Il progetto di sistema metropolitano regionale (Smr), elaborato
dall’assessorato ai trasporti, si pone
l’obiettivo, come chiaramente è
denunciato nella stessa definizione dello
studio, di mettere a sistema ciò che oggi
tale non è. Cioè di riportare ad una
visione unitaria un insieme di
infrastrutture e di servizi, attualmente
operanti in una logica di autonomia, spesso
di indifferenza se non di concorrenzialità,
per ottimizzare la rete di trasporti e,
quindi, l’offerta di mobilità ai
cittadini residenti nel territorio
regionale.
La visione sistemica, alla base dell’ipotesi di razionalizzazione
dell’esistente e di programmazione delle
nuove opere e interventi è – sotto questo
profilo, e non solo in un senso
astrattamente epistemologico –
assimilabile a quella propria dello
strutturalismo: si è in presenza di una
struttura quando il tutto è maggiore della
somma delle parti. Vi è il riconoscimento,
in altre parole, di un valore aggiunto
determinato dall’immissione di qualcosa
– una struttura, una logica di sistema,
appunto – che consente il pieno
dispiegamento e la valorizzazione di ciò
che già esiste ma solo in queste nuove
condizioni è in grado di esprimere fino in
fondo. Una scelta, quella del sistema, che
opera dunque su due piani differenti ma
concorrenti per lo stesso risultato. Da un
lato la razionalizzazione di reti e servizi
esistenti, dall’altro la programmazione di
nuovi interventi volti a completare il
disegno unitario e strategico proprio
dell’Smr. Sempre, alla base di ogni
considerazione, resta la scelta prioritaria
dell’aumento dell’offerta di mobilità
attraverso l’incremento della rete
ferroviaria e, quindi, dei sistemi di
trasporto pubblico su ferro.
Anche la variabile costituita dall’integrazione di servizi bus, nelle
tratte non servite da ferrovia, va intesa
non come contraddizione dell’opzione
strategica a favore del treno ma conferma di
quest’ultima, nelle sue necessarie
eccezioni.
Un’ulteriore considerazione, neppure tanto
marginale, può essere sviluppata sul
concetto implicito nella scelta di
valorizzare il patrimonio di infrastrutture
di trasporto, in campo ferroviario,
esistente in Campania. Con tutti i limiti
riscontrabili nella storia delle ferrovie
campane, nei modi in cui le reti ferroviarie
si sono localizzate, sviluppate,
modernizzate, la Regione Campania ha in
buona sostanza ereditato un patrimonio
importante di infrastrutture di trasporto,
frutto soprattutto di una storia remota di
investimenti, sfide, modernizzazioni.
Semmai, è negli ultimi decenni che si è
assistito ad un progressivo impoverimento
delle dotazioni di reti e servizi, non più
al passo con le trasformazioni territoriali
ed i processi insediativi, assistendo spesso
alla chiusura o dismissione di tratte
ferroviarie, e comunque alla absolescenza di
impianti, materiale rotabile, ecc. (tra il
1966 e il 1994 in Italia le reti tramviarie
sono passate da 643 a 365 km). L’Smr
rappresenta un’inversione di tendenza,
ponendo al centro di una politica delle
mobilità, ma più in generale di una
visione dell’assetto del territorio
regionale – in raccordo con le ipotesi che
su questo terreno la stessa istituzione
regionale va predisponendo1 - una moderna,
efficiente ed estesa rete ferroviaria, che
consenta di produrre significative ricadute
sia in termini di pianificazione
territoriale che di riqualificazione
ambientale e urbana.
Figura 1 -
Terminal internazionale |
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Le linee di sviluppo che hanno caratterizzato nel tempo forme
dell’insediamento, distribuzione della
popolazione, qualità dei sistemi urbani
regionali sono del tutto note.
È intorno a Napoli che ha ruotato per gran parte la storia della
Campania pre e post-unitaria, ed è ancora
oggi che intorno al capoluogo, nell’ambito
della sua area metropolitana, si concentrano
popolazioni, densità, attività produttive
ed addetti, quindi spostamenti e traffici.
In secondo luogo, la fascia costiera, ancora
una volta con la maggiore concentrazione
nell’area napoletana; ed ancora l’asse
di penetrazione verso Caserta e l’area
metropolitana salernitana.
