La pianificazione dei trasporti nella politica territoriale degli anni
2000
Le scelte di intervento nel settore dei trasporti vengono, oggi, in
Italia e nelle singole regioni, guidate
dall’intelligenza politica degli
amministratori e dall’abilità
tecnico-amministrativa della burocrazia
pubblica ed indirizzate da documenti
denominati piani. Questi sono
previsti da alcune leggi nazionali e
regionali: il piano generale dei
trasporti (Pgt), i piani regionali
dei trasporti (Prt), i piani urbani
della mobilità (Pum), i piani urbani
del traffico (Put), ma è assente un
disegno chiaro ed organico del processo che
contenga l’iter da seguire garantendo
l’efficacia delle scelte. Molto spesso i piani,
soltanto dopo qualche anno, sono superati
dalla dinamica del sistema e finiscono con
il costituire un intralcio al governo del
settore cui si pone rimedio ricorrendo a
varianti o, più semplicemente, ignorandone
i contenuti: in altri termini, rinunziando
alla pianificazione.
I motivi di questo stato di cose sono molteplici: dalla difficoltà –
che il più delle volte è un’obiettiva
impossibilità – di individuare in sede di
redazione del piano scelte fattibili ed in
grado di dare una risposta esaustiva alle
esigenze della mobilità, alla molteplicità
di soggetti che hanno titolo per intervenire
nel settore, alla difficoltà di prevedere
scenari di assetto territoriale di lungo
periodo e, quindi, la domanda futura di
spostamenti.
Il tema è di particolare attualità dal momento che in aree ad
economia avanzata i trasporti hanno assunto
una nuova centralità: il sistema dei
trasporti è chiamato in causa per
soddisfare esigenze di cooperazione e/o di
competizione tra sistemi economici che
richiedono interscambi di persone e di merci
più rapidi, più sicuri e più economici di
quelli attuali. La pianificazione dei
trasporti è diventata, perciò, centrale
per il raggiungimento di obiettivi di
efficienza, di efficacia, di economicità,
di qualità ambientale, attraverso la
ricerca di una combinazione ottimale tra i
sistemi disponibili (multi-modalità,
inter-operabilità). Ma è soprattutto
rispetto agli obiettivi di equità spaziale
e di efficienza del territorio che la
pianificazione dei trasporti si trova, oggi,
a ricoprire un ruolo di primo piano
attraverso la ricerca di soluzioni in grado
di garantire l’equilibrio territoriale
sempre più messo in crisi dalla diffusione
di nuovi modelli insediativi.
Affinché la pianificazione dei trasporti possa concretamente
contribuire alla qualità dei sistemi
socio-territoriali è necessario, però,
mediante l’adozione di una nuova
metodologia, determinare il superamento dei
limiti posti dalle attuali procedure di
pianificazione. La metodologia tradizionale
appare sempre più inadeguata rispetto
all’evoluzione sia del concetto di
pianificazione che del ruolo del
pianificatore. La pianificazione, infatti,
si è oggi trasformata in una vera e propria
attività di policy making e, pur
riguardando sempre la strutturazione e la
gestione del territorio, è diventata,
prevalentemente, scelta di interessi e di
aspettative, a volte inconciliabili, da
privilegiare. Il pianificatore, in questa
visione, è un soggetto orientato
politicamente, che può sostenere alcuni
modelli e non altri, offrire alcune
alternative e non altre, pur nel rispetto
del rigore delle sue analisi e del mandato
professionale avuto dagli amministratori cui
compete sempre la responsabilità ultima
delle scelte. La conseguenza è che
l’attività del pianificatore non si
esaurisce con le prestazioni di natura
tecnico-ingegneristica inerenti l’assetto
dei trasporti e del territorio, ma è anche
attività di analisi e studio dello stato
del sistema socioeconomico, delle sue
prevedibili trasformazioni, degli effetti
che gli interventi di piano possono
produrre, delle vie da perseguire per
raccogliere risorse e consenso sulle
proposte, degli strumenti da adottare per
rendere operative ed efficaci le scelte. Il
suo metodo di lavoro deve, di conseguenza,
essere compatibile con i metodi ed i tempi
degli altri attori del processo, in una
sintesi armonica che tenga innanzitutto
presente l’esigenza di pervenire a scelte
condivise, tempestive, praticabili,
convenienti per la collettività e per gli
eventuali investitori non istituzionali.
