Nel presente numero sono stati esaminati i
provvedimenti di interesse urbanistico per
la Provincia di Salerno pubblicati nel
secondo semestre 2002 e nel primo semestre
2003.
La ricognizione dei Burc ha evidenziato,
innanzitutto, come, con riferimento ai nuovi
strumenti urbanistici, specialmente
attuativi, ci sia stata una impennata di
adozioni nel primo semestre 2003, a fronte
di una generale e consistente attività
(adozioni, approvazioni, controlli di
conformità) nel secondo semestre 2002,
specie per i piani comunali generali, a
varianti ordinarie.
Esaminando le tipologie di provvedimenti
assunti dagli enti nel doppio semestre
osservato emerge un prevedibile e
consistente ricorso all’art. 5 del Dpr
447/1998 (il 24%, circa un quarto dei casi).
Le adozioni, anche relative a varianti di
piani vigenti, assommano al 28% del totale.
Poche le approvazioni (solo 12%) mentre
risulta ancora consistente il ricorso alla
legge 1/1978 (15%). Se, con riferimento alle
tipologie di provvedimenti, si raffrontano i
due segmenti temporali indagati, si
registra, nel primo semestre 2003, un
incremento del 19% degli avvisi di deposito
degli atti urbanistici da parte dei comuni.
In tale raffronto, rimane alta la
percentuale dei decreti del presidente della
Giunta regionale con un decremento delle
deliberazioni della giunta regionale.
Tra i provvedimenti ne segnaliamo solo
alcuni che, tuttavia, danno il senso della
varietà e dell’articolazione dei riferimenti
normativi, nazionali e regionali, che
intervengono nella definizione delle scelte
sul territorio.
Abbiamo, innanzitutto, una miriade di
varianti puntuali possibili mediante il
ricorso all’art. 5 del Dpr 447/1998
(mediante Conferenza di servizi ex art. 14
della legge 241/1990 come modificato dagli
artt. 9 e seguenti della legge 340/2000),
modificato dal Dpr 440/2000, con variazione
della destinazione urbanistica da zona
omogenea E agricola a zona D
produttiva, con la conseguenza di avere
un effetto coriandoli su vaste aree
agricole dell’intera provincia (e di tutto
il territorio nazionale).
Si ha, inoltre, sempre in tema di attività
produttive, l’approvazione del Pip del
Comune di Teggiano ai sensi dell’art. 34 del
DLgs del 30.3.1990, n. 76 (ex legge
219/1981). A distanza di quasi un quarto di
secolo dal terremoto del 23 novembre 1980, i
comuni continuano a far ricorso a
provvedimenti tesi a favorire il
reinsediamento delle attività distrutte o
danneggiate dal sisma, anche per
l’insediamento di attività ex-novo,
sollevando quesiti di legittimità. Ed
ancora, l’approvazione del Pip di Sarno, con
le procedure semplificate dell’art. 4 del Dl
del 11.6.1998, n. 180 (decreto Sarno).
È, poi, ancora ampio, forse troppo, il
ricorso alla legge 1/1978, modificata dalla
legge 415/1998, per effettuare varianti a
piani regolatori generali (Prg) e
programmi di fabbricazione (PdiF). Da
osservare, infatti, la mancata ammissione al
visto di conformità della variante al Prg
del Comune di Serre concernente un piano
degli insediamenti produttivi (Pip) in
quanto oggetto della procedura abbreviata,
di cui al quinto comma dell’art. 1 della
legge 1/1978, sono esclusivamente i lavori
pubblici, nella cui nozione, definita
dall’art. 2 della legge 109/1994 e
successive modificazioni, non rientrano i
Pip. Il dispositivo suggerisce il ricorso al
combinato disposto dell’art. 27 della legge
865/1971 e del Capo II del Titolo III
dell’allegato alla Lr 14/1982 o, in
alternativa, alla procedura ordinaria di
variante, secondo le direttive emanate dalla
Giunta regionale con deliberazione n. 4854
del 25.10.2002, mediante l’accordo di
programma di cui all’art. 34 del DLgs del
18.8.2000, n. 267.
|
Figura 1 - Evoluzione dei
provvedimenti assunti dagli enti
(regione, provincia, comunità
montane e comuni) relativamente ai
nuovi strumenti nel II semestre 2002
e I semestre 2003 |
A solo titolo di esempio della suddetta
varietà dei provvedimenti assunti dagli enti
competenti sono, inoltre, da segnalare:
- il controllo di conformità alla
reiterazione dei vincoli di Prg del
Comune di Giffoni Sei Casali; tale controllo
è positivo a condizione che il comune in
questione, tra le altre cose, mediante
apposito provvedimento reso dall’organo
comunale competente, fissi l’equo indennizzo
sancito dalla Corte di cassazione con
sentenza n. 179 del 20.5.1999;
- i visti di conformità, ai sensi dell’art.
13 della Lr 1/2000, relativi agli
strumenti integrati d’intervento per
l’apparato distributivo dei comuni che
hanno inviato i relativi atti tecnici alla
regione;
- gli atti urbanistici inerenti
l’adeguamento degli strumenti urbanistici
dei comuni ricadenti nell’area del piano
urbanistico territoriale (Put) dell’area
sorrentino-amalfitana (Lr 35/1987);
- la dichiarazione di conclusione dell’iter
di approvazione del Pip del Comune di
Giffoni Valle Piana ai sensi dell’art. 24
della legge 47/1985;
- l’adozione di variante al Prg con progetto
di programma di recupero urbano
(legge 493/1993);
- l’approvazione del programma urbano
parcheggi (Pup) del Comune di Salerno ai
sensi dell’art. 3 della legge 122/1989;
- l’approvazione, da parte della Comunità
montana zona del Tanagro, del nuovo
regolamento edilizio (Re) del Comune di
Caggiano e da parte della Provincia di
Salerno di quello del Comune di S. Arsenio;
- la variante al Prg del Comune di Contursi
Terme per la realizzazione di un centro di
culto ai sensi della Lr 9/1990;
- l’adozione del piano del colore da
parte del Comune di Pellezzano, vista la
legge 457/1978 e la Lr 26/2002.
Da segnalare, infine, come il Comune di
Salerno debba continuare a fare ricorso a
varianti al Prg vigente per dare sede
alle grandi attrezzature previste nel quadro
del Prg in itinere, in questo caso al
famoso PalaSalerno.
|
Figura 2 - Evoluzione dei
provvedimenti assunti dagli enti
(regione, provincia, comunità
montane e comuni) relativamente alle
varianti ordinarie nel II semestre
2002 e I semestre 2003 |
La formazione dei piani comunali e la
questione dei controlli
La formazione di un piano comunale è
influenzata da rilevanti e svariati elementi
esogeni, quali: l’esistenza o meno di un
piano provinciale e lo stato della
pianificazione paesistica e delle altre
pianificazioni di settore, l’efficienza
degli uffici regionali o provinciali che
compiono i controlli di merito e di
legittimità, l’iniziativa dei comuni in
materia.
La legislazione regionale, sia pure in modo
più o meno spinto, provvede a dettare
modalità e procedure amministrative per la
formazione e approvazione degli strumenti
urbanistici e delle loro varianti;
l’attenzione è però volta, in genere, più al
controllo degli enti sottordinati che non al
perseguimento effettivo degli obiettivi
della pianificazione. Le norme sono spesso
tese a regolare i vari passaggi procedurali
fra regioni, province e comuni, trascurando,
invece, le modalità di raccordo fra le
diverse dimensioni della pianificazione e
della programmazione. In alcuni impianti
normativi lo scopo prevalente è quello di
dettagliare alcuni aspetti delle procedure.
