L’attuale quadro legislativo in materia di edilizia/urbanistica –
interagente anche con la pubblica
amministrazione – appare particolarmente
complesso, articolato, incerto e non molto
agevole, in particolar modo, dopo
l’entrata in vigore della legge
costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3 che ha
modificato, riformulandolo, l’art. 117
della Costituzione1. Infatti, con
la menzionata legge 3/2001, vi sono o vi
saranno tre ambiti di esercizio legislativo:
quello esclusivo dello Stato, quello concorrente
tra Stato e regione e, infine, quello esclusivo
della regione, tenuto conto che il
legislatore nell’art. 117, cosi come
riformulato, non cita espressamente il
termine edilizia ma, al terzo comma
adopera la locuzione governo del
territorio. Si riporta di seguito
l’art. 117 della Costituzione:
La potestà legislativa è esercitata dallo Stato e dalle regioni nel
rispetto della Costituzione, nonché dei
vincoli derivanti dall’ordinamento
comunitario e dagli obblighi internazionali.
Lo Stato ha legislazione esclusiva nelle
seguenti materie:
omissis
s) tutela dell’ambiente, dell’ecosistema e dei beni culturali.
Sono materie di legislazione concorrente quelle relative a:
omissis;
governo del territorio; omissis.
Nelle materie di legislazione concorrente spetta alle regioni la potestà
legislativa, salvo che per la determinazione
dei principi fondamentali, riservata alla
legislazione dello Stato.
Spetta alle regioni la potestà legislativa in riferimento ad ogni
materia non espressamente riservata alla
legislazione dello Stato.
omissis
La potestà regolamentare spetta allo Stato nelle materie di
legislazione esclusiva, salva delega alle
regioni. La potestà regolamentare spetta
alle regioni in ogni altra materia.
Pertanto, sembra che l’edilizia sia materia esclusiva delle
regioni ovvero viene supplita dallo Stato
fintanto che le regioni non legiferano in
via esclusiva e si ritiene opportuno
elencare quelle norme – a mio parere –
che interagiscono tra di loro, anche ed
oltre la sfera della pura edilizia.
È sintomatico che delle tre normative citate nel titolo solamente una,
ovvero quella regionale, è vigente: infatti
il testo unico (Tu) andrà in vigore
il 1 gennaio 2003, la legge obiettivo è
andata in vigore il 27 marzo 2002 e, tenuto
conto della modifica alla Costituzione, in
Campania avremo una doppia normativa: quella
nazionale e quella regionale.
E da subito viene spontaneo chiedersi: per quanto concerne le
demolizioni e ricostruzioni, è da
applicarsi la Lr 19/2001 “con lo stesso
ingombro volumetrico” oppure la legge
443/2001 (vigente dal 27 marzo 2002) “con
la stessa volumetria e sagoma”?
II rischio di interpretazioni estensive e, quindi, di
contenzioso è assai elevato.
Dalla lettura della Lr 19/2001 si evince che:
- l’art. 1 dispone le procedure per il rilascio della concessione
edilizia;
- l’art. 2, in buona sostanza, ripropone i commi 6 e seguenti della
citata legge nazionale (legge obiettivo)
che, in effetti, recepisce in larga misura
le semplificazioni procedimentali contenute
nelle legislazioni regionali più avanzate
(Toscana e Lombardia in particolare), senza
peraltro togliere la possibilità alle
singole regioni di tenere atteggiamenti più
prudenti;
- con l’art. 4, le province e le comunità montane possono nominare i
commissari ad acta nei comuni inadempienti
in termini di espressione definitiva sulle
concessioni edilizie. È il caso di
precisare che già con l’art. 8 della Lr
39 del 16 ottobre 1978, così sostituito
dall’art. 1 della Lr 11 del 7 gennaio
1983, gli enti menzionati erano delegati
alle predette nomine. Tale delega fu rimossa
dal Dl 398 del 5 ottobre 1993, convertito
nella legge 493 del 4 dicembre 1993 – come
sostituito dall’art. 2, comma 60, punto 6,
della legge 662 del 23 dicembre 1996.
Si precisa, altresì, che con la menzionata Lr 11/1983 i commissari
dovevano essere “funzionari amministrativi
della carriera direttiva” ed “Il
sindaco, dal momento della nomina del
commissario, non può più pronunciarsi
sulla richiesta di concessione. Al
commissario, per l’espletamento delle sue
funzioni, sono attribuiti tutti i poteri del
sindaco in materia”. Naturalmente, oggi, a
seguito delle cosiddette Bassanini, il
commissario deve essere un tecnico che deve
sostituirsi al dirigente di settore ovvero
alla figura tecnica che rilascia le
concessioni edilizie. Ciò non toglie che, a
mio parere, il comune conserva il
potere/dovere di esprimersi sulla richiesta
di concessione edilizia in qualsiasi
momento, anche in presenza di commissario.
