Uno dei quattro temi posti ad oggetto dei
lavori della scorsa Conferenza nazionale del
territorio1 riguardava il nesso
tra territorio e infrastrutture e, in
particolare, la possibilità di programmare e
realizzare progetti di infrastrutture
adeguati al nuovo contesto globale nel quale
l’Italia si trova ad operare (gli altri tre
erano: nuove regole, coesione e
competitività, territorio e produzione).
L’attuale governo ha in programma
l’accelerazione dei tempi e la
riformulazione delle regole del gioco
relativi alla produzione di grandi
infrastrutture, che hanno in parte trovato
discussa traduzione nella legge Obiettivo;
in una ancora incompleta elaborazione sulla
regolazione degli appalti (e, in
particolare, sulla figura del general
contractor); e in alcune iniziative
parlamentari di riforma generale del
governo del territorio.
Viceversa, fa parte della storia recente
della Dicoter - coadiuvata da una parte
della cultura urbanistica italiana,
significativamente rappresentata alla
Conferenza - l’elaborazione della nozione di
progetti di territorio, un policy
concept già parzialmente strutturato
dalle esperienze innovative sperimentate sia
al centro che nelle regioni (Programmi di
riqualificazione, Prusst, Urban).
Non sfuggirà a nessuno la distanza, nel
respiro ideologico e programmatico, di
questi due orientamenti: in particolare, per
quanto attiene al giudizio - politicamente
diverso - sulla variabile accelerazione dei
tempi, il governo sembra porla al centro,
mentre è esplicitamente una variabile
dipendente nel secondo. Ed è altrettanto
evidente che la Conferenza non poteva avere
il ruolo di spostare o di conciliare delle
scelte di diverso - non necessariamente
opposto, né contraddittorio - orientamento
politico e tecnico.
Casomai, un confronto come quello ottenuto
dalla Conferenza permette - a chi voglia
cogliere l’occasione - di approfondire le
ricadute pratiche e operative dei rispettivi
quadri interpretativi e, in qualche misura,
di metterne alla prova la bontà. In
particolare, è significativo - come sempre -
contrastare le posizioni dei decisori locali
(tradizionalmente interessati ai tempi) e
quelle offerte dagli esperti (più inclini a
considerare la qualità complessiva).
Una Conferenza in equilibrio
Per esempio, la relazione su questo tema di
Pier Carlo Palermo ha evidenziato che le
priorità infrastrutturali, certamente
diverse, non possono costituire una linea di
demarcazione insormontabile in un paese
caratterizzato da deficit pregressi marcati.
Invece, sono presenti dei problemi comuni
che - a seconda di come vengono declinati -
possono ricevere risposte più o meno
soddisfacenti, con differenze non banali.
Secondo questa impostazione, il problema
della maggior efficacia va affrontato senza
la pretesa di operare un’eccessiva
semplificazione: occorre cioè tenere insieme
la finalità di semplificare le procedure
senza tralasciare gli obiettivi di elevare
la qualità del progetto, di aumentare la
capacità di programmazione, di approfondire
nel modo congruo i modelli di governance
locale, di coordinamento e di sussidiarietà.
In questa ispirazione la preoccupazione
principale è l’inserimento delle
infrastrutture nel contesto territoriale;
quindi, l’enfasi viene posta sul progetto
di territorio, ovvero sullo strumento o
la sede dove si opera l’esplorazione delle
interdipendenze tra dimensioni fisiche,
giudizi qualitativi, configurazione
politico-istituzionale e investimento
pubblico. E non a caso la Conferenza
aspirava, fin dal titolo, a portare in
Europa l’esperienza italiana e a riformulare
gli strumenti italiani alla luce delle
esperienze europee (l’intervento finale di
Giuliano Amato, vicepresidente della
Convenzione europea, ha ripreso questi
temi).
