Aree industriali e attrazione
economico-territoriale
Il recente Accordo Interconfederale 19
giugno 2003 dedica un’ampia pagina alle
politiche per le infrastrutture e la
competitività territoriale affermando, tra
l’altro, che l’attuale fase recessiva e le
sue incerte prospettive stanno facendo
emergere, in misura ancor più evidente, i
rilevanti problemi di competitività di cui
soffre da tempo il nostro paese e, in
particolare, il Mezzogiorno e che -
nell’ambito dei vari fattori necessari per
offrire alle imprese ed all’insieme del
sistema paese le necessarie opportunità
indotte dallo sviluppo dei mercati in
profonda trasformazione - le infrastrutture
rappresentano una variabile determinante per
la competitività di Stati, regioni ed
imprese.
La programmazione delle aree industriali,
quindi, configura una scelta politica di
rilevante importanza per le istituzioni ma
anche e soprattutto per gli operatori
economici ed i cittadini. Sono noti i punti
di forza della Campania: secondo il
Censimento 2001, la consistenza di una forza
industriale connessa ad un abbozzo di
infrastruttura logistica sono composti da:
- 294.465 le unità locali attive delle
imprese e delle istituzioni in Campania di
cui il 19,2% è costituito da unità locali di
imprese del settore dell’industria;
- 1.197.587 di addetti alle unità locali,
suddivisi tra industria (24,1%), commercio
(18,8%), altri servizi (30,7%), che lascia -
raro nel Sud - il solo 26,4% alle
istituzioni pubbliche e private;
- un aumento, rispetto al precedente
Censimento del 1991, delle unità locali (+
8,9%) e degli addetti (+ 1,3%).
Componente primaria di attrazione degli
investimenti esterni all’area, oggi
inesistenti, appare la moderna
programmazione delle aree industriali: essa,
quindi, diventa un fattore decisivo del
rilancio della Regione Campania. Questo
articolo tenta di aprire la discussione su
un aspetto di grande importanza e portata,
orientandola nei confronti del
posizionamento delle infrastrutture e delle
aree industriali operato dal progetto di
piano territoriale di coordinamento (Ptc)
napoletano. Ma vuole anche ricordare non
solo che gli indicatori di dotazione
infrastrutturale davano nel 1997 alla
Campania un non lusinghiero 51,1% rispetto
alla media nazionale, ma anche che l’offerta
di convenienti aree industriali sta
provenendo dai paesi orientali e
mediterranei con i quali è aperto il
confronto.
Il Ptc e le aree industriali in Italia
È stato detto su questa rivista - e lo
condivido - che l’attuale notevole interesse
per la pianificazione territoriale
provinciale è da ascrivere non solo alla
ancora sostanziale novità rappresentata
dallo strumento del Ptc, a ben dodici anni
dalla legge 142/1990, specie in alcune
realtà del territorio nazionale, ma
soprattutto dalla opportunità-obbligo di
poter avviare, al di là degli aspetti
istituzionali o di impostazione teorica o
formale, una concreta sperimentazione delle
varie condizioni operative, organizzative,
procedurali e decisionali che lo sottendono.
Com’è noto al mondo degli studiosi di
urbanistica, il modello di Ptc più
riprodotto dalle province italiane negli
ultimi tre anni è quello attuato dagli
strumenti urbanistici dei comuni che si
conformino alle indicazioni contenute nelle
cartografie e a quanto sia stato stabilito
nelle norme regionali (relazione generale,
monografie dei sistemi territoriali e locali
e - ove esistenti - dagli statuti). In
particolar modo, gli strumenti urbanistici
dei comuni sembrano per lo più attenersi
alle salvaguardie ed alle istruzioni
tecniche disposte dalla competente legge
regionale urbanistica, nonchè alle norme,
piani e programmi di settore regionali. Il
Ptc ha spesso valore prescrittivo e di
direttiva in conformità con il disposto
della legge regionale e contiene altresì
criteri di localizzazione, indirizzi,
indicazioni e parametri. Se le prescrizioni
vincolano gli strumenti urbanistici dei
comuni alle modalità e ai criteri di
pianificazione da esse previsti, le
direttive individuano i principi d’uso del
territorio e gli obiettivi di tutela che gli
strumenti urbanistici dei comuni, pur nella
loro autonomia, sono tenuti a perseguire.
