Numero 6/7 - 2003

 

l'impatto ambientale 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

La salvaguardia di Venezia. Problema e opportunità


Francesco Indovina


 

A quasi quarant’anni dalla disastrosa acqua alta del 1966 a Venezia, si è giunti alla realizzazione del Mose: un dispositivo di dighe mobili per la difesa dalle maree eccezionali. Francesco Indovina ripercorre il cammino, dal 1975 ad oggi, che ha condotto alla progettazione definitiva e alla realizzazione dell’intervento in questione. Nonostante sia stato un cammino denso di studi, ricerche e prove, non sono mancate le polemiche e le controversie, ancora oggi non del tutto placate

 

 

 

Una laguna, una città

 

Il punto di partenza per qualsiasi ragionamento sulla salvaguardia di Venezia e della sua laguna non può che essere la considerazione dei forti legami e delle relazioni che legano l’una all’altra e di come si sono reciprocamente determinati lungo i secoli. La laguna non è più un ambiente naturale, ma piuttosto un ambiente naturale conservato artificialmente, oltre ad essere fortemente antropizzato. A sua volta la città storica e i centri urbani lagunari (le isole minori) non sono mai stati, e non lo sono nemmeno ora, soltanto ambienti urbani, ma presentano forti connotazioni derivanti dall’ambiente naturale nel quale sono, per così dire, immersi.

Queste sono, forse, osservazioni banali, ma cariche di implicazioni, tenuto conto, soprattutto, che la laguna, per sua costituzione, è un ambiente instabile e in continua modificazione. Conservare la laguna, questa o qualsiasi altra, implica interventi continui e spesso in continua correzione l’uno all’altro (soprattutto quando la laguna ha al suo centro Venezia).

Si pensi come storicamente la Repubblica di Venezia, per evitare l’insabbiamento della laguna e, quindi, la creazione di ostacoli crescenti alla navigazione (cioè alla base della sua stessa potenza), abbia, dopo accesi e aspri dibattiti, deciso la deviazione dei fiumi che scaricavano in laguna oltre che acqua, sabbia e detriti causa dell’insabbiamento (e che, al contrario, la riduzione degli apporti solidi sia la causa della tendenza attuale della laguna moderna a trasformarsi in un braccio di mare)1.

La relazione tra ambiente naturale e antropizzazione è molto complessa e anche delicata e se nel tempo si fosse reso sempre più evidente che la natura non può essere ridotta a variabile dipendente e che la sua conquista e modificazione deve essere cauta, resta il fatto che un ambiente deve sopportare l’antropizzazione connessa (non è un caso che si sono individuati diversi livelli di conservazione fino alla riserva integrale)2.

L’operazione di salvaguardia di Venezia, in sostanza, si identifica con un intervento che ripristini il più possibile le funzioni di autoconservazione della laguna, salvaguardi la città fisica, garantisca la vita economica e sociale della comunità veneziana inducendo, anche, un nuovo sviluppo. Va detto che Venezia ha bisogno di un nuovo sviluppo poiché la sua economia è completamente fagocitata dalle attività turistiche, che trasformano la città, espellono le altre attività, ne modificano il tessuto fisico e sociale, semplificandone la struttura economia, sociale, amministrativa e culturale. L’esigenza unanimemente sentita di contrastare la monocultura turistica è realizzabile soltanto inducendo un nuovo sviluppo.

Solo se si intrecciano i tre elementi precedentemente indicati, ambiente naturale, città fisica e società, solo se si tiene conto delle loro diverse esigenze, le ricadute saranno rilevanti su tutti e tre gli ambiti. Si tratta, in sostanza, di trovare un equilibrio razionale e di istaurarne uno sano che non sacrifichi nessuna polarità, ma che, al contrario, l’esaltazione di ciascuno alimenti risultati di qualità complessivi.

Per realizzare tali obiettivi bisogna attivare opere grandi3; è, infatti, opera grande il ripristino e la riqualificazione della laguna, è opera grande la difesa locale degli abitati allagati anche dalle maree normali, è opera grande la difesa dalle maree eccezionali. Opere grandi di diversa natura, di diversa strumentazione, di diverso peso organizzativo, di diverso impatto ambientale ed economico, ma simili per impegno di mezzi, uomini, intelligenza, scienza e tecnologia.

Sulle conseguenze determinate da tali interventi vale la pena di riflettere. La conseguenza prima e diretta è l’eliminazione dell’acqua alta e del rischio e di un evento catastrofico che metta a repentaglio la sopravvivenza della città, una conseguenza diretta è anche il miglioramento della condizione di vita dei cittadini, della operatività delle attività economiche e amministrative, la riduzione del degrado degli edifici e della città stessa. La riqualificazione e il ripristino della laguna ne miglioreranno anche l’utilizzazione a fini di loisir, sportivo, turistico, economico, ecc.