La proposta di processo di pianificazione della Regione Campania
La Regione Campania ha inteso dare una risposta a queste esigenze
inserendo, nella legge
3/2002 di riforma del trasporto,
un titolo dedicato alla pianificazione e
programmazione. Alla base della metodologia
proposta, vi è una concezione del piano
inteso non più come repertorio esaustivo di
tutte le trasformazioni ritenute
accettabili, ma come un codice delle
procedure da seguire per pervenire a
decisioni convenienti per la collettività e
condivise da tutti i soggetti
istituzionalmente competenti. Al disegno di
riassetto, definito in tutti i suoi dettagli
ma immutabile nel tempo, si sostituiscono le
regole da rispettare per formulare, in un
quadro strategico delineato all’inizio, le
scelte da fare man mano che se ne presenta
la necessità e che si concretizzano le
condizioni politiche e finanziarie per
tradurle in realtà. All’elenco degli
interventi, anche se documentato e
condiviso, si sostituisce un processo
che, con continuità nel tempo, attraverso
la redazione di una molteplicità di
documenti, costruisce il piano dettagliando,
precisando e arricchendo il disegno
strategico iniziale. Questo significa che le
scelte operative sono dettate dalla necessità
di attuare le scelte strategiche, ma anche
che queste ultime e gli obiettivi possono
essere costantemente riformulati in funzione
delle modifiche che si registrano nel
sistema a seguito degli effetti indotti
dalle azioni di altri piani, anche di
livelli gerarchicamente diversi e di settori
di intervento diversi. Si supera così la
“tradizionale e consolidata struttura
gerarchica, verticale e subordinata, dei
rapporti tra le istituzioni, ed in
particolare dei rapporti tra i diversi
livelli di pianificazione”, a favore di un
“sistema pluralista basato sui principi
della sussidiarietà e dell’autonomia e
organizzato su relazioni di cooperazione,
dialogo interattivo, concorso nei processi
decisionali, di tipo orizzontale e
degerarchizzato”1.
Il processo di pianificazione si concretizza nella produzione di una
successione di documenti (ogni documento è
l’atto finale di un segmento del processo
decisionale) classificabili in base alla scala
temporale (pianificazione degli
investimenti o strategica se relativi
ad interventi che richiedono tempi
d’attuazione lunghi e finanziamenti
ingenti; pianificazione dei servizi o tattica
se richiedono tempi brevi e finanziamenti più
contenuti), a livello territoriale
(regionale, provinciale e urbana) ed allo
stadio di avanzamento del processo stesso
(piani generali, piani di settori e studi di
fattibilità).
La pianificazione degli investimenti
La pianificazione degli investimenti riguarda2 le scelte
(istituzionali, infrastrutturali ed
organizzativo-gestionali) che incidono sulla
struttura del sistema regionale e locale dei
trasporti e, in particolare, gli
investimenti finalizzati alla realizzazione
delle opere civili, impianti e veicoli per
il trasporto di persone e di merci. La
pianificazione dei servizi riguarda invece
la gestione del sistema dei trasporti, vale
a dire l’utilizzo ottimale delle risorse
infrastrutturali, umane ed organizzative
disponibili al fine di consentire alla
domanda di mobilità attuale di essere
integralmente esaudita.
In ambedue le scale temporali, il processo di pianificazione prevede tre
livelli territoriali: regionale,
provinciale e locale3
corrispondenti ai tre livelli di
articolazione della pubblica amministrazione
non statale ed alle diverse scale
territoriali alle quali si manifesta la vita
economica e sociale dei cittadini e, di
conseguenza, la loro domanda di mobilità.
La scala regionale riguarda la mobilità che si esaurisce (o che
si manifesta per la maggior parte della sua
estensione fisica) all’interno dei confini
di ciascuna regione ma non all’interno dei
singoli comuni e dei sistemi di
comuni. Le competenze sono ormai quasi
integralmente dell’ente regione: i
ministeri conservano la responsabilità
della sicurezza e delle scelte riguardanti i
segmenti del sistema nazionale dei trasporti
interni ad ogni regione. La scala
provinciale è quella della mobilità
sovracomunale, della mobilità, cioè, che
non si esaurisce all’interno di un singolo
comune ma interessa più comuni contigui: è
il caso delle aree metropolitane (in
Campania, Napoli) e dei sistemi urbani che
si vanno formando intorno a comuni dotati di
forti caratteri di centralità (in Campania,
gli altri comuni capoluoghi di provincia ma
anche i principali comuni esterni all’area
metropolitana di Napoli). La scala
comunale è, infine, la scala dei
comuni, singoli od associati, dotati di
elevato grado di autosostentamento (ma non
di dimensioni tali da costituire un sistema
urbano) per i quali sia giustificato un
piano dei trasporti autonomo.
