Nell’ambito di uno stesso territorio operano
una pluralità di enti, ciascuno con
specifiche competenze ed azioni di
regolazione, di tutela, di sviluppo, di
realizzazione di interventi che influiscono
sulla trasformazione del territorio stesso.
Si pensi ad enti quali le regioni, le
province e i comuni che esercitano
competenze di governo globale, ovvero a
quelli quali enti parco, autorità di bacino,
consorzi per aree di sviluppo industriale
che regolano, invece, il territorio in modo
settoriale, ovvero anche ad enti quali i
consorzi di bonifica, l’Anas, le ferrovie,
le soprintendenze, i presidi militari che
pure influiscono sulla trasformazione del
territorio con specifiche azioni di tutela o
con realizzazioni di opere infrastrutturali.
Sempre più spesso accade che un ente ignori
i programmi dell’altro e che il sovrapporsi
di poteri e competenze determini confusione
e conflittualità.
In tal modo finiscono col perdere di
efficacia le azioni di governo e di tutela
del territorio e ne viene compromesso
l’ordinato sviluppo. I processi
pianificatori, infatti, il più delle volte
si arrestano e la programmazione viene
snaturata con il ricorso a soluzioni di
compromesso assunte a posteriori.
Questi i motivi che mi inducono a precisare
gli ambiti, le gerarchie e le competenze
secondo cui tali poteri agiscono e
interagiscono, passando in rassegna le
principali leggi in materia di ambiente, con
particolare riguardo a quelle che si
riflettono più direttamente sulla
pianificazione urbanistica e territoriale.
Per dare concretezza alla trattazione
riferirò, a titolo di esempio, alcuni
casi della Regione Campania.
È noto che le competenze in materia di
ambiente sono state innovate dalle modifiche
al Titolo V della Costituzione introdotte
dalla legge costituzionale 3/2002.
Nel testo costituzionale è sancito che la
legislazione in materia di tutela
dell’ambiente, dell’ecosistema e dei beni
culturali è di competenza esclusiva
dello Stato, mentre quella per la
valorizzazione dei beni culturali e
ambientali è affidata in modo
concorrente alle regioni, salvo che per
la determinazione dei principi fondamentali,
riservata alla legislazione dello Stato.
In attesa di principi generali e/o di
ulteriori modifiche costituzionali, di cui
si parla con sempre maggior insistenza, non
resta che riferirsi all’attuale quadro
normativo.
La pianificazione territoriale - legge
1150/1942
Come è noto la legge urbanistica del nostro
ordinamento è la legge 17 agosto 1942, n.
1150 che ha subito nel tempo diverse
modificazioni ed integrazioni.
Essa prevede diversi strumenti di
pianificazione, caratterizzati da una
struttura a cascata, nel senso che
ogni tipo di piano deve essere coerente con
quello ad esso sovraordinato, secondo una
progressione verticale.
All’inizio della cascata l’art. 5
della legge (nella versione del 1942) poneva
il piano territoriale di coordinamento
(Ptc), con il quale il Ministero dei lavori
pubblici aveva la facoltà di orientare e
coordinare l’attività urbanistica da
svolgere in determinate zone del territorio
nazionale. Per effetto dell’introduzione
dell’ordinamento regionale e del Dpr 15
gennaio 1972, n. 8, la competenza per la
formazione e l’approvazione dei piani
territoriali di coordinamento è stata
trasferita alle regioni. Tuttavia, a partire
dal 1990 la legge 8 giugno 1990, n. 142 ha
assegnato alle regioni il compito di fissare
gli obiettivi generali della programmazione
economico-sociale e territoriale (art. 3),
ed alle province i compiti di formazione del
Ptc (art. 15). Le disposizioni dell’art. 3 e
dell’art. 15 della legge 142/1990 sono state
trasfuse nel Testo unico sugli enti locali,
approvato con DLgs 267/2000.
La tutela del patrimonio naturale, agricolo,
forestale e storico-artistico nella
pianificazione territoriale
Anche la legislazione ambientale ha subito
nel tempo una notevole evoluzione. La
performance degli impianti normativi ha
seguito quella dei movimenti del pensiero in
materia: i fenomeni di antropizzazione
spinta del territorio e il mutamento dei
costumi della società hanno fatto acquisire
la consapevolezza della limitatezza delle
risorse naturali. Di qui la nascita del
concetto di ambiente, inteso come
l’insieme dei fattori fisici, chimici,
biologici e sociali che esercitano una
influenza apprezzabile sulla salute e il
benessere degli individui e delle
collettività1.