In questo contesto i criteri regionali di
localizzazione delle aree industriali
dettano principi che gli strumenti
urbanistici dei comuni devono seguire per la
localizzazione delle funzioni, delle opere e
degli impianti. I modelli di pianificazione
urbanistica adottati da varie province
italiane, interpretando in modo difforme la
medesima normativa nazionale, hanno
utilizzato maggiormente direttive che
prescrizioni. Mediante questa scelta hanno
creato contesti provinciali nei quali gli
imprenditori sanno dove insediarsi (aree di
sviluppo industriale fortemente determinate
dalla pianificazione dello sviluppo da parte
delle istituzioni sovracomunali) ed altri
nei quali le scelte insediative sono
progressive e derivanti dalle scelte di uno
o più comuni limitrofi che pur interpretano
e rispettano scelte di vocazione ed
infrastrutturazione sovracomunali. Ad
esempio:
a) il Ptc della Provincia di Genova -
contraddistinta dalla forte
deindustrializzazione e dal vigoroso impulso
di riprogettazione urbanistica - ha disposto
in ordine alle aree industriali una
normativa che si limita alla localizzazione
delle aree ed alla organizzazione del
sistema delle aree produttive, restando le
scelte provinciali limitate al livello di
mero “valore di orientamento ad efficacia
propositiva”;
b) il Ptc della Provincia di Milano – come
focus del nuovo modello della
ripolarizzazione imprenditoriale
postindustriale italiana - si è limitato ad
indicare i “criteri per l’individuazione
delle aree industriali nello strumento
urbanistico comunale”; tuttavia Milano ci dà
una chiave di lettura più interessante di
Genova per aver deciso di attuare una
pianificazione leggera e cioè “dettare
indirizzi specifici” in ordine alla
necessità di sviluppo imprenditoriale
mediante la fissazione di parametri
economico-ambientali:
- concentrazione ed integrazione delle
attività produttive in aree ecologicamente
attrezzate;
- verifica degli effetti diretti ed
indiretti sul paesaggio;
- circoscrizione degli insediamenti di
frangia;
- riqualificazione e recupero
infrastrutturale;
- compattamento morfologico;
- promozione di dispositivi premianti
rivolti ad attività innovative ad alto
contenuto tecnologico;
c) il Ptc della Provincia di Torino è molto
più precettivo: esso si basa sull’obiettivo
opposto a Milano: la costruzione di
sistemi locali del valore, agendo sulla
riduzione della dispersione dei siti
industriali; come tale adotta “indirizzi” e
“prescrizioni che esigono attuazione”: a
queste ultime, tuttavia, “i Comuni dovranno
attenersi alle prescrizioni in sede di
formazione degli strumenti urbanistici”
secondo un obiettivo strategico contenuto in
una tavola sinottica;
d) con l’obiettivo di programmare il
miglioramento di un’area industriale
intensamente conurbata, il Ptc della
Provincia di Terni utilizza un sistema
differente, ma egualmente articolato di
interventi eco-compatibili negli agglomerati
produttivi;
e) il Ptc della Provincia di Pistoia,
addirittura, si limita ad affermare come “il
piano strategico e gli altri strumenti
urbanistici generali comunali quantificano i
fabbisogni di spazi per destinazioni
produttive conformemente alle seguenti
prescrizioni (…) di rilocalizzazione e dei
processi di crescita e sviluppo”. In ciò
mutuando le esperienze della
rilocalizzazione industriale genovese e dei
sistemi locali di sviluppo torinesi
contenute nei rispettivi Ptc adottati
recentemente e citati nelle note precedenti.
Insomma, la pianificazione urbanistica
adottata da gran parte di quelle province
italiane che siano raffrontabili a quella di
Napoli, ingiungendo ai comuni di
interpretare linee guida regionali già
esistenti, facilitano l’attrazione del
marketing territoriale industriale e dei
servizi connessi.
Non così - temo - per Napoli.