Il processo di valutazione dei piani e delle
scelte progettuali, unitamente all’elevato
numero di controlli da effettuare, ai tempi
di valutazione e al consistente numero di
variabili che caratterizzano i differenti
strumenti urbanistici, lasciano ancora un
ruolo fondamentale ai soggetti che si
occupano dell’esame. Al fine di comprendere
i motivi che hanno condotto allo stato
attuale della legislazione italiana e
regionale della Campania in materia
urbanistica, è utile un breve excursus
storico sull’argomento.
L’evoluzione normativa in materia
urbanistica a partire dagli anni ‘40 ha
determinato un progressivo trasferimento
delle competenze in materia di approvazione
dei piani dallo Stato alle regioni e,
successivamente, alle province, in
rispondenza ad una linea politica volta a
snellire le funzioni che spettano al potere
centrale in favore di un maggiore
coinvolgimento degli enti locali.
Con l’emanazione della legge 1150/1942, più
precisamente all’art. 8 della stessa, si
stabilì che il Ministero dei lavori
pubblici, ramo dell’amministrazione statale
più direttamente coinvolto nella disciplina
urbanistica, fosse l’organo preordinato alla
visione e valutazione dei nuovi Prg, al fine
di emettere il decreto di approvazione con
cui tali strumenti diventavano esecutivi.
Con la crescita del carico amministrativo
presso il Ministero dei lavori pubblici, che
doveva approvare anche gli strumenti
attuativi, aveva creato notevoli ritardi1.
L’ex art. 117 della Costituzione italiana2,
però, già prevedeva che la materia
urbanistica fosse di competenza delle
regioni, organi non ancora istituiti, per
cui si continuò con la linea indicata nella
legge 1150/1942 finché nel 1970 furono
istituite le regioni, intese come enti
amministrativi del territorio. Al fine di
rispettare le indicazioni contenute nella
Costituzione furono, successivamente,
emanati due decreti presidenziali con lo
scopo di sancire il definitivo trasferimento
delle funzioni fino ad allora svolte dal
Ministero3.
Le linee seguite negli anni successivi dagli
enti regionali furono diverse, per
differenti motivazioni.
La sola Regione Campania completava l’opera
di trasferimento delle competenze in materia
di approvazione degli strumenti urbanistici
delegando le province e le comunità montane,
sulla base di una precisa suddivisione e
classificazione dei comuni.
Dopo la legge 142/1990, a differenza di
quanto avvenuto in precedenza, si comincia a
trattare il processo di formazione degli
strumenti in modo non disgiunto dalla
definizione dei loro contenuti.
L’approccio delle regioni in materia di
approvazione degli strumenti urbanistici
comunali è molto vario per quanto concerne
la qualità e il numero delle relazioni che
si vengono a configurare fra i vari soggetti
che partecipano alla formazione del piano.
Ciascuna legge urbanistica prevede, in
maniera più o meno integrata, la divisione
di compiti e funzioni fra enti territoriali;
ciò avviene, sostanzialmente, in due modi
differenti:
- un orientamento tradizionale,
secondo cui il piano formato dai comuni
viene controllato da un ente territoriale di
livello superiore, quasi sempre la regione
(Liguria, Lombardia, Sicilia, Umbria) o la
provincia (Abruzzo, Basilicata, Bolzano,
Emilia-Romagna, Lazio, Marche, Toscana,
Trento). Lo scopo del controllo, esercitato,
per lo più, nella fase di approvazione, è
accertare conformità, coerenza o
compatibilità dei piani comunali alle
prescrizioni e indicazioni degli strumenti
sovraordinati. La soluzione abruzzese (Lr
Abruzzo 26/2000), che prevede l’approvazione
comunale nell’ambito di una Conferenza
dei servizi (con il Servizio urbanistico
provinciale), è in pratica una soluzione
semplificata di questa modalità, con l’unica
differenza che il responsabile del
procedimento viene nominato dal comune
anziché dalla provincia; si hanno comunque
tempi certi e carico minore per i servizi
provinciali. Tuttavia l’autonomia di
procedimento dei comuni rischia di
indebolire la capacità di orientamento della
provincia, affidata sostanzialmente a poteri
interdittivi più che propositivi;
- un orientamento federalista, da cui
deriva un’interpretazione particolarmente
spinta del concetto di autonomia locale: è
il comune che approva il proprio piano; è
previsto solo il controllo di legittimità
sugli atti amministrativi (Sardegna). Tale
atteggiamento presenta alcuni vantaggi
indubbi, dato che, in sede di formazione del
piano, l’interpretazione del quadro di
riferimento, anche normativo, è lasciata
tutta a chi provvede alla redazione; si
evitano, inoltre, possibili interferenze fra
livello amministrativo e livello politico:
nelle procedure di controllo sui piani si
sono dati, infatti, casi di accanimento
dovuti al divergente orientamento politico
delle due amministrazioni (Avarello P.,
2000).
L’approvazione comunale non pone al riparo
da possibili conflitti, visto che i poteri
di livello superiore esistono comunque, e a
volte anche i relativi piani, e che il
comune, se non li prende in seria
considerazione, commette omissione; il
conflitto si sposta in tal modo dal tavolo
degli amministratori locali a quello della
magistratura civile e amministrativa,
spesso, peraltro, incapace di produrre
motivazioni dei giudizi di equità
percepibile, riconosciuta e universale;
questo sia per la complessità sia per la
contraddittorietà delle normative sia perché
non pienamente partecipe delle finalità
della strumentazione urbanistica.
In Sardegna, ad esempio, il piano comunale è
approvato dal Consiglio comunale e non va in
regione, ma solo al CoReCo per il controllo
di legittimità; esso tuttavia non può
variare le previsioni dei piani paesistici
regionali. Essendo ogni atto di
pianificazione anche frutto di
interpretazione, è tuttavia inevitabile che
si verifichino conflitti sui criteri
interpretativi. La mancata coerenza fra
strumenti fra loro necessariamente
interagenti, espulsa dal processo di
pianificazione in nome di supposti principi
di autonomia, efficacia e sveltimento,
produce così conflitti presso i tribunali
amministrativi regionali (Tar) che,
contro i presupposti, rendono ancora più
incerta la formazione e l’efficacia
operativa degli strumenti urbanistici.
|
Figura 3 - Tipologie di
provvedimenti assunti nel II
semestre 2002 e I semestre 2003 |
L’approvazione degli strumenti urbanistici
generali e attuativi: tra normativa statale
e normativa regionale della Campania
La procedura di approvazione degli strumenti
attuativi di piani urbanistici generali (Ppe,
Peep, Plc, Pip, PdiR) rappresenta un esempio
emblematico di sovrapposizione di legge
statale e di legge regionale sulla stessa
materia.
In Campania, con la Lr 54/1980 e la Lr
65/1981 si è operata la delega delle
competenze in materia urbanistica4.
La Lr Campania 14/1982, infatti, attribuì,
incidendo forse anche su un principio
fondamentale dell’ordinamento urbanistico
statale, al solo Consiglio comunale la
competenza ad approvare gli strumenti
urbanistici esecutivi, conformi alle
previsioni dei piani urbanistici generali.
La legge citata, oltre al normale controllo
di legittimità sulle deliberazioni del
Consiglio comunale, prescrive per tali casi
soltanto un controllo di conformità
alle leggi, ai regolamenti ed ai piani
urbanistici sovraordinati, da parte degli
organi esecutivi della provincia o della
comunità montana competente.
Le province della Regione Campania, quindi,
non hanno competenza in materia di
approvazione degli strumenti urbanistici per
tutti i comuni che le compongono, ma solo su
un ben determinato numero di essi5.
La normativa prodotta dalla Regione
Campania, infatti, ha decretato un
trasferimento delle competenze in materia di
approvazione dei piani alle comunità montane
e, per i comuni non rispondenti a
determinate caratteristiche, alle province.
In particolare, l’art. 1 della Lr 14/1982
recitava testualmente: “Le funzioni di cui
alle leggi regionali del 29 maggio 1980, n.
