Il processo dì
formazione del piano regionale si fonda sull’intesa
sottoscritta tra la Regione e il Ministero
per i Beni Culturali del luglio 1998. cosa
che ha certamente ispirato la redazione dell’art.
149 del Testo Unico, pubblicato l’ottobre
del 1999, che estende a tutte la regioni una
esperienza avviata in Campania.
Il rinnovo dell’esecutivo
ha consentito, nell’anno in corso, di dare
impulso all’attività di piano, in forma
innovativa, perché la redazione dei
complementi di programma per il POR Campania
ci ha fatto compiere grandi progressi nella
collaborazione con i Soprintendenti nelle
varie province campane, sulle cose concrete
più che sulle idee astratte.
Numerose riunioni e la
verifica della fattibilità di ipotesi e
interventi, soprattutto la concordanza sul
ricorso a strumenti operativi di spesa, come
il programma integrato, vanno modificando,
nell’esperienza comune, il concetto di
piano regionale, che, nei più, appariva
gravato da una complessità nebulosa e da
gradi di difficoltà crescenti con la
onnicomprensività che la vecchia legge
urbanistica affidava a tale strumento.
Lavorando insieme sul
campo, credo che si vada facendo luce, anche
nella concezione della pianificazione
paesistica, l’importanza e il significato
del tempo nella pianificazione di area
vasta. Concetto che deriva direttamente da
quello della sostenibilità, che è il
rapporto tra la velocità di riproduzione
delle risorse e la velocità con la quale
vengono consumate. Una questione di economia
dello sviluppo, una questione, dunque, di
filosofia dello sviluppo e, in sostanza, una
questione di etica del lavoro.
Si è compreso che
dobbiamo individuare le invarianti, nei
valori che attribuiamo alle risorse, e si è
compreso che nei processi di trasformazione,
va tenuto conto della valutazione degli
effetti che le scelte provocheranno. Credo
che questo sia un grande progresso nel
nostro modo di giudicare cosa fare e come
farlo.
I piani di vecchia
concezione non erano letti da nessuno,
restavano incompresi, incomunicabili e
calati su realtà in sostanza
approssimativamente note. Quello che stiamo
producendo vuol esser un piano che contenga
una capacità comunicativa, e che sia
affidato a controllate procedure di intesa.
Le intese si fondano sul dialogo. Un piano
dialogico parte da premesse condivise, usa
un linguaggio concordato e comprensibile, e
consente percorsi trasparenti e regolati da
norme di comportamento.
I tecnici sono chiamati,
nel proprio specifico, a offrire ogni
apporto scientifico, ma, alla fine, il piano
regionale non sarà un piano di architetti o
di ambientalisti, non sarà un piano di
economisti, non sarà un piano di avvocati.
Sarà un piano di amministrazione, una guida
per amministrare, una struttura dentro la
quale muoversi secondo percorsi concordati,
nel rispetto di quelle risorse che il
principio di sostenibilità consentirà di
valutare con vari gradi di trasformabilità,
e secondo regole di certezza del diritto.
Mia personale
convinzione, che so come già trovi tanti
sostenitori, è che il patrimonio culturale
della Campania, ancora non del tutto
compromesso, ancora in parte da riscoprire,
ancora appassionante e bellissimo, possa, in
breve tempo e con l’ausilio del POR,
acquistare la funzione trainante per la
riconversione produttiva di molti siti della
regione.