Pensando al futuro e alla rivista areAVasta,
ma anche al futuro e ai problemi che esso
impone di affrontare, si riportano di
seguito alcune considerazioni. C’è, infatti,
molto da riflettere sul nostro futuro, su
quello che sta accadendo.
Molte cose stanno cambiando. Le città e il
territorio stanno subendo rilevanti
mutamenti socio-ambientali, forse come mai
prima o, almeno, siamo noi ad avvertirne
particolarmente le modifiche. La
pianificazione è sempre più orientata alle
aree vaste. Si tratta di aree regionali,
come 20-30 anni fa; sono regioni sempre più
ampie, più complesse e multidimensionali nel
pianeta.
Gli sguardi sono ormai addirittura
planetari, perché la sfida ambientale questo
impone.
L’analisi e il progetto, parti fondamentali
del nostro lavoro, sono in difficoltà di
fronte a queste sfide e la complessità della
sostanza e delle procedure è molto elevata.
Si tratta, quindi, di una complessità
organizzativa, non solo sostantiva (o
sostanziale).
I progetti di conoscenza e rappresentazione
di problemi sono cose, oggi, forse più utili
e più importanti delle tradizionali
soluzioni.
Si moltiplicano sempre più gli sguardi al
futuro, a orientamenti strategici e a futuri
possibili e molteplici. Sguardi ad una
governance interistituzionale ibrida,
multiculturale e in diffusione.
Scenari.
Si verificano mutamenti strutturali delle
aree vaste: le città crescono diventando
delle metropoli e delle megalopoli, sia nei
paesi ricchi che nei paesi poveri. Le
campagne resistono come giacimenti di
risorse naturali, ma le popolazioni, spesso,
se ne allontanano, soprattutto nei paesi
poveri, e vanno verso le megalopoli.
Invece, nei paesi più sviluppati, le
campagne vedono un ritorno di popolazione;
si registra, dunque, un fenomeno di
contrurbanizzazione.
Stanno riassumendo una loro dimensione quei
sistemi urbani composti di una pluralità di
piccoli centri ricchi di tradizione. Le aree
protette si diffondono sempre di più e, al
tempo stesso, si diffondono anche forme di
inquinamento che spesso non si riescono a
controllare.
I dualismi rappresentano una componente
fortissima del nostro tempo. Gli estremi si
stanno esaltando: grande e piccolo, povero e
ricco, inquinato e pulito, debole e potente.
La mobilità, reale e virtuale, sta crescendo
enormemente insieme all’inquinamento da
trasporto.
Nei paesi ricchi vediamo sistemi produttivi
integrati, industrie sempre più avanzate
coesistono con quelle tradizionali; si
tratta, però, di industrie tradizionali che
usano tecnologie. Si sviluppa un’industria
della conoscenza mirabile, produzioni
agricole specializzate coesistono con
produzioni agricole di nicchia, servizi
avanzati coesistono con servizi
tradizionali.
Nei paesi poveri, invece, si assiste alla
crescita di sistemi produttivi più semplici,
più fragili, meno sviluppati, più
polarizzati in pochi settori che gli
economisti chiamano settori di vantaggio
competitivo. Dominano produzioni
tradizionali, mentre l’industria della
conoscenza è assente.
Le organizzazioni evolvono pur conservando
una drammatica coesistenza di vecchio e
nuovo. Vecchio e nuovo possono e devono
coesistere virtuosamente; il nuovo non deve
eliminare il vecchio.
Crescono le realtà e le percezioni, come
pure le pluralità, le complessità e le
differenze, perché aumentano le interazioni
reali e virtuali; aumentano i nostri scambi
e ciò ci induce ad avere una maggiore
coscienza della complessità e della
multiculturalità.
Politiche.
Nei paesi ricchi più sviluppati, politiche
guidate dal mercato si sostituiscono a
politiche pubbliche più tradizionali; queste
ultime, invece, resistono nei paesi meno
sviluppati e poveri. Le pianificazioni a cui
assistiamo, di fronte alle sfide
socio-ambientali, sono sempre meno guidate
dall’attore pubblico e sempre più miste
pubbliche e private, sempre più ibride, più
partenariali, più complesse e interattive,
più strategiche e più orientate al futuro, a
futuri di generazioni successive.
Avanzano forme di governo non rituali, le
cosiddette governance, che dal basso
(bottom up) si accostano, integrano e
si sostituiscono a politiche dall’alto (top
down).
Agende 21 ed i loro forums si presentano
come nuove arene di politiche
socio-ambientali; ma a questi forums si
associano effetti di Babele perchè tanti
sono i linguaggi, i problemi di integrazione
difficile, di differenti valori e differenti
linguaggi.
