Numero 6/7 - 2003

 

i piani territoriali  

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Le aree industriali nel Ptc di Napoli


Alessandro Cugini


 

La programmazione delle aree industriali configura una scelta politica di rilevante importanza per le istituzioni, gli imprenditori e i cittadini tutti. Attraverso tale programmazione il Ptc napoletano tenta il rilancio economico e territoriale di una parte significativa della Regione Campania. Alessandro Cugini concentra le proprie riflessioni sulle scelte localizzative delle infrastrutture e delle aree industriali che ritiene operate in evidente controtendenza rispetto ad altre esperienze italiane

 

 

 

 

Aree industriali e attrazione economico-territoriale

 

Il recente Accordo Interconfederale 19 giugno 2003 dedica un’ampia pagina alle politiche per le infrastrutture e la competitività territoriale affermando, tra l’altro, che l’attuale fase recessiva e le sue incerte prospettive stanno facendo emergere, in misura ancor più evidente, i rilevanti problemi di competitività di cui soffre da tempo il nostro paese e, in particolare, il Mezzogiorno e che - nell’ambito dei vari fattori necessari per offrire alle imprese ed all’insieme del sistema paese le necessarie opportunità indotte dallo sviluppo dei mercati in profonda trasformazione - le infrastrutture rappresentano una variabile determinante per la competitività di Stati, regioni ed imprese.

La programmazione delle aree industriali, quindi, configura una scelta politica di rilevante importanza per le istituzioni ma anche e soprattutto per gli operatori economici ed i cittadini. Sono noti i punti di forza della Campania: secondo il Censimento 2001, la consistenza di una forza industriale connessa ad un abbozzo di infrastruttura logistica sono composti da:

- 294.465 le unità locali attive delle imprese e delle istituzioni in Campania di cui il 19,2% è costituito da unità locali di imprese del settore dell’industria;

- 1.197.587 di addetti alle unità locali, suddivisi tra industria (24,1%), commercio (18,8%), altri servizi (30,7%), che lascia - raro nel Sud - il solo 26,4% alle istituzioni pubbliche e private;

- un aumento, rispetto al precedente Censimento del 1991, delle unità locali (+ 8,9%) e degli addetti (+ 1,3%).

Componente primaria di attrazione degli investimenti esterni all’area, oggi inesistenti, appare la moderna programmazione delle aree industriali: essa, quindi, diventa un fattore decisivo del rilancio della Regione Campania. Questo articolo tenta di aprire la discussione su un aspetto di grande importanza e portata, orientandola nei confronti del posizionamento delle infrastrutture e delle aree industriali operato dal progetto di piano territoriale di coordinamento (Ptc) napoletano. Ma vuole anche ricordare non solo che gli indicatori di dotazione infrastrutturale davano nel 1997 alla Campania un non lusinghiero 51,1% rispetto alla media nazionale, ma anche che l’offerta di convenienti aree industriali sta provenendo dai paesi orientali e mediterranei con i quali è aperto il confronto.

 

 

Il Ptc e le aree industriali in Italia

 

È stato detto su questa rivista - e lo condivido - che l’attuale notevole interesse per la pianificazione territoriale provinciale è da ascrivere non solo alla ancora sostanziale novità rappresentata dallo strumento del Ptc, a ben dodici anni dalla legge 142/1990, specie in alcune realtà del territorio nazionale, ma soprattutto dalla opportunità-obbligo di poter avviare, al di là degli aspetti istituzionali o di impostazione teorica o formale, una concreta sperimentazione delle varie condizioni operative, organizzative, procedurali e decisionali che lo sottendono.