La legge 1497/1939 - I piani paesistici
Le prime norme in materia di tutela
ambientale - introdotte nell’ordinamento
italiano ancor prima della nascita della
Repubblica - furono quelle della legge 29
giugno 1939, n. 14972.
In essa, tuttavia, più che all’ambiente
inteso nella moderna accezione, si faceva
riferimento alle bellezze naturali e
panoramiche, considerate come quadri,
ancorando, quindi, ad elementi meramente
estetici i criteri che ne ispiravano la
tutela.
All’art. 5, infatti, per le aree incluse
nell’elenco dei beni vincolati, la legge
1497/1939 prevedeva la facoltà, da parte del
Ministero per l’educazione nazionale3,
di disporre la redazione di piani
paesistici, con il compito di definire i
parametri edilizi delle costruzioni, le zone
di rispetto, le istruzioni per la scelta e
la varia distribuzione della flora4.
La tutela del paesaggio e del patrimonio
artistico fu poi radicata tra i principi
della Repubblica italiana essendo stata
espressamente enunciata all’art. 9 della
nostra Carta Costituzionale.
Con il Dpr 15 gennaio 1972, n. 8, le
funzioni amministrative inerenti la
redazione dei piani paesistici furono
trasferite alle regioni a statuto ordinario
(art. 1, ultimo comma).
Con il Dpr 24 luglio 1977, n. 616, fu
affidata alle regioni anche la
regolamentazione in materia di beni
culturali ed ambientali5.
Ma ormai il dibattito sui temi ambientali si
andava diffondendo nel paese; in particolare
emergeva con forza la necessità di
considerare la tutela ambientale, intesa
come tutela del patrimonio naturale,
agricolo, forestale, storico-artistico,
parte integrante della pianificazione
territoriale ed urbanistica.
La legge 349/1986 - Istituzione del
Ministero dell’ambiente
Negli anni ‘80 la società italiana ha ormai
preso coscienza della necessità di tutelare
acqua, aria, terra quali beni da tramandare
alle generazioni future.
L’ambiente e l’ecologia diventano materie
autonome. Si giunge all’istituzione del
Ministero dell’ambiente con la legge 8
luglio 1986, n. 349.
Fatto singolare - tuttavia - è l’assenza
nell’articolato della legge della
definizione giuridica di ambiente.
La legge 431/1985 - Piani paesistici e piani
territoriali di coordinamento
Negli stessi anni in cui forte si avvertiva
la necessità di tutelare le risorse ed il
territorio per tramandarle alle generazioni
future veniva approvata la legge 8 agosto
1985, n. 431, meglio nota come legge
Galasso. Venivano definite alcune
categorie di beni sottoposti a vincolo
direttamente dalla legge e per i quali non
necessitava il pronunciamento delle autorità
amministrative preposte e, al tempo stesso,
si conferiva nuovo vigore ai piani
territoriali paesistici (Ptp) già
introdotti dalla legge 1497/1939, rendendone
obbligatoria la redazione nelle parti
del territorio nazionale riconosciute di
particolare interesse pubblico per gli
aspetti paesaggistici e naturalistici dalla
legge stessa e dai cosiddetti galassini
(decreti emessi dal Ministro Galasso tra il
1984 ed il 1985 per tutelare particolari
zone territoriali in attesa della riforma
introdotta con la legge 431/1985).
La normativa introdotta con la legge Galasso,
ad oltre mezzo secolo da quella precedente,
rifletteva il profondo mutamento avvenuto
nel panorama culturale italiano in ordine
all’oggetto dei beni da tutelare ed al
concetto stesso di tutela.
Infatti, mentre i piani paesistici della
legge del 1939 erano finalizzati ad impedire
che le aree tutelate fossero utilizzate in
modo pregiudizievole per la bellezza
panoramica, quelli della legge 431/1985
“debbono sottoporre a specifica disciplina
d’uso e di valorizzazione ambientale il
relativo territorio”.
Non più semplice visione estetizzante,
quindi, ma tutela attiva.