Nonostante il rapporto gerarchico tra i documenti relativi ai tre
livelli territoriali, l’assenza di documenti
di un livello superiore non deve costituire un
ostacolo procedurale alla redazione dei
documenti di livello inferiore e le scelte
contenute in documenti sovraordinati non devono
necessariamente prevalere sulle scelte dei
documenti sottordinati. In assenza di documenti
sovraordinati, l’ente responsabile delle
scelte di pianificazione può procedere alla
redazione dei documenti di propria competenza
aderendo agli indirizzi generali eventualmente
espressi dai livelli di governo più elevati. A
questi ultimi spetta, in ogni caso, il diritto
di esaminare tali scelte, con la possibilità di
bocciarle, eventualmente seguendo una procedura
aggravata nel caso risultassero in contrasto con
le proprie strategie generali di governo del
territorio. Restano escluse da tale procedura le
materie specificamente di competenza del livello
sottordinato. Ad ogni livello territoriale, la
pianificazione degli investimenti si attua
percorrendo tre stadi4:
- redazione di un Pgt: il Prt a livello regionale, il piano
provinciale dei trasporti a livello delle
singole province, ed il Pum a livello di comuni
o di comuni associati5;
- redazione dei piani di settore (Ps): sono piani modali,
relativi cioè al trasporto pubblico e privato,
di persone e di merci, su strada, su ferro, via
mare, aereo ed elicotteristico sull’intero
territorio di competenza dell’ente che ne cura
la redazione;
- redazione degli studi di fattibilità (Sf) relativi ai singoli
interventi o ad un insieme organico di
interventi.
I Pgt contengono le scelte generali di riassetto del sistema dei
trasporti sul territorio cui si riferiscono:
individuazione degli obiettivi e dei vincoli,
analisi della situazione in atto, formulazione
degli scenari alternativi di assetto in termini
di prestazioni richieste agli impianti ed alle
infrastrutture di trasporto, valutazione degli
scenari e scelta dello scenario di piano. Per
loro natura sono documenti poco operativi perché
richiedono Ps e/o Sf che definiscano nei
dettagli le caratteristiche degli interventi;
tuttavia vanno visti come vincolanti per quanto
riguarda le scelte - ancorché generali - che
contengono.
I Ps, oltre a contenere la specificazione delle scelte indicate dai Pgt,
possono avere anche contenuti innovatori
contribuendo di fatto alla costruzione del piano
inteso come insieme di Pgt, Ps e Sf. È proprio
attraverso questa costruzione continua del piano
che si realizza il piano-processo,
superando l’impostazione tradizionale che
affida l’aggiornamento dei documenti di piano
alle varianti. I Ps non contraddicono le scelte
generali dei piani direttori (Pd), ma le
completano e le arricchiscono recependo nuove
esigenze eventualmente emerse e valutazioni che
enti e società, specificamente attive nei
settori modali, ritengono di poter avanzare in
merito ai contenuti dei Pgt.
I Ps sono di norma redatti dall’ente responsabile dei trasporti alla
scala territoriale cui si riferiscono. Non è
però da escludere che l’iniziativa della loro
redazione sia presa anche da altri soggetti,
eventualmente privati, interessati al piano. In
questi casi debbono essere approvati dal governo
regionale e, quindi, è bene che siano redatti
nel rispetto di direttive da questo emanate.
Pgt e Ps hanno un periodo di validità di cinque anni al termine del
quale vanno rielaborati e adeguati alle nuove
esigenze nel frattempo emerse.
A valle dei Pgt e dei Ps è sempre prevista la redazione di Sf intesi
come momento ultimo del processo di
pianificazione, sede di valutazione delle
singole alternative relative ad uno specifico
intervento sotto gli aspetti tecnici,
amministrativi, funzionali, economici,
finanziari ed ambientali.
1
Lo Sf è l’elemento chiave del processo di pianificazione: da un lato
consente una valutazione molto dettagliata di un
intervento quando si è ancora in fase di scelta
e non già in sede di progettazione;
dall’altro lato giustifica, con la sua
presenza nel processo decisionale, la genericità
dei contenuti dei Pgt e dei Ps. Gli
approfondimenti analitici degli studi di
fattibilità consentono di documentare gli
aspetti positivi e negativi dell’intervento e
di raccogliere, quindi, quel consenso che,
viceversa, in sede di approvazione dei Pd e
attuativi, può mancare proprio per carenza di
documentazione.