Lungo queste direttrici, in parte in epoche differenti, si è
manifestato il maggior dinamismo
economico-sociale, nonché territoriale con
gli inevitabili corollari in termini di
mobilità. La storia dei trasporti e dell’infrastrutturazione
del territorio regionale ha accompagnato
questa lettura della crescita dello spazio
regionale, a volte sottolineando, in altre
circostanze determinando, i modelli
insediativi. Sullo sfondo, il problema
irrisolto e dualistico, della lontananza,
non solo fisica, ma anche dagli indicatori
di crescita economica e di sviluppo sociale,
delle zone interne.
Ancora oggi, tutti i dati disponibili confermano il forte squilibrio
che si determina tra la città capoluogo e
gli altri centri regionali.
La provincia di Napoli possiede il 53,8% della popolazione di tutta la
regione, a fronte di una superficie pari
all’8,7%. Qui è inoltre concentrato il
58% degli addetti e di questi l’80% è
localizzato nella sola città di Napoli, con
il risultato che pure la capacità di
generazione/attrazione del traffico vale il
58% a livello provinciale ed il 43%
cittadino, rispetto al totale regionale.
Negli ultimi vent’anni, si è come assistito all’accentuarsi di una
forbice tra la capacità del sistema
ferroviario di determinare la direzionalità
dello sviluppo e i reali processi
insediativi. Diversamente dal passato, cioè,
la crescita e l’espansione urbana non
hanno seguito le linee tracciate dalla
localizzazione delle reti ferroviarie e
delle stazioni – che dovunque definiscono
condizioni favorevoli all’insediamento
abitativo e di attività economiche –
preferendo assecondare processi spontanei,
eterodiretti, legati in buona sostanza allo
sviluppo della rete stradale e
dell’accessibilità ai luoghi in funzione
dell’automobile.
Il dato è riassunto nello scarto di crescita di popolazione registrato
nel periodo 1981-1996 tra i comuni serviti
da ferrovia e tra quelli che ne sono privi:
l’1,50% nel primo caso, il 19,50% nel
secondo.
È a partire da questo quadro che il progetto dell’Smr prende le
mosse e definisce il suo valore strategico
nelle ricadute territoriali.
La scelta privilegiata in favore del vettore ferroviario può
significare il ritorno ad una capacità
dell’istituzione pubblica (la regione, non
a caso depositaria di ogni competenza in
ordine alla programmazione, sviluppo e
assetto del territorio regionale) di
governare i processi di trasformazione
territoriale.
Gli scenari disegnati nell’ambito del Smr assegnano un ruolo decisivo
al potenziamento delle linee metropolitane
napoletane – ma questa volta estesa
all’intera area metropolitana – e a
quella salernitana in via di costituzione,
nonché ai servizi metropolitani di Caserta
e Benevento per finire con un servizio
innovativo urbano per Avellino. Nel caso di
Napoli, il progetto recepisce gli indirizzi
posti a base del piano comunale dei
trasporti (Ptr), approvato dal Comune di
Napoli nel 1997.
Nello scenario disegnato al 2011 sono previste otto linee di ferrovie
con caratteristiche di metropolitana per
complessivi 86 km, un totale di 96 stazioni
(di cui ben 51 nuove), 25 km di linee
tramviarie, sei funicolari.
Interventi sono previsti inoltre sulle reti Alifana,
Circumvesuviana, Sepsa con il miglioramento
dei servizi sia nelle aree di grande
concentrazione, come quella costiera, sia
lungo le direttrici di penetrazione interna,
sia di interscambio tra reti o nodi di
intermodalità con nuove stazioni –
fermate e impianti di parcheggio.
Figura 2 - L'area
della "stazione vecchia"
di Napoli alla fine del XIX secolo. |
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Articolate anche le opzioni nello scenario previsto per il 2010: tra i
tanti interventi presi in considerazione la
riqualificazione della linea costiera Napoli
- Salerno, la trasformazione in un sistema
urbano leggero della tratta Torre Annunziata
– Castellammare - Gragnano, il
collegamento tra Villa Literno e il nuovo
aeroporto di Grazzanise oppure tra il Polo
Universitario di Fisciano e la linea Salerno
– M. S. Severino, ecc.
Si prevedono 83 nuove stazioni da realizzare: attraverso di esse e i
servizi attivabili, si calcola che la
popolazione che potrà accedere all’Smr
crescerà di circa il 36% rispetto a quella
attuale, vale a dire oltre 2.000.000 di
cittadini campani avrà accesso ad
opportunità e condizioni di vita
decisamente migliori di quelle esistenti.
