Piano di parco e questione ambientale
La pianificazione delle aree protette è un
tema cruciale rispetto ad alcuni punti
critici della questione ambientale e
consente di sviluppare alcune riflessioni
sugli aspetti cognitivi, su quelli della
definizione delle strategie e sull’efficacia
della forma di piano. I caratteri dominanti
dell’attuale panorama della pianificazione
del territorio, dell’ambiente e del
paesaggio sembrano essere la separatezza1
e il sovraccarico normativo2: una
stratigrafia di strumenti e di competenze
afferenti a diversi ambiti disciplinari e a
diversi ruoli gestionali e amministrativi
scarsamente integrati rende difficile un
approccio alla pianificazione che non
risenta della mancanza di una visione ad un
tempo unitaria e complessa. La criticità di
questa condizione, diffusa nella disciplina
dei cosiddetti territori extraurbani, si
rende particolarmente evidente nella
gestione delle aree soggette a rischio, in
cui emergono con chiarezza la mancanza di un
linguaggio comune tra urbanistica e
discipline ambientali, la settorializzazione,
nell’ambito di queste, dei saperi
specialistici, e l’assenza di
copianificazione tra i diversi livelli
amministrativi3. La questione,
per quanto si manifesti oggi nella sua
palese problematicità con proporzioni
inedite, non può essere considerata nuova,
in termini metodologici, nell’ambito del
planning se già nel 1904 Patrick Geddes
poneva in luce - criticando il riduzionismo
degli approcci di matrice positivista - la
conflittualità tra parcellizzazione della
conoscenza e interezza dell’ambiente,
sottendendo la necessità di una visione
integrata4. L’esperienza della
pianificazione dei parchi ha permesso di
sviluppare questo tema, soprattutto alla
luce delle innovazioni introdotte dalla
legge 394/1991, che ha reso necessaria una
rivisitazione critica dello sguardo della
pianificazione alle problematiche ambientali5.
In particolare, il carattere di
sostitutività che la legge ha impresso al
piano di parco rispetto a tutti gli
strumenti di pianificazione - urbanistica,
territoriale, paesistico-ambientale - sembra
sottendere la necessità di costruire per
ogni area protetta uno strumento
comprensivo, in grado, per quanto possibile,
di sistematizzare da un lato una sintesi
interdisciplinare di conoscenze e,
dall’altro, di rendere coerentemente
operativa la molteplicità di indirizzi e di
norme afferenti alle diverse componenti
disciplinari e ambientali. I problemi che
sono stati affrontati a partire da questa
innovazione investono la concezione
dell’ambiente, in particolare con il
passaggio da un approccio selettivamente
antropocentrico ad una visione
biocentrica, fondata sul paradigma
dell’ecosistema6; coinvolgono gli
aspetti scientifico-disciplinari, ponendo in
particolare evidenza l’inattualità di una
interpretazione areale dei fenomeni
ambientali e la conseguente inefficacia
dello zoning e dell’apparato
tradizionale del planning di matrice
funzionalista tipico del piano urbanistico
come strumento prioritario di controllo;
richiamano, infine, sotto il profilo
strategico e operativo, la necessità di un
superamento dell’approccio tradizionalmente
vincolistico-passivo centrato sull’esercizio
di autorità da parte di un unico ente
sovraordinato, verso forme gestionali basate
sulla cooperazione tra gli enti, il
coinvolgimento e la partecipazione degli
abitanti. Alla luce di questo scenario,
attraverso l’esperienza di pianificazione
delle Cinque Terre7 si è tentato
di tracciare un possibile percorso
evolutivo, con riferimento in primo luogo
alla necessità di integrazione tra le
diverse discipline ambientali nell’ambito
della pianificazione, attraverso lo sviluppo
e l’applicazione di appropriati modelli di
conoscenza, di interpretazione e di
rappresentazione dei fenomeni. In secondo
luogo è stata affrontata la necessità di
costruire una forma di piano in grado di
interpretare e sviluppare i più importanti
contenuti maturati nel contesto della
riforma urbanistica, con particolare
riferimento alla articolazione in livelli,
nell’ambito del piano, delle componenti di
natura strategica, di salvaguardia e di
programmazione e gestione delle azioni sul
territorio8. Si è, quindi,
cercato di sviluppare un approccio
strategico complesso, basato sulla
concertazione interistituzionale9
e sul necessario coinvolgimento degli attori
sociali nel perseguimento di un processo di
sviluppo sostenibile a partire dal rapporto
tra comunità e territorio, interpretando
l’abitare come facoltà umana10
in grado di ricostituire, innovativamente,
una possibile relazione di continuità tra
uomini e luoghi.