Com’è noto al mondo degli studiosi di urbanistica, il modello di Ptc più riprodotto dalle province italiane negli ultimi tre anni è quello attuato dagli strumenti urbanistici dei comuni che si conformino alle indicazioni contenute nelle cartografie e a quanto sia stato stabilito nelle norme regionali (relazione generale, monografie dei sistemi territoriali e locali e - ove esistenti - dagli statuti). In particolar modo, gli strumenti urbanistici dei comuni sembrano per lo più attenersi alle salvaguardie ed alle istruzioni tecniche disposte dalla competente legge regionale urbanistica, nonchè alle norme, piani e programmi di settore regionali. Il Ptc ha spesso valore prescrittivo e di direttiva in conformità con il disposto della legge regionale e contiene altresì criteri di localizzazione, indirizzi, indicazioni e parametri. Se le prescrizioni vincolano gli strumenti urbanistici dei comuni alle modalità e ai criteri di pianificazione da esse previsti, le direttive individuano i principi d’uso del territorio e gli obiettivi di tutela che gli strumenti urbanistici dei comuni, pur nella loro autonomia, sono tenuti a perseguire.

In questo contesto i criteri regionali di localizzazione delle aree industriali dettano principi che gli strumenti urbanistici dei comuni devono seguire per la localizzazione delle funzioni, delle opere e degli impianti. I modelli di pianificazione urbanistica adottati da varie province italiane, interpretando in modo difforme la medesima normativa nazionale, hanno utilizzato maggiormente direttive che prescrizioni. Mediante questa scelta hanno creato contesti provinciali nei quali gli imprenditori sanno dove insediarsi (aree di sviluppo industriale fortemente determinate dalla pianificazione dello sviluppo da parte delle istituzioni sovracomunali) ed altri nei quali le scelte insediative sono progressive e derivanti dalle scelte di uno o più comuni limitrofi che pur interpretano e rispettano scelte di vocazione ed infrastrutturazione sovracomunali. Ad esempio:

a) il Ptc della Provincia di Genova - contraddistinta dalla forte deindustrializzazione e dal vigoroso impulso di riprogettazione urbanistica - ha disposto in ordine alle aree industriali una normativa che si limita alla localizzazione delle aree ed alla organizzazione del sistema delle aree produttive, restando le scelte provinciali limitate al livello di mero “valore di orientamento ad efficacia propositiva”;

b) il Ptc della Provincia di Milano – come focus del nuovo modello della ripolarizzazione imprenditoriale postindustriale italiana - si è limitato ad indicare i “criteri per l’individuazione delle aree industriali nello strumento urbanistico comunale”; tuttavia Milano ci dà una chiave di lettura più interessante di Genova per aver deciso di attuare una pianificazione leggera e cioè “dettare indirizzi specifici” in ordine alla necessità di sviluppo imprenditoriale mediante la fissazione di parametri economico-ambientali:

- concentrazione ed integrazione delle attività produttive in aree ecologicamente attrezzate;

- verifica degli effetti diretti ed indiretti sul paesaggio;

- circoscrizione degli insediamenti di frangia;

- riqualificazione e recupero infrastrutturale;

- compattamento morfologico;

- promozione di dispositivi premianti rivolti ad attività innovative ad alto contenuto tecnologico;

c) il Ptc della Provincia di Torino è molto più precettivo: esso si basa sull’obiettivo opposto a Milano: la costruzione di sistemi locali del valore, agendo sulla riduzione della dispersione dei siti industriali; come tale adotta “indirizzi” e “prescrizioni che esigono attuazione”: a queste ultime, tuttavia, “i Comuni dovranno attenersi alle prescrizioni in sede di formazione degli strumenti urbanistici” secondo un obiettivo strategico contenuto in una tavola sinottica;

d) con l’obiettivo di programmare il miglioramento di un’area industriale intensamente conurbata, il Ptc della Provincia di Terni utilizza un sistema differente, ma egualmente articolato di interventi eco-compatibili negli agglomerati produttivi;

e) il Ptc della Provincia di Pistoia, addirittura, si limita ad affermare come “il piano strategico e gli altri strumenti urbanistici generali comunali quantificano i fabbisogni di spazi per destinazioni produttive conformemente alle seguenti prescrizioni (…) di rilocalizzazione e dei processi di crescita e sviluppo”. In ciò mutuando le esperienze della rilocalizzazione industriale genovese e dei sistemi locali di sviluppo torinesi contenute nei rispettivi Ptc adottati recentemente e citati nelle note precedenti.