Ed ancora, come si rileva, il legislatore regionale continua (chissà
perché?) ad individuare nelle comunità
montane l’altro interlocutore per
l’edilizia (e per l’urbanistica),
nonostante il DLgs 267 del 18 agosto 2000
– testo unico (Tu) delle
leggi sull’ordinamento degli enti locali
– assegni sia alle province sia alle
comunità montane specifiche funzioni
tenendo fuori solo queste ultime dalla
pianificazione, se non con il piano
socio-economico, atteso ancora che la
Regione Campania con la nuova legge sul
governo del territorio, in corso di
approvazione, al capo II livelli di
pianificazione - articolo 7 livelli di
pianificazione – dispone che – 1.
l’adozione degli strumenti di
pianificazione territoriale ed urbanistica,
nonché delle relative variazioni,
competono, nell’ambito di rispettiva
competenza, alla regione, alle province,
alla città metropolitana di Napoli ed ai
comuni;
- l’art. 5 ripropone la necessità di provvedere alla realizzazione
delle opere di urbanizzazione primaria
all’interno dei piani particolareggiati,
pubblici o privati, e che le stesse devono
essere “funzionalmente collegabili a
quelle comunali esistenti”;
- l’art. 6 ha messo insieme le norme che regolano la realizzazione di
parcheggi: la legge 122/1989 come modificato
dalla legge 127/1997, la legge 662/1996, la
47/1985, assoggettandoli alla denuncia di
inizio attività (Dia);
- gli artt. 7 e 8 sono di modifica di leggi regionali;
- con l’art. 9, la Lr ha stabilito che le norme “della presente
legge … prevalgono sulle disposizioni
…” della Lr 35/1987 ovvero del “Piano
Urbanistico Territoriale dell’Area
Sorrentino-Amalfitana”. È allora
opportuno ricordare che l’“Art. 3 -
Efficacia del Piano – così recita: Il
Piano Urbanistico Territoriale dell’Area
Sorrentino-Amalfitana è Piano Territoriale
di Coordinamento con specifica
considerazione dei valori paesistici e
ambientali e sottopone a normativa d’uso
il territorio dell’Area
Sorrentino-Amalfitana.
Il Piano Urbanistico Territoriale prevede norme generali d’uso del
territorio dell’area e formula direttive a
carattere vincolante alle quali i Comuni
devono uniformarsi nella predisposizione dei
loro strumenti urbanistici o
nell’adeguamento di quelli vigenti.
Il Piano Urbanistico Territoriale, inoltre, formula indicazioni per la
successiva elaborazione, da parte della
Regione, di programmi di interventi per lo
sviluppo economico dell’area”. Orbene, in merito alla legge obiettivo (n. 443
del 21 dicembre 2001, art. 1 comma 6 e
seguenti), necessita da subito osservare che
la previsione (contenuta anche nel Tu) della
possibilità per il richiedente di
depositare una Dia o di scegliere
(liberamente) per la richiesta di rilascio
di titolo abilitativo esplicito da parte del
comune, appare quantomeno fuor di luogo.
Va rilevato che la Dia facoltativa:
- riduce fortemente l’efficacia semplificativa del nuovo assetto
normativo. Tale possibilità di scelta si
ripercuoterebbe, infatti, non solo sugli
interventi edilizi significativi
(ristrutturazioni e simili), ma opererebbe
anche su una vasta casistica di opere
minori;
- influisce negativamente sulla qualità e tempestività del servizio
reso al cittadino e al professionista;
- ridimensiona il ruolo e la responsabilità del tecnico progettista.
La Dia obbligatoria, pur con le comprensibili difficoltà legate
ad un quadro normativo ancora piuttosto
confuso, è, alla prova dei fatti, un
passaggio fondamentale per rendere sempre più
centrale e qualificato il ruolo del
professionista: attestando la conformità di
interventi edilizi anche articolati e
complessi, il progettista acquista di fatto
pari dignità e responsabilità della pubblica
amministrazione (Pa) nel perseguire gli
obiettivi fissati dalla strumentazione
urbanistica. Al contrario, la Dia facoltativa
ritarderebbe tale processo di crescita,
riaffermando, per un verso, il primato della
Pa e, per l’altro, segnando
progressivamente un solco nel mercato del
lavoro tra i professionisti più esperti (o
più disinvolti) e quelli alle prime
armi (o più prudenti). Essa, invero,
incoraggerebbe il contenzioso in quanto la
possibilità di richiedere il rilascio di un
atto abilitativo esplicito, per qualsiasi
tipo di intervento edilizio, può indurre
l’interessato, in caso di interventi di
dubbia legittimità, a proporre forzature
interpretative della normativa tecnica, nel
deliberato intento di risolvere la questione
in sede di contenzioso (cercando, per
cosi dire, un atto di diniego da impugnare).
