Una laguna, una città
Il punto di partenza per qualsiasi
ragionamento sulla salvaguardia di Venezia e
della sua laguna non può che essere la
considerazione dei forti legami e delle
relazioni che legano l’una all’altra e di
come si sono reciprocamente determinati
lungo i secoli. La laguna non è più un
ambiente naturale, ma piuttosto un ambiente
naturale conservato artificialmente, oltre
ad essere fortemente antropizzato. A sua
volta la città storica e i centri urbani
lagunari (le isole minori) non sono mai
stati, e non lo sono nemmeno ora, soltanto
ambienti urbani, ma presentano forti
connotazioni derivanti dall’ambiente
naturale nel quale sono, per così dire,
immersi.
Queste sono, forse, osservazioni banali, ma
cariche di implicazioni, tenuto conto,
soprattutto, che la laguna, per sua
costituzione, è un ambiente instabile e in
continua modificazione. Conservare la
laguna, questa o qualsiasi altra, implica
interventi continui e spesso in continua
correzione l’uno all’altro (soprattutto
quando la laguna ha al suo centro Venezia).
Si pensi come storicamente la Repubblica di
Venezia, per evitare l’insabbiamento della
laguna e, quindi, la creazione di ostacoli
crescenti alla navigazione (cioè alla base
della sua stessa potenza), abbia, dopo
accesi e aspri dibattiti, deciso la
deviazione dei fiumi che scaricavano in
laguna oltre che acqua, sabbia e detriti
causa dell’insabbiamento (e che, al
contrario, la riduzione degli apporti solidi
sia la causa della tendenza attuale della
laguna moderna a trasformarsi in un braccio
di mare)1.
La relazione tra ambiente naturale e
antropizzazione è molto complessa e anche
delicata e se nel tempo si fosse reso sempre
più evidente che la natura non può essere
ridotta a variabile dipendente e che la sua
conquista e modificazione deve essere cauta,
resta il fatto che un ambiente deve
sopportare l’antropizzazione connessa (non è
un caso che si sono individuati diversi
livelli di conservazione fino alla
riserva integrale)2.
L’operazione di salvaguardia di Venezia, in
sostanza, si identifica con un intervento
che ripristini il più possibile le funzioni
di autoconservazione della laguna,
salvaguardi la città fisica, garantisca la
vita economica e sociale della comunità
veneziana inducendo, anche, un nuovo
sviluppo. Va detto che Venezia ha bisogno di
un nuovo sviluppo poiché la sua economia è
completamente fagocitata dalle attività
turistiche, che trasformano la città,
espellono le altre attività, ne modificano
il tessuto fisico e sociale, semplificandone
la struttura economia, sociale,
amministrativa e culturale. L’esigenza
unanimemente sentita di contrastare la
monocultura turistica è realizzabile
soltanto inducendo un nuovo sviluppo.
Solo se si intrecciano i tre elementi
precedentemente indicati, ambiente naturale,
città fisica e società, solo se si tiene
conto delle loro diverse esigenze, le
ricadute saranno rilevanti su tutti e tre
gli ambiti. Si tratta, in sostanza, di
trovare un equilibrio razionale e di
istaurarne uno sano che non sacrifichi
nessuna polarità, ma che, al contrario,
l’esaltazione di ciascuno alimenti risultati
di qualità complessivi.
Per realizzare tali obiettivi bisogna
attivare opere grandi3; è,
infatti, opera grande il ripristino e
la riqualificazione della laguna, è opera
grande la difesa locale degli abitati
allagati anche dalle maree normali, è
opera grande la difesa dalle maree
eccezionali. Opere grandi di diversa
natura, di diversa strumentazione, di
diverso peso organizzativo, di diverso
impatto ambientale ed economico, ma simili
per impegno di mezzi, uomini, intelligenza,
scienza e tecnologia.
Sulle conseguenze determinate da tali
interventi vale la pena di riflettere. La
conseguenza prima e diretta è l’eliminazione
dell’acqua alta e del rischio e di un evento
catastrofico che metta a repentaglio la
sopravvivenza della città, una conseguenza
diretta è anche il miglioramento della
condizione di vita dei cittadini, della
operatività delle attività economiche e
amministrative, la riduzione del degrado
degli edifici e della città stessa. La
riqualificazione e il ripristino della
laguna ne miglioreranno anche
l’utilizzazione a fini di loisir,
sportivo, turistico, economico, ecc.
Altrettanto importanti appaiono le
conseguenze indirette. Venezia avrebbe una
grande opportunità se capovolgesse il suo
modo di vedere la questione della sua
salvaguardia, se, cioè, fosse capace di
considerarla non come un problema ma come
un’opportunità. I problemi che Venezia deve
risolvere sono problemi diffusi a livello
mondiale e lo saranno sempre più. Venezia
rappresenta un caso esemplare collegato ad
un particolare ambiente e a particolari
condizioni, un caso specifico ma non unico.
La realizzazione delle opere grandi,
può consolidare a Venezia scienza,
esperienza, professionalità, imprese,
know-how adatti ad essere esportati, che
possono diventare una gamba economica che si
può opporre al prevalere dell’economia del
turismo. Ma per fare questo la città deve
assumere come propria la salvaguardia, deve
controllare e richiedere non solo la
costruzione di opere ma la ricaduta di
sapere, tecnologia, organizzazione e
produzione, deve sviluppare un’attitudine ed
una cultura all’intrapresa e abbandonare
quella del rentier.
