La questione è una delle più dibattute: in
caso di realizzazione, in area sottoposta a
vincolo paesaggistico-ambientale, di opere
edilizie abusive, è necessaria o meno
l’acquisizione dell’autorizzazione
paesaggistica cosiddetta. in sanatoria?
Disponeva l’art. 7 della legge 1497/1939 che
“i proprietari, possessori o detentori, a
qualsiasi titolo, dell’immobile, il quale
sia stato oggetto nei pubblicati elenchi
delle località” soggette a vincolo, “non
possono distruggerlo né introdurvi
modificazioni che rechino pregiudizio a quel
suo esteriore aspetto che è protetto dalla
presente legge. Essi, pertanto, debbono
presentare i progetti dei lavori che
vogliano intraprendere alla competente regia
Soprintendenza e astenersi dal mettervi mano
sino a tanto che non ne abbiano ottenuta
l’autorizzazione”.
A sua volta, l’art. 36 del DLgs 380/2001 -
che corrisponde al previgente art. 13 della
legge 47/1985 - prevede che “in caso di
interventi realizzati in assenza di permesso
di costruire, o in difformità da esso ovvero
in assenza di denuncia di inizio attività …,
o in difformità da essa, fino alla scadenza
dei termini di cui agli articoli 31, comma
3, 33, comma 1, 34, comma 1, e comunque fino
all’irrogazione delle sanzioni
amministrative, il responsabile dell’abuso,
o l’attuale proprietario dell’immobile,
possono ottenere il permesso in sanatoria se
l’intervento risulti conforme alla
disciplina urbanistica ed edilizia vigente
sia al momento della realizzazione dello
stesso, sia al momento della presentazione
della domanda”.
Ebbene, secondo parte della giurisprudenza
il combinato disposto delle norme sopra
riportate imporrebbe di condizionare il
rilascio del titolo edilizio in sanatoria al
preventivo conseguimento dell’autorizzazione
paesaggistico-ambientale (cfr. Consiglio di
Stato, sez. VI, sentenze nn. 421/2000,
5386/2000, 5392/2000).
La ratio di tale orientamento,
condiviso, peraltro, dalla Direzione
generale per i beni architettonici ed il
paesaggio del Ministero per i beni culturali
e ambientali (cfr. circolare prot. n. SG/106/9996/2001
del 2.8.2001), è evidente, e corrisponde sia
all’esigenza di evitare che la sola
sussistenza delle condizioni preordinate
alla sanatoria urbanistico-edilizia di un
immobile possa compromettere i circostanti
valori ambientali tutelati, sia alla
necessità di consentire al privato, qualora
l’opera da quest’ultimo eseguita si
inserisca armonicamente nel contesto
paesaggistico in cui è situata, di ottenere
ex post i titoli (sia edilizi che
ambientali) che sarebbero stati necessari
prima dell’inizio dell’attività
edificatoria.
Senonché, come già rilevato sopra, nessuna
disposizione di legge accenna
all’autorizzazione paesaggistico-ambientale
postuma; al contrario l’art. 151 del
DLgs 490/1999 - in cui è confluito, con
modificazioni, il testo dell’art. 7 della
legge 1497/1939 - dispone che “i
proprietari, possessori o detentori dei
beni” situati in aree vincolate “hanno
l’obbligo di sottoporre alla Regione i
progetti delle opere di qualunque genere che
intendano eseguire, al fine di ottenerne la
preventiva autorizzazione …. Il
Ministero può in ogni caso annullare, con
provvedimento motivato, l’autorizzazione
regionale entro i sessanta giorni successivi
alla ricezione della relativa
comunicazione”, con ciò lasciando intendere
chiaramente che lo schema procedimentale ivi
disciplinato possa essere seguito soltanto
prima della realizzazione di opere
edilizie in aree vincolate, e non anche nel
corso della sanatoria urbanistico-edilizia
di opere già eseguite.