Le aree industriali nel Ptc di Napoli
Parto da un duplice assunto:
1. la scelta delle aree industriali
napoletane deve essere preceduta dalle
indicazioni di sviluppo dell’economia
dell’area più vasta regionale, quali
- ad esempio - lo sviluppo distrettuale
industriale, l’attrazione dei grandi motori
turistici, la pianificazione della rete
logistica ampliata (ferro-nave-autostrada-aeropotualità-intermodalità-energia
elettrica-gas-cablaggio);
2. le scelte del Ptc della Provincia di
Napoli sono di rango regionale in quanto:
- la distribuzione delle attività economiche
per provincia segnala che circa la metà
delle unità locali (47,2%) e degli addetti
(49,8%) censiti in Campania, opera nei
comuni della Provincia di Napoli;
- la densità territoriale delle unità locali
indica un’altissima concentrazione degli
insediamenti produttivi nella Provincia di
Napoli (118,7 unità locali per kmq) rispetto
alla media regionale (21,7).
Orbene, questa breve ricognizione di Ptc
provinciali consente di affermare come, in
tema di aree produttive di beni e servizi,
il confronto con la maggior parte delle
recentissime esperienze di Ptc di altre
amministrazioni provinciali inverta - dal
basso invece che dall’alto - la direzione
prescelta dal Ptc della Provincia di Napoli.
A fronte delle scelte delle altre province
italiane, il Ptc della Provincia di Napoli,
intende disporre direttamente e in modo
assolutamente particolareggiato (in termini
di estensione, indicatori, rapporti di
copertura, ecc.) delle nuove aree
industriali o l’allargamento di esistenti,
addirittura interpretando scelte di sviluppo
dell’economia dell’area più vasta
regionale ancora incomplete.
Il Ptc napoletano è molto preciso
Esso prevede che la realizzazione di nuove
aree destinate alla produzione di beni e
servizi di interesse provinciale si debba
sviluppare secondo direttive e prescrizioni
già fissate nelle norme di attuazione e
nelle tavole di progetto quanto ai luoghi,
alle estensioni, ai rapporti superficie
coperta/scoperta ecc., secondo un modello di
previsione molto preciso ma privo di
priorità identificabili se non quella della
stessa regolamentazione pianificatoria.
La realizzazione di nuove aree industriali
nella Provincia di Napoli - a fronte della
nota e rilevante carenza - sarebbe
fortemente limitata in quanto le aree di
interesse provinciale - quelle che si
avvarrebbero di future scelte
infrastrutturali primarie - sono, come
segue, determinate più dall’esigenza di
controllo che di promozione del territorio.
Qualche esempio concreto:
- per l’ambito sovracomunale G - Area
vesuviana interna - nei Comuni di Palma
Campania, S. Giuseppe Vesuviano, S. Gennaro
Vesuviano e Terzino, è stabilita una
superficie territoriale complessiva
addirittura predeterminata nell’entità e nei
luoghi (160 ha in quattro comuni, mediante
due aree da 50 ha e due da 30ha);
- per gli ambiti C, D, E, F e G, la
realizzazione di insediamenti destinati alla
produzione di beni e servizi di interesse
provinciale è rigidamente fissata anche
nelle vocazioni imprenditoriali (solo
creazione di aree di servizi integrati alla
produzione, nelle quali possono insediarsi
prevalentemente aziende industriali con
oltre 20 addetti con quote riservate alle
piccole industrie principalmente di supporto
e indotto, nonché centri di servizi alle
imprese);
- per gli altri ambiti sovracomunali gli
ampliamenti di aree industriali preesistenti
(le più appetibili sia per le infrastrutture
già esistenti e solo da ampliare e per gli
ampliamenti possibili delle aziende già in
zona) sono limitati sia nelle quantità
(visibili nelle tavole di progetto) che
nelle localizzazioni (tre delle sette
attuali aree di sviluppo industriale).
Nel piano si sottolinea la possibilità per i
singoli comuni di modificare i limiti delle
aree identificate, ma con questa
affermazione si penalizza - a mio modo di
vedere - non solo l’adozione di poche e
forti priorità di scelta localizzativa, ma
anche la concertazione con le istituzioni e
le parti sociali.
