Il disegno riformatore che interessa il
nostro paese da oltre un decennio, con
l’intento di affermare uno Stato a carattere
regionalista, di sburocratizzare
l’amministrazione pubblica e aumentarne
l’efficienza, ha ormai raggiunto una fase
molto avanzata. Dopo alcune importanti leggi
che, a Costituzione invariata, hanno
assegnato più ampie funzioni alle regioni e
agli enti locali (legge 59/1997), si è
intrapresa la strada della riforma
costituzionale, giungendo all’approvazione
nel 2001 della legge 3 che ha riscritto
l’intero Titolo V della Costituzione e, nel
giugno 2003, della legge 131, recante
“Disposizioni per l’adeguamento
dell’ordinamento della Repubblica alla legge
costituzionale n. 3”. Il lavoro non sembra
ancora concluso: oltre la proposta di
integrazione sulla cosiddetta devolution,
approvata in prima lettura dai due rami del
Parlamento, il Consiglio dei Ministri ha
recentemente varato (11 aprile 2003) il
disegno di legge “Nuove modifiche al Titolo
V, parte II della Costituzione” (La
Loggia-Bossi), che si pone l’obiettivo di
accentuare il carattere federalista del
nostro ordinamento rafforzando, peraltro, il
principio dell’interesse nazionale.
Il percorso riformatore presenta contenuti
innovativi che potranno incidere fortemente
sull’assetto e sul governo del territorio,
sull’ambiente, sul paesaggio. Una breve
sintesi dei principali aspetti giuridici
della riforma è utile per delineare i
termini delle argomentazioni che questo
contributo propone al dibattito in corso.
Il sistema delle competenze tra Stato,
regioni ed enti locali, prima incentrato
saldamente nello Stato, è stato
completamente capovolto: l’art. 114 del
rinnovato Titolo V ha assegnato pari dignità
costituzionale e pari autonomia a tutti gli
enti politici territoriali; il nuovo art.
117, rovesciando lo schema della precedente
formulazione, ha attribuito alle regioni
competenza legislativa di tipo primario
residuale, ossia in tutte le materie che non
siano riservate in via esclusiva allo Stato,
o affidate alle stesse regioni a titolo di
potestà concorrente. Le regioni hanno dunque
potestà legislativa esclusiva su un gran
numero di materie, con il solo vincolo del
rispetto della Costituzione,
dell’ordinamento comunitario e degli
obblighi internazionali, mentre per
l’esercizio della potestà concorrente spetta
allo Stato la sola determinazione dei
principi fondamentali.
Per quanto attiene la potestà regolamentare
l’impostazione che è stata data è
decisamente regionalista: allo Stato spetta
l’approvazione dei regolamenti nelle materie
di competenza esclusiva statale, salvo
delega alle regioni; a queste ultime spetta
la potestà di approvare i regolamenti per
tutte le altre materie, tranne quelle per le
quali non sia espressamente assegnata la
potestà ai comuni; a loro volta le regioni
possono subdelegare ai comuni l’emanazione
dei regolamenti.
L’art. 118 attribuisce tutte “le funzioni
amministrative ai Comuni, salvo che per
assicurarne l’esercizio unitario siano
conferite a Province, Città metropolitane,
Regioni, Stato sulla base dei principi di
sussidiarietà, differenziazione e
adeguatezza”.
Il nuovo sistema di riparto delle
competenze, delineato dal Titolo V, è
entrato nella fase delicata dell’attuazione
e già sono numerosissimi i casi di conflitto
di competenze sui quali la Corte
costituzionale è stata chiamata ad
esprimersi. Si pongono ricorrentemente
alcuni problemi: la definizione delle
materie di competenza esclusiva statale o
regionale, e dei limiti che quest’ultima
incontra derivanti dalle leggi statali,
l’individuazione dei principi fondamentali
per le materie di competenza
concorrente, la revisione della normativa
regolamentare.