Insomma, la pianificazione urbanistica adottata da gran parte di quelle province italiane che siano raffrontabili a quella di Napoli, ingiungendo ai comuni di interpretare linee guida regionali già esistenti, facilitano l’attrazione del marketing territoriale industriale e dei servizi connessi.

Non così - temo - per Napoli.

 

 

Le aree industriali nel Ptc di Napoli

 

Parto da un duplice assunto:

1. la scelta delle aree industriali napoletane deve essere preceduta dalle indicazioni di sviluppo dell’economia dell’area più vasta regionale, quali - ad esempio - lo sviluppo distrettuale industriale, l’attrazione dei grandi motori turistici, la pianificazione della rete logistica ampliata (ferro-nave-autostrada-aeropotualità-intermodalità-energia elettrica-gas-cablaggio);

2. le scelte del Ptc della Provincia di Napoli sono di rango regionale in quanto:

- la distribuzione delle attività economiche per provincia segnala che circa la metà delle unità locali (47,2%) e degli addetti (49,8%) censiti in Campania, opera nei comuni della Provincia di Napoli;

- la densità territoriale delle unità locali indica un’altissima concentrazione degli insediamenti produttivi nella Provincia di Napoli (118,7 unità locali per kmq) rispetto alla media regionale (21,7).

Orbene, questa breve ricognizione di Ptc provinciali consente di affermare come, in tema di aree produttive di beni e servizi, il confronto con la maggior parte delle recentissime esperienze di Ptc di altre amministrazioni provinciali inverta - dal basso invece che dall’alto - la direzione prescelta dal Ptc della Provincia di Napoli. A fronte delle scelte delle altre province italiane, il Ptc della Provincia di Napoli, intende disporre direttamente e in modo assolutamente particolareggiato (in termini di estensione, indicatori, rapporti di copertura, ecc.) delle nuove aree industriali o l’allargamento di esistenti, addirittura interpretando scelte di sviluppo dell’economia dell’area più vasta regionale ancora incomplete.

 

 

Il Ptc napoletano è molto preciso

 

Esso prevede che la realizzazione di nuove aree destinate alla produzione di beni e servizi di interesse provinciale si debba sviluppare secondo direttive e prescrizioni già fissate nelle norme di attuazione e nelle tavole di progetto quanto ai luoghi, alle estensioni, ai rapporti superficie coperta/scoperta ecc., secondo un modello di previsione molto preciso ma privo di priorità identificabili se non quella della stessa regolamentazione pianificatoria.

La realizzazione di nuove aree industriali nella Provincia di Napoli - a fronte della nota e rilevante carenza - sarebbe fortemente limitata in quanto le aree di interesse provinciale - quelle che si avvarrebbero di future scelte infrastrutturali primarie - sono, come segue, determinate più dall’esigenza di controllo che di promozione del territorio. Qualche esempio concreto:

- per l’ambito sovracomunale G - Area vesuviana interna - nei Comuni di Palma Campania, S. Giuseppe Vesuviano, S. Gennaro Vesuviano e Terzino, è stabilita una superficie territoriale complessiva addirittura predeterminata nell’entità e nei luoghi (160 ha in quattro comuni, mediante due aree da 50 ha e due da 30ha);

- per gli ambiti C, D, E, F e G, la realizzazione di insediamenti destinati alla produzione di beni e servizi di interesse provinciale è rigidamente fissata anche nelle vocazioni imprenditoriali (solo creazione di aree di servizi integrati alla produzione, nelle quali possono insediarsi prevalentemente aziende industriali con oltre 20 addetti con quote riservate alle piccole industrie principalmente di supporto e indotto, nonché centri di servizi alle imprese);

- per gli altri ambiti sovracomunali gli ampliamenti di aree industriali preesistenti (le più appetibili sia per le infrastrutture già esistenti e solo da ampliare e per gli ampliamenti possibili delle aziende già in zona) sono limitati sia nelle quantità (visibili nelle tavole di progetto) che nelle localizzazioni (tre delle sette attuali aree di sviluppo industriale).