Come già si diceva, riduzione di tempi, dilatazione di spazi,
incremento di luoghi ed abitanti che
entrano, attraverso un’organizzazione
spaziale e infrastrutturale adeguata, in un
mondo più moderno.
È in una dimensione ambientale e non soltanto genericamente
urbanistica, che le ricadute positive di una
scelta fortemente orientata in favore della
rete ferroviaria dispiegano fino in fondo
portata e significato di tale opzione.
È, per altro verso, segnatamente in campo paesaggistico, che lo
sviluppo della ferrovia impatta criticamente
luoghi ed equilibri, causando, in più di
una circostanza, problemi di compatibilità
o suscitando reazioni negative. I vantaggi
rappresentati dal trasferimento di quote
consistenti di spostamenti dalla modalità
della gomma (pubblica o privata che sia) al
ferro non sono certo in discussione: minore
inquinamento acustico dell’aria,
spostamenti più veloci, minori diseconomie
e sprechi, minori disagi da stress e
psicologici.
Strade liberate dal traffico veicolare vuol dire riqualificazione
ambientale, recupero di centri abitati ad
una migliore vivibilità, ad una riscoperta
di spazi, memorie, qualità architettoniche
spesso oscurate dai veicoli in sosta o in
fila nel traffico.
In definitiva minore consumo di suolo, spreco energetico, di perdita di
vite umane dovute ad incidenti stradali
(6.500 morti all’anno e 260.000 feriti
sulle strade).
L’ambiente, inteso significativamente come risultato del rapporto tra
luoghi e comunità di uomini che quei luoghi
abitano, reclama nuove e più avvertite
strategie insediative ma soprattutto modalità
d’uso dello spazio e delle risorse.
Occorre contrastare le logiche dissennate
quali quelle che continuano a privilegiare
gli spostamenti, spesso individuali, su
gomma a scapito di quelli pubblici su ferro:
in Italia la mobilità di persone è
aumentata nel corso di 35 anni (1954-1994)
di circa il 600%, passando da 115 ad 807
miliardi di passeggeri/Km; nel 1960 il 47,5%
degli spostamenti veniva effettuato con
l’auto privata, 35 anni dopo la
percentuale è salita all’82%2.
Ancora oggi la rete metropolitana italiana è la cenerentola
d’Europa: circa 129 km a fronte dei 330
della Francia, 531 della Gran Bretagna, 717
della Germania3.
L’Smr si pone come risposta adeguata ai bisogni di mobilità ed alle
esigenze di modernizzazione della regione,
nel quadro di un riequilibrio territoriale e
dentro una dimensione di sviluppo
sostenibile.
Il progetto di Smr, sotto questo profilo, è del tutto coerente con le
linee guida predisposte per il piano
territoriale regionale (Ptr), in corso di
redazione. In particolare, nel documento di
pianificazione territoriale sono richiamati
alcuni temi fondamentali, che rinviano ad
immagini strategiche, fortemente connessi
con obiettivi e strumenti propri dell’Smr:
tra gli altri l’interconnessione e la
difesa della biodiversità.
“Per migliorare la competitività complessiva del sistema regione –
è scritto negli Indirizzi Strategici4 - si
pone prioritaria l’esigenza di promuovere
l’interconnessione tra i sistemi
territoriali locali contigui nella doppia
direzione interno–costa e sud–nord. Il
miglioramento di tale connessione va inteso
sia in senso fisico che funzionale, che
relazionale delle prestazioni e della
dotazione delle reti infrastrutturali
...”.
Su di un altro piano, il Ptr afferma la
conservazione e il recupero delle diversità
territoriali come azione strategica. La
costruzione di una rete ecologica
territoriale (Ret) è, quindi, indirizzata a
“coniugare gli obiettivi di tutela e
conservazione delle risorse naturali ed
antropiche del territorio campano con quelli
di sviluppo sostenibile, attraverso una
programmazione integrata che individui le
aree di intervento e i programmi di azioni
in grado di attivare modelli di sviluppo
locale diffuso e sostenibile”5.
Figura 3 - Stazione
di Afragola (NA) |
|
Per la costruzione della Ret, si segnalano le azioni relative alla
valorizzazione e sviluppo di territori
marginali, la riqualificazione della costa,
la valorizzazione del patrimonio culturale e
del paesaggio, il recupero delle aree
dismesse e in via di dismissione, la
riqualificazione ecologica delle
infrastrutture.
