Il piano urbanistico
territoriale della Regione, si chiama così
nell’art. 1bis della legge "Galasso"
e, per avere l’efficacia giuridica di
sollevare il regime inibitorio transitorio
nelle aree perimetrate con i relativi
decreti, la Regione deve adottarlo con quel
titolo.
Ma, alla luce della legge
sulle autonomie locali, tale piano non può
avere i contenuti di assetto che
appartengono al piano della Provincia.
Meglio sarebbe chiamarlo piano direttore o
piano di indirizzo. Un piano che, nei
confronti del paesaggio, deve contenere
norme di tutela, ma, nei confronti dell’assetto,
non può andare oltre al quadro di
riferimento, che è statico, e al quadro
strategico generale, che è evolutivo.
Questo significa scrivere
norme di tutela, tenendo in conto i piani
paesistici già pubblicati, e regole di
indirizzo. Ne discende un documento di
correttivi, di aggiornamenti normativi,
visto che non si parte da zero, come corpo
di nome essenziali (risparmiare il suolo,
eliminare i rischi, ridurre la
vulnerabilità, non danneggiare il
patrimonio, recuperare le coste,
disinquinare i fiumi, eliminare i detrattori
e le fonti di danno come le discariche, le
cave abusive e l’eccesso di pressione,
ecc.) e norme evolutive, che contengano quei
meccanismi di concertazione in grado di
regolarsi nel tempo.
Questo apre l’orizzonte
del piano su uno spazio di comunicazione che
serve, lungo il percorso, ad aggiornarlo
senza dover rifare tutto daccapo. Il piano
deve contenere una funzione adattativa,
secondo metri e gradi che non stravolgano
quel corpo essenziale che abbiamo detto
costruito sulla tutela.
La complessità può
essere una risorsa se ci muniamo degli
strumenti adatti a maneggiarla. In azioni
strategiche la scelta degli obiettivi è
sempre riduttiva, perché subordina un
sistema complesso e caotico, a uno o a pochi
aspetti ordinati tra i tanti possibili.
La cosa ha poco di
scientifico e molto della contingenza. Le
analisi e gli studi sul suolo possono essere
altamente scientifici, ma un programma, come
espressione strategica di operatori
economici, è una scrittura su base
psicologica della politica amministrativa.
Vale a dire che é
qualcosa in parte indefinita dove importano
le dominanti o prevalenze. E, allora, la
norma o regola, per funzionare, deve
guardare agli aspetti relazionali e
relativistici, e deve poter regolare i
processi, più che i risultati. O, meglio,
deve fissare i minimi e i massimi, le porte
attraverso le quali guidare i rapporti
relazionali, le misure o i parametri o
indicatori per valutare gli effetti delle
decisioni.
Si ammette, quindi, la
funzione di monitoraggio in corso d’opera,
o in corso di costruzione del consenso
intorno alle scelte, laddove il relativismo
ammissibile fa acquistare importanza a un
punto rispetto a un altro a seconda dei
valori attribuibili ai parametri di
riferimento.
La cosa è banale perché
si tratta di interessi in gioco, come
generalmente si assume oggi nei processi di
mercato. Ma la pubblica amministrazione o,
meglio, l’istituzione pubblica, non è un
semplice contraente o attore di mercato. È
il caso di ricordarlo: l’istituzione ha
doveri sociali che ne costituiscono il
fondamento giuidico.
Chi attribuisce valori
deve sapere che vanno riferiti a regole che,
per quanto condivise, su determinati valori
sono inderogabili. Il piano, allora, assume
duplice valenza: circoscrive e restringe
comportamenti di pubblico governo, orienta e
indirizza il mercato sul territorio.
A questo punto il
discorso assume maggiore complessità. La
norma è laconica, il piano deve essere
comunicativo e interattivo. Quindi il piano
non è fatto esclusivamente di norme
prescrittive - può ammettere margini
di indeterminatezza se contiene i meccanismi
per superarli nel tempo - cosa ovvia
nei processi dove alcune componenti o
fattori sono incerti all’inizio.
Si afferma il principio
di adattabilità o, se si vuole, la
necessità adattativa. La cosa è diversa
dalla vecchia pratica della variante di
piano. Perché la variante di piano è un
nuovo piano, spesso per un’area
circoscritta, nei termini frequenti di
variazione dello zoning. Il piano regionale
non traccia zoning se non detta assetti.
Individua risorse, tutela il patrimonio,
considera processi, regola procedure e
comunica modi di comportamento per
successivi adattamenti.
Ma se mancasse la
strategia economica, se non ci fosse il
contenuto dello sviluppo (di qualità e di
grandezze, di implementazione e di
innovazione), nel rispetto della
sostenibilità da misurare, mancherebbe l’indirizzo
politico.