54 e dell’1 settembre 1981, n. 65, in
materia di urbanistica, sono esercitate
dagli enti delegati in conformità agli
indirizzi ed alle direttive allegate che
costituiscono parte integrante e sostanziale
della presente legge”. In questo modo si
diede conferma definitiva alla delega delle
funzioni in materia urbanistica, stabilendo
che le funzioni amministrative in materia
urbanistica riguardanti l’approvazione degli
strumenti comunali e intercomunali, fino a
quel momento di competenza regionale,
fossero delegate alle comunità montane e,
per quanto concerne i comuni non montani,
alla provincia6. Infatti, sulla
base della classificazione dei comuni
rispetto al loro grado di montanità, si
completò l’opera di trasferimento delle
competenze urbanistiche in Campania, in
quanto si individuava nella provincia l’ente
preposto all’approvazione dei piani prodotti
dai comuni classificati come parzialmente
montani e non montani, e nella comunità
montana l’ente preposto all’approvazione dei
piani formulati per i comuni classificati
come montani7.
Con la Lr 17/1982 veniva esteso l’obbligo
della formazione del Prg a tutti i comuni
della regione e a partire dalla data di
entrata in vigore della legge, non erano più
consentite l’adozione e l’approvazione dei
PdiF, quali surrogati dei Prg.
Le difficoltà e gli impedimenti che hanno
determinato l’incapacità di redigere
strumenti urbanistici validi per la gestione
del territorio, ovvero di redigerli ma in
maniera tale da non essere meritevoli di
approvazione una volta sottoposti all’esame
degli organi competenti, ha spinto
all’introduzione di un nuovo soggetto, il
commissario ad acta, con il compito di
esercitare le funzioni dei Consigli comunali
dei comuni inadempienti rispetto ai termini
della normativa8. Tra il 1981 ed
il 1982 la Regione Campania procedette, per
diverse decine di comuni, alla nomina di
commissari ad acta, cui era affidato il
compito di adottare i vari Prg
sostituendosi, in questo, alle singole
amministrazioni comunali, ma il tentativo di
esercitare i poteri sostitutivi è quasi
ovunque fallito, tanto che, a distanza di
anni dalla nomina, si rilevano ancora
numerose inadempienze, mancando termini
temporali perentori definiti per
l’espletamento dei compiti di tali
commissari ad acta, tanto da
determinare, recentemente, una fase di
revoca dei commissariamenti9.
Lo stesso silenzio-assenso per gli strumenti
urbanistici adottati, di fatto contenuto
nella Lr 14/1982, non ha prodotto effetti di
rilievo. Infatti, nonostante siano trascorsi
ormai venti anni dalla estensione a tutti i
comuni dell’obbligo della formazione del Prg,
sono ancora numerose le situazioni di
inadempienza.
Permane, pertanto, un notevole deficit di
strumentazione urbanistica: quasi la metà
dei comuni non è dotato di Prg e quelli
maggiori hanno piani adottati tra la fine
degli anni ‘60 e i primi anni ‘70, ormai
ampiamente superati ed inadeguati. Molti di
essi dispongono, quali strumenti vigenti,
solo di PdiF elaborati, anche questi, agli
inizi degli anni ‘70, ed ormai totalmente
inefficaci, sia per le carenze strutturali
insite nel tipo di strumento sia per le
profonde modificazioni intervenute sul
territorio provinciale che hanno prodotto
altre esigenze di tipo quantitativo e
qualitativo. Ma vi sono, come detto, ancora
comuni che non dispongono di nessuno
strumento urbanistico e che hanno provveduto
alla sola perimetrazione del centro
abitato ai sensi della legge 765/1967.
La Lr 17/1982 fissava nel tempo di un anno
dalla entrata in vigore del provvedimento il
tempo utile per l’adozione del Prg.
L’esigenza di accelerare il processo di
ricostruzione, a seguito del sisma del
23.11.1980, comportò, poi, la proroga dei
termini per l’adozione dei Prg per i comuni
maggiormente colpiti, ma vi fu, di fatto,
una estensione di tale agevolazione;
e così, le ripetute proroghe concesse alla
maggior parte dei comuni della regione, a
seguito delle vicende della ricostruzione
post-sisma, hanno vanificato tale obbligo.
L’intervento straordinario per le zone
terremotate del 23.11.1980
In occasione degli eventi sismici che
colpirono pesantemente molte zone della
Regione Campania e Basilicata nel novembre
1980 e nel febbraio 1981, si è dovuto
registrare, come spesso accaduto ed ancora
accade in tali circostanze emergenziali,
l’intervento dello Stato ed il legislatore
ha fatto ricorso ad una legge speciale con
la individuazione di particolari interventi
e procedure, invadendo, sotto la spinta
dell’urgenza, ambiti di competenza di
livelli istituzionali inferiori e, in
particolare, quelli delle regioni.
La normativa speciale di cui alla legge del
14.5.1981, n. 21910, cui non può
non riconoscersi qualche giudizio positivo,
prevedeva e prevede, non solo interventi
straordinari di natura socio-assistenziale,
compresa la sistemazione abitativa
provvisoria, ma anche quelli rientranti
nelle successive e distinte fasi della
ricostruzione e della ripresa.
In questa sede, della legge 219/1981
interessa innanzitutto il nucleo essenziale
delle disposizioni concernenti la
pianificazione urbanistica dell’emergenza
delle aree disastrate o danneggiate dagli
eventi sismici del novembre 1980 e febbraio
1981. Da sottolineare come la normativa,
piuttosto che finalizzata, come spesso
avvenuto nella legislazione speciale
precedente, alla sistemazione e
conservazione dell’esistente, mirasse
prevalentemente alla trasformazione del
territorio.
La legge in oggetto prevede che le esigenze
di ricostruzione, rispettivamente nei comuni
disastrati o gravemente danneggiati, siano
fronteggiate e soddisfatte mediante
l’adozione o la revisione del Prg o
aggiornamento del piano di ricostruzione
previsto dalla legge del 5.10.1962, n. 1431,
entro 12 mesi dall’entrata in vigore della
stessa.
La legge, inoltre, prescrive che i comuni,
per sopperire alle immediate esigenze di
ricostruzione, adottino o confermino il PdiZ,
il Pip ed il PdiR, anche in variante agli
strumenti urbanistici vigenti o adottati o,
perfino, in assenza di strumento urbanistico
generale, entro 90 giorni dall’entrata in
vigore della legge, inquadrandoli in una
relazione generale che illustri i
riferimenti allo strumento urbanistico
vigente o adottato o, in assenza, che
contenga anche i criteri generali di
impostazione del Prg.
È stata consentita, quindi, l’approvazione
ed attuazione di strumenti esecutivi anche
nei comuni sprovvisti di Prg, in deroga
all’obbligo della preventiva approvazione
dello stesso, e i comuni continuano, ad
oltre venti anni dalla sua emanazione, ad
utilizzare tale norma.
L’impostazione della normativa speciale
consiste nella utilizzazione degli strumenti
urbanistici ordinari (artt. 27, 28, 29 e 32)
e nella inversione di tendenza costituita
dal prevedere e consentire l’adozione degli
strumenti attuativi ancora prima dello
strumento generale.
La metodologia urbanistica non trascura il
momento della impostazione generale delle
scelte di piano ma, al tempo stesso, si
preoccupa di dare immediata operatività ai
comuni per far fronte alle intervenute
necessità, ritenendo realisticamente che il
procedimento di perfezionamento del Prg
richieda tempi oggettivamente più lunghi.
Il legislatore, dunque, nelle more del
perfezionamento del Prg, che rimane
strumento prioritario per una idonea
ricostruzione, ha consentito ai comuni di
adottare o confermare i necessari piani
esecutivi, prevedendo una speciale procedura
accelerata: tali piani esecutivi, infatti,
sono adottai dai comuni anche in variante di
Prg vigenti o solo adottati.