Oggi la coscienza dell’importanza delle tematiche ambientali è molto
più sviluppata e l’attenzione sulle
alterazioni del paesaggio più alta, la
trasformazione dei luoghi indotta dalla
presenza della ferrovia è sottoposta, di
norma, a verifica preventiva. Via e Vas si
pongono, in quest’ottica, come strumenti
preventivi di verifica di compatibilità
ambientale e di sostenibilità dei progetti
elaborati. Ciò non di meno, occorrerà
sempre più che il tema della qualità delle
soluzioni previste, nello specifico rapporto
con il contesto, l’identità dei luoghi
attraversati dall’infrastruttura
ferroviaria, sia al centro di ogni ipotesi
di nuova opera o di modifica di quelle
esistenti. E questo deve valer per
l’intero sistema di segni e di elementi
che contraddistinguono una rete ferroviaria,
per essa un Smr: tracciati, opere civili,
stazioni, impianti tecnologici.
Dunque, soluzioni non invasive sul territorio, qualità architettonica
di viadotti, ponti, gallerie, di stazioni e
fermate, design di eccellenza per i treni,
gli elettrodotti, gli impianti, grafica
creata per la segnaletica, interior design
per gli arredi, progetto ambientale per le
aree verdi.
È talmente forte, ormai, l’incidenza che opere e servizi, come
quelli ferroviari, finiscono con
l’assumere nell’ambiente, condizionando
il paesaggio, anche urbano, determinando la
qualità visiva di ciò che quotidianamente
percepiscono milioni di persone, che non è
più sufficiente o tollerabile – se mai lo
fosse stato – che il progetto che li
sottende sia limitato, in un’ottica
meramente ingegneresca o trasportistica, ad
una dimensione funzionalistica ed
efficientistica.
Che sia necessaria una più alta qualità progettuale, ed
un’attenzione alla contestualizzazione
delle soluzioni, spingono non solo la più
avvertita coscienza ambientalistica dei
tempi che viviamo, ma la stessa tradizione
italiana, che pure vanta precedenti
significativi. Tali furono, ad esempio,
alcuni modelli di elettrotreni, progettati e
prodotti in Italia, che riscossero successo
e consensi, sia sul piano tecnico che
formale. L’Etr 200, vanto dell’Italia
fascista, introdotto nel 1936, precorse
molte soluzioni dei treni moderni, e alcuni
vi riconoscono, nell’aerodinamicità delle
linee, l’influenza di Ponti e Pagano6.
Negli anni seguenti il successo dei treni
italiani è rinverdito dal Belvedere (1949),
progettato da Zavanella e dal più famoso
Settebello (1952) e Arlecchino (1960) di
Minoletti. Ancora oggi, quella tradizione è
resa viva con la produzione dei più moderni
elettrotreni Etr 450 Pendolino ed Etr 500,
nel campo dell’alta velocità, affidato a
Pinifarina.
Ormai in tutto il mondo è aperta una competizione,
che non riguarda solo la sfida per il treno
più veloce, ma investe la qualità del
servizio, la sua efficienza come
l’immagine che l’accompagna.
Figura 4 - Stazione
di Afragola (NA) |
|
“Dopo la prima stazione pilota di Aschaffenburg, sono già cominciati
i lavori ... nella rinnovata stazione di
Francoforte. Ed il progetto non si ferma
qui: l’immagine grafica, la segnaletica
delle stazioni, la modulistica, la pubblicità,
si orientano a dare un’area di nuova,
veloce ed efficiente professionalità a
tutto il personale, che, nel caso di
Eurostar, veste divise disegnate da Pierre
Balmain!”7.
Se una strada ferrata rischia, lungo il suo percorso, di dividere
territori, di separare spazi una volta
continui, di creare luoghi che, da quel
momento in poi, diverranno a monte e a valle
del fascio di binari, è nella stazione che
la ferrovia ristabilisce il suo rapporto, il
suo legame con le terre che attraversa.
È molto di più che non la semplice localizzazione
di un nodo del sistema dei trasporti, un
punto di scambio nella trama dei tracciati.