Lo Sf segue, di norma, un Ps ma può essere redatto direttamente a
valle del Pgt nel caso che la necessità
dell’intervento preso in esame sia stata già
decretata o quando la complessità
dell’intervento è tale da giustificare uno
studio paragonabile ad un Ps in quanto a
complessità del progetto preso in esame. Lo Sf
può anche riguardare un intervento non
esplicitamente indicato nei due tipi di piani
sovraordinati, ma costituire una risposta ad
esigenze riconosciute da questi piani con
soluzioni coerenti con gli obiettivi e le
strategie da essi scelti.
In questo consiste l’innovatività degli Sf nell’ambito del
processo di piano, del tutto analoga a quella di
cui si è detto per i Ps rispetto ai Pgt.
Gli Sf possono essere redatti, come i Ps, da soggetti diversi dalla
pubblica amministrazione con l’obbligo di
essere in ogni caso sottoposti
all’approvazione di quest’ultima: i
conflitti di opinione vanno superati nel
rispetto degli stessi criteri esposti in
precedenza a proposito dei rapporti tra
contenuti dei Pgt e dei Ps.
Lo Sf, nel caso di infrastrutture, ha i contenuti progettuali di un
progetto preliminare, nell’accezione data a
questo termine dalla legge e dal regolamento sui
lavori pubblici (legge 415/1998).
Esso costituisce così anche il primo passo del processo di
progettazione che si svilupperà nella sua
interezza a valle della pianificazione con la
redazione del progetto definitivo e del progetto
esecutivo. In questo senso, lo Sf è il momento
più creativo e, nello stesso tempo, quello che
più richiede una cultura tecnico-ingegneristica.
La pianificazione dei servizi
La pianificazione dei servizi si articola per modo di trasporto, con
strumenti diversi in relazione al livello
territoriale di riferimento ed al soggetto cui
è affidata la gestione.
Per la gestione dei servizi di trasporto pubblico locale alla
scala regionale – i soli che vengono presi in
considerazione dalla proposta di legge della
Regione Campania – operano prevalentemente
aziende di proprietà pubblica o privata,
strutturate come enti economici e, in
prospettiva, come società per azioni, ma sempre
più spesso indipendenti dal potere politico
nelle loro scelte di gestione. In questi casi il
controllo della pubblica amministrazione avviene
in sede di sottoscrizione dei contratti di
servizi previsti dal DLgs 422/1997.
I documenti del processo di piano delineato dalla Campania si articola,
come per la pianificazione degli investimenti,
in più stadi e, in particolare, in due stadi:
nel primo, dai contenuti generali, vengono
approvate da parte del governo regionale le linee
direttive del trasporto pubblico6;
nel secondo, vengono approvati da parte della
regione stessa, per i servizi di propria
competenza, e da parte degli enti locali
sottostanti (province, comuni capoluoghi di
provincia, Città metropolitane e altri enti
locali a ciò delegati dalla regione) i piani
triennali di trasporto pubblico locale7.
Le linee direttive orientano la programmazione
dei servizi di mobilità in modo che siano
qualitativamente e quantitativamente sufficienti
a soddisfare la domanda di mobilità dei
cittadini. Esse contengono la definizione dei
principi e dei criteri per la determinazione dei
servizi minimi, la definizione dei criteri per
la ripartizione delle risorse da trasferire
dalla regione agli enti locali e la definizione
delle dimensioni minime delle unità di
gestione. I piani triennali di trasporto
pubblico locale contengono l’organizzazione
dei servizi minimi di propria competenza con le
relative proposte di integrazione modale e
tariffaria, l’indicazione delle risorse da
destinare all’esercizio ed agli investimenti,
le modalità di determinazione delle tariffe e
di attuazione e revisione dei contratti di
servizio e il sistema di monitoraggio della
qualità e quantità dei servizi.