|
Figura 1 - Carta delle unità
ambientali del parco delle Cinque
Terre, con la suddivisione del
territorio in tre fasce: alta del
crinale e dei boschi; del versante
terrazzato, costiera della spiaggia;
delle falesie e dei centri urbani
(ciascuna fascia è articolata in
sottoambiti definiti sulla base dei
processi in atto evolutivi e di
degrado) |
Il ruolo dei modelli di conoscenza e di
rappresentazione nella costruzione del piano
Nelle esperienze di pianificazione dei
parchi è stata più volte messa in luce la
necessità di codificare nuovi paradigmi di
interpretazione e di disciplina
dell’ambiente11. L’inadeguatezza
del tradizionale apparato
metodologico-strumentale del piano
urbanistico, in particolare, si manifesta
chiaramente nella difficoltà di controllare
la complessità dei fenomeni ambientali
attraverso il paradigma dello zoning
funzionalista che è chiamato, con
difficoltà, ad “individuare, seguendo i
mosaici e le reti del sistema ambientale, i
confini delle azioni necessarie alla
conservazione o alla ricostruzione dei
paesaggi e di quelle atte a garantire la
molteplicità e ricchezza delle popolazioni
animali e vegetali presenti”12.
L’interpretazione complessa dei fenomeni
ambientali ha progressivamente determinato,
nelle diverse esperienze di piano, la
necessità di sviluppare modelli sempre più
mirati, da un lato, a rendere evidenti le
inferenze tra le diverse componenti
costitutive dell’ambiente codificate
attraverso i diversi contributi
disciplinari, nel quadro di una concezione
ecosistemica, dall’altro a cogliere,
sviluppando un’attitudine idiografica, le
specificità del territorio, altrimenti
nascoste dalla tendenza omologante della
suddivisione in zone omogenee. L’importanza
dell’individuazione di operatori spaziali
adeguati a rappresentare e disciplinare
fenomeni ad elevata complessità si è resa
particolarmente evidente nell’ambito
dell’elaborazione del piano di parco delle
Cinque Terre. La pervasività della
componente antropica nella costruzione del
paesaggio e la rapidità dei processi di
trasformazione per degrado13
hanno condizionato la forma del piano
richiedendo l’elaborazione di conoscenze di
sintesi che fossero in grado di produrre una
rappresentazione e di sostenere la
formulazione di una disciplina dei caratteri
ambientali dominanti, dei processi in atto,
delle relazioni di interdipendenza tra
società locali e territorio, costitutive
della struttura del paesaggio, e della loro
modificazione. La costruzione di un quadro
di conoscenze implicante questo tipo di
sintesi è stata resa possibile attraverso un
sistema informativo geografico che ha
consentito di rappresentare, a partire da
una base interdisciplinare di analisi, le
interazioni sistemiche tra componente
naturale e componente antropica del
paesaggio e di evidenziarne le processualità14.