Appare senz’altro opportuno seguire il modello della Regione Toscana
della Dia obbligatoria. Suscita
perplessità il dettato della lett. b) che
descrive gli interventi di
demolizione/ricostruzione riconducibili alla
categoria della ristrutturazione edilizia.
Bisognava specificare che è assimilata alla ristrutturazione solo la
ricostruzione fedele, ossia quella
“con la stessa sagoma e lo stesso ingombro
planivolumetrico”: poiché senza tale
precisazione si avrebbe una nozione di
ristrutturazione edilizia decisamente
fuorviante e non supportata oltretutto dalla
giurisprudenza prevalente. Si veda, al
riguardo, anche la definizione di
ristrutturazione edilizia contenuta
nell’art. 3 del Tu, assai più pertinente
e puntuale, in cui si precisa che, in merito
alla volumetria, la demolizione e
ricostruzione del manufatto è disciplinata
dalle norme vigenti al tempo in cui venne
rilasciata la relativa licenza/concessione
edilizia mentre i nuovi interventi, connessi
alla ristrutturazione, devono sempre essere
legati alle norme urbanistiche vigenti al
momento della richiesta. Naturalmente
affinché si possa verificare la
demolizione/ricostruzione, necessita che
esista un edificio provvisto di mura
perimetrali, eventuali solai di interpiano e
tetto, in quanto la ricostruzione di ruderi
costituisce nuova costruzione e richiede il
titolo abilitativo necessario (Consiglio di
Stato, sez. V, 10.03.97 n. 240).
Infine, tenuto conto che il Tu è fondato su due soli titoli
abilitativi, Dia e permesso di costruire
(PdiC), appare inopportuno parlare
palesemente ancora (legge 443/2001 - art. 1
comma 6) di concessioni e autorizzazioni
edilizie, atti amministrativi entrambi
in via di superamento.
Ancor prima di cimentarsi nel tentativo di commentare un provvedimento
normativo di così ampia portata, bisognerà
riflettere sullo stesso in merito a quanto
doveva essere il Tu e (forse) a quanto è.
Il Tu è stato redatto ai sensi dell’art. 7 della legge 50 dell’8
marzo 1999, delegificazione e testi unici
di norme concernenti procedimenti
amministrativi.
Il comma 2 di tale articolo impone al Governo di adeguarsi, tra
l’altro, ai seguenti criteri e principi
direttivi:
a) delegificazione delle norme di legge concernenti gli aspetti
organizzativi e procedimentali;
b) puntuale individuazione del testo vigente delle norme;
c) esplicita indicazione delle norme abrogate, anche implicitamente, da
successive disposizioni;
d) coordinamento formale del testo delle disposizioni vigenti,
apportando, nei limiti di detto
coordinamento, le modifiche necessarie per
garantire la coerenza logica e sistematica
della normativa anche al fine di adeguare e
semplificare il linguaggio normativo.
Con riferimento a quest’ultimo dettame, non pare che il legislatore
abbia rispettato il limite del puro
coordinamento formale del testo delle
disposizioni vigenti; in particolare, sembra
che vi sia un eccesso di delega rinvenibile
proprio in relazione al riparto tra le opere
soggette a permesso di costruire ed alla
denuncia d’inizio attività; nonché in
relazione agli interventi già soggetti ad
autorizzazione edilizia nella legislazione
vigente. Quanto detto acquista un
significativo rilievo, ove si consideri che,
ai sensi del combinato disposto degli
articoli 3, 10 e 22 del Tu, sono sottoposti
a PdiC, interventi già soggetti a denuncia
d’inizio attività, in base all’art. 4,
comma 7, del Dl 398 del 5 ottobre 1993,
convertito in legge 493 del 4 dicembre 1993
– come sostituito dall’art. 2, comma 60
della legge 662 del 23 dicembre 1996.