In sede di conversione nella legge 431/1985
del decreto 312/1985, fu prevista per le
regioni la possibilità di fare ricorso - in
alternativa al piano paesistico ex lege
1497/1939 - ad uno strumento che avesse
maggiori caratteri di pianificazione
territoriale, piuttosto che di sola tutela.
Tale strumento venne definito “piano
territoriale con specifici valori paesistici
ed ambientali”, estesi ad ambiti più vasti
anche comprendenti beni non vincolati.
Si tratta, come si vede, di uno strumento
che appare preferibile al Ptp di cui alla
legge del 1939, per una serie di ragioni.
Il Ptc ha una portata più ampia, sia in
ordine ai contenuti che all’ambito
territoriale cui è diretto; può travalicare
gli ambiti spaziali sottoposti a vincolo e
configurarsi come un vero e proprio
strumento di pianificazione, assumendo le
caratteristiche e gli effetti giuridici del
Ptc di cui all’art. 5 della legge
urbanistica 1150/1939, con spiccato
orientamento alla tutela di beni paesistici
ed ambientali.
La Regione Campania, pur potendo redigere
diversi Ptc, si è limitata al piano
urbanistico territoriale (Put) della
penisola sorrentino-amalfitana, approvato
con la Lr 27 giugno 1987, n. 35.
I comuni inclusi nel piano hanno l’obbligo
di uniformare i propri strumenti urbanistici
alle norme ed alle direttive del Put che
hanno carattere vincolante, come previsto
dall’art. 3, comma 2 della citata Lr
35/1987.
Per la redazione dei Ptp, divenuti
obbligatori per le aree vincolate dai
cosiddetti galassini, ai sensi
dell’art. 1 quinquies della legge 431/1985,
e che nell’insieme costituivano circa il 13%
del territorio regionale (oltre 1900 Kmq),
la Regione Campania incaricò nel 1990 la
società Infratecna.
La ditta, tuttavia, non riuscì a portare a
termine l’incarico, anche a causa di alterne
vicende giudiziarie, per cui nel 1995, il
Ministero dei beni culturali si sostituì
alla Regione Campania attivando il potere di
surroga previsto dall’art. 2 della legge
431/1985.
Furono, così, redatti dalla Soprintendenza i
Ptp dei Campi Flegrei, del Vesuvio, del
Cilento costiero, del Cilento interno, del
Terminio Cervialto, del Taburno, del Matese
e del Litorale Domitio.
Tali piani - come è noto - non hanno avuto
vita facile per i numerosi ricorsi
instaurati davanti alle diverse sezioni del
Tribunale amministrativo della Campania
conclusi con l’annullamento di alcuni piani
per vizi procedurali. Ma ogni volta il
Ministero - corrette in parte le procedure -
ha riproposto gli stessi piani, senza
apportarvi alcuna modifica.
I Ptp sono sovraordinati agli strumenti di
pianificazione urbanistica comunali ed ai
piani di settore, sia che questi ultimi
siano a scala regionale che provinciale6.
La prevalenza dei Ptp sugli altri strumenti
non era stata esplicitamente indicata dalla
legge 431/1985, ma era riconosciuta ed
affermata in dottrina ed in giurisprudenza
ed anche nella prassi amministrativa. Anche
la Corte costituzionale ne aveva
riconosciuto la superiorità gerarchica.
Solo nel 1999, con il riordino della materia
sui beni di interesse storico, artistico,
architettonico, culturale ed ambientale, da
parte del Governo su delega del Parlamento,
venne sancita con legge la prevalenza del
Ptp sugli altri strumenti urbanistici con il
comma 2 dell’art. 150 del DLgs 29 ottobre
1999, n. 490, recante “Testo unico delle
disposizioni legislative in materia di beni
culturali ed ambientali a norma dell’art. 1
della legge 8 ottobre 1997, n. 352”.
Il richiamato comma 2, infatti, testualmente
recita: “I Piani regolatori generali e gli
altri strumenti urbanistici si conformano,
secondo l’art. 5 della legge 17.8.1942, n.
1150 e le norme regionali, alle previsioni
dei Piani territoriali paesistici e dei
Piani urbanistici territoriali di cui
all’art. 149 …”.
La legge 183/1989 - I piani di bacino
La legge 18 maggio 1989, n. 183 recante
“Norme per il riassetto organizzativo e
funzionale della difesa del suolo” fu
emanata per “assicurare la difesa del suolo,
il risanamento delle acque e la gestione del
patrimonio idrico per gli usi di razionale
sviluppo economico e sociale, la tutela
degli aspetti ambientali ad essi connessi”7.