Figura 2 - Schema strutturale
dell’ecosistema rurale: interazioni
spaziali tra le diverse componenti
costitutive della stanzialità, della
mobilità e della produttività, alla
base degli ambiti unitari di
paesaggio individuati dal piano |
|
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In particolare, è stata sviluppata,
nell’ambito della definizione della
struttura relazionale tra le due componenti,
una sintesi formalizzata in due modelli
spaziali di rappresentazione: quello delle
unità ambientali e quello degli ecosistemi
rurali. Le prime rappresentano
un’articolazione del territorio per fasce
scandite altimetricamente e caratterizzate
da alcune dominanti ambientali determinate
dall’interazione tra caratteri del paesaggio
naturale - altimetria, acclività,
geomorfologia, litologia, vegetazione
naturale - e del paesaggio umano -
terrazzamenti, colture, sistema insediativo
e rete della viabilità - che consentono di
definire una suddivisione dell’ecosistema
parco in ambiti omogenei secondo una
differenziazione, che accomuna, in prima
istanza, all’interno di una definizione
generale, ambiti con diverse
caratterizzazioni tipologiche e diverse
processualità. I secondi interpretano la
struttura sintattico-relazionale del
paesaggio umano rappresentando il complesso
fisico dei legami di lunga durata tra
collettività organizzate e territorio,
secondo un progetto la cui permanenza è
leggibile in controluce anche nel
paesaggio rurale contemporaneo15,
mettendone in evidenza le differenti
declinazioni nei diversi contesti
all’interno del territorio del parco. Le
unità ambientali individuano una
suddivisione in tre fasce del territorio
delle Cinque Terre: quella alta del crinale
e dei boschi, quella del versante
terrazzato, quella costiera della spiaggia,
delle falesie e dei centri urbani. Le
differenze interne a ciascuna unità
ambientale sono determinate dalle specifiche
processualità, sia di tipo evolutivo che
degenerativo, che ne investono i caratteri
modificandoli: i diversi gradi di evoluzione
della vegetazione boschiva, i diversi
livelli di abbandono, degrado e dissesto che
caratterizzano pervasivamente il territorio
terrazzato, le trasformazioni generate dai
processi erosivi e dalla antropizzazione del
litorale. Attraverso le unità ambientali
vengono individuati i caratteri dominanti
che, unitamente ai processi in atto,
costituiscono il fondamento di un criterio
di suddivisione zonale per fasce di
protezione articolate in sottoambiti sulla
base dell’evoluzione dell’ambiente. Il
paradigma dell’ecosistema rurale concorre,
parallelamente, alla individuazione delle
differenze interne al sistema parco,
identificando specifiche unità locali di
paesaggio umano dotate di caratteri
morfologici propri, rintracciate
ricostruendo il rapporto storico di
pertinenzialità tra insediamento e
territorio agrario circostante che, secondo
una relazione deittica centro-confine,
struttura i diversi ambiti territoriali di
appartenenza delle comunità insediate. Le
diverse unità che identificano gli
ecosistemi vengono riconosciute individuando
le centralità e decifrando i confini che
segnano le partizioni del territorio secondo
le cadenze stabilite dalle comunità nella
storia della costruzione del proprio spazio
vitale. L’ecosistema rurale viene definito,
in questo senso, come “il minimo modulo
territoriale, matrice di tutti i successivi
sviluppi ed aggregazioni alle più ampie
scale territoriali” che “corrisponde alla
più piccola porzione di territorio in cui è
rilevabile un’organizzazione” e “quindi
anche al minimo livello di rappresentazione
del paesaggio”16. In altri
termini, esso può essere codificato come “la
minima entità rappresentativa del paesaggio
agrario e storico culturale.
Figura 3 - Suddivisione del
territorio delle Cinque Terre in
ecosistemi rurali: il piano
individua nelle unità progettuali,
gli ambiti entro cui governare,
attraverso programmi, processi di
riqualificazione territoriale,
ambientale e paesistica a partire
dalle relazioni di pertinenzialità
tra strutture edificate e paesaggio
agrario |
|
|
All’interno di
questa, i segni risultano collegati da
relazioni di mutuo condizionamento: i
rapporti fra insediamento, percorsi di
appoderamento, regime fondiario, produzione
e assetto dei suoli sono strettamente legati
da relazioni dirette (…) come elementi
costitutivi dell’area organica rurale”17.
Il paradigma si fonda sulla individuazione
delle relazioni morfologico-spaziali che
sono alla base delle forme della stanzialità
come decifrabili dagli elementi del
paesaggio: “i diversi interventi e
manufatti, che hanno consentito
l’organizzazione ed il funzionamento del
sistema civile, sono riconducibili a
funzioni primarie, definibili a livelli di
massima generalità come stanzialità,
mobilità e produttività”18.
La struttura dell’ecosistema rurale è,
quindi, costituita dalle relazioni tra le
differenti categorie ambientali entro cui si
manifesta il rapporto tra uomini e luoghi.