Nei primi due anni di attuazione sembra
permanere un’ottica centralista dello Stato,
che si avvale del principio dell’interesse
nazionale, riaffiorante implicitamente nel
testo del nuovo art. 120, secondo il quale è
possibile l’intervento sostitutivo statale
“quando lo richiedono la tutela dell’unità
giuridica o dell’unità economica e in
particolare la tutela dei livelli essenziali
delle prestazioni concernenti i diritti
civili e sociali”. Si tratta di una clausola
generale che, di fatto, può restringere
notevolmente lo spazio operativo delle
regioni e frenare le fughe in avanti che
esse non rinunciano a fare rivendicando
autonomia sempre maggiore.
In questo quadro teorico e in questo sfondo
operativo sta la questione dei beni
paesistici, questione da sempre spinosa per
la complessità insita nella natura stessa di
tali beni e per gli interessi coinvolti:
semplificando, da un lato l’interesse
nazionale alla tutela e alla conservazione
del paesaggio in tutte le sue forme, e non
soltanto di quelle di particolare bellezza,
dall’altro il diritto delle comunità locali
a determinare i modi d’uso e le scelte di
sviluppo del proprio territorio e
l’interesse dei privati all’utilizzo della
proprietà.
Va detto subito che la riforma lascia molte
incertezze per quanto attiene le materie
ambientale, urbanistica e paesistica, in
primo luogo perché introduce nuove nozioni.
Il testo dell’art. 117, al comma 2, lett.
s), attribuisce la competenza esclusiva allo
Stato nella “tutela dell’ambiente,
dell’ecosistema e dei beni culturali”; al
comma 3 affida alle regioni la competenza
concorrente nelle materie della
“valorizzazione dei beni culturali e
ambientali, della tutela della salute, del
governo del territorio, della protezione
civile ….”. Per la prima volta compaiono
nella Costituzione i termini ambiente,
ecosistema, beni culturali,
beni ambientali, governo del
territorio, mentre scompare il termine
urbanistica. L’ambiente trova
finalmente riconoscimento in una norma di
livello costituzionale che ne evidenzia il
carattere complesso e multiforme, peraltro
difficilmente riconducibile per la sua
trasversalità alla catalogazione come
materia. Nel testo non si trova il termine
beni paesistici, né paesaggio
rimasto, invece, nell’art. 9 quale valore
fondante affidato alla Repubblica che, con
le sue istituzioni, ne deve assicurare la
tutela.
Il primo problema che si pone è, quindi,
quello di definire le diverse nozioni, di
individuare le materie e i loro confini, di
stabilire il riparto delle competenze. La
dottrina giuridica, già molto ampia sui
filoni dei beni culturali e ambientali, dopo
la riforma si è arricchita di ulteriori
importanti studi: vi si ritrovano ipotesi
affatto diverse, tutte attendibili, alcune
delle quali portano a conclusioni
diametralmente opposte. La giurisprudenza è
ormai sufficientemente corposa, la prassi
amministrativa consolidata, così da
tracciare decise linee di orientamento.
Una prima interpretazione, la più diffusa in
dottrina, prevalente anche nei comportamenti
amministrativi statali e nei modelli
interpretativi della giurisprudenza1,
è quella che la tutela del paesaggio sia
inclusa nella più ampia tutela dell’ambiente
e, conseguentemente, di competenza esclusiva
dello Stato, mentre la valorizzazione del
paesaggio è demandata alle regioni. Questa
opzione ha il suo fondamento sull’assunto
che “la nozione di paesaggio, pur non
identificandosi con quella di ambiente, si
collega a questa come parte rispetto al
tutto. O meglio, che la tutela
paesaggistica, come quella ambientale o
urbanistica, possono riguardare sempre gli
stessi oggetti, ossia costituiscono forme di
tutela che realizzano, quanto alla sfera
degli interessi coinvolti e delle esigenze
relative al territorio, una endiadi
unitaria, ma diverse sono le finalità in
relazione alle quali uno stesso oggetto
viene riguardato; in questo contesto le
finalità paesistiche possono porsi come
differenziate rispetto a quelle ambientali,
ovvero come parzialmente ricomprese in esse”2.
In questa accezione la tutela del paesaggio
viene ad essere un interesse differenziato
che riguarda in particolare la forma del
paese, da perseguire in modo coordinato
e omogeneo su tutto il territorio nazionale
in relazione ai valori estetico-culturali
rinvenibili ed apprezzabili.