Nel piano si sottolinea la possibilità per i singoli comuni di modificare i limiti delle aree identificate, ma con questa affermazione si penalizza - a mio modo di vedere - non solo l’adozione di poche e forti priorità di scelta localizzativa, ma anche la concertazione con le istituzioni e le parti sociali.

 

 

Prima priorità: i distretti industriali

 

A fronte di questa precisione di prescrizioni dall’alto, ci si aspetterebbe di trovar traccia di azioni specifiche di indirizzo dell’importante tessuto dei due dei sette distretti industriali siti nel territorio provinciale: è pur vero che solo quando, se e come si determineranno e rafforzeranno le vocazioni produttive di specializzazione di alcune aree sovracomunali, sarà possibile fare una mappa delle aree e dei servizi industriali necessari ad essi, ma questo mi sembra essere il primo asset prioritario per la localizzazione delle aree industriali.

Ritengo di poter affermare che - in assenza di un quadro di sviluppo regionale e di una concretizzazione di almeno uno dei due distretti industriali nel territorio napoletano - sia quanto meno prematura una pianificazione deterministica delle localizzazioni.

Discutibile appare anche la suddivisione in alcune aree industriali di interesse maggiore (provinciale) ed altre di (inferiore) interesse comunale. Perchè si sceglie di ampliare agglomerati industriali non connessi a distretti (come Giugliano), se poi si prevede di istituire un complesso di quattro piani degli insediamenti produttivi (Pip) nel distretto sangiuseppese?

Qualche esempio che fornisca al lettore alcuni elementi di giudizio critico sulle scelte attuate dal Ptc di Napoli:

- appare poco disincentivante quella parte degli “Indirizzi per la pianificazione delle aree da destinare alla produzione di beni e servizi”, nella quale si vincolano i singoli comuni a dimensionare, in rapporto ai propri abitanti, la superficie totale delle nuove aree industriali (ha/1000ab.): la vastità delle conurbazioni consentirebbe la creazione di enormi nuove aree industriali se i comuni intendessero usare i parametri (dal rapporto di 0,3 ha/1000 ab. a quello di 0,8 ha/1000 ab.) sia pur diversamente configurati a seconda della loro appartenenza agli ambiti sovracomunali del delineato sistema policentrico provinciale;

- non può che dirsi disincentivante lo stabilire a livello provinciale la dimensione della superficie massima del singolo lotto per singola azienda: si pensi all’eventualità di ampliamenti futuri dell’iniziativa;

- in taluni casi si vincola addirittura l’attrazione di nuovi imprenditori dal di fuori dell’area, imponendo l’assurdo vincolo che la nuova area industriale possa essere utilizzata solo da aziende che si vogliano delocalizzare, riorganizzare o ampliare in quanto insistenti negli attuali insediamenti abitativi.

In sintesi, a Napoli, credo che la programmazione delle aree industriali debba essere legata ai distretti in quanto esigenza degli operatori economici e delle amministrazioni locali e di settore che lì operano e che sono elemento di attrazione industriale esterna: le scelte delle aree industriali e delle infrastrutture devono provenire dal basso perchè sono vitali per:

- attivare siti industriali più calibrati nella localizzazione e nella quantizzazione di quelli (troppi e sparsi) inseriti nell’Intesa istituzionale quadro, intervenuta tra il Governo Italiano e la Presidenza della Giunta regionale Campania del dicembre 2001;

- limitare al massimo l’uso del meccanismo della sponda per il cofinanziamento degli interventi della Misura 4.1 del programma operativo regionale (Por) Campania, dedicata proprio alla scelta tipologica e localizzativi dell’infrastrutturazione delle aree produttive;

- promuovere l’effettiva partecipazione su queste vitali scelte da parte del partenariato sociale ed economico del distretto, mediante indicazioni mirate sui siti da estendere, costituire, infrastrutturare, ecc;

- promuovere la visibilità di un disegno strategico regionale di poche nuove aree (con infrastrutture superiori di sicurezza, servizi consortili, ecc.) e, quindi, una promozione della finanza di progetto: ad essa non vi è alternativa finanziaria, visti gli alti costi di tali infrastrutture e l’esigenza di ricarichi di lungo termine per renderle appetibili nel confronto nazionale ed internazionale.