Prima priorità: i distretti industriali
A fronte di questa precisione di
prescrizioni dall’alto, ci si aspetterebbe
di trovar traccia di azioni specifiche di
indirizzo dell’importante tessuto dei due
dei sette distretti industriali siti nel
territorio provinciale: è pur vero che solo
quando, se e come si determineranno e
rafforzeranno le vocazioni produttive di
specializzazione di alcune aree
sovracomunali, sarà possibile fare una mappa
delle aree e dei servizi industriali
necessari ad essi, ma questo mi sembra
essere il primo asset prioritario per la
localizzazione delle aree industriali.
Ritengo di poter affermare che - in assenza
di un quadro di sviluppo regionale e di una
concretizzazione di almeno uno dei due
distretti industriali nel territorio
napoletano - sia quanto meno prematura una
pianificazione deterministica delle
localizzazioni.
Discutibile appare anche la suddivisione in
alcune aree industriali di interesse
maggiore (provinciale) ed altre di
(inferiore) interesse comunale. Perchè si
sceglie di ampliare agglomerati industriali
non connessi a distretti (come Giugliano),
se poi si prevede di istituire un complesso
di quattro piani degli insediamenti
produttivi (Pip) nel distretto
sangiuseppese?
Qualche esempio che fornisca al lettore
alcuni elementi di giudizio critico sulle
scelte attuate dal Ptc di Napoli:
- appare poco disincentivante quella parte
degli “Indirizzi per la pianificazione delle
aree da destinare alla produzione di beni e
servizi”, nella quale si vincolano i singoli
comuni a dimensionare, in rapporto ai propri
abitanti, la superficie totale delle nuove
aree industriali (ha/1000ab.): la vastità
delle conurbazioni consentirebbe la
creazione di enormi nuove aree industriali
se i comuni intendessero usare i parametri
(dal rapporto di 0,3 ha/1000 ab. a quello di
0,8 ha/1000 ab.) sia pur diversamente
configurati a seconda della loro
appartenenza agli ambiti sovracomunali del
delineato sistema policentrico provinciale;
- non può che dirsi disincentivante lo
stabilire a livello provinciale la
dimensione della superficie massima del
singolo lotto per singola azienda: si pensi
all’eventualità di ampliamenti futuri
dell’iniziativa;
- in taluni casi si vincola addirittura
l’attrazione di nuovi imprenditori dal di
fuori dell’area, imponendo l’assurdo vincolo
che la nuova area industriale possa essere
utilizzata solo da aziende che si vogliano
delocalizzare, riorganizzare o ampliare in
quanto insistenti negli attuali insediamenti
abitativi.
In sintesi, a Napoli, credo che la
programmazione delle aree industriali debba
essere legata ai distretti in quanto
esigenza degli operatori economici e delle
amministrazioni locali e di settore che lì
operano e che sono elemento di attrazione
industriale esterna: le scelte delle aree
industriali e delle infrastrutture devono
provenire dal basso perchè sono vitali per:
- attivare siti industriali più calibrati
nella localizzazione e nella quantizzazione
di quelli (troppi e sparsi) inseriti
nell’Intesa istituzionale quadro,
intervenuta tra il Governo Italiano e la
Presidenza della Giunta regionale Campania
del dicembre 2001;
- limitare al massimo l’uso del meccanismo
della sponda per il cofinanziamento
degli interventi della Misura 4.1 del
programma operativo regionale (Por)
Campania, dedicata proprio alla scelta
tipologica e localizzativi dell’infrastrutturazione
delle aree produttive;
- promuovere l’effettiva partecipazione su
queste vitali scelte da parte del
partenariato sociale ed economico del
distretto, mediante indicazioni mirate sui
siti da estendere, costituire,
infrastrutturare, ecc;
- promuovere la visibilità di un disegno
strategico regionale di poche nuove aree
(con infrastrutture superiori di sicurezza,
servizi consortili, ecc.) e, quindi, una
promozione della finanza di progetto: ad
essa non vi è alternativa finanziaria, visti
gli alti costi di tali infrastrutture e
l’esigenza di ricarichi di lungo termine per
renderle appetibili nel confronto nazionale
ed internazionale.