Anzi, la relazione d’apertura di Alberto
Clementi identificava nella capacità di
attivare i contesti locali l’elemento di
innovazione che distingue i progetti di
territorio dalla tradizionale valutazione di
fattibilità e di funzionalità settoriale.
Inoltre, indicava nei corridoi
infrastrutturali europei un possibile
oggetto di sperimentazione di scala
sovranazionale (il collegamento
Lione-Trieste riassume bene le criticità
tecniche e geopolitiche dei progetti di
territorio).
La centralità del progetto di
territorio, così come qui inteso, è esaltata
dalla congiuntura politica (un tema che è
stato parzialmente ripreso da altre sessioni
della Conferenza). L’organizzazione
territoriale è stata assunta dalle politiche
europee come un’unica grande variabile
tecnologica. Il territorio europeo -
nonostante tutte le investiture di
significato e di speranza, ivi
incluse quelle coltivate nella dizione di
progetti di territorio - non ha un contenuto
semantico denso2: la dimensione
territoriale è stata investita
strumentalmente dalla politica comunitaria,
quando poteva risultare utile a contemperare
le differenze politiche e geografiche del
continente.
Ciò nonostante, alcuni contenuti sono
trapelati nella formazione della agenda
politica: per esempio, la Commissione aveva
evidenziato la convinzione che la rete
urbana fosse la dinamo dei processi
di sviluppo già nel momento in cui aveva
preso in esame la problematica urbana
(1997). Investire sul territorio, sulla
città e sulle reti, comportava
necessariamente delle forti ricadute sul
modello economico complessivo e sulle
corrispondenti scelte politiche. Tale
riflessione si è tradotta in conseguenze
operative più consistenti quando ha trattato
le reti di trasporto, da un lato; e il tema
della sussidiarietà e della governance
locale, dall’altro.
Forse non si sottolinea a sufficienza che -
come concordano gli osservatori - le città
continueranno a concentrare la crescita e
gli investimenti, sia qui che al di là
dell’Atlantico. Da come lo faranno,
dipenderà non solo la qualità della vita
urbana, non solo l’efficienza della rete
infrastrutturale complessiva, l’uso del
suolo e la qualità delle regioni
circostanti, ma anche l’efficienza e la
competitività delle economie.
Le scelte in materia tecnologica e di
sviluppo delle città dei due continenti più
avanzati sono in grande misura la trama
della loro costituzione materiale. Sono
parte della vision del futuro sia
dell’Europa che degli Usa. Se si consente la
semplificazione, costruire oggi più
autostrade (e condizionatori d’aria) vuol
dire la possibilità in futuro di maggiori
conflitti con i paesi petroliferi: altre
scelte di sviluppo implicano, invece,
diverse collocazioni anche nello scacchiere
geo-politico. Da questo punto di vista, la
Conferenza ha preso atto di un problema, più
che raggiungere un punto di arrivo. Il
problema è il seguente: sostenere la
competitività del paese passa per uno
snellimento procedurale che però è
strumentale e non un fine in sé, e viceversa
non contiene indicazioni di merito; ma
richiede apparentemente anche dei
progetti di territorio, modalità di
azione ancora vaghe e per definizione
complesse e prive peraltro di ancoraggio
procedurale e metodologico. Insomma, una
riflessione in equilibrio che ha
probabilmente fatto avanzare la comprensione
reciproca ma che per il momento non ha
risolto le divergenze di prospettiva.
La riflessione comunitaria
Tradurre questi elementi in programma per
l’Europa richiederebbe una forte volontà
politica, che al momento sembra mancare, e
numerosi passaggi ulteriori. Va detto, però,
che un corollario del progetto di
territorio, che ha qualche attinenza con la
riflessione europea, riguarda la nozione di
impatto territoriale, attualmente
allo studio della Commissione. Forse la
definizione concettuale degli impatti
territoriali è un terreno sul quale la
ricerca e l’innovazione fin qui esperite
possono offrire un contributo propositivo
nel contesto europeo. Una posizione
culturale incisiva e anticipatrice potrebbe,
quindi, creare quei circoli positivi tra
Roma e Bruxelles che già in altre occasioni
hanno contribuito a superare l’impasse.