Nelle stazioni, nelle fermate, si addensano
significati, confluiscono persone e
comportamenti, si determinano relazioni,
l’intero mondo rappresentato dai luoghi
raggiunti dalla ferrovia entra in contatto
con la sola località servita dalla fermata,
dalla stazione. È un po’ quello che
accade con il ponte come descritto dal
filosofo Martin Heiddeger e ripreso
dall’architetto Christian Norberg-Schulz8.
I luoghi, le sponde congiunte dal ponte
preesistevano alla sua costruzione, non di
meno acquistano un altro significato una
volta messe in relazione dal ponte: “una
cosa raduna un mondo” e per Heidegger
prima e Norberg-Schulz dopo, il ponte fa
emergere il territorio che esiste oltre la
riva stessa, la distesa di paesaggio. Il
ponte porta il fiume, le rive e la terra ad
una vicinanza reciproca: raduna la terra
come paesaggio intorno al fiume.
Figura 5 - ETR
300 Settebello |
|
Così è per una stazione ferroviaria, che finisce con il catalizzare,
il concentrare persone, spostamenti,
economie, aspettative di una porzione di
territorio molto più grande ed estesa di
quella attraversata dai treni. È solo per
mezzo della stazione che la ferrovia cessa
di essere frattura, ostacolo per divenire
infrastruttura al servizio di una comunità.
Per queste ragioni, al loro primo apparire sulla scena, le stazioni
ferroviarie assursero al ruolo di nuove e più
laiche cattedrali cittadine, architetture
cariche di simboli, di magniloquenza, anche
se declinata spesso nel linguaggio
dell’ingegneria del ferro e del vetro,
propria dell’epoca dell’avvento della
tecnica e delle macchine. Successivamente le
stazioni hanno perso molto del fascino
iniziale, relegata a mere attrezzature,
impianti tecnologici necessarie per lo
svolgimento di un servizio, luoghi sempre più
spesso degradati, squallidi nel loro
abbandono.
Anche questa stagione è alle nostre spalle e di nuovo per fermate e
stazioni ferroviarie è ritornata
un’attenzione che è rivolta alle
funzioni, alla qualità del progetto, ai
modi di gestione. È in atto un ripensamento
sul ruolo di quest’importante attrezzatura
che non esaurisce la sua ragione d’essere
all’interno di un sistema, pure complesso
e articolato, della mobilità di uomini e
merci, ma ritrova nuove funzioni sia a scala
urbanistica che architettonica, un luogo di
nuova centralità urbana, in grado di
riqualificare ambientalmente aree una volta
definite periferiche. Ma anche un edificio
polifunzionale dove far convivere, con le
attività legate al viaggio in senso
stretto, momenti dedicati alla lettura, alla
ristorazione, al tempo libero, al commercio,
ecc. Un grande centro di scambi, di
informazioni, perché no anche culturale, se
si pensa alle tante stazioni di linee
metropolitane europee ma soprattutto, alle
ultime inaugurate proprio a Napoli,
all’insegna dello slogan “le stazioni
come musei”, in virtù delle opere
d’arte ospitate. Non sono solo le vecchie,
più importanti stazioni ferroviarie delle
grandi città sottoposte a restyling, come
nel caso di Termini a Roma. Anche le nuove
che si progettano, nascono all’insegna di
una più evoluta concezione del ruolo da
assolvere nello spazio urbano.
Gli edifici che ospitano le linee ferroviarie
rappresentano effettivamente quei materiali
di cui parla Bernardo Secchi9.
Figura 6 - Ex
opificio di Pietrarsa attualmente
museo ferroviario - Portici (NA) |
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La città, come insieme di trame, figure, e materiali, è costituita da
nuovi elementi, topos che hanno sostituito
le tradizionali architetture rappresentative
dello spazio urbano (le cattedrali, il
municipio, il palazzo signorile, ecc.) per
divenire i luoghi della concentrazione,
dello scambio, della rappresentazione (i
centri commerciali, le multisale, le
discoteche, ecc.). Per alcuni i non-luoghi10
emblematici dell’epoca che viviamo. Alle
stazioni ferroviarie è legata una scommessa
importante nel futuro di molte città
italiane: il valore posizionale centrale, la
disponibilità di aree, ormai in esubero
rispetto alle esigenze del servizio, tutto
concorre a far sì che, al pari di altre
aree strategiche quali quelle industriali e
militari, le ferroviarie rappresentino la
grande occasione per il ridisegno e la
rigenerazione dei tessuti urbani.