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Figura 1 - Difesa ambientale nella
laguna nord: ripristino di barene
vicino all'isola di Burano; barene,
delimitate da una palificata di
legno, all'inizio degli interventi |
Venezia in pericolo
Nel novembre del 1966 un particolare
incrocio di diverse circostanze atmosferiche
determinarono una grande acqua alta.
Tutta la città storica, oltre a tutti gli
abitati del litorale e delle isole, furono
allagati, la sua popolazione messa in
ginocchio, monumenti, palazzi, negozi,
attività produttive abitazioni invase
dall’acqua, spesso densa di nafta
fuoriuscita dalle caldaie di riscaldamento
allagate. Una catastrofe.
L’evento suscitò grande impressione
nell’opinione pubblica nazionale e
internazionale: apparve in pericolo uno dei
maggiori patrimoni storici e artistici
dell’umanità e il suono delle sirene
somigliava al lugubre annunzio della fine.
L’evento, infatti, mise in evidenza i
diversi fattori negativi che
caratterizzavano la condizione della città
storica all’interno della sua laguna e in
rapporto al mare. In particolare:
- per effetto dell’abbassamento del suolo e
dell’innalzamento del livello del mare, gli
eventi di acqua alta si erano fatti più
frequenti e più intensi;
- le acque alte normali (fino a 110
cm4 di marea), sommergevano la
città sempre più spesso (si consideri che
con 90 cm piazza San Marco risultava
largamente sommersa): con 100 cm di mare la
percentuale di città allagata è pari al 4%;
mentre con 110 cm la parte della città
allagata è pari 12% ma con un effetto di
impraticabilità se non a mezzo delle
passerelle; con una marea di 120 cm la parte
sommersa è pari a circa il 40%;
- la mancanza di manutenzione edilizia, sia
degli edifici privati che di quelli
pubblici, sia di quella monumentale che di
quella minore, mostrava i suoi effetti
devastanti;
- gli spazi pubblici soffrivano della stessa
mancanza di manutenzione contribuendo al
degrado della città, mentre i canali interni
alla città non venivano puliti da decenni;
- la laguna risultava compromessa per
mancanza di interventi, per le
trasformazioni indotte dall’apertura di
nuovi canali artificiali (basta pensare a
quello dei petroli), per la pesca con mezzi
sempre più devastanti dei fondali, per
l’inquinamento proveniente dalle industrie
di Porto Marghera e dal bacino scolante. La
tendenza dominante della laguna era la sua
trasformazione in un braccio di mare.
L’evidenza dei problemi, l’emozione per
l’evento disastroso, mobilitavano l’opinione
pubblica nazionale e internazionale e le
forze politiche; l’obiettivo era: salvare
Venezia.
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Figura 2 - Difesa ambientale nella
laguna nord: ripristino di barene
vicino all'isola di Burano; barene
durante i lavori |
La salvaguardia di Venezia
Mentre il Parlamento vara una prima legge
speciale (legge 171/1973) con l’obiettivo di
salvare Venezia, la mobilitazione
internazionale dà luogo alla formazione di
Comitati per Venezia che raccolgono fondi
per il restauro dei monumenti. Un impegno
politico da una parte e civile dall’altro
che hanno permesso notevoli lavori nella
città e nella laguna, un miglioramento
sostanziale dell’ambiente anche se il
problema dell’acqua alta rimaneva
costantemente all’ordine del giorno ma non
veniva risolto.
È inutile ripercorrere le discussioni, le
polemiche, le prese di posizione, che hanno
accompagnato l’attività di salvaguardia
svolta fino ad oggi (una Laguna di
chiacchiere, per dirla con W. Dorigo).
Va detto, tuttavia, che la questione della
salvaguardia ha costituito dai primi anni
’70 uno snodo rilevantissimo della politica
veneziana: il Consiglio comunale si è sempre
ritrovato unanime nel rivendicare la
salvaguardia (cioè la richiesta di risorse),
ma questa spesso è stata l’occasione, non
sempre limpida, di fare e disfare
maggioranze.
La salvaguardia di Venezia si
presentava, da subito, per le sue molte
interrelazioni ed elementi contrastanti come
un problema assai complesso. Ma trent’anni
di discussione, caratterizzata dal
sovrapporsi continuo di soluzioni sempre
nuove e diverse, in una fantasmagorica
dimostrazione di creatività e di
auto-referenzialità; l’irrisione dei
risultati scientifici quando non coincidenti
con le proprie ipotesi e, al contrario,
l’esaltazione di incerti e parziali
risultati quando facevano comodo ai
sostenitori di una determinata soluzione; il
veleno sparso a piene voci circa la
correttezza personale degli scienziati e
tecnici non allineati alle tesi che di volta
in volta erano quelle più insistentemente
urlate e meno scientificamente supportate,
ecc., hanno fatto di una questione tecnica,
sicuramente non facile da districarsi, un
ginepraio spesso incomprensibile e hanno
trasformato un dibattito necessario in una
baruffa da cortile5.
Eppure niente è stato inutile. È evidente,
infatti, che polemiche e contrapposizioni,
insieme alla riflessione sul problema, alle
analisi sempre più approfondite, alle
indagini, alle sperimentazioni, alle prove,
hanno finito per affinare l’intervento e
ampliare gli obiettivi, fino a giungere ad
un sistema di interventi per la
riqualificazione dell’ambiente, la difesa
degli abitati dalle acque alte (normali ed
eccezionali), il restauro dell’ambiente
costruito, in una visione attenta delle
reciproche relazioni6. Un
sistema complesso che tra tante difficoltà
oggettive e, spesso, tra inutili contrasti,
è da tempo in via di realizzazione.