L’ipotesi è suffragata dall’attuale
normativa generale, il DLgs 490/1999, “Testo
unico delle disposizioni legislative in
materia di beni culturali e ambientali”, che
soltanto al Titolo II differenzia i beni
paesaggistici da quelli ambientali, per poi
riaccomunarli subito dopo, all’art. 138,
sotto il nome di beni ambientali, prevedendo
per entrambi forme di tutela per il loro
notevole interesse pubblico, incentrate sul
provvedimento amministrativo di vincolo
ex lege 1497/1939 (oggi art. 139 e
seguenti DLgs 490/1999), o nel vincolo
ope legis ex lege Galasso 431/1985 (oggi
art. 146 DLgs 490/1999). Allo Stato, come è
noto, è riservata la potestà di dichiarare
beni ed aree di notevole interesse pubblico,
di inibire o sospendere lavori che possano
incidere negativamente su beni meritevoli di
tutela, per quanto non ancora formalmente
riconosciuti come tali, di revocare i
provvedimenti autorizzativi regionali. Anche
la Corte costituzionale, per suo conto, ha
sempre riconosciuto la primarietà del valore
paesistico e della sua tutela, dichiarandola
“insuscettibile di subordinazione a
qualsiasi altro interesse pubblico e
privato” (sentenza 151/1986).
Secondo altre interpretazioni il paesaggio
rientrerebbe tra le materie residuali e,
quindi, di competenza esclusiva delle
regioni: infatti, così come il legislatore
ha indicato espressamente i beni culturali,
altrettanto avrebbe fatto per i beni
paesistici, qualora avesse voluto riservarne
la tutela allo Stato. A favore di questa
ipotesi vi sarebbe, ancora, il fatto che la
distinzione tra i due concetti, paesaggio e
ambiente, è sempre stata affermata
giuridicamente3 ed è ribadita
dalla distinzione esistente a livello
governativo della competenza ministeriale.
Il ragionamento, infine, appare in linea con
lo spirito della riforma Bassanini, volto ad
ampliare le competenze normative e
amministrative delle regioni.
|
1. soleluna, composizione
computerizzata di Nicola Vitolo
(2002) |
Un’ultima ricostruzione vede ricomprendere
il paesaggio nel governo del territorio,
nozione che viene ritenuta più estensiva di
quella di urbanistica o di assetto del
territorio di cui al Dpr 616/1977. Pur
ribadendo la distinzione ontologica tra
pianificazione urbanistica e pianificazione
paesistica, tra vincolo urbanistico e
vincolo paesistico, si sostiene che la
regolamentazione dell’aspetto morfologico
del territorio e delle sue interazioni con
gli interessi di carattere economico e
sociale sarebbe attratta, almeno nel nuovo
dettato legislativo costituzionale, nella
più generale nozione di governo del
territorio e, conseguentemente, nella
competenza regionale ripartita. Quest’ipotesi
salverebbe, come si suol dire, capra e
cavoli, da un lato riconoscendo
l’esigenza di principi generali statali per
assicurare un’efficace e omogenea tutela dei
valori estetico-culturali del territorio
nazionale e, dall’altro, affidando alle
regioni un più incisivo ruolo nel definire
norme di tutela coerenti con i diversi
contesti locali, con le finalità dello
sviluppo regionale e non soltanto una mera
delega di funzioni amministrative o di
valorizzazione.
In realtà i tre modelli interpretativi,
utili soltanto per una ricostruzione
schematica del sistema delle competenze,
sono insufficienti a delineare quanto potrà
avvenire realmente sul territorio in
applicazione della riforma. Molto dipenderà,
infatti, da come l’ordinamento evolverà,
sotto la spinta delle esigenze concrete,
verso un “regionalismo cooperativo”4,
dalla capacità che avranno le regioni di
appropriarsi di più ampi spazi di autonomia,
incidendo significativamente sul paesaggio
attraverso la disciplina delle materie loro
affidate (governo del territorio, grandi
reti di trasporto, agricoltura, caccia e
pesca), dall’efficacia con la quale sapranno
disciplinare la valorizzazione dei beni
culturali e ambientali e, soprattutto, dai
contenuti che lo Stato vorrà dare al livello
primario della normazione sostanziale. Tale
livello nazionale dovrebbe riguardare
essenzialmente i principi che devono
improntare la tutela e la conservazione dei
beni paesistici, le linee di indirizzo per
uniformare l’azione delle regioni per la
pianificazione paesistica, i punti
principali della normazione strumentale
dell’organizzazione e delle modalità di
svolgimento delle funzioni amministrative,
in particolare quelle relative ai
procedimenti per l’imposizione dei vincoli
sui beni e per il rilascio dei nulla osta.