L’insediamento come centralità, la rete dei
percorsi come struttura connettiva,
l’assetto terrazzato e l’uso produttivo del
suolo a scopi agricoli sono le componenti
elementari di una suddivisione organica del
territorio in individualità di significato
locale che configurano un insieme di
elementi discreti, distribuiti in maniera
discontinua nello spazio territoriale. Se,
da un lato, le unità ambientali concorrono a
definire la zonizzazione del piano e a
determinare una disciplina di salvaguardia e
una norma diffusa di gestione del
territorio, gli ecosistemi rurali
rappresentano dall’altro le unità
progettuali, gli ambiti entro cui governare,
attraverso programmi, un processo di
riqualificazione territoriale, ambientale e
paesistica a partire dalle relazioni di
pertinenzialità tra strutture edificate e
paesaggio agrario19.
La forma di piano e le strategie di
intervento
La trasformazione contemporanea che investe
il paesaggio culturale delle Cinque Terre -
come gran parte delle aree in cui domina
ancora la dimensione rurale - consiste nello
scardinamento delle relazioni di necessità
che da sempre univano comunità e territorio,
il cui esito è uno scenario dominato dalla
marginalizzazione delle attività agricole
tradizionali, dall’invecchiamento della
popolazione, dall’abbandono delle terre e
dal conseguente incombere di una condizione
di rischio idrogeologico, a cui si associa
una forte pressione antropica determinata da
funzioni turistiche concentrate sulla fascia
costiera. La visione sistemica di questi
elementi interdipendenti sviluppata dal
piano orienta un progetto di sviluppo
sostenibile in cui si prefigura un processo
di recupero territoriale di lungo periodo,
basato sull’interazione tra interventi di
tipo complesso, mediante progetti da
sviluppare attraverso intese tra gli enti e
gli attori sociali, e di tipo diffusivo, che
fanno riferimento all’azione dei singoli,
disciplinata, in via ordinaria, sulla base
delle regole strutturali, storicamente
costitutive del territorio e sulla necessità
di ricostruire, in base ad esse, il legame
di cura tra l’abitante e l’ambiente locale.
Figura 4 - Zonizzazione del piano
del parco nazionale delle Cinque
Terre: suddivisione delle quattro
fasce di protezione previste dalla
legge 394/1991 in sottoambiti
differenziati secondo i criteri di
individuazione delle unità
ambientali, attraverso le
valutazioni con cui sono stati
identificati i diversi livelli di
equilibrio o di degrado; per ogni
fascia di protezione, la norma
stabilisce regole a carattere
diffusivo e margini operativi di
flessibilità dei programmi di
riqualificazione ambientale |
|
|
Gli obiettivi strategici del piano sono la ridefinizione di equilibri ambientali e
socio-economici all’interno del territorio
attraverso la ridistribuzione dei flussi
turistici da aree ad elevata pressione
antropica (costiere) ad aree marginalizzate
(di versante), la valorizzazione di
un’economia multifunzionale di agricoltura e
turismo, la conservazione del paesaggio
costruito, attraverso il recupero e la
manutenzione del sistema terrazzato, la
tutela delle dinamiche naturali e la difesa
dal dissesto idrogeologico. Uno dei
principali obiettivi strategici del piano e
quello che ha maggiore inferenza con i
modelli di rappresentazione sviluppati nel
quadro delle conoscenze, è dunque quello del
recupero di un paesaggio culturale
minacciato. Valutata in quest’ottica, la
legge 394/1991 sottende una concezione di
piano che, per quanto resa dinamica da una
definizione del ruolo di pianificazione,
programmazione e gestione attiva dell’ente
parco, e dalla necessità di una struttura
interdisciplinare e multisettoriale20,
sembra essere ancora limitata dal meccanismo
zonale prescrittivo di una gradazione
vincolistica da aree a massima naturalità ad
aree più antropizzate tipico dei parchi
nazionali storici. Tale individuazione, se
importata in modo lineare dalla definizione
legislativa, non sembra di per sé efficace
nel perseguire un progetto di piano fondato
su un’organizzazione del territorio per
ecosistemi. Una partizione del territorio in
areali omogenei, cui attribuire normative
più o meno vincolistiche, può costituire un
valido strumento di salvaguardia, ma si
rivela insufficiente di fronte alla
necessità di governare le complesse
relazioni che sono alla base dei fenomeni
ambientali. Dovendo affrontare in termini
sostenibili i problemi di un’area in cui le
dinamiche di trasformazione stanno assumendo
sempre più rapidamente proporzioni
catastrofiche, ed essendo necessario
traguardare un recupero di lungo periodo
basato sul coinvolgimento e sulla
cooperazione, il piano non poteva assumere
un ruolo rigido e prescrittivo, né tantomeno
esaurire il proprio compito nella
definizione di uno scenario di salvaguardia.