Il territorio nazionale veniva suddiviso in
bacini idrografici, disciplinati da un
ulteriore strumento di pianificazione, il
piano di bacino, da elaborarsi a cura delle
autorità di bacino, organismi previsti dalla
medesima legge.
L’art. 17 della legge 183/1989 attribuisce
al piano di bacino il valore di piano
territoriale di settore. Con il Dpr 18
luglio 1995 venivano approvati “criteri,
indirizzi, prescrizioni, norme ed interventi
finalizzati alla conservazione e gestione
delle risorse del bacino idrografico”.
Ai sensi del comma 5 del medesimo art. 17,
le disposizioni del piano di bacino
approvato hanno carattere immediatamente
vincolante per le amministrazioni ed enti
pubblici che, come è previsto dal successivo
comma 6, devono recepirne le previsioni nei
propri strumenti urbanistici.
Per quanto riguarda la nostra regione, nel
1990 è stata costituita l’autorità di bacino
dei fiumi Liri-Garigliano e Volturno, di
carattere nazionale. Tale autorità, oltre la
Campania, interessa le Regioni Abruzzo,
Molise e Lazio.
Sono state costituite anche tre autorità di
bacino di carattere interregionale, cioè
Sele, Ofanto e Fortore e quattro bacini
regionali (Nord occidentale, Sarno, Destra
Sele e Sinistra Sele), istituite nel 1998 ai
sensi della Lr 7 febbraio 1984, n. 8,
recante la normativa di attuazione della
legge 183/1989.
Con un certo ritardo rispetto ai tempi
previsti dalla legge 183/1989, le autorità
di bacino si sono dotate di piani
stralcio, di cui al Dl 13 maggio 1999,
n. 132, convertito con modifiche nella legge
13 luglio 1999, n. 226.
La legge 142/1990 (DLgs 267/2000)
Il Ptc
La ricostruzione storico giudica degli
strumenti di pianificazione territoriale ed
ambientale ci conduce alla legge 8 giugno
1990, n. 142, i cui principi sono trasfusi
nel Testo unico sugli enti locali, approvato
con DLgs 18 agosto 2000, n. 267.
La legge 142/1990 riconosce la necessità di
individuare un livello intermedio tra comuni
e regioni e rafforza il ruolo delle
province, affidando ad esse nuove competenze
in materia di pianificazione e di tutela del
territorio.
Infatti, il comma 2 dell’art. 20 dispone che
la provincia rediga il Ptc riferito,
ovviamente, al territorio provinciale.
Tale piano determina gli indirizzi generali
di assetto dei territorio tracciando un
quadro di riferimento per la politica
territoriale della provincia e dei comuni,
indicando “le diverse destinazioni del
territorio sulla base della prevalente
vocazione delle sue parti, la localizzazione
di massima delle maggiori infrastrutture e
delle principali vie di comunicazione, le
linee di intervento per la sistemazione
idrica, idrogeologica ed idraulico-forestale
ed in genere per il consolidamento del suolo
e la regimentazione delle acque, nonché le
aree in cui sia opportuno istituire parchi o
riserve naturali”.
Il DLgs 267/2000, nel riordinare la materia
sugli enti locali, ha stabilito che alla
redazione del piano provinciale concorrono i
comuni, con proposte da raccogliere e
coordinare, e le comunità montane il cui
piano socio-economico deve confluire nel
piano stesso.
Le norme statali innanzi richiamate devono
essere – tuttavia - integrate dalle
specifiche norme di competenza regionale che
devono disciplinare le procedure di
formazione e di redazione del Ptc.
La Regione Campania, pur riconoscendo la
necessità di dotarsi in tempi brevi di una
nuova legge urbanistica, non ha ancora
portato in aula il disegno di legge sul
governo del territorio, proposto dalla
Giunta regionale ormai da più di un anno per
cui i Ptc per i quali è conclusa la fase di
formazione - tra cui quello della Provincia
di Salerno - non possono di fatto conseguire
alcuna efficacia.
La legge 394/1991 - Il piano per il parco
Nello stesso arco temporale di approvazione
della legge 142/1990 e della legge 183/1989,
il Parlamento italiano ha approvato la legge
6 dicembre 1991, n. 394 - “Legge quadro
sulle aree protette”.