Si può proporre un’ulteriore più convincente
argomentazione partendo dalla considerazione
che il paesaggio, valore
costituzionalmente protetto dall’art. 9
delle Disposizioni generali della
Costituzione, non è individuabile come
materia in senso tecnico dai contorni
definiti, bensì ha carattere di
trasversalità. La nozione di paesaggio non
si può limitare più ai soli aspetti
estetico-culturali, come talvolta si è
preteso riduttivamente di fare in passato,
ma ampliando la portata della nozione si può
condividere la definizione adottata dalla
Convenzione europea: “una parte di
territorio, così come è percepita dalle
popolazioni, il cui carattere deriva
dall’azione di fattori naturali e/o umani e
dalle loro interrelazioni”. Dalla concezione
monumentalistica che vedeva il paesaggio
come risultante di particolari porzioni di
territorio e sommatoria di beni culturali,
si passa alla consapevolezza dell’unitarietà
del paesaggio e dei suoi inscindibili legami
con i processi insediativi, con il senso
locale dei luoghi, con i fattori ambientali.
In questa accezione, ormai largamente
condivisa, perde di significato la visione
del paesaggio come materia giuridica a sé
stante ed anche la differenziazione tra
tutela e valorizzazione, mentre acquistano
importanza i principi della leale
collaborazione, del buon andamento
dell’azione amministrativa, della
sussidiarietà tra i livelli istituzionali e
della cooperazione di tutti i soggetti della
Repubblica, per raggiungere le finalità di
una gestione attiva del territorio,
improntata alla tutela degli interessi
paesistici, storico-culturali, ambientali5.
In tale modello di Stato pluralistico
nessuno dei soggetti può assumere un
comportamento di rigidità o di preminenza
ingiustificata, ma deve ricercarsi la
dimensione ottimale degli interessi pubblici
in gioco attraverso il quale si individua il
“livello territoriale esponenziale della
collettività”. Un modello flessibile
cooperativo, in sostituzione del vecchio
modello rigido della separazione
costituzionale delle competenze per materia.
In tale direzione potrebbe orientarsi il
nostro modello di tutela e gestione dei beni
paesistici. L’accordo raggiunto nell’aprile
2001, in sede di Conferenza permanente
Stato-regioni, ha riaffermato la necessità
di forme di collaborazione di tutti i
livelli istituzionali e le ha riferite nel
concreto alla redazione dei piani paesistici
previsti dal Testo unico, prevedendo anche
la necessaria “comparazione con gli altri
atti di programmazione e pianificazione” e
“misure di coordinamento con gli strumenti
nazionali e regionali di sviluppo
economico”. Pur mantenendosi la separatezza
dell’atto autorizzativo, rilasciato ai fini
della verifica di compatibilità paesistica
preliminarmente rispetto alla concessione
edilizia, e il potere statale di
annullamento, tuttavia dal testo
dell’accordo traspare una concezione dei
rapporti Stato-regioni meno verticistica e
più orientata a modelli di decentramento,
con il coinvolgimento e la
co-responsabilizzazione degli enti locali
nella formazione dei piani paesistici
riservati alle regioni e attraverso
eventuali sub-deleghe per i provvedimenti
autorizzatori6.
“La sovrapposizione di discipline, la
moltiplicazione di procedimenti,
l’affollamento dei soggetti
costituzionalmente competenti”, sia in senso
orizzontale nell’ambito ministeriale, che in
senso verticale, viene comunque avvertito,
ancora oggi, da studiosi autorevoli come
causa di confusione e di difficoltà
operative, tanto da auspicare una
sostanziale revisione dell’originaria
classificazione contenuta nella legge
1497/1939, come suggerito da Pierluigi
Mantini7. Egli propone di portare
i beni di cui alle lett. a) e b) dell’art.