Il Mose (il dispositivo di dighe
mobili di cui tanto si parla) è un punto,
anche se essenziale, di tale sistema
complesso e va visto nell’insieme degli
interventi di cui è qui necessario dare
anche brevemente conto. Essi si distinguono
in:
- interventi sulla morfologia lagunare:
lo scopo è quello di contrastare la tendenza
della laguna a trasformarsi in un braccio di
mare. Si tratta in questo caso di
ricostruire e costruire velme7 e
barene8 scomparse a seguito delle
avvenute trasformazioni d’uso della laguna
stessa (navigazione e costruzione di nuovi
canali, pesca, assenza di apporti solidi da
parte dei fiumi, ecc.); del recupero delle
isole minori abbandonate;
- interventi che garantiscono la qualità
della laguna e la sua vitalità: si
tratta della bonifica di alcuni siti, della
messa in sicurezza della laguna rispetto
agli inquinanti provenienti dalla zona
industriale di Porto Marghera, della
costruzione del sistema di smaltimento delle
acque del bacino scolante, della
piantumazione di piante acquatiche manomesse
spesso dalla pesca;
- interventi per la difesa dalle
mareggiate: a questo scopo sono stati
rafforzati i murazzi (scogliere
storiche innalzate a riparo degli abitati
verso il mare); si sono ricostruiti già 40
km di arenili, ove questi erano stati
corrosi o scomparsi, protetti da nuovi
pennelli in roccia dalle mareggiate. I
risultati si sono rilevati efficaci e di
grande interesse anche scientifico oltre che
tecnico;
- interventi nella città storica: lo
scopo è quello di promuovere la manutenzione
del patrimonio edilizio della città storica
(abitativo, di servizio e monumentale), la
manutenzione del suolo pubblico, la pulizia
dei canali e il risanamento e riassetto
delle relative sponde9. Questi
interventi mirano anche a contrastare
l’esodo della popolazione e delle attività,
correggendo la tendenza alla monocultura
turistica. Mentre la manutenzione fisica
della città appare avviata con successo,
grazie ai finanziamenti concessi ai privati
per gli interventi e agli interventi
pubblici finanziati con i fondi della legge
speciale, gli obiettivi indiretti appaiono
lontani da essere perseguiti: la popolazione
è diminuita, l’esodo delle attività
economiche e delle funzioni amministrative
non si è fermato, la complessità economica
si è fortemente ridotta, il turismo tende a
prevalere su tutto, anche in modo
disordinato.
Il sistema degli interventi è
completato da quelli della difesa degli
abitati dall’acqua alta con il vincolo di
garantire la navigazione in laguna. Di
questi merita dirne in modo più diffuso sia
perché costituiscono il cuore della
questione, sia perché sono gli interventi
che più hanno sollevato discussioni.
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Figura 3 - Difesa dalle mareggiate a
Cavallino: un tratto del litorale a
lavori ultimati, con le opere di
difesa costituite dal sistema
dune-spiaggia-pennelli; in primo
piano, le ammofile trapiantate su
una nuova duna |
Garantire la navigabilità della laguna
Qualunque sia la modalità con la quale
Venezia viene difesa dalle acque alte questa
deve garantire il transito in laguna delle
navi che trasportano merci e passeggeri.
Quella portuale, infatti, è una funzione di
grande importanza per l’economia della città
e non solo della città.
Il porto commerciale, liberatesi alcune aree
di Porto Marghera, è stato trasferito in
quella sede, mentre il terminale passeggeri
è rimasto nella città storica. Il canale che
parte dalla Bocca di Malamocco e arriva a
Porto Marghera (il così detto Canale dei
petroli) permette la navigazione sia delle
petroliere che alimentano le industrie di
Porto Marghera, sia delle navi dirette al
porto commerciale. Il porto commerciale,
nonostante alcune difficoltà
infrastrutturali (collegamenti stradali e
ferroviari), presenta una forte dinamica
positiva.
Le navi passeggeri, sia di linea
(prevalentemente con la Grecia e con le
repubbliche della ex-Jugoslavia) sia quelle
da crociera entrano dalla Bocca del Lido e
passando davanti a Piazza San Marco
imboccano il canale della Giudecca per
giungere rapidamente alla stazione marittima
da dove i passeggeri sciamano in città. Il
traffico crocieristico per quest’anno si
stima pari a 600.000 passeggeri arrivati,
mentre si fanno previsioni per i prossimi
anni fino a 1.000.000 di passeggeri.
Va detto - la questione verrà ripresa più
avanti - che sia il passaggio delle
petroliere in laguna (lungo il canale dei
petroli) che il transito delle navi
passeggeri nel bacino di San Marco sono
giudicati, per ragioni diverse, molto
pericolosi.
È evidente che qualsiasi interruzione
mare/laguna (per la difesa delle maree
eccezionali) causa interferenza con la
navigazione (interruzioni, ritardi, ecc.),
per ovviare a questo inconveniente e
garantire la navigabilità della laguna in
tutte le circostanze è prevista una conca di
navigazione alla bocca di Malamocco che
garantirebbe il passaggio delle navi
commerciali e, qualora ne fosse costruita
una simile alla bocca del Lido, anche di
quelle passeggeri10.