Nelle più recenti indagini della Commissione
(Espon 2002), si cerca di esplicitare e
formalizzare l’elemento di valutazione
territoriale delle politiche e dei
programmi. Uno dei motivi è proprio il
rafforzamento del carattere integrato dei
progetti di sviluppo locale. Questa
operazione è stata svolta con una certa
evidenza e comunicabilità a livello di macro
regioni e alla scala del continente. Nel
processo di allargamento dell’Unione
europea, per esempio, o nella valutazione
delle politiche di integrazione del mercato
comune, una specifica dimensione
territoriale appare evidente nei termini
della differenziazione regionale (la
varianza locale della disoccupazione, per
esempio) e della identità organizzativa a
base territoriale (cluster, distretti,
sistemi locali, ecc.).
Con qualche difficoltà in più il processo di
valutazione territoriale viene esteso ad
ambiti insediativi meno vasti, come analisi
degli effetti delle strategie di sviluppo di
un territorio o di un ambito locale. Viene
meno, in questo secondo caso, l’elemento
della differenziazione territoriale e,
quindi, l’aspetto comparativo, e risulta più
a fuoco l’aspetto di indagine sul
cambiamento strutturale (e sulla
endo-generazione delle alternative di
sviluppo).
Le valutazioni territoriali riguardano gli
effetti delle iniziative di sviluppo sull’assetto
territoriale (oggetto dello sviluppo
spaziale nel gergo europeo) o sulla
struttura regionale degli insediamenti.
Questa valutazione è parte integrante della
più vasta funzione della pianificazione
territoriale. Anzi, apparentemente, non ci
sarebbero distinzioni di sostanza e di
funzione tra valutazione degli impatti
territoriali e pianificazione territoriale
o, come qui sostenuto, tra impatti e
progetti di territorio. Il fine ultimo della
valutazione degli impatti territoriali è,
infatti, la coerenza tra le diverse
iniziative - di tutela e sviluppo - che
prendono luogo o esprimono i loro effetti su
un medesimo territorio. Per esempio, nel
quadro federale tedesco è prevista una
procedura seguita dalle autorità regionali e
locali per la valutazione dei grandi
progetti; strumenti analoghi esistono nelle
legislazioni portoghesi, finlandesi (Esprin
2000). Tali procedure assicurano appunto la
messa a sistema, l’analisi delle
interferenze tra grandi progetti e il
contesto territoriale che li accoglie. È
implicita in questa definizione la
convinzione che il contesto territoriale
comprende altri progetti e altri livelli di
decisione, altri vincoli e preoccupazioni
legittime, altre temporalità e valori di
riferimento.
La funzione dell’analisi di impatto
territoriale è dunque di integrare
aspetti diversi delle valutazioni di
impatto, nella misura in cui è possibile
renderli coerenti e funzionali ad una
analisi cumulativa di performance.
L’analogia tra territorio e politica
La nozione di impatto svolge un efficace
ruolo nella valutazione ambientale3,
mentre non può che essere uno degli elementi
- insieme alla fattibilità economica e alla
configurazione del sistema di relazioni (Mascarucci
2000) - della valutazione territoriale; in
particolare, il riferimento al territorio fa
prevalere l’attenzione sugli effetti
secondari e indiretti, aspetti al contrario
costitutivi da porre al centro di quella
densa rete di relazioni che costituisce la
materia del territorio.
Rispetto ad alte forme di valutazione -
economiche ed ambientali - si presenta,
dunque, una possibile e utile distinzione di
metodo e riferimenti.