Seconda priorità: logistica e mobilità
Condivido l’opinione di Isidoro Fasolino (areavasta
n. 4, luglio - dicembre 2001, “Efficacia
attuale e fututra del Ptc”, pagg. 95-101)
quando afferma che “il Ptc va interpretato
come piano di area vasta, privilegiando i
contenuti paesistico-ambientali del piano.
Il Ptc non è una sommatoria di Prg ma un
piano strategico che opera su problematiche,
effettuando le relative scelte, di carattere
sovracomunale e di interesse provinciale,
lasciando ampi spazi di autonomia a livello
comunale, di cui condiziona i soli aspetti
strutturali”.
In quest’ottica, anche per evitare che ogni
comune continui a costituire una zona D
sul suo piano regolatore credendo di
attrarre così investitori, riaffermiamo
l’esigenza che la scelta delle aree
industriali napoletane deve essere preceduta
dalle scelte di sviluppo dell’economia
dell’area più vasta regionale.
Ma, per non essere generici, segnaliamo come
riferimento prioritario il settore della
logistica e quello della gestione del
trasporto locale: essi sarebbero il
secondo asset prioritario per la
localizzazione delle aree industriali.
Circa la logistica, il coordinamento tra le
anzidette preesistenze infrastrutturali
logistiche appare prossimo. Circa la
gestione del trasporto pubblico locale, la
costituzione appare meno facile. Esperienze
straniere (Transport for London, Régie
Autonome des Transports Parisiens, Société
Lyonnaise de Transport en Commun) ed
italiane (Atr Forlì-Cesena, Tram Rimini, Atc
Reggio Emilia, Atac Roma) hanno dimostrato
che l’attività di gestione della mobilità
locale è elemento di localizzazione di
attività economiche. Un recente studio del
Cesit ha proposto per la Campania il
confronto tra i modelli esistenti di Agenzie
di gestione, esecutive e di supporto
prediligendo le prime perché coerenti con le
indicazioni della privatizzazione dei
servizi pubblici locali (art. 35 della legge
finanziaria 2002): esse sembrano - come
mostra l’esperienza di Roma, Forlì-Cesena,
Rimini, Parma e Reggio Emilia - una forte
opportunità. Quindi, la priorità è una e
duplice: se la logistica attrae le merci, la
mobilità locale facilita uomini e mezzi di
dipendenti e clienti delle aziende delle
aree industriali che si servono di essa.
Aree industriali e infrastrutture esistenti
L’auspicio è che il disegno del Ptc della
Provincia di Napoli, limitatamente alla
programmazione delle aree industriali, sia
riveduto alla luce delle anzidette priorità:
i due distretti industriali di Grumo
Nevano-Aversa e di San Giuseppe Vesuviano e
le preesistenze della logistica integrata.
Perché, quindi, non ricercare un ruolo del
Ptc di Napoli (in stretta correlazione con
quelli già avviati dalle Province di Salerno
e Caserta) nel posizionare le poche nuove
aree industriali seguendo la pianificazione
della rete dei distretti e della logistica
ampliata, le quali praticamente coincidono?
Operando in tal modo il Ptc di Napoli
diverrebbe un piano di area vasta.
Farebbe risaltare agli investitori
industriali e della finanza il già forte
tessuto infrastrutturale specifico esistente
nella Campania pedemontana.
Concentrerebbe l’attenzione degli operatori
esteri su poche aree già servite
dall’esistente intreccio
ferro-nave-autostrade-sistemi della
portualità e dell'aeroportualità - centri
d’intermodalità - nodi di produzione e
distribuzione dell’energia elettrica - rete
della distribuzione del gas - reti di
cablaggio.
Si tratterebbe di riuscire a polarizzare la
programmazione su poche aree industriali
strettamente raccordate agli assets della
logistica regionale (Pontecagnano -
sangiuseppese - Nola - Marcianise - Teano)
seguendo la linea delle già numerose
preesistenze, quali l’intermodalità, il
metanodotto, le autostrade, la Tav, il
sistema regionale degli aeroporti e porti,
ecc.
Ma anche di disincentivare fortemente la
creazione di altre aree (Pip e zone D)
che tendono a continuare a concretizzarsi
negli strumenti urbanistici di moltissimi
comuni campani. |