Si tratta di una soluzione che garantisce
una delle attività importanti per la città
(il porto commerciale) e il rifornimento
delle industrie chimiche e petrolchimiche di
Porto Marghera, che ancorché in crisi
costituiscono ancora una polarità
industriale di rilievo.
Il rischio del transito delle petroliere in
laguna (sversamenti, incendi, ecc.), data la
delicatezza dell’ambiente e la presenza
della città storica, viene scongiurato con
la costruzione di una stazione in alto mare
da dove il petrolio e gli altri prodotti
liquidi, attraverso un oleodotto, giungono a
Porto Marghera.
Come si è già detto, anche il passaggio
delle navi passeggeri e da crociera per il
bacino di San Marco è ritenuto pericoloso
(sia per le dimensioni assunte dalle navi da
crociera, sia per gli effetti che il
movimento delle loro eliche hanno sulle
rive, ecc.). Va detto, tuttavia, che
l’arrivo a Venezia dal mare, su una nave,
costituisce un’esperienza carica di
emozione; è per tale emozione oltre che per
la rilevanza della città storica che il
circuito crocieristico prevede la sosta a
Venezia.
Per eliminare tale rischio sono state
avanzate due soluzioni che eliminano il
passaggio delle navi dal bacino di San
Marco. La prima, semplice, prevede che le
navi entrino dalla bocca di Malamocco
(invece che da quella del Lido), passino
lontano dalla città attraverso il canale dei
petroli per poi piegare per il canale
Vittorio Emanuele, che dovrebbe essere reso
adeguato alla nuova funzione, e giungere
alla stazione marittima. L’altra soluzione,
più azzardata, prevede la costruzione di un
nuovo porto passeggeri alla bocca del Lido,
con il rilevante problema, in questo caso,
del trasbordo, via acquea, di passeggeri,
rifornimenti, merci, ecc. in e dalla città
(senza parlare di un prevedibile rilevante
impatto ambientale). Se ambedue soluzioni
eliminano l’emozione dell’entrata a Venezia,
la seconda propone un tema logistico di
notevole peso. Forse possono trovarsi modi
di navigazione che riducano drasticamente
ogni rischio e che non diminuiscano l’attrattività
di Venezia.
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Figura 4 - Difesa dalle acque alte
mediante sistema Mose: veduta della
bocca di porto di Malamocco dopo la
realizzazione delle opere previste
(barriere mobili e interventi
complementari) e con la conca di
navigazione che consente il
passaggio delle navi dirette al
porto quando le paratoie sono in
funzione |
Difesa della città dalle acque alte
La città va difesa dall’acqua alta
normale (marea fino a 110 cm) e da
quella eccezionale (maree superiori
110 cm), si tratta di due fenomeni che hanno
conseguenze, frequenza e soluzioni diverse.
È ormai chiaro e assodato, attraverso studi,
sperimentazioni, prove, ricerche, ecc. che
gli interventi sulla morfologia della
laguna, l’apertura delle valli da pesca, la
diminuzione relativa della portata delle
bocche di porto (tali da non compromettere
il ricambio e la vivificazione della laguna)
determinano una riduzione modesta
all’altezza e intensità delle maree.
Pertanto, per la difesa dalle acque alte si
sono avanzate due tipi di soluzioni tra loro
integrate: le difese locali, per difendere
gli abitati dalla maree normali e la
chiusura mobile delle bocche di porto (Mose)
per gli eventi eccezionali.
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Figura 5 - Difesa dalle mareggiate a
Isola Verde: il litorale prima degli
interventi per la ricostruzione
della spiaggia |
Le difese locali
Negli abitati in laguna si è provveduto,
dove possibile, ad alzare le rive e il piano
di calpestio stradale; in alcune isole si è
anche è provveduto alla costruzione di
chiuse mobili dei canali.
Il rialzo delle rive e del piano stradale
costituisce un’operazione complessa;
necessita, infatti, interventi che evitino
l’ingresso dell’acqua attraverso i tombini o
la filtrazione dal sottosuolo e deve essere
accompagnata, inoltre, dalla messa in
sicurezza, rispetto all’acqua alta, dei
pianiterra degli edifici (ingressi, androni,
magazzini, ecc.), giardini e corti
retrostanti, spesso più bassi delle calli
pubbliche. Nel centro storico queste
operazioni molto spesso sono state connesse
ai lavori di pulitura dei canali e dei rii,
a quello della ristrutturazione dei
marginamenti degradati, al riordino dei
sotto servizi.
Per quanto riguarda la dimensione di tale
innalzamento, in una prima fase si era
fissata la soglia di 100 cm sul medio
livello del mare, ma dopo, con ampie
polemiche, è stata portata, ove possibile, a
110 cm.
Come già osservato si tratta di una
operazione difficile, che comporta non solo
l’innalzamento del piano di strada e delle
rive, ma anche l’innalzamento, spesso
impossibile delle soglie e dei pavimenti dei
piani terra (abitazioni, negozi, magazzini)
e degli atri di entrata. Le realizzazioni
mostrano soluzioni spesso brutali,
semplificate e poco progettate. Vi sono
abitazioni e negozi dove, dopo gli
interventi, si entra scendendo dal
piano di calpestio della strada, con
problemi di smaltimento meccanico dell’acqua
non solo di marea ma anche di quella
piovana.