|
Figura 5 - Veduta di Drignana |
È stato necessario costruire uno strumento
dotato di un quadro strategico stabile e in
grado di svilupparsi in modo aperto e adattivo. Sono stati, in quest’ottica,
individuati, nel contesto della struttura
del piano, tre livelli di efficacia: un
livello strategico, in cui sono definiti
le finalità generali e gli obiettivi di
lunga durata; un livello di salvaguardia
in cui lo strumento necessariamente
suddivide le fasce di protezione della legge
quadro in una articolata zonizzazione
costruita sulla base della suddivisione in
unità ambientali e sulla valutazione dei
processi ad essi inerenti; un livello
della gestione e dei progetti, che
definisce normative settoriali, stabilisce i
criteri di natura qualitativa per i diversi
tipi di intervento e individua i modi della
programmazione, traguardando, soprattutto,
un’attuazione per progetti complessi di
riqualificazione paesistico ambientale e
sviluppo sostenibile del territorio
articolati sulla base degli ecosistemi
rurali locali. A questi tre livelli di
efficacia corrispondono diversi livelli di
flessibilità e di operatività: il livello
strategico è il livello più durevole, che
fissa linee di azione di lungo periodo, non
modificabili se non attraverso una
complessiva revisione del piano; il livello
delle salvaguardie, per ciascuna delle zone
di piano individuate dalle unità ambientali
e dalle loro dinamiche, fissa una normativa
di carattere diffuso, attuabile in modo
episodico sul territorio e stabilisce alcune
soglie di sostenibilità nell’attuazione di
progetti complessi, che possono sviluppare
ed estendere localmente le previsioni di
intervento della disciplina zonale,
attraverso una verifica di coerenza con gli
indirizzi strategici; il livello della
gestione e della progettualità individua
specifici progetti coerenti con gli
obiettivi del livello strategico ed entro i
limiti di flessibilità del livello delle
salvaguardie, per promuovere in modo
concertato azioni di recupero
paesistico-ambientale, in particolare
favorendo la formazione di convenzioni tra
l’ente parco e i soggetti che intendono
insediare attività sostenibili e di lunga
durata. La zonizzazione è basata su una
suddivisione delle quattro fasce di
protezione previste dalla legge21
in sottoambiti differenziati secondo i
criteri di individuazione delle unità
ambientali e attraverso le valutazioni che
consentono di individuare diversi livelli di
equilibrio o di degrado. Per ogni fascia di
protezione individuata, la norma stabilisce
regole a carattere diffusivo e stabilisce i
margini di flessibilità che possono rendere
più aperta e regolamentata la negoziazione
tra ente parco e privati per la
realizzazione di interventi convenzionati.