I piani esecutivi, una volta adottati, sono
pubblicati per 10 giorni entro i quali
possono essere presentate opposizioni; nei
15 giorni successivi alla scadenza dei
termini per le opposizioni, i piani e le
opposizioni sono trasmessi alla regione, la
quale si pronuncia in via definitiva entro
30 giorni dal ricevimento; trascorso
inutilmente tale termine i piani si
intendono approvati.
La norma lasciava sostanzialmente inalterato
l’iter procedimentale di approvazione del
Prg ed ha innovato, con notevoli
modificazioni, la procedura di approvazione
dei piani esecutivi; i comuni, però, possono
utilizzare le suddette procedure rapide
solo se i piani sono preordinati a sopperire
alle immediate esigenze della ricostruzione;
essi possono adottare:
- il Peep ai sensi della legge 167/1962 e
successive modifiche;
- il Pip di cui all’art. 27 della legge
865/1971;
- il PdiR di cui alla legge 457/1978 e
successive modifiche11.
Tali piani saranno inquadrati in una
relazione generale che, per i comuni che
abbiano lo strumento urbanistico vigente o
adottato, illustra i riferimenti allo
strumento stesso, mentre per i comuni che ne
fossero sprovvisti, contiene i criteri
generali di impostazione del Prg da
adottare. Questo, evidentemente, per non
disancorare i piani esecutivi in norma
speciale dalle più generali linee di assetto
territoriale del quale il Prg è un momento
di estrema rilevanza, nel tentativo di
fornire all’opera di ricostruzione, per
quanto possibile, un assetto organico.
La relazione contiene, poi, oltre al
necessario studio geognostico delle aree
destinate alla edificazione, i dati
necessari al dimensionamento di tali aree
con riferimento al numero e alla consistenza
delle famiglie da alloggiare, alla
dimensione degli impianti produttivi da
ricostruire, al numero di alloggi demoliti o
da demolire, riparabili ed integri.
|
Figura 4 - Tipologia degli atti
pubblicati nel II semestre 2002 |
La legge 47/1985 e l’esclusiva competenza
comunale sui piani attuativi
Successivamente, la legge 47/1985, con
l’art. 24, introducendo a livello nazionale
il principio dell’esclusiva competenza
comunale nell’approvazione degli strumenti
urbanistici attuativi, rinviava, e tuttora
rinvia, alle determinazioni regionali sia
l’esclusione di alcuni territori
dall’applicazione del detto principio sia la
precisazione della relativa procedura. Tale
norma, nel rinviare alla legge regionale,
prescrive, tuttavia, che i comuni devono
trasmettere alla regione, entro 60 giorni,
copia degli strumenti attuativi e che, sulle
eventuali osservazioni della regione, i
comuni devono esprimersi con motivazioni
puntuali.
Le province o le comunità montane si
ritengono competenti in base alla legge
regionale, mentre la Regione Campania, per
la propensione che hanno tutte le
amministrazioni ad estendere la propria
competenza, invoca l’applicazione della
legge statale. La regione, infatti, si rifà
al principio della successione delle leggi
nel tempo e, quindi, ritiene che la Lr
Campania 14/1982 sia stata abrogata
dall’art. 24 della legge 47/1985.
L’art. 24, tuttavia, dà solo indicazioni per
la legge regionale su come stabilire norme
procedurali di dettaglio ai fini
dell’approvazione dei medesimi piani.
Nel presente contrasto tra norme statali non
vale il principio della successione delle
leggi nel tempo, in quanto deve ritenersi
prevalente la norma proveniente dalla fonte
competente in base alla Costituzione, cioè
la legge regionale per la parte in cui pone
norme specifiche o di dettaglio. D’altra
parte, l’art. 24 della legge 47/1985 non
risulterebbe immediatamente operante, perché
rimette alla legge regionale la
determinazione della procedura per
l’approvazione dei piani urbanistici
attuativi.
La legge regionale prevede, appunto,
l’inoltro del piano attuativo alla regione o
all’ente delegato per il controllo di
conformità, cioè per una verifica, entro
determinati termini, della conformità del
piano stesso alle disposizioni legislative o
ai piani urbanistici di livello superiore.
Una diversa interpretazione farebbe
prevalere una norma statale di dettaglio in
materia urbanistica su una corrispondente
norma regionale, in aperto contrasto con
l’art. 117 della Costituzione, che
attribuisce alla regione competenza
esclusiva a legiferare in materia
urbanistica, sia pure nell’ambito dei
principi fondamentali derivanti
dall’ordinamento statale.
Non è stata per nulla una buona scelta
quella di dividere tra comunità montane e
province la competenza ad approvare gli
strumenti urbanistici comunali.
Per esigenze di coordinamento e per ridurre
la frammentazione delle competenze e dei
criteri di approvazione, sarebbe stato
necessario limitare la delega soltanto alle
cinque province.
Le resistenze legate alla gestione del
potere consentirono, invece, la delega anche
alle comunità montane per i comuni
interamente montani. A seguito
dell’esclusione dei poteri di pianificazione
urbanistica delle comunità montane, di cui
alla legge 142/1990, si sarebbe dovuto
finalmente estendere per tutti i comuni la
detta delega alle province. In tal modo, si
sarebbe eliminata anche la stortura, di cui
alla Lr 24 del 24.11.1989, che ha riportato
alla regione la competenza ad approvare i
Prg dei cinque comuni capoluoghi di
provincia, sia pure solo fino
all’approvazione del piano di assetto
territoriale della Regione Campania12.
Da non trascurare il fatto che, con la
stessa legge 142/1990, furono abrogate
alcune norme in materia di territori montani
ridefinendo, tra l’altro, i perimetri delle
comunità montane all’interno dei confini
delle singole province13.
Discutibile innovazione, introdotta dalla Lr
14/1982, consiste nel cosiddetto
controllo di conformità sulle delibere
di approvazione dei Prg da parte della
regione e dei piani urbanistici esecutivi da
parte della Giunta provinciale o della
Giunta comunitaria.
C’è stata una forte resistenza a mollare
ogni potere da parte di alcuni ambienti
regionali. Il semplice controllo di
legittimità si aggiunge inutilmente a quello
dei normali organi di controllo ed all’esame
che anche in tal senso deve fare l’ente
competente ad approvare il piano.Si può
constatare che il detto controllo è andato
assumendo, inutilmente se non
illegittimamente, il carattere di un secondo
controllo di merito, con cui si tenta di
intervenire su questioni
tecnico-discrezionali.
Dall’idea di piano alla sua efficacia piena
L’iter di approvazione dei piani urbanistici
comunali in Campania
L’insieme delle normative nazionali e
regionali vigenti sul territorio ha
determinato un preciso iter di approvazione
per un nuovo Prg di cui si voglia dotare
un’amministrazione comunale per regolare il
proprio territorio. I soggetti che
intervengono nell’intero iter di formazione
di un piano, nel caso della Regione
Campania, sono: comune, provincia o comunità
montana, regione.
Il nuovo Prg è realizzato per la gestione
degli interventi riguardanti il territorio
del comune, per cui tale ente ha,
principalmente, il compito di elaborare, sia
utilizzando dipendenti dell’amministrazione,
o commissionare, sia incaricando progettisti
esterni, lo strumento urbanistico. Inoltre,
ha il compito di adottare il nuovo piano;
l’adozione è seguita da formale interazione
con la cittadinanza, che può formulare
osservazioni alle scelte progettuali
effettuate.
La provincia (o la comunità montana) è
l’ente che ha ricevuto in delega dalla
regione, in base alla normativa illustrata
in precedenza, la competenza in materia di
approvazione dei diversi strumenti
urbanistici che sono prodotti dai comuni.