Le differenze con le valutazioni economiche
sono evidenti: al di là delle
caratteristiche di redditività del singolo
progetto, quello del territorio sposta
l’attenzione sugli effetti combinati di
azioni e iniziative diverse operate da
soggetti diversi, per definizione
mutualmente interagenti con esiti
complessivi variabili.
La finalità è differente anche rispetto alla
valutazione ambientale, quella dei progetti
come quella di ordine strategico, anche se
le sovrapposizioni sono più evidenti almeno
in questo ultimo caso. Queste ultime,
infatti, insistono sulle relazioni tra
iniziative e sistema ambientale, più
facilmente misurabili quanto meno estesa è
la definizione di ambiente adottata. Questa
semplificazione può rivelarsi utile e
possibile nel caso della valutazione di
singoli progetti (come è stato il caso della
valutazione di impatto ambientale finora).
Si rivela meno utile o indeterminata
(giudizio quest’ultimo suscettibile di ampia
discussione) nel caso della valutazioni di
programmi e politiche.
In definitiva, valutazioni territoriali sono
sempre presenti nell’agire delle politiche e
nella formazione dei programmi, talvolta in
modo implicito. Pur essendo una dimensione
costitutiva, però, non sono l’elemento
decisivo nella scelta tra alternative
(perché logicamente e concettualmente
dipendenti da altre dimensioni di valore); e
comunque sono meno facilmente formalizzabile
all’interno del processo di scelta (perché è
parte dello stesso processo di
integrazione).
In ultima istanza, la nozione di impatto
rimanda a quella dei valori guida dei piani
e, quindi, alla responsabilità politica di
scelta tra obiettivi in conflitto: è la
dimensione - inevitabilmente progettuale
- che la Conferenza di Caserta ha distillato
dalle esperienze innovative degli ultimi
dieci anni.
Quattro i per concludere
In sintesi, la riflessione in corso in
Europa tende a far emergere, con la nozione
di impatto, un aspetto diverso da quello
delle valutazioni tradizionali. Il carattere
inevitabilmente politico di queste decisioni
(poco sistemico e poco naturalistico) le
avvicina molto alle riflessioni sul progetto
di territorio. È chiaro, infatti, che la
valutazione di impatto territoriale non è
un’area distinta e circoscritta dal processo
di decisione collettiva sulle trasformazioni
del territorio. È piuttosto il quadro
valoriale di riferimento dei programmi che
abbiano come requisito preliminare
l’insistenza sul territorio e il carattere
integrato delle iniziative. In altre parole,
la valutazione delle interdipendenze tra un
programma costituito da panieri di
iniziative e della suscettibilità di
valorizzare (o al contrario mitigare) gli
effetti di azioni interdipendenti, rinvia
comunque ad una prospettiva a carattere
territoriale.
Incertezza,
interdipendenza, integrazione
(sfondo strategico) e identità sono
le componenti della dimensione territoriale
che interferiscono con il quadro valutativo
tradizionale e che sono, invece, messe a
fuoco dal progetto di territorio.