Per la gestione del sistema di trasporto individuale e cioè del
deflusso veicolare sulla rete stradale, i
documenti previsti dalla procedura sono quelli
del Codice della strada (art. 36), vale a dire:
- i piani del traffico per la viabilità extraurbana di
competenza delle province;
- i piani del traffico delle città metropolitane (art. 17 della
legge 142/1990) di competenza delle città
metropolitane;
- i Put di competenza dei comuni;
- i piani intercomunali di coordinamento tra i Put di comuni
contigui previsti dalle direttive del Ministero
dei lavori pubblici8, oggetto della
circolare dello stesso ministero n. 6372 del 2
dicembre 1997 e di competenza dei comuni
interessati.
Anche questi piani, nel rispetto delle direttive citate, si articolano
in più stadi (Pgt, piani attuativi e piani
esecutivi), con un progressivo passaggio
dalle scelte generali a quelle di dettaglio da
attuare successivamente nel tempo secondo un
programma temporale coordinato con le esigenze e
le concrete possibilità di attuazione.
2
La partecipazione delle collettività locali: la consulta regionale per
la mobilità
Se l’attuabilità di un piano dipende dalla presenza di gruppi
sociali in grado di appoggiarne o contrastarne
le scelte9, la procedura decisionale
deve permettere che esigenze e valutazioni,
contestazioni e opposizioni si manifestino
durante la formazione del piano in modo da
recepirle per quanto vi è di condivisibile e,
viceversa, da neutralizzarle se non conformi con
l’interesse della collettività.
Il disegno di legge prevede l’istituzione di un nuovo organismo: la consulta
regionale per la mobilità, nel cui seno sarà
possibile avere un continuo controllo della
rispondenza delle scelte alle valutazioni ed
alle esigenze dei rappresentanti dei gruppi di
interesse. Affinché però la partecipazione sia
un modo per contribuire alla formazione del
piano e la via attraverso la quale far
partecipare il sapere diffuso al policentrismo
decisionale, è necessario che essa sia
promossa e praticata durante i lavori in modo
tale che le decisioni si formino anche
attraverso la previa acquisizione di tutti i
possibili interessi10.
Il disegno di legge
prevede, come si vedrà nel paragrafo
successivo, l’istituzione di un soggetto, l’agenzia
campana per la mobilità (AcaM), cui è
affidata, tra l’altro, la progettazione della
partecipazione, a cura di esperti di
comunicazione sociale integrati da tecnici dei
trasporti.
La gestione del processo di pianificazione
L’intero processo di pianificazione ha bisogno di un organismo che ne
curi la gestione, dalla redazione dei documenti
(direttamente o ricorrendo alle competenze
esterne del mondo universitario e
professionale), alla promozione ed
organizzazione del complesso insieme di contatti
ed accordi tra i soggetti del processo, al
controllo del rispetto dei tempi, al
monitoraggio dell’evoluzione del sistema dei
trasporti e del traffico e degli effetti degli
interventi. Il disegno di legge della regione
prevede l’istituzione dell’ACaM e la
possibilità che le singole province
istituiscano proprie agenzie territoriali.
Questi nuovi uffici, insieme agli uffici di
piano, possono garantire che il processo
delineato dalla norma si snodi nel tempo secondo
una logica che eviti che la complessità del
tema generi caos e non ordine, efficienza ed
efficacia.
1 Barbieri C. A. (1995), Riforma urbanistica e riforma dello Stato,
Atti del XXI Congresso Nazionale dell’Inu,
Bologna.
2 Vedi l’art. 13 della legge al comma 2.
3 Vedi l’art. 14 della legge.
4 Vedi sempre l’art.14 della legge.
5 Rientrano tra questi i piani dei trasporti delle città metropolitane
di cui all’art. 7 della legge 142/1990
6 Vedi l’art. 16 della legge.
7 Vedi l’art. 17 della legge.
8 Vedi le direttive pubblicate sulla Gu n. 46 del 24 giugno 1995.
9 Correra H. (1994), Un approccio all’integrazione operativa degli
aspetti tecnici e politici della pianificazione,
in Archibugi F. e Bisogno P., Per una teoria
della pianificazione, FrancoAngeli, Milano.
10 Iannotta L. (1991), Gli istituti di partecipazione, tra pubblico e
privato, nell’ordinamento locale, in
Iannotta L., Pugliese F. e Marrama R., Profili
dell’autonomia nella riforma degli ordinamenti
locali, Esi, Napoli.
1. Perino e Vele, “Diciotto posti”, 1998, cartapesta, ferro; cmc
46x120x80
2. Perino e Vele, “Senza titolo”, 1999.
Cartapesta, pittura nitro, ferro, gomma; cmc
101x73x75,5 |