Altrettanto importanti appaiono le conseguenze indirette. Venezia avrebbe una grande opportunità se capovolgesse il suo modo di vedere la questione della sua salvaguardia, se, cioè, fosse capace di considerarla non come un problema ma come un’opportunità. I problemi che Venezia deve risolvere sono problemi diffusi a livello mondiale e lo saranno sempre più. Venezia rappresenta un caso esemplare collegato ad un particolare ambiente e a particolari condizioni, un caso specifico ma non unico. La realizzazione delle opere grandi, può consolidare a Venezia scienza, esperienza, professionalità, imprese, know-how adatti ad essere esportati, che possono diventare una gamba economica che si può opporre al prevalere dell’economia del turismo. Ma per fare questo la città deve assumere come propria la salvaguardia, deve controllare e richiedere non solo la costruzione di opere ma la ricaduta di sapere, tecnologia, organizzazione e produzione, deve sviluppare un’attitudine ed una cultura all’intrapresa e abbandonare quella del rentier.

Figura 1 - Difesa ambientale nella laguna nord: ripristino di barene vicino all'isola di Burano; barene, delimitate da una palificata di legno, all'inizio degli interventi

 

 

 

Venezia in pericolo

 

Nel novembre del 1966 un particolare incrocio di diverse circostanze atmosferiche determinarono una grande acqua alta. Tutta la città storica, oltre a tutti gli abitati del litorale e delle isole, furono allagati, la sua popolazione messa in ginocchio, monumenti, palazzi, negozi, attività produttive abitazioni invase dall’acqua, spesso densa di nafta fuoriuscita dalle caldaie di riscaldamento allagate. Una catastrofe.

L’evento suscitò grande impressione nell’opinione pubblica nazionale e internazionale: apparve in pericolo uno dei maggiori patrimoni storici e artistici dell’umanità e il suono delle sirene somigliava al lugubre annunzio della fine.

L’evento, infatti, mise in evidenza i diversi fattori negativi che caratterizzavano la condizione della città storica all’interno della sua laguna e in rapporto al mare. In particolare:

- per effetto dell’abbassamento del suolo e dell’innalzamento del livello del mare, gli eventi di acqua alta si erano fatti più frequenti e più intensi;

- le acque alte normali (fino a 110 cm4 di marea), sommergevano la città sempre più spesso (si consideri che con 90 cm piazza San Marco risultava largamente sommersa): con 100 cm di mare la percentuale di città allagata è pari al 4%; mentre con 110 cm la parte della città allagata è pari 12% ma con un effetto di impraticabilità se non a mezzo delle passerelle; con una marea di 120 cm la parte sommersa è pari a circa il 40%;

- la mancanza di manutenzione edilizia, sia degli edifici privati che di quelli pubblici, sia di quella monumentale che di quella minore, mostrava i suoi effetti devastanti;

- gli spazi pubblici soffrivano della stessa mancanza di manutenzione contribuendo al degrado della città, mentre i canali interni alla città non venivano puliti da decenni;

- la laguna risultava compromessa per mancanza di interventi, per le trasformazioni indotte dall’apertura di nuovi canali artificiali (basta pensare a quello dei petroli), per la pesca con mezzi sempre più devastanti dei fondali, per l’inquinamento proveniente dalle industrie di Porto Marghera e dal bacino scolante. La tendenza dominante della laguna era la sua trasformazione in un braccio di mare.

L’evidenza dei problemi, l’emozione per l’evento disastroso, mobilitavano l’opinione pubblica nazionale e internazionale e le forze politiche; l’obiettivo era: salvare Venezia.

Figura 2 - Difesa ambientale nella laguna nord: ripristino di barene vicino all'isola di Burano; barene durante i lavori

 

 

 

La salvaguardia di Venezia

 

Mentre il Parlamento vara una prima legge speciale (legge 171/1973) con l’obiettivo di salvare Venezia, la mobilitazione internazionale dà luogo alla formazione di Comitati per Venezia che raccolgono fondi per il restauro dei monumenti. Un impegno politico da una parte e civile dall’altro che hanno permesso notevoli lavori nella città e nella laguna, un miglioramento sostanziale dell’ambiente anche se il problema dell’acqua alta rimaneva costantemente all’ordine del giorno ma non veniva risolto.

È inutile ripercorrere le discussioni, le polemiche, le prese di posizione, che hanno accompagnato l’attività di salvaguardia svolta fino ad oggi (una Laguna di chiacchiere, per dirla con W. Dorigo). Va detto, tuttavia, che la questione della salvaguardia ha costituito dai primi anni ’70 uno snodo rilevantissimo della politica veneziana: il Consiglio comunale si è sempre ritrovato unanime nel rivendicare la salvaguardia (cioè la richiesta di risorse), ma questa spesso è stata l’occasione, non sempre limpida, di fare e disfare maggioranze.

La salvaguardia di Venezia si presentava, da subito, per le sue molte interrelazioni ed elementi contrastanti come un problema assai complesso. Ma trent’anni di discussione, caratterizzata dal sovrapporsi continuo di soluzioni sempre nuove e diverse, in una fantasmagorica dimostrazione di creatività e di auto-referenzialità; l’irrisione dei risultati scientifici quando non coincidenti con le proprie ipotesi e, al contrario, l’esaltazione di incerti e parziali risultati quando facevano comodo ai sostenitori di una determinata soluzione; il veleno sparso a piene voci circa la correttezza personale degli scienziati e tecnici non allineati alle tesi che di volta in volta erano quelle più insistentemente urlate e meno scientificamente supportate, ecc., hanno fatto di una questione tecnica, sicuramente non facile da districarsi, un ginepraio spesso incomprensibile e hanno trasformato un dibattito necessario in una baruffa da cortile5.