La qualità della città storica ma anche la
sua delicatezza, impongono, inoltre, di
intervenire con la dovuta cautela; qual è,
infatti, il limite di manomissione
accettabile dell’assetto della città
storica? Alcuni fanno pressione per spingere
il rialzo fino a 120 cm. Che senso ha
procedere in astratto? È evidente che un
tale rialzo sconvolgerebbe la morfologia
della città e ne comprometterebbe
l’integrità architettonica. Farsi forte del
fatto che nei secoli passati la Repubblica
ha operato tali innalzamenti (in alcune
chiese sono evidenti questi interventi se si
osservano le colonne) ha poco senso per due
motivi: la somma continua di innalzamenti
modifica in misura crescente la morfologia
della città; nei secoli passati abbattevano
e ricostruivano e, soprattutto, non erano
disponibili altre tecnologie.
Si osservi, per esempio, che l’intervento
per mettere all’asciutto Piazza San Marco,
che viene sommersa da una marea di 90 cm,
non prevede innalzamento della
pavimentazione, che modificherebbe
gravemente la morfologia e l’estetica della
piazza, ma essa viene difesa con un sistema
che prevede l’innalzamento (fino almeno a
100 cm) del cordolo lungo i bordi della
laguna, la sistemazione e l’isolamento dei
cunicoli sotterranei dall’acqua dei rii che
circondano la piazza, un nuovo sistema di
raccolta e scarico dell’acqua piovana ed
eventualmente di marea, e una
impermeabilizzazione, sotto la
pavimentazione, oltre ovviamente la
risistemazione e il restauro della
pavimentazione di tutta la piazza,
l’installazione di pompe che svuotino la
piazza dall’acqua piovana (l’attraversamento
della piazza dovrebbe essere garantito fino
ad una marea di 110 cm).
I sistemi locali, quindi, difendono la città
e le isole minori, fino ad una marea di 100
cm e in alcuni casi sino a 110 cm. Oltre
questo livello di marea la città verrebbe
allagata.
Proprio le difese locali presuppongono una
stretta relazione e considerazione degli
aspetti tecnici, ambientali, storici ed
estetici e antropici. In ogni intervento il
peso relativo di ciascuno di questi aspetti
varia in ragione della tipologia
dell’intervento, della sua collocazione, del
tipo di ambiente, ecc. Ove questi elementi
sono stati presi in debita considerazione e
strettamente interrelati, i risultati
ottenuti sono spesso ottimi, mentre la
semplificazione ha dato spesso risultati
negativi con la necessità di attivare
costosi interventi correttivi.
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Figura 6 - Difesa dalle mareggiate a
Isola Verde: il litorale dopo gli
interventi per la ricostruzione
della spiaggia |
La difesa dalle maree superiori a 110 cm: il
Mose
Per la difesa dalle acque alte superiore a
110 cm (le maree eccezionali) è stato
progettato un sistema mobile di chiusura
delle tre bocche della laguna: il Mose. Il
Comitatone11, nella sua ultima
seduta (3 aprile 2003), prese atto
dell’approvazione, da parte del Comitato
tecnico del Magistrato alle acque, del
progetto definitivo e autorizzò la
progettazione definitiva e la realizzazione
del Mose. A quasi quarant’anni dalla
disastrosa acqua alta del 1966 si è giunti
ad una importante e definitiva decisione12.
Vale la pena, anche se in modo estremamente
sommario, ripercorrere questo cammino (denso
tra l’altro di studi, ricerche, prove,
polemiche e controversie non ancora
placate).
Nel 1975 il Ministero dei lavori pubblici
bandisce un concorso internazionale per la
progettazione ed esecuzione della difesa di
Venezia dalle acque alte13.
Cinque concorrenti, cinque progetti, nessuna
aggiudicazione. Tutti i progetti vengono
assunti come elementi utili per la
predisposizione di un nuovo progetto. Nel
1981 viene redatto un nuovo progetto
denominato Progettone. Nel 1984 una
nuova legge speciale (legge 798/1984)
ridefinisce gli obiettivi generali degli
interventi, divide le responsabilità della
loro realizzazione tra Stato, regione e
comuni (Venezia e Chioggia), istituisce il
Concessionario per gli interventi dello
Stato, poi individuato nel Consorzio Venezia
Nuova, e il Comitatone.
Il Consorzio Venezia Nuova, oltre ad avere
realizzato per conto dello Stato interventi
in laguna di ricostruzione di barene,
risanamento, messa in sicurezza dei siti
inquinati, studi, ricerche, sperimentazioni
ecc. ha elaborato un progetto preliminare di
massima, denominato Rea, che come
difesa dalle acque alte proponeva la
soluzione che va, ormai, sotto il nome di
Mose. Questo è costituito da una serie
di paratoie tra di loro accostate ma
indipendenti, incerneriata sul fondo delle
bocche di porto, che a riposo, piene
d’acqua, stanno negli alloggiamenti
realizzati nel fondale, mentre, quando è
necessario, svuotate dall’acqua si innalzano
e costituiscono una barriera all’entrata
della marea in laguna. Il progetto di
massima, approvato dal Consiglio superiore
delle opere pubbliche nel 1994, è stato
integrato, come detto, dalle conche di
navigazione, in un primo tempo non previste,
per garantire la navigazione in laguna.
Si tratta di un progetto contemporaneamente
molto semplice e, soprattutto, molto aperto
alle innovazioni per quanto riguarda la
gestione, alla quale possono essere
applicate le più sofisticate tecnologie e le
più complesse tecniche di decisione.