Il piano si ridurrebbe a
mere proposizioni fisiche, come e dove si
può trasformare senza far danno, come e
dove e in quale misura sia sostenibile
intervenire, con quali tecniche e quanti
mezzi. In senso riduttivo il piano sarebbe
un catalogo delle possibilità e dei
divieti, di raccomandazioni prudenti contro
gli eccessi e di richiami all’igiene
ambientale.
Ma un piano che regoli
altezze e volumi, lunghezze e distanze, è
un piano ridotto alla scala edilizia, un
piano debole come debole è in economia il
ciclo edilizio estraneo ai cicli strutturali
dello sviluppo che produca ricchezza.
Un piano di governo deve
riferirsi, deve procedere in coerenza con
gli strumenti dell’economia che attivino
produzione di ricchezza. Il piano
urbanistico territoriale, o di indirizzo e
di orientamento territoriale, e anche il
piano di tutela dei beni, non vive da solo e
non produce effetti benefici se non si dà
conto di dover essere un piano che organizza
risorse territoriali. Se non si dà conto di
dover essere un piano di politica dei beni
culturali, di politica dei beni ambientali,
un piano ecologico ed economico insieme.
Questa concezione non
sottrae spazi ai settori produttivi, che
fanno i loro piani, non entra in merito
della gestione dell’agricoltura, delle
acque, della ricettività turistica, delle
aree e distretti industriali, della sanità,
e così via, ma, al contrario, aggiunge
valore nel porre le risorse ambientali
accanto alle altre. Aiuta a stabilire la
concertazione di interessi pubblici di
rilevanza territoriale.
La strategia di interesse
regionale andrà a muoversi lungo programmi
coordinati di azioni in aree speciali come
ambiti di programmi integrati o di patti
territoriali, dove due o più settori
produttivi contribuiscono allo sviluppo.
Questo è il taglio.
Entrando in merito,
laddove il piano dice quali siano gli ambiti
non urbanizzabili, ad esempio riserve
naturalistiche, il suolo va sottoposto a
regime immobiliare unitario. Questa è una
norma di tipo essenziale. Laddove siano
riconoscibili ambiti urbanizzabili, di
riqualificazione ad esempio, vengono
collocati nella gestione della
pianificazione locale, e il suolo va
sottoposto a regime immobiliare perequativo.
Vi saranno degli
indicatori di controllo in grado di
orientare le amministrazioni locali che
devono sapere come agire sugli aspetti
legali tributari delle transazioni tra
pubblico e privato.
Gli indicatori sono
commisurati alla stima dei valori di
trasformazione.
Il piano regionale non
entra in questi dettagli, che vanno affidati
ad altri strumenti, ma ne indirizza gli Enti
locali. La Regione, comunque, dovrà
instaurare un dialogo continuo con i Comuni,
e questo si fa con mezzo interattivo,
portando gradualmente il piano nello spazio
di relazione necessario anche al principio
di sussidiarietà.
Vale a dire una rete
on-line che collega gli uffici tecnici. La
formazione di piani locali, o la proposta di
piani da parte privata implica forme di
intese e di convenzioni. La concertazione
deve avere chiaro il regime corrispondente
alle classi di suolo sulle quali si intende
operare.
Per questo il programma
integrato e le procedure di valutazione
assumeranno la funzione di strumenti
fondamentali.
I sistemi complessi non
sono riducibili a modelli compiuti. Vi
saranno sempre gradi di incertezza che si
possono chiarire o definire durante il
processo. Ogni volta vanno individuati tipi
e quantità dei processori in gioco, in
funzione delle prestazioni richieste dagli
scopi o obiettivi che si intendono
raggiungere. Quando il numero dei processori
è finito il sistema è chiuso, ma questo
avviene in sede esecutiva di un progetto,
quando lo scopo è raggiunto.
Prima di tutto questo, e
per consentire processi corretti, viene il
PUT regionale che, quindi, è anche una
struttura. (frame work) dotata di
razionalità procedurale, che non pretende
affermare verità, ma una ragionevole
approssimazione dove funziona meglio il
termine viabile. Le opzioni per la tutela e
la valorizzazione delle risorse ambientali
sono, coerentemente, quelle espresse nel POR
Campania. Le opzioni per lo sviluppo, sono
quelle che emergono dai documenti ufficiali
di politica economica e produttiva.
La programmazione
regionale sta definendo le politiche
strutturali per accrescere l’efficienza
economica del sistema produttivo e l’efficienza
sociale ed economica del mercato del lavoro.
Per questo il PUT deve riservare delle
porte, vale a dire quella funzione
adattativa che non obblighi a riscrivere
tutto di fronte a una variabile strutturale
che potrebbe emergere più avanti.