Essa opera attraverso i diversi organi che
la compongono e svolge una serie di funzioni
ben precise definite dalla normativa
regionale. Tali funzioni determinano, alla
fine del lungo iter valutativo, l’emissione
del decreto di definitiva approvazione con
il quale lo strumento diventa esecutivo.
La regione, ente inizialmente delegato alla
valutazione degli strumenti urbanistici,
grazie ad una politica di decentramento
delle funzioni amministrative, si limita,
attualmente, a prendere visione degli
strumenti urbanistici prodotti, dopo che gli
stessi sono stati valutati dalle rispettive
province o comunità montane competenti, per
effettuare una verifica di conformità al
piano regionale (che in realtà manca) e
per verificare che le procedure seguite
nella valutazione del piano non vadano
contro alcuna normativa.
Questa è una descrizione a grandi linee dei
soggetti che intervengono nel percorso
burocratico di un nuovo strumento
urbanistico e le funzioni da essi svolte.
Passiamo ora ad analizzare in dettaglio le
fasi di cui si compone tale iter,
ipotizzando di considerare il caso di un
piano prodotto per un comune per il quale le
funzioni urbanistiche sono delegate all’ente
provincia.
|
Figura 5 - Tipologia degli atti
pubblicati nel I semestre 2003 |
La formazione del piano a livello comunale
Il Consiglio comunale, organo elettivo in
cui risiede l’indirizzo politico del comune,
dà l’incarico di redigere il piano ad un
progettista o ad un gruppo di progettisti
che possono essere sia interni sia esterni
all’amministrazione comunale. Nel caso in
cui lo si ritenga opportuno, l’incarico può
essere accompagnato da una delibera di
intenti o indirizzi di pianificazione
urbanistica (Ipu), con la quale
l’amministrazione rivela i risultati che
intende raggiungere e gli scopi che intende
perseguire attraverso il nuovo strumento
urbanistico.
Una volta realizzato, il Prg viene adottato
dal Consiglio comunale e pubblicato.
L’adozione comporta l’invio della
documentazione ad alcuni enti che hanno il
compito di esaminare il piano ed esprimere
un parere; tali enti sono:
- Asl competente (Lr 13/1985);
- autorità di bacino competente
(legge 183/1989 e Lr 8/1994);
- eventuali altri enti, quali, ad esempio,
gli enti parco per i comuni
rientranti nel Parco nazionale del Cilento -
Vallo di Diano e nei Parchi regionali dei
Monti Picentini e dei Monti Lattari.
La pubblicazione è fatta sull’albo pretorio14,
sul Bollettino ufficiale della Regione
Campania (Burc), su manifesti affissi per le
vie cittadine e sui giornali15.
La durata della pubblicazione è di 30 giorni
a cui sono da aggiungere altri 30 giorni per
le osservazioni e le opposizioni dei
cittadini16.
Allo scadere dei complessivi 60 giorni
l’amministrazione comunale, ricevute le
osservazioni e preso atto dei pareri dei
suddetti enti17, incarica per
l’esame delle osservazioni gli stessi
soggetti che si sono occupati
dell’elaborazione del piano.
Il primo elaborato prodotto è una tavola di
individuazione geografica delle aree che
sono state oggetto di osservazione, mentre,
a seguito dell’esame approfondito, si
produce una proposta di decisione sulle
osservazioni che viene inviata all’esame del
Consiglio comunale, il quale deve
pronunciarsi secondo tre differenti
possibilità:
- respingere le osservazioni presentate
motivando la scelta;
- esprimersi favorevolmente affinché le
opportune modifiche di accoglimento delle
osservazioni siano introdotte nel Prg in
sede di emissione del decreto di
approvazione dello stesso strumento
urbanistico;
- accogliere le osservazioni e procedere
formalmente all’adozione delle modifiche al
piano.
Il pronunciamento avviene mediante delibera
di controdeduzioni del Consiglio comunale e,
qualora si decida per l’accoglimento delle
osservazioni, è necessario produrre appositi
elaborati di piano modificati dove si
rappresentano le modifiche introdotte, nella
stessa scala e con lo stesso tipo di
rappresentazione dei relativi elaborati di
progetto.
È necessario, però, fare distinzione tra
modifiche sostanziali e non sostanziali, che
scaturiscono dall’accoglimento delle
osservazioni formulate dai cittadini. Tale
decisione è contestuale all’accoglimento
delle osservazioni per cui il cammino del
piano è legato alla valutazione di
sostanzialità effettuata in tale fase.
La legislazione lascia piena libertà alle
amministrazioni comunali per quanto riguarda
la classificazione delle differenti
modifiche18 imponendo, però, che
qualora le modifiche apportate al piano
siano considerate sostanziali, si proceda
alla ripubblicazione del progetto per la
parte che si ritenga sia stata
sostanzialmente modificata e riaprendo i
termini per la presentazione delle
osservazioni riferite alle sole aree
interessate dai cambiamenti apportati. Nel
caso in cui il Consiglio comunale non
ritenga che si debba procedere alla
ripubblicazione si dovranno esplicitare, in
delibera di adozione, le motivazioni in base
alle quali le modifiche introdotte non sono
state considerate sostanziali.
|
Figura 6 - Tipologia degli atti
pubblicati nel II semestre 2002 e I
semestre 2003 |
Valutazione del piano da parte dell’ente
provincia
A questo punto il piano termina la parte del
suo iter che interessa esclusivamente il
comune e viene inviato all’organo
sovraordinato competente, provincia o
comunità montana. La documentazione
trasmessa è sottoposta ad una serie di
operazioni di valutazione dello strumento
urbanistico.
Lo strumento, presso l’Ufficio urbanistica (Uu)
della provincia, è sottoposto all’istruttoria
di procedibilità con la quale il
funzionario incaricato controlla che siano
presenti tutti gli elaborati richiesti e, in
caso favorevole, viene inviato al
Comitato tecnico regionale (Ctr) per
l’acquisizione del relativo parere, che è
obbligatorio ma non vincolante. Entro 60
giorni il Ctr deve pronunciarsi, altrimenti
il parere si intende favorevolmente
acquisito per decorrenza dei termini.
La documentazione, ritornata all’Uu, viene
analizzata nella fase definita
istruttoria di merito con cui si
effettua una verifica di conformità alle
indicazioni e/o prescrizioni contenute nel
piano territoriale di coordinamento (Ptc)
e negli altri piani sovraordinati che,
eventualmente, regolano l’attività
urbanistica del territorio in esame. In
mancanza di tali strumenti urbanistici
l’istruttoria di merito è condotta per
verificare la conformità delle scelte
progettuali riportate nel piano alla
normativa vigente. La provincia, attraverso
il suo organo decisionale, si pronuncia
secondo tre differenti modalità:
- approvazione;
- approvazione con prescrizioni e/o
modifiche;
- restituzione per rielaborazione.