Alla suddivisione zonale, delineata dalla
legge quadro, il piano assegna dunque il
ruolo di individuare modalità operative
articolate per assetti ambientali (assetto
vegetazionale, del suolo, insediativo,
dell’accessibilità e delle percorrenze) e di
determinare soglie di sostenibilità per gli
interventi, stabilendo i limiti di
flessibilità entro cui operare attraverso
progetti complessi. Un punto molto
importante nella attivazione della strategia
del recupero territoriale è quello che
tende, nella relazione di interdipendenza
tra insediamento e territorio, alla
progressiva ricostruzione di un equilibrio
ecosistemico. La relazione si basa sul
rapporto tra edificazione e pertinenza
agraria, tra casa e terra, la cui
reciprocità ha storicamente costituito un
fondamento della continuità del territorio e
della sua vitalità, che si sono manifestate
attraverso una distribuzione diffusiva dello
spazio dell’abitare in grado di assicurare
la conservazione del paesaggio, la sua cura
e una modalità di protezione dal rischio
endogena e articolata in modo capillare. Il
piano assume progettualmente e codifica
diverse caratterizzazioni di questa
relazione, che acquisisce significati più
complessi in ragione delle differenti
morfologie territoriali del costruito, della
scalarità e dei diversi livelli di
complessità organica delle strutture
insediative e, infine, del livello di
degrado e di rischio. Al livello elementare,
che corrisponde all’edificio rurale isolato
in un ambito di edificazione sparsa, il
piano stabilisce una regola ordinaria che
associa agli interventi di recupero edilizio
la necessità di corrispondenti azioni di
compensazione ambientale, sotto forma di
manutenzione o di rimessa a coltura di
territorio abbandonato. Al livello della
minima dimensione, dunque, la norma del
piano innesca una sorta di riproduzione di
un comportamento abitativo in grado di
sviluppare molecolari azioni di
rivitalizzazione del territorio terrazzato.
|
Figura 6 - Veduta di Riomaggiore |
L’evoluzione del livello di organicità insediativa, in corrispondenza di forme più
compatte e organizzate - come gli aggregati
e i nuclei edilizi - che costituiscono le
centralità degli ecosistemi rurali cui sono
connesse pertinenze territoriali agrarie
caratterizzate da una trama lottizzativa
ampia e da una rete di accessibilità
poderale strutturata, presuppone l’adozione
di un livello progettuale più complesso. Il
piano introduce a questo scopo progetti di
riqualificazione paesistica e di sviluppo
sostenibile del territorio da sviluppare
negli ambiti individuati dagli ecosistemi
rurali, implicando il coinvolgimento degli
abitanti, la formazione di intese e
convenzioni con l’ente parco, la
concertazione con gli enti locali, in
funzione dell’attuazione di interventi più
complessi ed estesi, sia in termini di
recupero edilizio che di riqualificazione di
territorio terrazzato. I progetti articolati
per ecosistema locale possono prevedere,
infatti, attraverso la flessibilità, il
superamento dei limiti di intervento
edilizio stabiliti dalla norma ordinaria
nell’ambito delle soglie di sostenibilità,
consentendo all’ente parco di programmare
interventi di recupero territoriale di ampia
portata anche sulla base delle compensazioni
ambientali conseguibili attraverso le intese
con i soggetti attuatori. Il piano definisce
così, in modo trasparente, il campo della
negoziabilità e le regole della sua gestione22,
per incentivare e sviluppare un processo di
recupero basato prioritariamente sul
coinvolgimento delle comunità locali. Il
rapporto compensativo tra interventi sulle
centralità insediative e ambito agrario può
essere articolato per categorie di
prestazione ambientale, prefigurando di
volta in volta azioni sull’assetto
terrazzato, sulla regimazione idrica dei
suoli, sul sistema delle accessibilità ai
lotti coltivabili e sulla sistemazione dei
versanti. I progetti costituiscono la
componente dinamica del piano, la cui
definizione coinvolge costantemente
l’applicazione del paradigma dell’ecosistema
rurale come riferimento per la definizione
di interventi capaci di riattivare le
relazioni che sono alla base della struttura
del territorio, della vitalità dell’ambiente
e della continuità dei valori del paesaggio.
|
Figura 7 - Veduta di Riomaggiore |
1
Avarello P. (2003), Conflittualità e
cooperazione nel territorio dei parchi,
in Urbanistica Dossier n. 55.
2
Piroddi E. (1999), Le forme del piano
urbanistico, FrancoAngeli.
3
Cfr. Besio M., Dalla carta del rischio al
piano integrato della sostenibilità
territoriale, e Segnalini O. (2001),
Rischio e pianificazione urbanistica, in
Urbanistica n. 117.
4
“I requisiti della scienza del ventesimo
secolo hanno dovuto essere apertamente
riconsiderati, e ciò da quella posizione più
comprensiva e unitaria, sintetica ed
evolutiva, che distingue in modo speciale il
periodo che sta iniziando da quello recente,
che è stato, nel suo complesso, così
soddisfatto della sua molteplicità di
specialismi privi di connessioni”.