139 del Testo unico tra i beni culturali di
interesse artistico e storico, i beni
paesaggistici (bellezze d’insiemi, belvedere
ecc.) tra i beni a tutela urbanistica,
mediante piani anche generali quali i piani
paesistici, attribuendo ad autorità
sovracomunali poteri di individuazione e
sostitutivi, infine assimilare le ex
bellezze naturali ai beni ambientali
naturali, passandole all’amministrazione
dell’ambiente e delle regioni.
Gli studi e le ricerche di taglio
urbanistico sul paesaggio hanno da tempo
messo in evidenza l’insufficienza dei
paradigmi della tradizione italiana di
tutela (istituto del vincolo, visione
estetico-storicistica, centralismo
amministrativo); più recentemente hanno
individuato nuove prospettive di
progettazione per il paesaggio e cercato
di tradurre in termini operativi,
adattandole al contesto italiano, i concetti
e le strategie definite dalla Convenzione
europea8.
|
2. pavone, composizione
computerizzata di Nicola Vitolo
(2002) |
Il quadro che si va delineando potrebbe
subire ulteriori cambiamenti qualora il
Parlamento approvasse il nuovo disegno di
legge costituzionale recentemente varato dal
Governo che, tra le ulteriori modifiche da
introdurre al Titolo V, prevede di abolire
la competenza legislativa concorrente, allo
scopo di tagliare il nodo dei conflitti di
attribuzione. Si assegnerebbero alla
competenza esclusiva statale “la tutela
dell’ambiente e dell’ecosistema, la tutela
dei beni culturali e la valorizzazione dei
beni culturali di interesse nazionale”,
mentre per quanto attiene la tutela del
paesaggio e la valorizzazione dei beni
culturali allo Stato verrebbero attribuite
le norme generali, di fatto reintroducendo
una sorta di competenza concorrente. In
questo nuovo riparto di competenze ai beni
paesistici verrebbe riconosciuto un
interesse del tutto differenziato rispetto
ai beni culturali e ambientali, potendo i
primi essere disciplinati da leggi regionali
che dovrebbero tutelare essenzialmente i
valori estetici, peculiari e riconoscibili
nei diversi contesti insediativi regionali,
mentre per i beni culturali e ambientali
verrebbe riaffermata l’esigenza di una
disciplina statale. Anche il nuovo testo
mantiene la dicotomia tra tutela e
valorizzazione, affidando quest’ultima alla
potestà esclusiva regionale. Il governo del
territorio, infine, passerebbe alla
competenza esclusiva regionale.
Le conseguenze che il processo di riforma,
una volta compiuto, potrebbe produrre sul
paesaggio sono oggi difficilmente
prevedibili e descrivibili. In linea
generale si può ipotizzare che lo
spostamento verso il livello regionale di
molte competenze legislative e verso il
livello degli enti locali della quasi
totalità dei compiti amministrativi produrrà
nel tempo un’ampia diversificazione sul
territorio nazionale delle forme di tutela,
del regime vincolistico, delle procedure e,
in ultima analisi, del concetto stesso di
paesaggio. Sarebbe assolutamente necessario
rivedere il testo unico per dare alla parte
normativa relativa al paesaggio carattere di
norma generale (cui dovrebbero riferirsi le
leggi regionali), a tutta la restante parte
carattere di norma esaustiva per la
disciplina della tutela di ambiente,
ecosistema, beni culturali e di norma
generale per la valorizzazione dei beni
culturali. Nel livello normativo statale del
tutto assente dovrebbe essere la
valorizzazione dei beni ambientali, così
come la disciplina urbanistica. Si verrebbe
a configurare la nozione di un territorio
quasi segmentato nelle sue componenti
ambientali, ecologiche, storico-culturali,
paesaggistiche e degli usi insediativi e
produttivi che verrebbero disciplinati da
leggi e soggetti diversificati. Non sembra
così potersi perseguire quella unitarietà
dei processi di governo del territorio
capace di assicurare efficaci e durevoli
forme di salvaguardia e contestualmente di
valorizzazione.