A questo punto l’iter del piano si sfiocca:
questo momento del cammino del piano
costituisce, infatti, un trivio, in quanto i
diversi pronunciamenti determineranno
diverse conseguenze. I differenti percorsi
scaturenti dai tre diversi pronunciamenti da
parte della provincia sono descritti qui di
seguito:
1. nel caso in cui il pronunciamento della
provincia riguardi l’approvazione dello
strumento urbanistico, questo è inviato alla
regione per la verifica di conformità alle
leggi e ai regolamenti, alle previsioni
degli strumenti urbanistici intercomunali e
agli atti di pianificazione regionale e
territoriale;
2. nel caso in cui il pronunciamento della
provincia riguardi l’approvazione con
modifiche dello strumento urbanistico, il
Prg è restituito al comune il quale ha a
disposizione 60 giorni per scegliere fra tre
differenti possibilità: accettare per
decorrenza dei termini, accettare
comunicando la decisione, in forma
ufficiale, all’ente esaminante, o respingere
(parzialmente o totalmente) la richiesta
della provincia controdeducendo. Qualora la
scelta dell’amministrazione comunale ricada
sulle prime due alternative il Consiglio
provinciale, vedendo accettate pienamente le
modifiche richieste, si pronuncia approvando
il piano e destinandolo alla fase successiva
del suo percorso. Nel caso in cui si decida
di rifiutare le modifiche richieste, le
controdeduzioni prodotte
dall’amministrazione comunale sono
nuovamente inviate al Ctr per l’acquisizione
del relativo parere. Ovviamente il nuovo
esame riguarda esclusivamente gli atti che
sono stati oggetto di richiesta di modifiche
da parte dell’ente esaminante. Una volta
compiuto l’esame dell’Uu la documentazione
ritorna al Consiglio provinciale che si
pronuncia nuovamente sul piano. In caso di
pronunciamento sfavorevole il piano viene
approvato con le modifiche che erano state
inizialmente richieste, mentre, qualora si
opti per l’accoglimento delle
controdeduzioni comunali, viene inviato alla
regione nella sua versione originaria per
proseguire il percorso;
3. nel caso in cui il pronunciamento della
provincia richieda la restituzione per
rielaborazione, l’iter subisce un’ulteriore
complicazione. Il piano, infatti, ritorna al
comune, il quale deve procedere entro 180
giorni alla rielaborazione sulla base delle
precise indicazioni fornite dall’ente
esaminante, e restituzione alla provincia o
alla comunità montana competente. Ripetuta
l’istruttoria di procedibilità e attestato
che tale istruttoria abbia avuto esito
favorevole, il piano viene nuovamente
inoltrato al Ctr per l’acquisizione del
parere che deve essere espresso sempre entro
60 giorni. Ripetuta l’istruttoria di merito,
il Consiglio provinciale si pronuncia
approvando il piano qualora siano state
effettuate tutte le modifiche richieste,
respingendolo definitivamente qualora non si
siano realizzate le modifiche indicate dalla
provincia.
L’esame regionale
Il parere favorevole espresso dalla
provincia comporta l’invio del Prg alla
Giunta regionale che ha il compito di
verificarne la conformità al piano
regionale. Nel caso della Regione
Campania non è presente tale piano
regionale, per cui la verifica di conformità
in questione riguarda esclusivamente i
comuni che ricadono all’interno del Put
della penisola amalfitano-sorrentina, mentre
la verifica condotta dalla regione per tutti
gli altri comuni si traduce in un controllo
di conformità destinato a verificare che le
procedure seguite nell’esame del piano non
contrastino con la normativa vigente.
Nella pratica, però, si presenta una
contraddizione tra le disposizioni politiche
di delega delle funzioni e l’effettivo
operato della regione, infatti i funzionari
regionali non si limitano a svolgere le
suddette mansioni, ma effettuano delle
istruttorie di merito interne che ricalcano
le procedure seguite dagli enti provinciali
al momento della valutazione dei Prg.
Qualora la regione, analizzata la
documentazione, evinca che non si è
verificata la conformità alle normative e ai
piani sovraordinati, restituisce il piano al
comune richiedendone la rielaborazione,
cosicché si ripeterà lo stesso iter che si
ottiene nel caso in cui la provincia decida
la restituzione per rielaborazione (in
pratica, si ritorna al punto 3).
Il pronunciamento avviene mediante decreto
del Presidente della Giunta regionale, con
il quale si esprime un parere relativo al
piano. Tale decreto è anticipato da una
delibera della Giunta, formulata sulla base
della suddetta istruttoria interna, in base
alla quale si emette il decreto relativo
alla conformità. La durata della fase di
valutazione regionale è di 90 giorni,
trascorsi i quali si intende acquisito il
visto da parte della regione.
Il decreto di approvazione provinciale
Allo scadere del termine di 90 giorni
previsto, il Prg torna alla provincia (o
alla comunità montana) competente per
l’emanazione del decreto presidenziale di
approvazione e diventa esecutivo con la
pubblicazione di tale decreto sul Burc,
nonchè con il deposito degli atti presso la
segreteria comunale.
Occorre fare distinzione tra i casi di
diverso pronunciamento da parte della
provincia:
- nel caso in cui la provincia abbia
espresso parere favorevole al Prg
pervenuto, allora tale piano è inviato
direttamente alla regione, la quale ha
l’obbligo di effettuare le verifiche di
conformità e, successivamente, di
restituirlo alla provincia (o comunità
montana) competente per l’emanazione del
decreto presidenziale che sancisce
l’esecutività del piano;
- nel caso in cui, viceversa, il parere
espresso dalla provincia non sia
favorevole, ma sia disposta la
restituzione per la rielaborazione, i tempi
di approvazione si allungano a causa della
ripetizione delle operazioni di controllo
effettuate precedentemente19.
Nel caso in cui il pronunciamento dell’ente
esaminante richieda modifiche per
l’approvazione, allora l’amministrazione
comunale ha le seguenti possibilità:
1. accettazione delle modifiche, con presa
d’atto o per decorrenza dei termini;
2. rifiuto parziale o totale delle
modifiche.
Nel primo caso si creano i presupposti per
un immediato pronunciamento favorevole da
parte del Consiglio comunale, mentre nel
secondo caso è necessario un nuovo esame
delle controdeduzioni prodotte, da parte del
Ctr, per consentire all’ente esaminante di
pronunciarsi in maniera definitiva.
1
Su tale aspetto Giovanni Astengo prese
chiaramente posizione in occasione del
Congresso Inu del 1955 (Astengo G., 1956),
richiamando espressamente la necessità di
decentrare alle regioni le funzioni di
controllo e il coordinamento della
pianificazione. A titolo di esempio, a tre
anni dall’approvazione del piano di Milano
(1952), erano stati varati circa 100 Ppe,
uno solo dei quali era stato però approvato.
2
Tale articolo è stato modificato dalla legge
costituzionale 3 del 18.9.2001, Modifiche
al titolo V della parte seconda della
Costituzione, pubblicata nella
Gazzetta Ufficiale n. 248 del
24.10.2001.
Art. 3
1. L’articolo 117 della Costituzione è
sostituito dal seguente:
“Art. 117 - La potestà legislativa è
esercitata dallo Stato e dalle regioni nel
rispetto della Costituzione, nonché dei
vincoli derivanti dall’ordinamento
comunitario e dagli obblighi internazionali.
Lo Stato ha legislazione esclusiva nelle
seguenti materie:
a) politica estera e rapporti internazionali
dello Stato; rapporti dello Stato con
l’Unione europea; diritto di asilo e
condizione giuridica dei cittadini di Stati
non appartenenti all’Unione europea;
b) immigrazione;
c) rapporti tra la Repubblica e le
confessioni religiose;
d) difesa e Forze armate; sicurezza dello
Stato; armi, munizioni ed esplosivi;
e) moneta, tutela del risparmio e mercati
finanziari; tutela della concorrenza;
sistema valutario; sistema tributario e
contabile dello Stato; perequazione delle
risorse finanziarie;
f) organi dello Stato e relative leggi
elettorali; referendum statali; elezione del
Parlamento europeo;
g) ordinamento e organizzazione
amministrativa dello Stato e degli enti
pubblici nazionali;
h) ordine pubblico e sicurezza, ad
esclusione della polizia amministrativa
locale;
i) cittadinanza, stato civile e anagrafi;
l) giurisdizione e norme processuali;
ordinamento civile e penale; giustizia
amministrativa;
m) determinazione dei livelli essenziali
delle prestazioni concernenti i diritti
civili e sociali che devono essere garantiti
su tutto il territorio nazionale;
n) norme generali sull’istruzione;
o) previdenza sociale;
p) legislazione elettorale, organi di
governo e funzioni fondamentali di comuni,
province e città metropolitane;
q) dogane, protezione dei confini nazionali
e profilassi internazionale;
r) pesi, misure e determinazione del tempo;
coordinamento informativo statistico e
informatico dei dati dell’amministrazione
statale, regionale e locale; opere
dell’ingegno;
s) tutela dell’ambiente, dell’ecosistema e
dei beni culturali.