Non è un caso che su questo tema si siano cimentati, negli ultimi
anni, le firme più prestigiose
dell’architettura internazionale. Come
sempre oltre la competizione nei risultati,
è significativa la diversità di approccio
al tema progettuale, dal recupero, quasi
filologico, della stazione Termini di
Mazzoni e Montuori al dialogo tra memoria e
contemporaneità alle cui insegna è
ispirato l’intervento di Nicholas Grimshaw
sulla Waterloo Station di Londra,
all’inserimento più attento alle ragioni
del contesto operato da Rafael Moneo a
Madrid con l’Atocha, per finire con le
prove, del tutto autoreferenziali, tra le
tante, di Santiago Calatrava a Lione, o di
Rem Koolhas all’Euralille. L’ipotesi,
formulata nell’ambito dell’Smr, di
creare 60 nuove stazioni e di adeguarne
almeno altre 15, è tale da far pensare ad
un’occasione unica, forse irripetibile nel
prossimo futuro, per riqualificare ambiti
urbani e piccoli e medi centri della
regione, per dotare estesi territori di
moderne attrezzature, di elevare la qualità
architettonica delle nostre città. A patto
di interpretare come tale il tema della
realizzazione di nuove opere pubbliche, al
servizio della collettività, attraverso la
selezione delle proposte progettuali,
l’aderenza delle soluzioni ai diversi
contesti, la verifica della compatibilità
architettonica ed ambientale. Non è né
semplice, né scontato il percorso dell’Smr,
tra studi, progetti, finanziamenti,
approvazioni, realizzazione. Occorreranno
tenacia, consensi, circostanze favorevoli,
(sempre necessarie in casi come questo),
perché il treno regionale, e non solo
metaforicamente, approdi alla sua
destinazione finale. Varrà la pena,
provarci, vista la posta in gioco. Decisive
saranno le scelte, come è giusto che sia
nel caso di un sistema di trasporti,
relative alle tratte, alle località, alle
interconnessioni, alle valutazioni sui
fabbisogni, alle stime sugli spostamenti e
sugli investimenti. Ma per quanto si è
cercato di argomentare sinora, importante
sarà inoltre l’atteggiamento nei
confronti dei tanti e concorrenti temi, che
fanno sì che una ferrovia sia molto di più
che una coppia di binari che congiungono,
nel minor tempo possibile, due località
distanti.
Tracciati non invasivi e rispettosi dei territori
che attraversano, che servono, opere di
ingegneria e d’architettura di qualità,
in sintonia – quale che sia il livello del
dialogo stabilito – con l’identità dei
luoghi, design all’altezza della
tradizione italiana per treni e impianti,
sensibilità grafica e attenzione nel
progetto di comunicazione. Tutto concorrerà
a decretare il successo, o il fallimento in
caso contrario, di un progetto tanto
ambizioso quanto necessario. Sono
auspicabili, per il futuro, rapidità delle
decisioni, tempi brevi di verifica, velocità
di realizzazione. Con un obiettivo, su
tutti: la conquista, per questa via, anche
per la Campania del “tempo della normalità”.
Un treno, cioè, che sappia condurre la
regione, la comunità degli uomini che
l’abita, verso la modernità,
semplicemente dotandola di un più
efficiente e veloce Smr.
Figura 7 - Napoli,
zona industriale orientale |
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1 Linee guida per il Ptr, a cura dell’Assessorato Regionale
all’Urbanistica.
2 I dati sono dell’Istituto di Ricerche Ambiente Italia, pubblicati
nell’ambito della Prima Conferenza
Nazionale dei Trasporti, gennaio 1998.
3 Rapporto Ecosistema Urbano 2001, a cura di Legambiente.
4 Linee Guida per il Ptr, a cura dell’Assessorato Regionale
all’Urbanistica.
5 Idem.
6 Silvia Suardi (1996), Per una storia italiana del treno, Domus
dossier, numero 4, anno IV.
7 Paolo A. Tumminelli, Avanti veloce?, Domus dossier, op. cit.
8 Christian Norberg-Schulz (1979), Genius Loci, Electa, Milano.
9 Bernardo Secchi (1984), Il racconto urbanistico, Einaudi, Torino.
10 La definizione è di Marc Augè, professore
all’Ehess di Parigi, autore di Nonluoghi.
Introduzione ad una antropologia della
surmodernità (Elèuthera) e Disneyland e
altri nonluoghi (Bollati Bolinghieri, 1999).
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