In base al citato art. 3 del Tu, con la denuncia d’inizio attività
è possibile eseguire solo opere di
manutenzione straordinaria, restauro e
risanamento conservativo e ristrutturazione
edilizia, ma non anche le altre opere
previste dal citato art. 4, comma 7 del Dl
398/1993. Restano, pertanto, escluse dalla
facoltà di Dia:
- le recinzioni, i muri di cinta e le cancellate;
- le opere in aree destinate ad attività sportive senza creazione di
volumetrie;
- l’installazione di impianti tecnologici al servizio di edifici o di
attrezzature esistenti e realizzazione di
volumi tecnici che si rendano indispensabili
sulla base di nuove disposizioni;
- i parcheggi di pertinenza nel sottosuolo del lotto su cui insiste il
fabbricato.
Anche le opere interne di singole unità immobiliari, devono ritenersi
soggette a PdiC, ove i lavori da eseguire
non presentino i caratteri strutturali e
funzionali propri degli interventi di
manutenzione straordinaria, restauro e
risanamento conservativo e ristrutturazione
edilizia.
Pertanto anche il cambiamento del titolo edilizio da Dia, prevista dal
suddetto art. 4, comma 7 del Dl 398/1993 per
le relative opere, a PdiC, non pare
consentito dal coordinamento formale del
testo delle disposizioni vigenti; né
potrebbe rientrare tra le modifiche
necessarie per garantire la coerenza logica
e sistematica della normativa, anche al fine
di adeguare e semplificare il linguaggio
normativo.
Al riguardo, assume peso determinante, il diverso regime sanzionatorio
operante, a seconda del titolo edilizio
necessario e, in particolare,
l’applicabilità delle sanzioni penali
solo nell’ipotesi di opere assoggettate a
PdiC. Svanisce il comma 12 dell’articolo 4
della legge 493/1993 (introdotto dalla legge
662/1996), dove si stabiliva che il
progettista della Dia assumeva qualità di
“persona esercente un servizio di pubblica
utilità” e, come tale, è punibile per il
reato di falso ideologico in caso di
dichiarazioni non corrispondenti al vero.
Nel Tu, invece, tutto questo si dissolve.
In tal modo, il Tu sembra aver violato norme costituenti principi
fondamentali della materia, previsti dalla
legislazione vigente.
Nei medesimi termini si pone la questione, con riferimento alle opere
ancora sottoposte ad autorizzazione
edilizia, in quanto non incluse tra quelle
soggette a denuncia d’inizio attività, ai
sensi del citato art. 4, comma 7 del Dl
398/1993.
Era stata rimessa alla Corte costituzionale, per violazione dell’art.
117 della Costituzione, la Lr Toscana 52 del
14 ottobre 1999, i cui articoli 2 e 4
assoggettano le opere di ristrutturazione
edilizia a denuncia d’inizio attività,
anziché a concessione edilizia, in
violazione dell’art. 9 della legge 47 del
28 febbraio 1985. Tale violazione, presunta,
è stata superata dalla legge Lunardi
(cosiddetta legge obiettivo).
In tale contesto, va segnalata anche la previsione dell’art. 3,
secondo cui gli interventi di
ristrutturazione edilizia, definiti alla
lett. d), sono soggetti a mera denuncia
d’inizio attività, mentre nella
legislazione vigente necessitano di concessione
edilizia, con le relative conseguenze
sul piano penale.
Detto ciò, il Tu si suddivide in due parti:
- la prima attiene all’attività edilizia, con particolare
riferimento ai titoli abilitativi ed al
certificato di agibilità;
- la seconda alla normativa tecnica per l’edilizia.
Le disposizioni del Tu hanno valore di “principi fondamentali della
legislazione statale” (norme - cornice) e,
dunque, le regioni esercitano la potestà
legislativa concorrente in materia il cui
ambito di applicazione è delineato
nell’art. 1 secondo il quale “il
presente testo unico contiene i principi
fondamentali e generali e detta disposizioni
per la disciplina dell’attività
edilizia”, tenuto conto che (il Tu) non
incide sulla disciplina speciale riguardante
gli impianti produttivi di cui al DLgs
112/1998 e Dpr 447/1998 come modificato dal
Dpr 440/2000, atteso che il comma 5
dell’art. 1, in osservanza del
“federalismo amministrativo” di cui alla
legge 59/1997, specifica che “in nessun
caso le norme del presente testo unico
possono essere interpretate nel senso della
attribuzione allo Stato di funzioni e
compiti trasferiti, delegati o comunque
conferiti alle regioni e agli enti locali
dalle disposizioni vigenti alla data della
sua entrata in vigore”.