Il progetto è stato più volte esaminato e
approvato dal Consiglio superiore delle
opere pubbliche. Su richiesta del Comune di
Venezia è stato sottoposto a valutazione
d’impatto ambientale (Via) da parte del
Ministero dell’ambienta e sempre su
richiesta del Comune di Venezia da parte di
un gruppo di esperti internazionali,
super partes, che hanno espresso
giudizio positivo. Il giudizio negativo
della Commissione Via del Ministero
dell’ambiente si basava non tanto sugli
impatti ambientali (sia nella fase di
realizzazione che di esercizio), risultati
sostanzialmente molto modesti, ma sulla base
di un diverso punto di vista circa i modi di
salvaguardare Venezia. Tale deliberazione è
stata annullata, per questioni di metodo e
di merito, dal Tar.
Il progetto è stato, inoltre, sottoposto a
verifiche tecniche, controlli,
sperimentazione di esercizio, ecc. sempre
con esiti positivi.
Nonostante queste buone prove, il progetto è
stato ed è investito da diverse critiche. Si
prova di seguito a raccogliere, in modo
sintetico, sotto alcune voci, tali critiche:
- interventi diffusi: secondo alcune
voci critiche gli interventi diffusi
abbasserebbero il livello delle maree in
misura tale da rendere inutile la
costruzione del Mose. Una critica che
inspiegabilmente resiste a tutte le
verifiche che dimostrano la marginale
riduzione dei livelli di marea per effetto
delle opere diffuse (necessari, invece, per
altri fini: la salvaguardia della laguna, la
difesa della sua diversità biologica, la
ricostruzione dell’ambiente, la correzione
della tendenza della laguna a trasformarsi
in un braccio di mare, ecc.);
- interventi diversi alle bocche di porto:
si propongono interventi, collegati a quelli
diffusi, che, soprattutto, modificano in
modo rilevante, la sezione delle bocche di
porto, in modo tale da ridurre
significativamente l’altezza delle maree.
Questa proposta non tiene conto di risultati
di analisi e ricerche che dimostrano che,
oltre una certa misura, tale intervento
sulle bocche14 comprometterebbe,
questo sì in modo irreversibile, il ricambio
delle acque e, quindi, la vitalità di ampie
zone della laguna, avrebbe effetti assai
negativi sull’inquinamento dell’acqua, sulla
morfologia stessa della laguna e anche sulla
navigazione;
- soluzioni diverse: altri, non
tenendo conto delle alternative esaminate e
scartate in fase di progetto preliminare,
suggeriscono soluzioni diverse (dalle navi
che si affondano in caso di necessità, a
porte, al sollevamento di Venezia, ecc.). Le
soluzioni per essere confrontabili,
tuttavia, devono avere lo stesso livello di
approfondimento; si intende dire che non si
può confrontare un progetto, che è stato
sottoposto a diversi livelli di verifica e
di sperimentazione, con una idea che,
anche se geniale, per essere confrontabile
dovrebbe avere lo stesso livello di
elaborazione e verifica del progetto al
quale si oppone. Quello che sembra
interessante, tuttavia, è che molte di
queste alternative non mettono in
discussione la necessità di dover separare
mare e laguna nel caso di maree eccezionali;
- cambiamenti climatici: da parte di
alcuni si sostiene che i cambiamenti
climatici previsti renderebbero alla fine
del secolo il Mose inutile a
difendere la città dall’innalzamento del
livello del mare. Se da una parte esiste una
forte incertezza relativamente a queste
previsioni, dall’altra non si capisce come
si potrà difendere Venezia in questo secolo.
Il principio di precauzione, spesso
invocato, in questo caso sembra non valere
nulla;
- accusa di obsolescenza: alcuni
accusano il progetto Mose di essere
obsoleto, tuttavia non si capisce rispetto a
quale nuova tecnologia. Il giudizio è
sommario e pare infondato. Sotto questa voce
si possono collocare quanti affermano che il
Mose non funzionerà. Giudizio,
questo, non solo non giustificato, ma
sorprendente visti i modelli fisici (tra i
quali uno a scala 1:10) sperimentati in
questi anni;
- secondo alcuni è negato il principio
della sperimentalità, gradualità e
reversibilità previsti nella legge
speciale. Si tratta di concetti che è
difficile, nel caso specifico, maneggiare.
Non a caso il riferimento è sempre al
principio non meglio declinato. In questo
caso cosa possa essere la gradualità, se non
la considerazione di operare attraverso un
sistema di interventi, come si sta
facendo da 15 anni? Il Mose, proprio
per la sua natura, sembra sperimentale (e
sperimentato attraverso analisi, verifiche,
prove, ecc.). Più intrigante è il concetto
di reversibilità: esso si riferisce
alle opere o agli effetti
prodotti da tali opere? Assunto che un
intervento idoneo a separare temporaneamente
il mare dalla laguna sia necessario, in
generale si può dire che qualunque
intervento sia rimovibile (di eterno
non c’è niente), si tratterà di valutarne i
costi. Se si parla di reversibilità degli
effetti è chiaro che il Mose sembra
il più reversibile, basta non farlo
funzionare che i suoi effetti sono annullati
completamente. Diverso sarebbe il caso, per
intenderci, di una modifica delle sezioni
delle bocche di porto, in questo caso la
reversibilità degli effetti dovrebbe
essere coniugata, necessariamente, con una
rimozione delle opere.