Eppure niente è stato inutile. È evidente, infatti, che polemiche e contrapposizioni, insieme alla riflessione sul problema, alle analisi sempre più approfondite, alle indagini, alle sperimentazioni, alle prove, hanno finito per affinare l’intervento e ampliare gli obiettivi, fino a giungere ad un sistema di interventi per la riqualificazione dell’ambiente, la difesa degli abitati dalle acque alte (normali ed eccezionali), il restauro dell’ambiente costruito, in una visione attenta delle reciproche relazioni6. Un sistema complesso che tra tante difficoltà oggettive e, spesso, tra inutili contrasti, è da tempo in via di realizzazione.

Il Mose (il dispositivo di dighe mobili di cui tanto si parla) è un punto, anche se essenziale, di tale sistema complesso e va visto nell’insieme degli interventi di cui è qui necessario dare anche brevemente conto. Essi si distinguono in:

- interventi sulla morfologia lagunare: lo scopo è quello di contrastare la tendenza della laguna a trasformarsi in un braccio di mare. Si tratta in questo caso di ricostruire e costruire velme7 e barene8 scomparse a seguito delle avvenute trasformazioni d’uso della laguna stessa (navigazione e costruzione di nuovi canali, pesca, assenza di apporti solidi da parte dei fiumi, ecc.); del recupero delle isole minori abbandonate;

- interventi che garantiscono la qualità della laguna e la sua vitalità: si tratta della bonifica di alcuni siti, della messa in sicurezza della laguna rispetto agli inquinanti provenienti dalla zona industriale di Porto Marghera, della costruzione del sistema di smaltimento delle acque del bacino scolante, della piantumazione di piante acquatiche manomesse spesso dalla pesca;

- interventi per la difesa dalle mareggiate: a questo scopo sono stati rafforzati i murazzi (scogliere storiche innalzate a riparo degli abitati verso il mare); si sono ricostruiti già 40 km di arenili, ove questi erano stati corrosi o scomparsi, protetti da nuovi pennelli in roccia dalle mareggiate. I risultati si sono rilevati efficaci e di grande interesse anche scientifico oltre che tecnico;

- interventi nella città storica: lo scopo è quello di promuovere la manutenzione del patrimonio edilizio della città storica (abitativo, di servizio e monumentale), la manutenzione del suolo pubblico, la pulizia dei canali e il risanamento e riassetto delle relative sponde9. Questi interventi mirano anche a contrastare l’esodo della popolazione e delle attività, correggendo la tendenza alla monocultura turistica. Mentre la manutenzione fisica della città appare avviata con successo, grazie ai finanziamenti concessi ai privati per gli interventi e agli interventi pubblici finanziati con i fondi della legge speciale, gli obiettivi indiretti appaiono lontani da essere perseguiti: la popolazione è diminuita, l’esodo delle attività economiche e delle funzioni amministrative non si è fermato, la complessità economica si è fortemente ridotta, il turismo tende a prevalere su tutto, anche in modo disordinato.

Il sistema degli interventi è completato da quelli della difesa degli abitati dall’acqua alta con il vincolo di garantire la navigazione in laguna. Di questi merita dirne in modo più diffuso sia perché costituiscono il cuore della questione, sia perché sono gli interventi che più hanno sollevato discussioni.

Figura 3 - Difesa dalle mareggiate a Cavallino: un tratto del litorale a lavori ultimati, con le opere di difesa costituite dal sistema dune-spiaggia-pennelli; in primo piano, le ammofile trapiantate su una nuova duna

 

 

 

Garantire la navigabilità della laguna

 

Qualunque sia la modalità con la quale Venezia viene difesa dalle acque alte questa deve garantire il transito in laguna delle navi che trasportano merci e passeggeri. Quella portuale, infatti, è una funzione di grande importanza per l’economia della città e non solo della città.

Il porto commerciale, liberatesi alcune aree di Porto Marghera, è stato trasferito in quella sede, mentre il terminale passeggeri è rimasto nella città storica. Il canale che parte dalla Bocca di Malamocco e arriva a Porto Marghera (il così detto Canale dei petroli) permette la navigazione sia delle petroliere che alimentano le industrie di Porto Marghera, sia delle navi dirette al porto commerciale. Il porto commerciale, nonostante alcune difficoltà infrastrutturali (collegamenti stradali e ferroviari), presenta una forte dinamica positiva.

Le navi passeggeri, sia di linea (prevalentemente con la Grecia e con le repubbliche della ex-Jugoslavia) sia quelle da crociera entrano dalla Bocca del Lido e passando davanti a Piazza San Marco imboccano il canale della Giudecca per giungere rapidamente alla stazione marittima da dove i passeggeri sciamano in città. Il traffico crocieristico per quest’anno si stima pari a 600.000 passeggeri arrivati, mentre si fanno previsioni per i prossimi anni fino a 1.000.000 di passeggeri.

Va detto - la questione verrà ripresa più avanti - che sia il passaggio delle petroliere in laguna (lungo il canale dei petroli) che il transito delle navi passeggeri nel bacino di San Marco sono giudicati, per ragioni diverse, molto pericolosi.