Sono materie di legislazione concorrente
quelle relative a: rapporti internazionali e
con l’Unione europea delle regioni;
commercio con l’estero; tutela e sicurezza
del lavoro; istruzione, salva l’autonomia
delle istituzioni scolastiche e con
esclusione della istruzione e della
formazione professionale; professioni;
ricerca scientifica e tecnologica e sostegno
all’innovazione per i settori produttivi;
tutela della salute; alimentazione;
ordinamento sportivo; protezione civile;
governo del territorio; porti e aeroporti
civili; grandi reti di trasporto e di
navigazione; ordinamento della
comunicazione; produzione, trasporto e
distribuzione nazionale dell’energia;
previdenza complementare e integrativa;
armonizzazione dei bilanci pubblici e
coordinamento della finanza pubblica e del
sistema tributario; valorizzazione dei beni
culturali e ambientali e promozione e
organizzazione di attività culturali; casse
di risparmio, casse rurali, aziende di
credito a carattere regionale; enti di
credito fondiario e agrario a carattere
regionale. Nelle materie di legislazione
concorrente spetta alle regioni la potestà
legislativa, salvo che per la determinazione
dei principi fondamentali, riservata alla
legislazione dello Stato.
Spetta alle regioni la potestà legislativa
in riferimento ad ogni materia non
espressamente riservata alla legislazione
dello Stato”.
omissis
3
Il Dpr 8/1972 primo dei due suddetti
decreti, stabiliva un trasferimento di
competenze che, però, riservava ancora un
ruolo fondamentale allo Stato e per tale
motivo fu oggetto di forti critiche.
Il compimento della politica di
decentramento delle funzioni si ebbe con il
Dpr 616/1977, il quale sanciva il definitivo
e completo passaggio dell’urbanistica alle
regioni. L’art. 79 riportava testualmente:
“sono trasferite alle regioni le funzioni
amministrative dello Stato e degli enti
pubblici di cui all’articolo 1 nelle materie
urbanistica (…) come attinenti all’assetto
ed utilizzazione del rispettivo territorio”.
L’art. 81, invece, enunciava tutte le
competenze che erano mantenute dallo Stato.
In pratica, lo Stato, attraverso il
Ministero dei lavori pubblici, continuava ad
esercitare le funzioni di indirizzo e
coordinamento per la formulazione delle
politiche territoriali su scala regionale e
comunale.
4
L’art. 23 della Lr 54/1980 stabilì che le
funzioni amministrative nella materia
urbanistica riguardanti l’approvazione dei
Prg e dei PdiF, nonché di tutti gli
strumenti comunali e intercomunali, la cui
approvazione era fino a quel momento di
competenza regionale, fossero delegate alle
comunità montane e, per quanto concerne i
comuni in esse non compresi, alla provincia.
Si stabilì, inoltre, che le comunità montane
e le province avrebbero dovuto svolgere le
funzioni ad esse delegate “sulla base e nel
rispetto delle leggi regionali contenenti
vincoli sul territorio e degli indirizzi di
assetto territoriale adottati dalla
regione”. Veniva, in questo modo, emanata
una normativa che forniva indicazioni di
carattere generale sulle competenze in
materia di approvazione degli strumenti
urbanistici.
Un ulteriore passo avanti nella definizione
delle competenze fu fatto con la Lr 65/1981
la quale, all’art. 6, recitava: “Sono
delegate e sub-delegate alle comunità
montane e, per i comuni non compresi in
esse, alle province le altre funzioni in
materia di urbanistica e beni ambientali di
cui all’art. 23 della legge 29 maggio 1980,
n. 54”, dove con la dicitura “altre funzioni
in materia di urbanistica” si faceva
riferimento ai Prg, ai PdiF e a tutti gli
strumenti comunali e intercomunali elencati
precedentemente. Tale legge stabilì, in
aggiunta a quanto detto, che fossero
delegate ai comuni “le funzioni
amministrative concernenti l’approvazione
dei piani particolareggiati di esecuzione,
dei piani di lottizzazione, dei piani di
zona per l’edilizia economica e popolare di
cui alla legge 18 aprile 1962, n. 167, dei
piani degli insediamenti produttivi e di
ogni altro strumento urbanistico esecutivo”.
Questi provvedimenti consentivano una
riduzione delle competenze delle province e
delle comunità montane in materia di
approvazione, richiedendo, però, la
preventiva formulazione e approvazione dei
Prg comunali.
5
Con la Lr Campania del 29.5.1980, n. 54, si
delegò, in via di principio, alle comunità
montane e, per i comuni non compresi in
esse, alle province, le funzioni
amministrative regionali, sia in ordine
all’approvazione dei piani urbanistici
comunali sia in materia di tutela del
paesaggio. Successivamente, con la Lr
Campania dell’1.9.1981, n. 65, tali funzioni
furono direttamente delegate ai comuni,
limitatamente all’approvazione degli
strumenti urbanistici esecutivi, laddove il
comune sia provvisto di Prg, e ad alcune
funzioni in materia paesistica
(autorizzazioni e nulla osta; cartelli
pubblicitari; sanzioni amministrative).
Finalmente, con Lr del 23.2.1982, n. 10, e
Lr del 20.3.1982, n. 14, le deleghe
suindicate furono specificamente
disciplinate ed attuate.
6
La Regione Campania pubblicò, in merito, sul
Burc del 24.6.1982 “Indirizzi programmatici
e direttive fondamentali per l’esercizio
delle deleghe e subdeleghe ai sensi
dell’art. 1 della legge regionale 1
settembre 1981, n. 65” in cui era presente
un elenco tabellare dei comuni costituenti
le province della Campania con indicazioni
riguardanti le superfici del territorio
comunale che rispondevano ai requisiti
richiesti, rispettivamente, dagli articoli 1
e 14 della legge 991/1952 e successive
modifiche. L’articolo 1 decretava che
fossero considerati territori montani “i
comuni censuari situati per almeno l’80 per
cento della loro superficie al di sopra di
600 metri di altitudine sul livello del mare
e quelli nei quali il dislivello tra la
quota altimetrica inferiore e la superiore
del territorio comunale non è minore di 600
metri, sempre che il reddito imponibile
medio per ettaro, censito, risultante dalla
somma del reddito dominicale e del reddito
agrario (…) non superi le lire 2400”. Si
prevedeva, inoltre, la possibilità di
inserire nell’elenco dei comuni che
presentavano le caratteristiche suddette
anche quei comuni, o porzioni di essi, che
pur non presentando le caratteristiche
elencate presentassero pari condizioni
economiche e agrarie. L’art. 14 sancì che
era possibile formare dei comprensori di
bonifica montana costituiti dai territori
montani “che a causa del degradamento fisico
o del grave dissesto economico, non siano
suscettibili di una proficua sistemazione
produttiva senza il coordinamento
dell’attività dei singoli e l’integrazione
della medesima ad opera dello Stato”. Si
prevedeva anche la possibilità di includere
nei comprensori di bonifica i territori che
non presentassero le caratteristiche
elencate nell’art. 1. La successiva
emanazione della legge 1102/1971 confermò,
con l’art. 3, le indicazioni fornite dagli
artt. 1 e 14 della legge 991/1952. L’art. 4,
inoltre, istituiva le comunità montane come
enti di diritto pubblico che dovevano
costituirsi tra i comuni ricadenti in
ciascuna zona montana omogenea, perimetrata
ai sensi dell’art. 12 del Dpr 987/1955,
definendone le specifiche competenze.