Emergono dilemmi della partecipazione,
dilemmi della decisione, dilemmi della
democrazia. Ma emergono anche
coinvolgimenti, passioni e promesse di
migliori efficienze ed efficacie; promesse
legate, per esempio, al decentramento e alla
partecipazione massicce; basti pensare ai
bilanci partecipativi che si stanno
diffondendo in tutto il pianeta.
Mediazioni e negoziazioni costituiscono un
campo molto importante e sempre più
imprescindibile del lavoro di planner,
che si esplica a livello locale e anche
globale.
Le forme tradizionali delle politiche sono
messe in discussione. Per quanto riguarda le
politiche, poi, devono coesistere
decisionalità e cautele. Ad esempio: le
risposte ai bisogni basici (basic needs)
richiedono decisioni ma, al tempo stesso,
risposte a bisogni evoluti richiedono
cautela.
Occorre individuare soluzioni creative e a
tal fine l’irruzione di nuovi attori e nuovi
saperi nelle arene politiche è importante.
Si tratta di figure che sono già entrate o
stanno ancora sui limitari delle arene, non
sono ancora entrate e premono per entrare.
Ma quale tipo di nuova democrazia può
coinvolgerle? Vi è una forte problematicità
in tutto questo: le soluzioni generali e
quelle locali devono coesistere con i
rispettivi tipi di problemi. Si riafferma,
pertanto, la saggezza del detto “pensa
globalmente, agisci localmente”. Vi è una
necessità di coordinamenti sempre più
intensi ed estesi di fronte alle emergenti
sfide socio-ambientali.
Tecnologie.
Vi sono, poi, le tecnologie ad assistere il
nostro lavoro. I Gis, ad esempio, sono in
diffusione in maniera pressoché
incontrollata: sistemi di supporto alla
decisione, agenti intelligenti, sistemi di
acquisizione e trattamento di conoscenza
multiagente, sistemi di mediazione e
negoziale, sistemi geomatici nuovi (si pensi
a quelli da piattaforme remote satellitari),
sistemi di navigazione (per esempio, nei
trasporti).
Nel passaggio dal macro al micro abbiamo
sempre più la possibilità di trattare il
micro, di andare verso gli agenti, verso le
individualità. Ma la tendenza crescente è
quella di ambienti interoperabili, ambienti
che dialogano tra loro e che possono farlo
in base a soluzioni ibride.
Vi è un’interessante diffusione delle nostre
possibilità e capacità di trattamento di
problemi linguistici e di azioni
linguistiche (soft computing: computing
by words). Mi riferisco, qui, al campo
della computazione attraverso parole, in
costante dispiegamento non solo nel nostro
campo.
Nascono organizzazioni ed agenzie che
apprendono: dagli ambienti istituzionali e
di governance che le favoriscono alle
tecnologie che esplorano spazi di decisione,
per esempio mediante diffusioni di reti e di
apprendimenti a distanza di tipo virtuale (e-learning).
I Gis, i sistemi di informazione geografica,
divengono sempre più evoluti: a partire
dalla georeferenziazione euclidea, sono
ormai divenuti capaci, in qualche caso, di
trattare dati non euclidei, di avere
georeferenziazioni qualitative, di trattare
conoscenze sfumate, di trattare espressioni
orali, verbali. Si pensi a quanto le
espressioni orali e verbali siano importanti
nella conoscenza dei luoghi, nella
conoscenza locale, nella conoscenza degli
ambienti, nelle tradizioni che certi luoghi
conservano e tramandano alle generazioni
future.
Si vanno diffondendo tecnologie amichevoli
per le conoscenze locali.
Si vanno diffondendo sistemi ibridi basati
su conoscenza esperta e non esperta, sistemi
che fanno sempre più uso di conoscenza di
senso comune, la quale si rivela sempre più
importante anche nelle tecnologie.
Emergono, naturalmente, problemi di
divisione digitale (digital divide)
tra quanti hanno poteri informatici (cioè
dispongono di strumentazioni, sono
alfabetizzati) e quanti, invece, non ne
hanno.
Si tratta di problemi seri da affrontate con
adeguate conoscenze e consapevolezze
politiche.
Conclusioni
Nei nuovi piani vi è bisogno di integrare
forme di razionalità sostanziale e di
razionalità procedurale.
I piani dobbiamo sempre più vederli come
vere e proprie organizzazioni di popolazioni
che apprendono a coevolvere in ecosistemi di
differente artificialità e naturalità.
La pianificazione razionale contemporanea è
sempre più orientata alla sfida della
conoscenza e della complessità. |