È evidente che qualsiasi interruzione mare/laguna (per la difesa delle maree eccezionali) causa interferenza con la navigazione (interruzioni, ritardi, ecc.), per ovviare a questo inconveniente e garantire la navigabilità della laguna in tutte le circostanze è prevista una conca di navigazione alla bocca di Malamocco che garantirebbe il passaggio delle navi commerciali e, qualora ne fosse costruita una simile alla bocca del Lido, anche di quelle passeggeri10.

Si tratta di una soluzione che garantisce una delle attività importanti per la città (il porto commerciale) e il rifornimento delle industrie chimiche e petrolchimiche di Porto Marghera, che ancorché in crisi costituiscono ancora una polarità industriale di rilievo.

Il rischio del transito delle petroliere in laguna (sversamenti, incendi, ecc.), data la delicatezza dell’ambiente e la presenza della città storica, viene scongiurato con la costruzione di una stazione in alto mare da dove il petrolio e gli altri prodotti liquidi, attraverso un oleodotto, giungono a Porto Marghera.

Come si è già detto, anche il passaggio delle navi passeggeri e da crociera per il bacino di San Marco è ritenuto pericoloso (sia per le dimensioni assunte dalle navi da crociera, sia per gli effetti che il movimento delle loro eliche hanno sulle rive, ecc.). Va detto, tuttavia, che l’arrivo a Venezia dal mare, su una nave, costituisce un’esperienza carica di emozione; è per tale emozione oltre che per la rilevanza della città storica che il circuito crocieristico prevede la sosta a Venezia.

Per eliminare tale rischio sono state avanzate due soluzioni che eliminano il passaggio delle navi dal bacino di San Marco. La prima, semplice, prevede che le navi entrino dalla bocca di Malamocco (invece che da quella del Lido), passino lontano dalla città attraverso il canale dei petroli per poi piegare per il canale Vittorio Emanuele, che dovrebbe essere reso adeguato alla nuova funzione, e giungere alla stazione marittima. L’altra soluzione, più azzardata, prevede la costruzione di un nuovo porto passeggeri alla bocca del Lido, con il rilevante problema, in questo caso, del trasbordo, via acquea, di passeggeri, rifornimenti, merci, ecc. in e dalla città (senza parlare di un prevedibile rilevante impatto ambientale). Se ambedue soluzioni eliminano l’emozione dell’entrata a Venezia, la seconda propone un tema logistico di notevole peso. Forse possono trovarsi modi di navigazione che riducano drasticamente ogni rischio e che non diminuiscano l’attrattività di Venezia.

Figura 4 - Difesa dalle acque alte mediante sistema Mose: veduta della bocca di porto di Malamocco dopo la realizzazione delle opere previste (barriere mobili e interventi complementari)  e con la conca di navigazione che consente il passaggio delle navi dirette al porto quando le paratoie sono in funzione

 

 

 

Difesa della città dalle acque alte

 

La città va difesa dall’acqua alta normale (marea fino a 110 cm) e da quella eccezionale (maree superiori 110 cm), si tratta di due fenomeni che hanno conseguenze, frequenza e soluzioni diverse.

È ormai chiaro e assodato, attraverso studi, sperimentazioni, prove, ricerche, ecc. che gli interventi sulla morfologia della laguna, l’apertura delle valli da pesca, la diminuzione relativa della portata delle bocche di porto (tali da non compromettere il ricambio e la vivificazione della laguna) determinano una riduzione modesta all’altezza e intensità delle maree. Pertanto, per la difesa dalle acque alte si sono avanzate due tipi di soluzioni tra loro integrate: le difese locali, per difendere gli abitati dalla maree normali e la chiusura mobile delle bocche di porto (Mose) per gli eventi eccezionali.

Figura 5 - Difesa dalle mareggiate a Isola Verde: il litorale prima degli interventi per la ricostruzione della spiaggia

 

 

Le difese locali

 

Negli abitati in laguna si è provveduto, dove possibile, ad alzare le rive e il piano di calpestio stradale; in alcune isole si è anche è provveduto alla costruzione di chiuse mobili dei canali.

Il rialzo delle rive e del piano stradale costituisce un’operazione complessa; necessita, infatti, interventi che evitino l’ingresso dell’acqua attraverso i tombini o la filtrazione dal sottosuolo e deve essere accompagnata, inoltre, dalla messa in sicurezza, rispetto all’acqua alta, dei pianiterra degli edifici (ingressi, androni, magazzini, ecc.), giardini e corti retrostanti, spesso più bassi delle calli pubbliche. Nel centro storico queste operazioni molto spesso sono state connesse ai lavori di pulitura dei canali e dei rii, a quello della ristrutturazione dei marginamenti degradati, al riordino dei sotto servizi.

Per quanto riguarda la dimensione di tale innalzamento, in una prima fase si era fissata la soglia di 100 cm sul medio livello del mare, ma dopo, con ampie polemiche, è stata portata, ove possibile, a 110 cm.

Come già osservato si tratta di una operazione difficile, che comporta non solo l’innalzamento del piano di strada e delle rive, ma anche l’innalzamento, spesso impossibile delle soglie e dei pavimenti dei piani terra (abitazioni, negozi, magazzini) e degli atri di entrata. Le realizzazioni mostrano soluzioni spesso brutali, semplificate e poco progettate. Vi sono abitazioni e negozi dove, dopo gli interventi, si entra scendendo dal piano di calpestio della strada, con problemi di smaltimento meccanico dell’acqua non solo di marea ma anche di quella piovana.

