.
A tali tematiche il
presente piano è trasversale, con specifica
attenzione alle risorse naturali, ambientali
e culturali, ma anche con una sezione
dedicata al modo di costruire un’offerta
selettiva di idoneità funzionali per l’armatura
territoriale di sostegno allo sviluppo. A
tal fine il piano indica due quadri di
riferimento:
1. l’insieme di Aree di
sviluppo produttivo, composte da nuclei e
agglomerati ASI esistenti e distretti
industriali individuati.
Con l’insieme,
sistemico o tendente a sistema, dell’offerta
di attrezzature in riferimento alla rete dei
servizi;
2. le procedure e le
modalità per costruire strumenti attuativi,
sulla base di accordi e di intese, come
programmazione negoziata, in termini formali
di programmi integrati di area.
Allo scopo di agevolare
processi di sviluppo e di semplificare i
percorsi strumentali, il piano indica,
dunque, due strumenti principali, il
programma integrato di intervento e la
valutazione di impatto ambientale. Due
strumenti già regolati dalla Regione e che
consentono la semplificazione e l’accelerazione
delle procedure. In termini di politica del
territorio il piano considera la strategia
di sviluppo a partire dal corridoio
plurimodale tirrenico e dalla designazione
dei caratteri dell’area metropolitana di
Napoli. I settori strategici di riferimento
sono quelli più forti presenti in Campania:
l’aereospaziale, l’agroindustriale, le
telecomunicazioni, la produzione di
trasporto ferroviario, le concerie e la
produzione di pellami.
Obiettivo iniziale
individuato, nella generica e generale
ricerca delle economie esterne a favore
delle imprese, è la creazione o il
potenziamento della rete territoriale delle
risorse tecnicamente attrezzate, da
orientare alle interrelazioni utili a
connettere la produzione di beni con le
fonti di ricerca internazionali, nazionali e
regionali.
Obiettivo connesso è la
creazione di più poli di direzionalità
specializzati come centri di servizi
diversificati a seconda dei settori
produttivi che devono supportare o sostenere
e sviluppare, o sia parchi scientifici e
tecnologici. Nuove localizzazioni
industriali attrezzate sono demandate alle
intese tra enti, fermo restando il rispetto
del sistema naturalistico-ambientale e
storico testimoniale tutelato dal piano.
Questo perché, alla
lettura della documentazione del POR
Campania si è rilevato che:
– la
programmazione regionale deve destinare
politiche strutturali per accrescere l’efficienza
economica del sistema produttivo e l’efficienza
sociale ed economica del mercato del lavoro
– sono rilevate
ancora carenze infrastrutturali, a eccezione
di strade e ferrovie, nelle reti idriche, di
assistenza sociale, di energia e di
comunicazioni
– è rilevata l’inefficienza
della funzione direzionale metropolitana.
La bozza preliminare che
qui si presenta pone sul tappeto queste
tematiche con accenni di soluzione che si
sottopongono alla discussione e alla
cooperazione per costruire uno strumento
comune di pianificazione corrente nel
linguaggio e negli scopi.
Documento elaborato dal
sottogruppo di lavoro per la stesura della
bozza preliminare di cui alla disposizione
di servizio n. 3541 del 13 giugno 2000,
costituito da: Bruno Fiorentino, Oreste De
Luna, Giovanni Aprea, Gennaro Radice,
Arnaldo Romeo, Vincenzo Russo, Carmelo De
Angelis, Angela Ciruzzi.
Il documento, in forma
integrale, è consultabile sul sito
www.regione.campania.it