Diversamente argomentando, non si
comprenderebbe davvero il motivo per il
quale il legislatore abbia volontariamente
omesso, a ben 60 anni dall’approvazione del
testo della legge 1497/1939, di
regolamentare una creazione
giurisprudenziale (l’autorizzazione
postuma, per l’appunto) tuttora priva di
qualunque riscontro normativo. Con la
conseguenza che al quesito in esame occorre
dare risposta facendo riferimento alle sole
disposizioni di legge vigenti in materia, al
di là di qualunque dibattito de iure
condendo.
Ed a tale proposito appare necessario far
riferimento all’art. 164 del DLgs 490/1999
(che ha sostituito l’art. 15 della legge
1497/1939), in base al quale “in caso di
violazione degli obblighi e degli ordini
previsti da questo Titolo”, ivi incluso
l’obbligo di conseguire l’autorizzazione
paesaggistico-ambientale preventiva
di cui si è detto innanzi, “il trasgressore
è tenuto, secondo che la Regione lo ritenga
più opportuno, nell’interesse della
protezione dei beni indicati nell’articolo
138, alla rimessione in pristino a proprie
spese o al pagamento di una somma
equivalente al maggiore importo tra il danno
arrecato e il profitto conseguito mediante
la trasgressione”.
In altri termini, anche dopo l’accertamento
dell’abuso, all’amministrazione incaricata
della tutela del paesaggio resta saldamente
devoluto, per espressa previsione
legislativa, il potere di valutare la
compatibilità ambientale dell’opera e,
conseguentemente, la possibilità di evitare
la rimessione in pristino mediante
l’applicazione della sanzione pecuniaria di
cui si è detto; sanzione che, qualora
comminata, non può non avere efficacia
sanante dell’abuso medesimo (cfr.
Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza n.
5373/2000; sez. VI, sentenza n. 6469/2000;
sez. VI, sentenza n. 5851/2000; sez. VI,
sentenza n. 421 del 16.1.2000): “verificata
… la compatibilità ambientale dell’opera
abusiva, l’amministrazione sarà tenuta ad
applicare la misura risarcitoria, rimanendo
preclusa ovviamente la possibilità di
applicare la misura ripristinatoria, a
motivo della già effettuata valutazione
sull’assenza di pregiudizio all’ambiente”;
(cfr. anche Mengoli G. C. (2003), Manuale
di Diritto urbanistico, pag. 1121,
Edizioni Giuffrè, Milano).
Ed infatti secondo l’Adunanza Generale del
Consiglio di Stato “la decisione,
discrezionalmente assunta” ex artt. 15 della
legge 1497/1939 e 164 del DLgs 490/1999, “di
non procedere alla demolizione per effetto
della compatibilità dell’opera con il
contesto paesaggistico oggetto di tutela
contiene in sé un’implicita
autorizzazione al mantenimento in vita
dell’opera. Tale scelta discrezionale
replica, nella sostanza, sia pure ai fini
della scelta della sanzione da applicare e
con un’inversione della sequenza
procedimentale, lo stesso apprezzamento
previsto in via preventiva dall’articolo 7”
della legge 1497/1939 (cfr. Adunanza
Generale, parere dell’11.4.2002).
Se, dunque, l’applicazione della sanzione di
cui all’art.164 del DLgs 490/1999 presuppone
già l’accertamento circa la compatibilità
paesaggistico-ambientale dell’opera abusiva,
è evidente che il modulo procedimentale in
commento soddisfi di per sé le stesse
esigenze che l’autorizzazione postuma
è chiamata, nella prassi attuale, ad
esaudire; e laddove si consideri che il
nulla osta di cui all’art.151 del medesimo
DLgs 490/1999 ha, ex lege, una
valenza esclusivamente preventiva,
può concludersi che il ricorso allo schema
di cui all’art. 64, oltre a rendere del
tutto superfluo il rilascio ex post
del nulla osta stesso, rappresenta l’unica
via ammessa dall’ordinamento ai fini della
sanatoria di un illecito ambientale. |