La qualità della città storica ma anche la sua delicatezza, impongono, inoltre, di intervenire con la dovuta cautela; qual è, infatti, il limite di manomissione accettabile dell’assetto della città storica? Alcuni fanno pressione per spingere il rialzo fino a 120 cm. Che senso ha procedere in astratto? È evidente che un tale rialzo sconvolgerebbe la morfologia della città e ne comprometterebbe l’integrità architettonica. Farsi forte del fatto che nei secoli passati la Repubblica ha operato tali innalzamenti (in alcune chiese sono evidenti questi interventi se si osservano le colonne) ha poco senso per due motivi: la somma continua di innalzamenti modifica in misura crescente la morfologia della città; nei secoli passati abbattevano e ricostruivano e, soprattutto, non erano disponibili altre tecnologie.

Si osservi, per esempio, che l’intervento per mettere all’asciutto Piazza San Marco, che viene sommersa da una marea di 90 cm, non prevede innalzamento della pavimentazione, che modificherebbe gravemente la morfologia e l’estetica della piazza, ma essa viene difesa con un sistema che prevede l’innalzamento (fino almeno a 100 cm) del cordolo lungo i bordi della laguna, la sistemazione e l’isolamento dei cunicoli sotterranei dall’acqua dei rii che circondano la piazza, un nuovo sistema di raccolta e scarico dell’acqua piovana ed eventualmente di marea, e una impermeabilizzazione, sotto la pavimentazione, oltre ovviamente la risistemazione e il restauro della pavimentazione di tutta la piazza, l’installazione di pompe che svuotino la piazza dall’acqua piovana (l’attraversamento della piazza dovrebbe essere garantito fino ad una marea di 110 cm).

I sistemi locali, quindi, difendono la città e le isole minori, fino ad una marea di 100 cm e in alcuni casi sino a 110 cm. Oltre questo livello di marea la città verrebbe allagata.

Proprio le difese locali presuppongono una stretta relazione e considerazione degli aspetti tecnici, ambientali, storici ed estetici e antropici. In ogni intervento il peso relativo di ciascuno di questi aspetti varia in ragione della tipologia dell’intervento, della sua collocazione, del tipo di ambiente, ecc. Ove questi elementi sono stati presi in debita considerazione e strettamente interrelati, i risultati ottenuti sono spesso ottimi, mentre la semplificazione ha dato spesso risultati negativi con la necessità di attivare costosi interventi correttivi.

Figura 6 - Difesa dalle mareggiate a Isola Verde: il litorale dopo gli interventi per la ricostruzione della spiaggia

 

 

La difesa dalle maree superiori a 110 cm: il Mose

 

Per la difesa dalle acque alte superiore a 110 cm (le maree eccezionali) è stato progettato un sistema mobile di chiusura delle tre bocche della laguna: il Mose. Il Comitatone11, nella sua ultima seduta (3 aprile 2003), prese atto dell’approvazione, da parte del Comitato tecnico del Magistrato alle acque, del progetto definitivo e autorizzò la progettazione definitiva e la realizzazione del Mose. A quasi quarant’anni dalla disastrosa acqua alta del 1966 si è giunti ad una importante e definitiva decisione12. Vale la pena, anche se in modo estremamente sommario, ripercorrere questo cammino (denso tra l’altro di studi, ricerche, prove, polemiche e controversie non ancora placate).

Nel 1975 il Ministero dei lavori pubblici bandisce un concorso internazionale per la progettazione ed esecuzione della difesa di Venezia dalle acque alte13. Cinque concorrenti, cinque progetti, nessuna aggiudicazione. Tutti i progetti vengono assunti come elementi utili per la predisposizione di un nuovo progetto. Nel 1981 viene redatto un nuovo progetto denominato Progettone. Nel 1984 una nuova legge speciale (legge 798/1984) ridefinisce gli obiettivi generali degli interventi, divide le responsabilità della loro realizzazione tra Stato, regione e comuni (Venezia e Chioggia), istituisce il Concessionario per gli interventi dello Stato, poi individuato nel Consorzio Venezia Nuova, e il Comitatone.

Il Consorzio Venezia Nuova, oltre ad avere realizzato per conto dello Stato interventi in laguna di ricostruzione di barene, risanamento, messa in sicurezza dei siti inquinati, studi, ricerche, sperimentazioni ecc. ha elaborato un progetto preliminare di massima, denominato Rea, che come difesa dalle acque alte proponeva la soluzione che va, ormai, sotto il nome di Mose. Questo è costituito da una serie di paratoie tra di loro accostate ma indipendenti, incerneriata sul fondo delle bocche di porto, che a riposo, piene d’acqua, stanno negli alloggiamenti realizzati nel fondale, mentre, quando è necessario, svuotate dall’acqua si innalzano e costituiscono una barriera all’entrata della marea in laguna. Il progetto di massima, approvato dal Consiglio superiore delle opere pubbliche nel 1994, è stato integrato, come detto, dalle conche di navigazione, in un primo tempo non previste, per garantire la navigazione in laguna.