 

 

Seconda priorità: logistica e mobilità

 

Condivido l’opinione di Isidoro Fasolino (areavasta n. 4, luglio - dicembre 2001, “Efficacia attuale e fututra del Ptc”, pagg. 95-101) quando afferma che “il Ptc va interpretato come piano di area vasta, privilegiando i contenuti paesistico-ambientali del piano. Il Ptc non è una sommatoria di Prg ma un piano strategico che opera su problematiche, effettuando le relative scelte, di carattere sovracomunale e di interesse provinciale, lasciando ampi spazi di autonomia a livello comunale, di cui condiziona i soli aspetti strutturali”.

In quest’ottica, anche per evitare che ogni comune continui a costituire una zona D sul suo piano regolatore credendo di attrarre così investitori, riaffermiamo l’esigenza che la scelta delle aree industriali napoletane deve essere preceduta dalle scelte di sviluppo dell’economia dell’area più vasta regionale.

Ma, per non essere generici, segnaliamo come riferimento prioritario il settore della logistica e quello della gestione del trasporto locale: essi sarebbero il secondo asset prioritario per la localizzazione delle aree industriali.

Circa la logistica, il coordinamento tra le anzidette preesistenze infrastrutturali logistiche appare prossimo. Circa la gestione del trasporto pubblico locale, la costituzione appare meno facile. Esperienze straniere (Transport for London, Régie Autonome des Transports Parisiens, Société Lyonnaise de Transport en Commun) ed italiane (Atr Forlì-Cesena, Tram Rimini, Atc Reggio Emilia, Atac Roma) hanno dimostrato che l’attività di gestione della mobilità locale è elemento di localizzazione di attività economiche. Un recente studio del Cesit ha proposto per la Campania il confronto tra i modelli esistenti di Agenzie di gestione, esecutive e di supporto prediligendo le prime perché coerenti con le indicazioni della privatizzazione dei servizi pubblici locali (art. 35 della legge finanziaria 2002): esse sembrano - come mostra l’esperienza di Roma, Forlì-Cesena, Rimini, Parma e Reggio Emilia - una forte opportunità. Quindi, la priorità è una e duplice: se la logistica attrae le merci, la mobilità locale facilita uomini e mezzi di dipendenti e clienti delle aziende delle aree industriali che si servono di essa.

 

 

Aree industriali e infrastrutture esistenti

 

L’auspicio è che il disegno del Ptc della Provincia di Napoli, limitatamente alla programmazione delle aree industriali, sia riveduto alla luce delle anzidette priorità: i due distretti industriali di Grumo Nevano-Aversa e di San Giuseppe Vesuviano e le preesistenze della logistica integrata.

Perché, quindi, non ricercare un ruolo del Ptc di Napoli (in stretta correlazione con quelli già avviati dalle Province di Salerno e Caserta) nel posizionare le poche nuove aree industriali seguendo la pianificazione della rete dei distretti e della logistica ampliata, le quali praticamente coincidono?

Operando in tal modo il Ptc di Napoli diverrebbe un piano di area vasta.

Farebbe risaltare agli investitori industriali e della finanza il già forte tessuto infrastrutturale specifico esistente nella Campania pedemontana.

Concentrerebbe l’attenzione degli operatori esteri su poche aree già servite dall’esistente intreccio ferro-nave-autostrade-sistemi della portualità e dell'aeroportualità - centri d’intermodalità - nodi di produzione e distribuzione dell’energia elettrica - rete della distribuzione del gas - reti di cablaggio.

Si tratterebbe di riuscire a polarizzare la programmazione su poche aree industriali strettamente raccordate agli assets della logistica regionale (Pontecagnano - sangiuseppese - Nola - Marcianise - Teano) seguendo la linea delle già numerose preesistenze, quali l’intermodalità, il metanodotto, le autostrade, la Tav, il sistema regionale degli aeroporti e porti, ecc.

Ma anche di disincentivare fortemente la creazione di altre aree (Pip e zone D) che tendono a continuare a concretizzarsi negli strumenti urbanistici di moltissimi comuni campani.

 

 

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