Dalle analisi critiche, dai giudizi
positivi, dalle sperimentazioni, prove e
verifiche, il progetto esce in modo
positivo. Come è ovvio, sia gli obiettivi
generali degli interventi che la specifica
natura degli interventi, sottoposti a
continui approfondimenti, ricerche, studi e
sperimentazioni, hanno prodotto non solo
miglioramenti al progetto, ma anche, ed è
altrettanto importante, hanno enormemente
arricchito le conoscenze sull’ambiente
lagunare e sulla laguna di Venezia in
particolare. In sostanza oggi il sistema
complessivo degli interventi si colloca
in un ambiente le cui conoscenze sistemiche
si sono enormemente ampliate e arricchite.
|
Figura 7 - Immagine da satellite
della laguna di Venezia |
Modifiche del paesaggio
Emilio Sereni ha dimostrato che il
paesaggio, studiando le modifiche di lungo
periodo di quello agrario in Italia, nella
sua forma e struttura dipende dalle tecniche
disponibili nei diversi periodi, dalle
culture attivate e dai rapporti di
proprietà. Il paesaggio, cioè, non è un dato
fisso, esso varia nel tempo. Il problema
della difesa del paesaggio non è,
quindi, quello di garantirne una sorta di
imbalsamazione, quanto piuttosto di
governarne i modi di trasformazione e gli
equilibri (e squilibri) che ne possono
derivare.
Si può affermare che gli interventi in
laguna non comporteranno modifiche al
paesaggio. Al contrario, la ricostruzione di
barene potrà riconfigurare il tradizionale
paesaggio lagunare, oggi compromesso dalla
tendenza della laguna a trasformarsi in un
braccio di mare.
L’unico intervento che modificherà il
paesaggio sarà la costruzione di un’isola
all’inizio del canale della bocca di Lido;
tuttavia le modalità di realizzazione di
tale intervento potrà costituire sì una
modifica dello stato di fatto ma non
necessariamente dovrà risultare negativo ove
fosse collegato al basso fondo che si
insinua verso il centro della bocca del Lido
(il Baccan, già oggi utilizzato per
loisir). Si tratta di progettare l’intervento
collegando le diverse esigenze, realizzando
un risultato positivo sia dal punto di vista
dell’ambiente che della fruizione della
laguna, con una particolare attenzione alla
salvaguardia della qualità del paesaggio.
Il Mose è irrilevante rispetto al
paesaggio in quanto si tratta di opera
prevalentemente subacquea. Saranno solo la
costruzione delle conche di navigazione che
comporteranno modifiche rispetto all’attuale
conformazione dei moli foranei, tuttavia da
una parte si tratta di una modalità
tradizionale di intervento lungo le coste di
tipo marino e, dall’altra parte, non
interferiscono con il paesaggio complessivo
della laguna e della città storica.
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Figura 8 - Difesa dalle acque alte
nel sistema Mose a barriere mobili:
movimento delle paratoie |
Più complessa è la questione degli
interventi di difesa locale. Questi,
infatti, comportano, come già detto una
modifica alla configurazione morfologica
della città, soprattutto se si continuasse
ad insistere per un rialzo fino alla soglia
di 120 cm. In questo caso non c’è dubbio che
un intervento ritenuto leggero finirebbe,
invece, per avere conseguenze pesanti sulla
qualità urbana (senza che l’intervento
stesso fosse sottoposto ad una valutazione
di impatto urbano). I rialzi fino a 100 cm
e, ove possibile, fino a 110 cm
costituiscono una soluzione di modifica del
paesaggio accettabile in ragione degli
elementi positivi per la vita della città
che essi producono (ciò non toglie che essi
dovrebbero essere realizzati con il massimo
di attenzione e con grande intelligenza
progettuale).
In sostanza si può dire che ove gli
interventi sempre più tenessero da conto le
esigenze dell’ambiente, del paesaggio, della
storia e dell’antropizzazione il paesaggio
laguna-città, la forma urbis, e il
genius loci di Venezia non subirebbero
modificazione a causa del sistema di
salvaguardia che, contemporaneamente,
metterebbe al sicuro un patrimonio di grande
rilievo e di enorme importanza storica e
culturale.
|
Figura 9 - Difesa locale dalle acque
alte a Venezia - San Marco: aree
allagabili alle diverse quote di
marea |
1
Oggi un’operazione che corregga la
deviazione dei fiumi operata allora, non può
puntare sulla riammissione dei fiumi, dato
il loro ridotto apporto solido (ma non di
inquinanti) conseguente alla profonda
trasformazione che i bacini fluviali hanno
subito.
2
Da questo punto di vista e nel caso
concreto, la richiesta di un ripristino
delle condizioni naturali, come da
qualche parte avanzata, appare senza senso,
tenuto conto, soprattutto, della natura
instabile di tale ambiente e della sua
tendenza a trasformarsi in un braccio di
mare o, al contrario, ad interrarsi.