Questa legge è finalizzata, come recita
l’art. 1, a garantire la conservazione e la
valorizzazione del patrimonio naturale
protetto. La tutela degli elementi naturali
ed ambientali di pregio è perseguita
attraverso il piano per il parco,
predisposto dall’ente parco e adottato ed
approvato dalla regione.
Il piano per il parco deve prevedere
l’articolazione in zone del territorio ed il
relativo grado di trasformabilità, da
definirsi in base a specifiche analisi
intersettoriali tese ad individuare il
livello di protezione di ciascuna zona
compresa nel territorio protetto.
In Campania sono stati istituiti due parchi
nazionali: quello del Vesuvio e quello del
Cilento-Vallo di Diano, per una superficie
complessiva di circa 190.000 ettari.
Inoltre, in attuazione della Lr 1 settembre
1993, n. 33, sono state definite le
perimetrazioni provvisorie e le misure di
salvaguardia di sei parchi regionali e
quattro riserve naturali, per un totale di
circa 148.000 ettari.
Il piano per il parco non è un piano
aggiuntivo rispetto agli altri, ma “si
sostituisce” a quelli esistenti, ai piani
paesistici, territoriali o urbanistici e ad
ogni altro strumento di pianificazione. Il
piano per il parco può, quindi,
essere considerato il piano dei piani
(cfr. nota 6).
Gli enti dei Parchi nazionali istituiti in
Campania stanno completando l’iter di
approvazione dei rispettivi piani, pur tra
mille difficoltà: in primo luogo le aree
parco interessano ambiti territoriali molto
estesi, comprendenti zone notevolmente
antropizzate e caratterizzate da articolate
forme di sviluppo economico e da dinamiche
di trasformazione complesse e spesso
incontrollabili; in secondo luogo si tratta
di zone disciplinate da precedenti strumenti
di pianificazione, sia di ordine gerarchico
superiore che sottordinati, sui quali si
sono spesso innestati i programmi di
investimento speciali, quali Por, Pit
oppure quelli promossi da enti non
territoriali quali soprintendenze, ferrovie,
società autostrade, consorzi di bonifica,
ecc.
Inoltre il piano per il parco, come
tutti gli strumenti di pianificazione
previsti dal nostro sistema normativo, è
soggetto ad un iter di formazione e di
approvazione notevolmente lungo e
articolato. I tempi necessari al
completamento del procedimento di formazione
comportano, per il territorio interessato,
la stasi di qualsiasi attività edilizia in
conseguenza delle misure di salvaguardia.
Di qui gli atteggiamenti di diffidenza e, in
qualche caso, di contrapposizione delle
comunità locali nei confronti
dell’istituzione di aree protette con i
numerosi ricorsi alla giustizia
amministrativa che fanno dilatare
ulteriormente i tempi di entrata in vigore
dei piani a tal punto che essi, una volta
approvati, risultano di difficile attuazione
a causa delle trasformazioni che nel
frattempo il territorio ha subito.
Conclusioni
Come si è visto, ogni piano è ancorato ad
una specifica norma ed ha contenuti,
procedure e modalità di redazione e di
approvazione diversi e, dunque,
difficilmente coordinabili fra loro.
Tanto per fare un esempio, il Ptc deve
tenere conto, oltre che dei piani comunali
(piani regolatori e programmi di
fabbricazione), del piano territoriale di
coordinamento della penisola
sorrentino-amalfitana, relativamente al
territorio ricadente nell’ambito della
Provincia di Salerno, dei piani di bacino,
dei piani paesistici (cilento costiero,
cilento interno e dei monti picentini), del
piano delle aree di sviluppo industriale,
dei programmi pluriennali di sviluppo delle
comunità montane, dei piani dei parchi,
oltre che dei progetti e dei programmi delle
soprintendenze, dell’Anas, delle ferrovie e
così via.
Quindi, se da un lato va rifiutata l’idea di
piani onnicomprensivi e superficiali che
rischiano di sottovalutare le priorità
derivanti dagli elementi da tutelare,
dall’altro vanno ricercate soluzioni capaci
di ricomporre e coordinare i diversi piani e
programmi in modo da assicurare unitarietà e
coerenza alle azioni di governo del
territorio.