Si tratta di un progetto contemporaneamente molto semplice e, soprattutto, molto aperto alle innovazioni per quanto riguarda la gestione, alla quale possono essere applicate le più sofisticate tecnologie e le più complesse tecniche di decisione.

Il progetto è stato più volte esaminato e approvato dal Consiglio superiore delle opere pubbliche. Su richiesta del Comune di Venezia è stato sottoposto a valutazione d’impatto ambientale (Via) da parte del Ministero dell’ambienta e sempre su richiesta del Comune di Venezia da parte di un gruppo di esperti internazionali, super partes, che hanno espresso giudizio positivo. Il giudizio negativo della Commissione Via del Ministero dell’ambiente si basava non tanto sugli impatti ambientali (sia nella fase di realizzazione che di esercizio), risultati sostanzialmente molto modesti, ma sulla base di un diverso punto di vista circa i modi di salvaguardare Venezia. Tale deliberazione è stata annullata, per questioni di metodo e di merito, dal Tar.

Il progetto è stato, inoltre, sottoposto a verifiche tecniche, controlli, sperimentazione di esercizio, ecc. sempre con esiti positivi.

Nonostante queste buone prove, il progetto è stato ed è investito da diverse critiche. Si prova di seguito a raccogliere, in modo sintetico, sotto alcune voci, tali critiche:

- interventi diffusi: secondo alcune voci critiche gli interventi diffusi abbasserebbero il livello delle maree in misura tale da rendere inutile la costruzione del Mose. Una critica che inspiegabilmente resiste a tutte le verifiche che dimostrano la marginale riduzione dei livelli di marea per effetto delle opere diffuse (necessari, invece, per altri fini: la salvaguardia della laguna, la difesa della sua diversità biologica, la ricostruzione dell’ambiente, la correzione della tendenza della laguna a trasformarsi in un braccio di mare, ecc.);

- interventi diversi alle bocche di porto: si propongono interventi, collegati a quelli diffusi, che, soprattutto, modificano in modo rilevante, la sezione delle bocche di porto, in modo tale da ridurre significativamente l’altezza delle maree. Questa proposta non tiene conto di risultati di analisi e ricerche che dimostrano che, oltre una certa misura, tale intervento sulle bocche14 comprometterebbe, questo sì in modo irreversibile, il ricambio delle acque e, quindi, la vitalità di ampie zone della laguna, avrebbe effetti assai negativi sull’inquinamento dell’acqua, sulla morfologia stessa della laguna e anche sulla navigazione;

- soluzioni diverse: altri, non tenendo conto delle alternative esaminate e scartate in fase di progetto preliminare, suggeriscono soluzioni diverse (dalle navi che si affondano in caso di necessità, a porte, al sollevamento di Venezia, ecc.). Le soluzioni per essere confrontabili, tuttavia, devono avere lo stesso livello di approfondimento; si intende dire che non si può confrontare un progetto, che è stato sottoposto a diversi livelli di verifica e di sperimentazione, con una idea che, anche se geniale, per essere confrontabile dovrebbe avere lo stesso livello di elaborazione e verifica del progetto al quale si oppone. Quello che sembra interessante, tuttavia, è che molte di queste alternative non mettono in discussione la necessità di dover separare mare e laguna nel caso di maree eccezionali;

- cambiamenti climatici: da parte di alcuni si sostiene che i cambiamenti climatici previsti renderebbero alla fine del secolo il Mose inutile a difendere la città dall’innalzamento del livello del mare. Se da una parte esiste una forte incertezza relativamente a queste previsioni, dall’altra non si capisce come si potrà difendere Venezia in questo secolo. Il principio di precauzione, spesso invocato, in questo caso sembra non valere nulla;

- accusa di obsolescenza: alcuni accusano il progetto Mose di essere obsoleto, tuttavia non si capisce rispetto a quale nuova tecnologia. Il giudizio è sommario e pare infondato. Sotto questa voce si possono collocare quanti affermano che il Mose non funzionerà. Giudizio, questo, non solo non giustificato, ma sorprendente visti i modelli fisici (tra i quali uno a scala 1:10) sperimentati in questi anni;

- secondo alcuni è negato il principio della sperimentalità, gradualità e reversibilità previsti nella legge speciale. Si tratta di concetti che è difficile, nel caso specifico, maneggiare. Non a caso il riferimento è sempre al principio non meglio declinato. In questo caso cosa possa essere la gradualità, se non la considerazione di operare attraverso un sistema di interventi, come si sta facendo da 15 anni? Il Mose, proprio per la sua natura, sembra sperimentale (e sperimentato attraverso analisi, verifiche, prove, ecc.). Più intrigante è il concetto di reversibilità: esso si riferisce alle opere o agli effetti prodotti da tali opere? Assunto che un intervento idoneo a separare temporaneamente il mare dalla laguna sia necessario, in generale si può dire che qualunque intervento sia rimovibile (di eterno non c’è niente), si tratterà di valutarne i costi. Se si parla di reversibilità degli effetti è chiaro che il Mose sembra il più reversibile, basta non farlo funzionare che i suoi effetti sono annullati completamente. Diverso sarebbe il caso, per intenderci, di una modifica delle sezioni delle bocche di porto, in questo caso la reversibilità degli effetti dovrebbe essere coniugata, necessariamente, con una rimozione delle opere.