La prima innovazione che salta agli occhi è la nuova terminologia data
al titolo abilitativo per le nuove
costruzioni, ovvero il titolo che accerta se
ricorrono le condizioni per esercitare il
diritto ad edificare: il cosiddetto PdiC,
richiamando subito alla mente il permis
de conduire.
L’art. 10, infatti, definisce gli interventi di trasformazione sul
territorio ed il successivo art. 22
definisce quegli interventi assoggettabili a
Dia e non riconducibili a quelli di cui
all’art. 10, lasciando così intendere il
carattere residuale della Dia. Orbene,
l’art. 3 – definizione degli interventi
edilizi – opera già definendo il riparto
tra gli interventi soggetti a Dia o a PdiC,
ovvero smentendo la residualità della Dia.
Letta così, sembra che il PdiC è residuale
della Dia, cioè, al di fuori degli
interventi di manutenzione, di recupero e di
ristrutturazione, il resto, residualmente,
è PdiC e, conseguenzialmente, la lettera e)
dello stesso articolo assume significato
solamente esplicativo degli interventi
possibili.
Appare chiaro che viene riproposto il fondamentale concetto dell’art.
1 – Trasformazione urbanistica del
territorio e concessione di edificare –
della legge 10 del 27 gennaio 1977 – Norme
in materia di edificabilità dei suoli –
Ogni attività comportante trasformazione
urbanistica ed edilizia del territorio
comunale partecipa agli oneri ad essa
relativi e la esecuzione delle opere è
subordinata a concessione da parte del
sindaco, ai sensi della presente legge.
Abbandonando, di fatto, la strada della flessibilità, ovvero a seconda
del tipo di intervento (più o meno
impattante), vi era un titolo comunale
abilitativo.
La legittimazione alla richiesta del titolo abilitativo per costruire
è rimasto immutato, riconfermando l’art.
4 della menzionata legge 10/1977, per cui è
rilasciato al proprietario, al
comproprietario o di altro diritto reale o
l’avente titolo a richiederlo ovvero al
titolare di un diritto di obbligazione che
vincoli o dia mandato ad eseguire i lavori.
Ben inteso che il PdiC è dato sempre salvo
il diritto dei terzi.
È importante, inoltre, riflettere in merito al silenzio-rifiuto sulle
domande di PdiC di cui al comma 9
dell’art. 20 che, se da un lato
restituisce la certezza che il procedimento
è concluso, dall’altro invita/sollecita
il cittadino ad aprire da subito un
contenzioso con la Pa che la vedrebbe
sicuramente soccombente su un rifiuto
formale ma privo di motivazione.
Se poi il tutto va anche letto con la possibilità che il progettista
ha di scegliere tra Dia e PdiC, ovvero di
optare per il PdiC, avremo gli uffici
tecnici comunali stracolmi di pratiche
edilizie e saranno incapaci di dare risposte
entro i termini prestabiliti producendo,
come anticipato, silenzio-rifiuto e, quindi,
tutela giurisdizionale. Sarebbe, a mio
parere, più giusto pensare alla
soppressione del citato comma 9 ed
introdurre il meccanismo di cui all’art. 4
della Lr Campania 19/2001 o dell’art. 21
della Lr Toscana 52/1999, secondo il quale
in caso di inadempienze comunali si nomina
un commissario ad acta.
Infine, ma probabilmente non ultimo, lo sportello unico per
l’edilizia sembrerebbe richiamare
quello per le attività produttive. Sono
autonomi?! Si sovrappongono?! Ci sarà
bisogno di un terzo sportello (unico?) che
li coordini?! Vi sarà veramente la
semplificazione dei procedimenti,
l’efficienza, la tempestività e qualità
dell’azione amministrativa???!!!
Ed infine, l’uso metodico della conferenza di servizi per
l’acquisizione dei pareri, nulla-osta ecc.
necessari per la realizzazione
dell’intervento (PdiC o Dia), sembra
semplicemente fantasioso.
Stato
di attuazione dei piani per
l'assetto idrogeologico (Pai) |
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Fonte: Pianificazione territoriale e provinciale e rischio
idrogeologico - Previsioni e tutela,
a cura del Ministero dell’ambiente e della tutela
del territorio e dell’Unione delle
Province d’Italia, 2002 |
1 Ai fini del nostro ragionamento è utile qui ricordare alcuni
significativi provvedimenti del legislatore:
la citata Legge Costituzionale 18.10.2001, n. 3 - modifica della
Costituzione;
la legge 21.7.2000, n. 205 - disposizioni in materia di giustizia
amministrativa;
la legge 8.3.1999, n. 50, art. 7 - delegificazione
e testi unici di norme concernenti
procedimenti amministrativi.
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