3
Si vorrebbe introdurre in questa sede la
distinzione tra grande opera e
opera grande (che sarà più ampiamente
sviluppata in altra sede); una distinzione
che pare assolutamente indispensabile,
constatata la diffidenza dell’opinione
pubblica verso le grandi opere, una
diffidenza che nasce dall’esperienza. Al
riparo di un obiettivo, anche di qualche
utilità, molto spesso si sono contrabbandati
interessi diversi. Più di un indizio fa
emergere che molte grandi opere
piuttosto che rispondere a necessità,
avevano lo scopo di ricavare tangenti, di
ricambiare un sostegno elettorale, di
consolidare qualche potentato locale, di
garantirsi consenso elettorale. L’analisi
delle vere necessità del paese, l’attenzione
alle priorità, l’analisi dei costi e dei
benefici, la valutazione degli impatti
ambientali e tutti gli altri meccanismi che
potevano concorrere a far prendere una
decisione secondo ragione, venivano
sacrificati. La diffidenza e il rigetto
delle grandi opere rischia, tuttavia, di
privare il paese di necessari investimenti
di ammodernamento, di innovazione, di
miglioramento dell’efficienza (piccolo non è
sempre da preferire a grande, né la
manutenzione, sempre necessaria, può sempre
evitare il nuovo). La cultura collettiva
deve riappropriarsi del concetto di opera
grande contrapposta alla grande opera,
quella di regime, il cui oggetto nasconde
finalità diverse, appare inutile e, magari,
dannosa. L’opera grande, al
contrario, è quella che corrisponde ad una
vera necessità, ha una sicura
giustificazione, innalza l’efficienza del
sistema, migliora la qualità della vita,
integra funzioni, ecc. Un’opera da sostenere
anche se per la sua realizzazione bisognerà,
inevitabilmente, trasformare, con tutte le
dovute cautele e con grande intelligenza
progettuale, l’ambiente originario.
4
I livelli di marea citati nel testo fanno
riferimento al mareografo di Punta della
Salute (interno alla laguna) che è -23 cm
sul livello medio del mare.
5
Deve essere segnalato come in questo
dibattito è mancato l’apporto delle due
università veneziane. Non si intende
sostenere che esse avrebbero dovuto prendere
partito su ogni questione, cosa impossibile
date le divergenze esistenti all’interno
delle singole comunità scientifiche, ma
avrebbero potuto e dovuto essere capaci di
organizzare il confronto in modo che esso si
svolgesse secondo le procedure e i metodi di
un dibattito scientifico. Più recentemente,
le due università veneziane, insieme a
quella di Padova, al Cnr e al Ministero
della ricerca scientifica, hanno costituito
un consorzio denominato Corila,
candidato a diventare un centro
autorevole e indipendente sulle
questioni scientifiche che riguardano la
laguna di Venezia.
6
La messa a punto di un modello
complessivo, che integra i diversi
aspetti e le reciproche relazioni, è in
corso dal Corila con il Progetto
Metis.
7
Le velme sono zone lagunari
caratterizzata da terreni molli, priva di
vegetazione e normalmente sommersi, che si
estendono lungo le sponde dei canali ed
emergono solo in particolari condizioni di
marea (basse maree).
8
Le barene sono costituite da terreno
lagunare di natura consistente che, quasi
sempre emerso, solo talvolta viene sommerso
dalle acque (alte maree). Ambienti di natura
anfibia, in bilico tra la terra e
l’acqua, ospitano una vegetazione
caratteristica delle zone salmastre e
costituiscono un habitat primario e
insostituibile per fauna e avifauna
lagunari. Le barene svolgono diversificate
funzioni: regolano l’idrodinamica perché
creano dei percorsi obbligati che facilitano
la propagazione della marea e, quindi,
contribuiscono a favorire il ricambio
idrico; moderano l’azione del moto ondoso;
limitano la dispersione a mare e in laguna
dei sedimenti. All’interno delle barene si
snodano i ghebi, piccoli e tortuosi
canali normalmente non navigabili.
9
Generalmente collegata a quest’ultima
attività è prevista l’innalzamento del
livello di calpestio di cui si dirà in
seguito.
10
Per quanto riguarda il traffico passeggeri
la conca pare meno rilevante in quanto nella
brutta stagione il traffico di linea si
riduce e quello crocieristico si sposta ai
Caraibi.
11
Il Comitatone è l’organo a cui sono stati
affidati l’indirizzo, il coordinamento e il
controllo di tutti gli interventi per la
salvaguardia di Venezia e della laguna. È
presieduto dal Presidente del Consiglio dei
ministri e composto dai ministri competenti
e dai vertice delle amministrazioni locali
(Presidente della regione; i Sindaci dei
Comuni di Ghioggia e Venezia e di due comuni
della gronda lagunare).
12
Va detto che in tutto questo periodo,
nonostante l’alternarsi di governi nazionali
e locali di diversa formazione e di diverso
indirizzo politico, non si è ridotto
l’impegno per la salvaguardia di Venezia.
Spesso la cautela è sembrata eccessiva e non
fondata. Talvolta si ha l’impressione che si
potesse giungere a più rapide decisioni,
dato che i contrasti interni alle diverse
maggioranze hanno rallentato le scelte,
anche se la salvaguardia di Venezia si è
affermata sempre come problema nazionale di
primaria importanza.
13
Nel 1970 il Cnr lanciò un Bando di
concorso internazionale di idee per la
chiusura delle bocche lagunari.
Parteciparono gruppi appartenenti
all’Italia, Francia e Olanda. Fu giudicato
più interessante il progetto costituito da
paratoie a spinta galleggiante incernierate
sul fondo.
14
Esiste una relazione, infatti, tra la
dimensione della laguna e le sue bocche.
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Figura 10 - I dati del problema
delle acque alte: a sinistra,
aumento della frequenza delle acque
alte a Venezia dal 1920 a oggi; a
destra, in ordine cronologico, i
dieci più alti livelli di marea
registrati a Venezia dall'inizio del
'900 |
Le immagini che illustrano l’articolo si
pubblicano per gentile concessione del
Consorzio Venezia Nuova.
Fonte: Archivio Magistrato alle Acque di
Venezia. |