Dalle analisi critiche, dai giudizi positivi, dalle sperimentazioni, prove e verifiche, il progetto esce in modo positivo. Come è ovvio, sia gli obiettivi generali degli interventi che la specifica natura degli interventi, sottoposti a continui approfondimenti, ricerche, studi e sperimentazioni, hanno prodotto non solo miglioramenti al progetto, ma anche, ed è altrettanto importante, hanno enormemente arricchito le conoscenze sull’ambiente lagunare e sulla laguna di Venezia in particolare. In sostanza oggi il sistema complessivo degli interventi si colloca in un ambiente le cui conoscenze sistemiche si sono enormemente ampliate e arricchite.

Figura 7 - Immagine da satellite della laguna di Venezia

 

 

 

Modifiche del paesaggio

 

Emilio Sereni ha dimostrato che il paesaggio, studiando le modifiche di lungo periodo di quello agrario in Italia, nella sua forma e struttura dipende dalle tecniche disponibili nei diversi periodi, dalle culture attivate e dai rapporti di proprietà. Il paesaggio, cioè, non è un dato fisso, esso varia nel tempo. Il problema della difesa del paesaggio non è, quindi, quello di garantirne una sorta di imbalsamazione, quanto piuttosto di governarne i modi di trasformazione e gli equilibri (e squilibri) che ne possono derivare.

Si può affermare che gli interventi in laguna non comporteranno modifiche al paesaggio. Al contrario, la ricostruzione di barene potrà riconfigurare il tradizionale paesaggio lagunare, oggi compromesso dalla tendenza della laguna a trasformarsi in un braccio di mare.

L’unico intervento che modificherà il paesaggio sarà la costruzione di un’isola all’inizio del canale della bocca di Lido; tuttavia le modalità di realizzazione di tale intervento potrà costituire sì una modifica dello stato di fatto ma non necessariamente dovrà risultare negativo ove fosse collegato al basso fondo che si insinua verso il centro della bocca del Lido (il Baccan, già oggi utilizzato per loisir). Si tratta di progettare l’intervento collegando le diverse esigenze, realizzando un risultato positivo sia dal punto di vista dell’ambiente che della fruizione della laguna, con una particolare attenzione alla salvaguardia della qualità del paesaggio.

Il Mose è irrilevante rispetto al paesaggio in quanto si tratta di opera prevalentemente subacquea. Saranno solo la costruzione delle conche di navigazione che comporteranno modifiche rispetto all’attuale conformazione dei moli foranei, tuttavia da una parte si tratta di una modalità tradizionale di intervento lungo le coste di tipo marino e, dall’altra parte, non interferiscono con il paesaggio complessivo della laguna e della città storica.

Figura 8 - Difesa dalle acque alte nel sistema Mose a barriere mobili: movimento delle paratoie

 

Più complessa è la questione degli interventi di difesa locale. Questi, infatti, comportano, come già detto una modifica alla configurazione morfologica della città, soprattutto se si continuasse ad insistere per un rialzo fino alla soglia di 120 cm. In questo caso non c’è dubbio che un intervento ritenuto leggero finirebbe, invece, per avere conseguenze pesanti sulla qualità urbana (senza che l’intervento stesso fosse sottoposto ad una valutazione di impatto urbano). I rialzi fino a 100 cm e, ove possibile, fino a 110 cm costituiscono una soluzione di modifica del paesaggio accettabile in ragione degli elementi positivi per la vita della città che essi producono (ciò non toglie che essi dovrebbero essere realizzati con il massimo di attenzione e con grande intelligenza progettuale).

In sostanza si può dire che ove gli interventi sempre più tenessero da conto le esigenze dell’ambiente, del paesaggio, della storia e dell’antropizzazione il paesaggio laguna-città, la forma urbis, e il genius loci di Venezia non subirebbero modificazione a causa del sistema di salvaguardia che, contemporaneamente, metterebbe al sicuro un patrimonio di grande rilievo e di enorme importanza storica e culturale.

Figura 9 - Difesa locale dalle acque alte a Venezia - San Marco: aree allagabili alle diverse quote di marea

 

 

 

1 Oggi un’operazione che corregga la deviazione dei fiumi operata allora, non può puntare sulla riammissione dei fiumi, dato il loro ridotto apporto solido (ma non di inquinanti) conseguente alla profonda trasformazione che i bacini fluviali hanno subito.

2 Da questo punto di vista e nel caso concreto, la richiesta di un ripristino delle condizioni naturali, come da qualche parte avanzata, appare senza senso, tenuto conto, soprattutto, della natura instabile di tale ambiente e della sua tendenza a trasformarsi in un braccio di mare o, al contrario, ad interrarsi.