Questo può essere giustificato per una serie
di motivi, che richiamiamo brevemente in
conclusione:
- l’incidenza specificatamente
territoriale dell’incertezza sulla
fattibilità: in altre parole, il
carattere cruciale dei fattori ambientali
locali incide sull’efficacia e la
realizzabilità delle iniziative; influenza
incisivamente i costi; condiziona il
consenso (i due elementi sono tra loro
legati); quasi tutti i casi di
trasformazioni ambientalmente significative
- fin dalla sindrome nimby –
evidenziano l’aspetto territoriale della
questione ambientale (Zeppetella 1996);
- l’interdipendenza delle iniziative:
il carattere del contesto territoriale
è un elemento condizionante, in particolare
nel caso di prossimità, coincidenza,
concomitanza delle iniziative; è il caso di
tutti i programmi complessi, nei quali è
difficile distinguere tra gli effetti delle
misure e le interazioni (a volte
controintuitive) tra i diversi fattori; come
evidenziano studi su ambiti più vasti (vedi
il caso della riunificazione tedesca), gli
impatti territoriali possono risultare
positivi o negativi a seconda della
combinazione di fattori, spesso per giunta
dipendenti dalla intenzionalità politica (e
dalla formulazione delle strategie e,
quindi, dal gioco aperto delle dinamiche
collettive);
- incertezza e interdipendenza possono
essere trattate da un quadro
strategico di sfondo che integri
le scelte spaziali e renda coerenti
le iniziative del programma di sviluppo, non
solo con i fattori interni all’orizzonte del
programma (risorse, attori, effetti) ma
anche con altri programmi (variegati:
vincoli sovraordinati ambientali e
urbanistici, programmi di altre
amministrazioni, iniziative di altri
soggetti pubblici e privati); questo aspetto
è ben messo in evidenza dalla
regionalizzazione in corso della
programmazione territoriale in Gran
Bretagna, dove la pratica dell’integrazione
è correttamente intesa come il risultato di
un processo piuttosto che come una
caratteristica data;
- più in generale, infine, la configurazione
di fattori ambientali, popolazione di
iniziative, corsi di azioni assumono la
forma di precise identità territoriali,
che tra l’altro sono alla base
dell’identificazione di scenari evolutivi e
di strategie territorialmente orientate
(come nell’esempio dello schema spaziale
europeo e della sua pur parziale ripresa in
alcune delle macroregioni europee).
Il dibattito che ha avuto luogo a Caserta è
certamente significativo ed è potenzialmente
incisivo sulla qualità della riflessione in
corso in Europa. Sembra anche possibile
concludere che la posizione e l’esperienza
italiana possano contribuire a sostenere
orientamenti fertili presenti nel dibattito
comunitario.
1
La seconda Conferenza - “Lo sviluppo
sostenibile del territorio nella prospettiva
europea” - si è svolta a Caserta dal 12 al
14 giugno 2003. La prima Conferenza,
tenutasi a Genova nel 2001, aveva affrontato
un vasto confronto con operatori e soggetti
della domanda di trasformazione del
territorio (cfr. M. Cremaschi et al., 2002).
Il clima era influenzato dalla recente
predisposizione del Piano trasporti. Tra le
due Conferenze si è registrata - come è noto
- una forte discontinuità politica.
Apparentemente, tra gli indirizzi dei
governi di oggi e di allora si registra una
forte differenza proprio in materia di
ambiente, territorio, opere pubbliche. In
termini di realizzazioni, le differenze
appaiono meno marcate, per lo meno finora.
2
L’Unione europea ha sviluppato una specifica
attenzione per lo spatial development:
il neologismo individua, nelle politiche di
sviluppo territoriale, un fattore critico di
successo. Da tempo, quindi, è in atto una
riflessione sulla territorializzazione
dello sviluppo e, in particolare, sugli
effetti spaziali dei fondi regionali. Questa
preoccupazione trova ulteriore motivo di
interesse con la prospettiva dell’estensione
dell’Unione e, quindi, di una
ristrutturazione radicale dei fondi
strutturali. L’enfasi sulla città nel
linguaggio europeo è uno dei modi per
sostenere la dimensione territoriale contro
quella puramente economica.
Sull’avvicinamento di queste diverse
esperienze rinvio a Cremaschi (2003).
3
Per una serie di motivi, è difficile
enunciare con rigore che all’azione a
corrisponda l’effetto territoriale z.
Come evidenzia la letteratura, alcuni
effetti sono incerti, numerosi sono
verificabili solo come accumulo di molte
azioni, in generale retroazioni alterano i
rapporti tra azioni e effetti. Al contrario,
è proprio il carattere costruttivo
del progetto che individua il tessuto
stabile del sistema di retroazioni nel quale
si individua, in definitiva, la prospettiva
del territorio.
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Spatial Development, 1st Interim Report
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