Geddes Patrick (1904), City development,
a study of parks, gardens and culture
institutes - a report to the Carnegie
Dunfermline Trust, The Saint George
Press, Birmingham.
5
Sargolini M. (2003), introduzione a Riforma
urbanistica e pianificazione delle aree
protette, Atti del convegno nazionale
(Abbadia di Fiastra 10.11.2001), Urbanistica
Dossier n. 55.
6
Migliorini F. (1999), Il quadro normativo
italiano, in Migliorini F., Moriani G.,
Vallerini L., “Parchi Naturali”, Muzzio,
Padova.
7
Il piano del parco nazionale delle Cinque
Terre è stato adottato con delibera della
Giunta regionale della Liguria n. 488 del 24
maggio 2002. Il coordinamento scientifico e
la formulazione degli indirizzi metodologici
sono di Mariolina Besio.
8
Oliva F. (2003), Il piano per il parco è
un piano strutturale, in Urbanistica
Dossier n. 55.
9
Peano A. (2003), Piano per il parco e
Prgc: la ricerca di un dialogo, in
Urbanistica Dossier n. 55.
10
La Cecla F. (2000), Perdersi - l’uomo
senza ambiente, Laterza, Bari.
11
Migliorini F., Moriani G., Vallerini L.
(1999), Parchi naturali, Muzzio,
Padova.
12
Ferrara G. (1994), Problemi e prospettive
della pianificazione dei parchi in “La
pianificazione dei parchi regionali”, Inu,
Alinea, Firenze.
13
Il territorio delle Cinque Terre si estende
per circa 4300 ettari, di cui circa 1400
originariamente occupati da terrazzamenti.
Del patrimonio terrazzato sono rimasti
attualmente in stato di coltivazione circa
100 ettari.
14
Il sistema Gis del piano di parco delle
Cinque Terre è stato predisposto con il
coordinamento dell’architetto Nadia
Quadrelli del dipartimento Polis
della Facoltà di Architettura
dell’Università di Genova.
15
Besio M. (a cura di) (2002), Il vino del
mare - il piano del paesaggio tra i tempi
della tradizione e i tempi della conoscenza,
Marsilio, Venezia.
16
Besio M. (1995), Progetto di conoscenza e
progetto di piano, un programma di ricerca
in Besio M., Capetta A., Virgilio D.,
“Progetto di conoscenza e progetto di piano
- territorio, ambiente e paesaggio della
bassa Val di Magra”, De Ferrari, Genova.
17
Besio M. (et alii) (1999), La conoscenza
per il piano: le molteplici rappresentazioni
della realtà ambientale, in Besio M.,
Monti C. (a cura), “Dal cannocchiale alle
stelle, strumenti per il nuovo piano”,
FrancoAngeli, Milano.
18
Besio M. (1995), op. cit.
19
Il rapporto tra zonizzazione per fasce di
protezione e articolazione per unità di
paesaggio come strumento di disciplina è un
tema che è stato affrontato nelle esperienze
di pianificazione di aree protette maturate
nel corso dell’ultimo decennio con diversi
approcci metodologico-disciplinari. Per una
rassegna critica dei casi si rimanda al
saggio di Vallerini L., La zonizzazione e
la perimetrazione in Migliorini F.,
Moriani G., Vallerini L., op. cit.
20
Sargolini M., op. cit.
21
Come è noto l’art. 12 della legge 394/1991
prevede una suddivisione del territorio del
parco in quattro fasce di protezione:
riserve integrali, riserve generali
orientate, aree di protezione, aree di
promozione e di sviluppo economico-sociale.
22
Sargolini M., op. cit.
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parchi, in Urbanistica Informazioni, n.
169.
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locali: oltre la dimensione tecnica della
pianificazione, in Parametro n. 211.
Besio M., Capetta A., Virgilio D. (1995),
Progetto di conoscenza e progetto di piano -
territorio, ambiente e paesaggio della bassa
Val di Magra, De Ferrari, Genova.
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Edilizia Popolare n. 267/268.
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parco delle Cinque Terre, in Urbanistica
Informazioni n. 185.
Le immagini riportate nelle figure 5, 6 e 7
sono di Daniele Virgilio |