L’art. 7 della legge 1102/1971, invece,
stabiliva che “la Comunità montana, in
armonia con le linee di programmazione e con
le norme urbanistiche stabilite dalle
regioni (…), può redigere piani urbanistici,
di cui si dovrà tener conto nella redazione
(…) dei piani regolatori e dei programmi di
fabbricazione che i comuni sono tenuti ad
adottare”, definendo, di fatto, il ruolo che
avrebbero dovuto assumere le Comunità
montane in materia di pianificazione di area
vasta.
L’elenco tabellare dei comuni riportato
nella pubblicazione del Burc presentava, in
due distinte colonne, le superfici del
territorio, per singolo comune, che
rispondevano agli artt. 1 e 14. Qualora la
somma delle due superfici o anche una sola
delle due equiparasse il valore di
superficie totale del territorio, il comune
era classificato come montano. Nel
caso in cui la somma delle due superfici non
raggiungesse il valore totale di estensione
territoriale, il comune era classificato
come parzialmente montano. L’elenco
non comprendeva quei comuni che non
presentassero porzioni di superficie
rispondenti ai requisiti di cui agli artt. 1
e 14, i quali, automaticamente, erano
classificati come non montani.
7
Per la cronaca, la competenza in materia
urbanistica per la Provincia di Salerno
riguarda la provincia per 55 comuni e le
comunità montane (in tutto 12) per 103
comuni.
8
L’art. 1 della Lr 17/1982 stabilisce che “in
caso di inerzia, le Comunità montane e, per
i comuni non interamente compresi in esse,
le province provvedono, a mezzo di
commissari ad acta, agli adempimenti
previsti dall’articolo 8 della legge
1150/1942 e successive modificazioni, entro
sessanta giorni dalla scadenza dei termini
stabiliti dalla stessa norma”.
9
Con deliberazione di Consiglio provinciale
n. 102 del 29.11.1999, la Provincia di
Salerno approvava il provvedimento di
reintegra dei comuni di competenza
provinciale nel potere pianificatorio (Agropoli,
Albanella, Atena Lucana, Bellizzi, Fisciano,
Mercato S. Severino, Palomonte, S. Valentino
Torio).
10
Poi diventata DLgs del 30.3.1990, n. 76
inerente il Testo unico delle leggi per gli
interventi nei territori della Campania,
Basilicata, Puglia e Calabria colpiti dagli
eventi sismici del 1980, del febbraio 1981 e
del marzo 1982.
11
Per quanto riguarda l’attuazione, negli
oltre cinquecento comuni della Regione
Campania, al 1995 risultavano approvati ai
sensi della legge 219/1981 più di trecento
strumenti urbanistici esecutivi di cui circa
110 PdiR, 87 Peep, 106 Pip e 12 piani di
ricostruzione. A tutt’oggi i comuni
continuano ad utilizzare le procedure della
legge 219/1981.
12
La Lr 24/1989, intervenuta a modifica della
Lr 14/1982, stabilì che le funzioni
amministrative relative all’approvazione dei
Prg dei comuni capoluoghi di provincia
fossero esercitate dalla giunta regionale
previa istruttoria del comitato tecnico
regionale (Ctr), riservando, in questo
modo, la possibilità di controllare
direttamente gli strumenti disposti per
regolare l’attività pianificatoria nei
cinque comuni principali della Campania.
13
La legge 142/1990 stabilì l’abrogazione
dell’art. 1 della legge 991/1952, nonché il
secondo comma dell’art. 14 della stessa
legge e gli artt. 3, 5 e 7 della legge
1102/1971, emanata a correzione della
precedente. In questo modo veniva a crearsi
una condizione di vuoto normativo che
annullava le classificazioni effettuate in
precedenza e che avrebbe richiesto una
successiva produzione legislativa di
regolamentazione, in quanto le leggi emanate
dalla Regione Campania per le deleghe in
materia urbanistica, Lr 54/1980 e Lr
65/1981, pur restando in vigore non avevano
più, teoricamente, ragion d’essere essendo
venuta meno la classificazione iniziale dei
comuni sulla base della quale si stabilivano
le competenze in materia urbanistica. Non
essendo stata prodotta, negli anni a venire,
ulteriore normativa, regionale o nazionale,
che definisse diverse competenze in materia
di approvazione dei Prg rimane stabilito, a
tutt’oggi, che le comunità montane sono
delegate all’approvazione dei Prg prodotti
da quei comuni in esse ricadenti e che sono
stati classificati come montani. Per tutti
gli altri comuni, classificati come
parzialmente montani o non montani, pur
ricadendo all’interno della comunità
montana, le competenze in materia di
approvazione dei Prg sono trasferite alle
province. L’attuale suddivisione del
territorio provinciale in comunità montane
riporta le disposizioni contenute nella Lr
6/1998 che, a sua volta, ricalca la
suddivisione riportata nell’art. 1 della Lr
31/1994, effettuata a norma dell’art. 28
della legge 142/1990; quest’ultima, infatti,
reca, tra l’altro, indicazioni per la
costituzione di comunità montane tra i
comuni montani e parzialmente montani
appartenenti alla stessa provincia.
14
L’art. 62 del Regio decreto (Rd) 383/1934 ha
stabilito che ogni comune deve avere un albo
pretorio per la pubblicazione delle
ordinanze, delle deliberazioni, dei
manifesti e di tutti gli altri atti che
devono essere portati a conoscenza della
cittadinanza. L’art. 131 dello stesso Rd ha
poi stabilito che anche ogni provincia debba
avere un albo pretorio con le stesse
funzioni. Le disposizioni contenute nella
legge 142/1990 riguardante il riordino delle
autonomie locali non ha modificato la
normativa sugli albi pretori.
15
Disposizioni diverse in merito alla
pubblicazione riguardano gli strumenti
esecutivi di livello inferiore rispetto al
Prg. Le suddette disposizioni sono riportate
nell’allegato alla Lr 14/1982, capo III.
16
È da precisare che inizialmente la legge
1150/1942 prevedeva, all’art. 9, che le
osservazioni alle scelte di piano potessero
essere presentate solo da associazioni
sindacali e dagli altri enti pubblici ed
istituzioni interessati, ma, in seguito,
tale possibilità è stata estesa anche ai
soggetti privati. Le stesse osservazioni non
possono essere considerate rimedi giuridici,
ma semplici apporti collaborativi al piano.
17
I pareri degli enti a cui è stato inviato il
piano vengono fatti propri
dall’amministrazione comunale, per cui da
quel momento bisogna stabilire se modificare
la documentazione del piano o respingere le
indicazioni fornite.
18
Le indicazioni in questione sono contenute
nella circolare esplicativa della Lr
14/1982.
19
La normativa attuale consente alla provincia
di estendere i tempi di valutazione a 365
giorni, da utilizzare per effettuare tutti i
passaggi, nonché di prolungarli, nel caso in
cui dall’esame preliminare scaturiscano
mancanze di diverso genere, attraverso il
differimento della data di inizio
istruttoria al momento di acquisizione delle
modifiche o integrazioni richieste al
comune.
Bibliografia
Avarello P. (2000), Il piano comunale.
Evoluzione e tendenze, Il Sole24Ore,
Milano.
D’Angelo G. (1989), Legislazione
urbanistica, Morano editore, Napoli.
D’Angelo G. (1995), L’ordinamento
urbanistico della Regione Campania.
Dottrina, legislazione, giurisprudenza,
Cedam, Padova.
Gerundo R. (1999), Dal piano alle
politiche urbanistiche, Edizioni
Graffiti, Napoli.
Inu (a cura) (2003), Rapporto sullo stato
della pianificazione del territorio 2003,
Ministero dei Lavori Pubblici - Direzione
Generale del Coordinamento Territoriale,
Roma. |