3 Si vorrebbe introdurre in questa sede la distinzione tra grande opera e opera grande (che sarà più ampiamente sviluppata in altra sede); una distinzione che pare assolutamente indispensabile, constatata la diffidenza dell’opinione pubblica verso le grandi opere, una diffidenza che nasce dall’esperienza. Al riparo di un obiettivo, anche di qualche utilità, molto spesso si sono contrabbandati interessi diversi. Più di un indizio fa emergere che molte grandi opere piuttosto che rispondere a necessità, avevano lo scopo di ricavare tangenti, di ricambiare un sostegno elettorale, di consolidare qualche potentato locale, di garantirsi consenso elettorale. L’analisi delle vere necessità del paese, l’attenzione alle priorità, l’analisi dei costi e dei benefici, la valutazione degli impatti ambientali e tutti gli altri meccanismi che potevano concorrere a far prendere una decisione secondo ragione, venivano sacrificati. La diffidenza e il rigetto delle grandi opere rischia, tuttavia, di privare il paese di necessari investimenti di ammodernamento, di innovazione, di miglioramento dell’efficienza (piccolo non è sempre da preferire a grande, né la manutenzione, sempre necessaria, può sempre evitare il nuovo). La cultura collettiva deve riappropriarsi del concetto di opera grande contrapposta alla grande opera, quella di regime, il cui oggetto nasconde finalità diverse, appare inutile e, magari, dannosa. L’opera grande, al contrario, è quella che corrisponde ad una vera necessità, ha una sicura giustificazione, innalza l’efficienza del sistema, migliora la qualità della vita, integra funzioni, ecc. Un’opera da sostenere anche se per la sua realizzazione bisognerà, inevitabilmente, trasformare, con tutte le dovute cautele e con grande intelligenza progettuale, l’ambiente originario.

4 I livelli di marea citati nel testo fanno riferimento al mareografo di Punta della Salute (interno alla laguna) che è -23 cm sul livello medio del mare.

5 Deve essere segnalato come in questo dibattito è mancato l’apporto delle due università veneziane. Non si intende sostenere che esse avrebbero dovuto prendere partito su ogni questione, cosa impossibile date le divergenze esistenti all’interno delle singole comunità scientifiche, ma avrebbero potuto e dovuto essere capaci di organizzare il confronto in modo che esso si svolgesse secondo le procedure e i metodi di un dibattito scientifico. Più recentemente, le due università veneziane, insieme a quella di Padova, al Cnr e al Ministero della ricerca scientifica, hanno costituito un consorzio denominato Corila, candidato a diventare un centro autorevole e indipendente sulle questioni scientifiche che riguardano la laguna di Venezia.

6 La messa a punto di un modello complessivo, che integra i diversi aspetti e le reciproche relazioni, è in corso dal Corila con il Progetto Metis.

7 Le velme sono zone lagunari caratterizzata da terreni molli, priva di vegetazione e normalmente sommersi, che si estendono lungo le sponde dei canali ed emergono solo in particolari condizioni di marea (basse maree).

8 Le barene sono costituite da terreno lagunare di natura consistente che, quasi sempre emerso, solo talvolta viene sommerso dalle acque (alte maree). Ambienti di natura anfibia, in bilico tra la terra e l’acqua, ospitano una vegetazione caratteristica delle zone salmastre e costituiscono un habitat primario e insostituibile per fauna e avifauna lagunari. Le barene svolgono diversificate funzioni: regolano l’idrodinamica perché creano dei percorsi obbligati che facilitano la propagazione della marea e, quindi, contribuiscono a favorire il ricambio idrico; moderano l’azione del moto ondoso; limitano la dispersione a mare e in laguna dei sedimenti. All’interno delle barene si snodano i ghebi, piccoli e tortuosi canali normalmente non navigabili.

9 Generalmente collegata a quest’ultima attività è prevista l’innalzamento del livello di calpestio di cui si dirà in seguito.

10 Per quanto riguarda il traffico passeggeri la conca pare meno rilevante in quanto nella brutta stagione il traffico di linea si riduce e quello crocieristico si sposta ai Caraibi.

11 Il Comitatone è l’organo a cui sono stati affidati l’indirizzo, il coordinamento e il controllo di tutti gli interventi per la salvaguardia di Venezia e della laguna. È presieduto dal Presidente del Consiglio dei ministri e composto dai ministri competenti e dai vertice delle amministrazioni locali (Presidente della regione; i Sindaci dei Comuni di Ghioggia e Venezia e di due comuni della gronda lagunare).

12 Va detto che in tutto questo periodo, nonostante l’alternarsi di governi nazionali e locali di diversa formazione e di diverso indirizzo politico, non si è ridotto l’impegno per la salvaguardia di Venezia. Spesso la cautela è sembrata eccessiva e non fondata. Talvolta si ha l’impressione che si potesse giungere a più rapide decisioni, dato che i contrasti interni alle diverse maggioranze hanno rallentato le scelte, anche se la salvaguardia di Venezia si è affermata sempre come problema nazionale di primaria importanza.

13 Nel 1970 il Cnr lanciò un Bando di concorso internazionale di idee per la chiusura delle bocche lagunari.

Parteciparono gruppi appartenenti all’Italia, Francia e Olanda. Fu giudicato più interessante il progetto costituito da paratoie a spinta galleggiante incernierate sul fondo.

14 Esiste una relazione, infatti, tra la dimensione della laguna e le sue bocche.

Figura 10 - I dati del problema delle acque alte: a sinistra, aumento della frequenza delle acque alte a Venezia dal 1920 a oggi; a destra, in ordine cronologico, i dieci più alti livelli di marea registrati a Venezia dall'inizio del '900

 

 

 

Le immagini che illustrano l’articolo si pubblicano per gentile concessione del Consorzio Venezia Nuova.

Fonte: Archivio Magistrato alle Acque di Venezia.

 

 

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