1
Consiglio di Stato, Sezione VI, Decisione n.
4561/2002, “… il nuovo Titolo V della Carta
fondamentale demanda la tutela
dell’ambiente allo Stato e la mera
valorizzazione alle regioni, con scelta
che potrebbe essere preludio di un ruolo più
incisivo dello Stato nella materia ...”.
2
Caravita B., Morrone A., L’ambiente e i
suoi confini: urbanistica, paesaggio,
sanità, biotecnologie, in Caravita B.
(2001), “Diritto dell’ambiente”, Il Mulino,
Bologna.
3
Per un’analisi storica dell’evoluzione della
nozione giuridica di paesaggio si vedano i
lavori della Commissione Franceschini
istituita con legge nel 1964, oltre le
classiche definizioni di Massimo Severo
Giannini, di Sandulli, di Predieri.
4
Questo modello di organizzazione della
tutela del paesaggio è proposto nel saggio:
Buonauro M. (2002), L’organizzazione
pubblica della tutela dei beni paesistici e
delle aree naturali protette: un possibile
modello di Stato pluralistico, in
Santaniello G., “Trattato di Diritto
amministrativo. I beni e le attività
culturali”, Vol. XXXIII, Cedam, Padova.
5
“Nel nuovo testo costituzionale i beni
culturali e ambientali vengono considerati
in un contesto omogeneo, in cui viene
fissata una distribuzione di competenze
fluida e diversa rispetto agli ordinari
canoni di ripartizione delle materie” così
Buonauro M. (2002), op. cit.
6
Il modello che si segue è quello dei
meccanismi cooperativi e di integrazione,
basato sulle intese, sui pareri, sul dovere
di mutua informazione, modello che intende
perseguire un equilibrio innovativo tra
garanzia ed efficienza dell’azione
amministrativa: la programmazione e la
predisposizione degli obiettivi fondamentali
viene affidato ad organismi a struttura
mista, mediante forme di raccordo e di
codecisione; la perdita dell’esercizio
diretto da parte delle regioni di compiti di
interesse nazionale viene controbilanciata
dall’introduzione di strumenti di
collaborazione a carattere consensuale.
7
Mantini P. (2002), La tutela dei beni
paesistici, in Santaniello G., op.
cit.
8
Si veda in particolare la ricerca della
Società Italiana degli Urbanisti per conto
del Ministero per i beni e le attività
culturali, pubblicati nel volume: Clementi
A. (2002), Interpretazioni di paesaggio,
Meltemi, Roma.
Bibliografia
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urbanistica e governo del territorio,
Cedam, Padova.
AA.VV. (2001), Problemi di federalismo,
Giuffrè, Milano.
Bin R. (2001), Le potestà legislative
regionali dalla Bassanini ad oggi, in
“Le Regioni”, n. 4.
Bin R. (2002), Il nuovo Titolo V: cinque
interrogativi su sussidiarietà e funzioni
amministrative, in “Forum di Quaderni
Costituzionali”, 2.1.2002.
Caravita B. (1994), Stato, Regioni ed
Enti locali nelle politiche di gestione
dell'ambiente: i problemi del raccordo di
competenze, in Riv. Giur. Amb., n. 359.
Caravita B. (2001), Diritto dell’ambiente,
Il Mulino, Bologna.
Giannini M. S. (1976), I beni culturali,
in “Rtdp”.
Mantini P. (2002), La tutela dei beni
paesistici, in Santaniello G., “Trattato
di Diritto amministrativo. I beni e le
attività culturali”, Vol. XXXIII, Cedam,
Padova.
Predieri A. (1981), Paesaggio, in
“Enciclopedia del diritto”, Vol. XXXI,
Giuffrè, Milano.
Sandulli A. M. (1989), Diritto
amministrativo, Jovene, Napoli.
Sandulli A. M. (1990), Scritti giuridici,
Vol. IV, “Diritto Urbanistico”, Jovene,
Napoli.
Sito internet:
www.federalismi.it
1. soleluna, composizione
computerizzata di Nicola Vitolo (2002)
2. pavone, composizione
computerizzata di Nicola Vitolo (2002) |