Utili e convenienti sistemi di
semplificazione sono stati delineati fin dal
1991 e meglio specificati nella legislazione
successiva e ad essi può farsi ricorso, come
le procedure di confronto e di
collaborazione indicate dalla legge 394/1991
e quelle per giungere alle decisioni
definitive indicate dal DLgs 267/2000.
Mi riferisco, in particolare, all’istituto
dell’accordo di programma - previsto
dall’art. 34 del citato DLgs 267/2000 -
attraverso il quale, ponendo a confronto
tutti i soggetti preposti ai vari livelli e
nei vari settori al governo del territorio,
è possibile pervenire ad un “sistema della
pianificazione territoriale” in cui piani
generali e settoriali di regioni, province,
comuni ed altri enti pubblici, siano
interrelati positivamente, attuando quella
“leale collaborazione fra tutti i livelli
istituzionali” già auspicata dalla Corte
costituzionale con la sentenza n. 366 del
1992, emessa in occasione di una
controversia insorta per i ricorsi della
Provincia Autonoma di Bolzano e della
Regione Sardegna contro la legge quadro
istitutiva delle aree protette. Tale leale
collaborazione è irrinunciabile in una
materia qual è quella della tutela
ambientale, che va attuata da tutti i
livelli istituzionali interessati, evitando
sovrapposizioni e conflittualità, pur nella
distinzione dei ruoli e delle competenze
propri di ciascuno.
Una parola chiarificatrice in merito alle
gerarchie ed alle competenze è dettata dal
DLgs 31 marzo 1998, n. 112, che tenta di
superare i problemi fin qui evidenziati.
Infatti, l’art. 57, comma 1, prevede che il
Ptc possa assumere il valore e gli effetti
dei piani di tutela nei settori di
protezione della natura, della tutela
dell’ambiente, della acque e della difesa
del suolo e della tutela delle bellezze
naturali, sempre che la definizione delle
relative disposizioni avvenga nella forma di
intese fra la provincia e le altre
amministrazioni, anche statali, competenti.
E al successivo comma 2 precisa che, in
mancanza dell’intesa, i piani di tutela di
settore conservano il valore ad essi
assegnati dalla rispettiva normativa
nazionale e regionale.
La soluzione alle problematiche trattate è,
infatti, una pianificazione integrata, in
ordine sia alle materie oggetto dei piani,
sia alle competenze, che alle gerarchie tra
i diversi strumenti, affinché si giunga ad
una programmazione organica del territorio e
ad uno sviluppo realmente sostenibile.
Per assicurare reale efficacia al principio
di pianificazione integrata, recato dal DLgs
112/1998, anzi per estendere tale principio
ad ogni livello di pianificazione, è
necessario che esso venga recepito nelle
leggi regionali sul governo del territorio.
È noto che con la modifica del Titolo V
della Costituzione, conseguente
all’approvazione della legge costituzionale
18 ottobre 2001, n. 3, il governo del
territorio risulta annoverato tra le
materie a legislazione concorrente e ciò
comporta che le regioni italiane hanno
autonomia normativa in materia nel rispetto
dei principi generali dettati dallo Stato.
In Campania spetta, quindi, al Consiglio
regionale l’emanazione di norme sul governo
del territorio capaci di attivare una
pianificazione territoriale integrata che,
assumendo come elemento centrale l’ambiente,
assicuri processi di trasformazione
innovativi, caratterizzati da procedure
snelle ed improntati allo sviluppo
sostenibile.
1
In realtà non vi è in alcuna legge del
nostro ordinamento una specifica definizione
dell’ambiente. La definizione si può
ricavare in via deduttiva dagli artt. 9 e 39
della Costituzione, dalla legge 8.7.1986, n.
349, istitutiva del Ministero dell’ambiente
e dal DLgs 24.2.1997, n. 39.
2
Oggi Testo unico sui beni ambientali e
culturali approvato con DLgs 490/1999.
3
Ora le competenze sono delle regioni ed in
surroga del Ministro dei beni culturali ed
ambientali.
4
Le norme per la redazione del piano
paesistico sono contenute nel Regolamento
attuativo approvato con Regio Decreto 3
giugno 1940, n. 1357, fatto salvo
espressamente dal comma 2 dell’art. 161 del
DLgs 490/1999.
5
In particolare in Campania cfr. la Lr del 23
febbraio 1982, n. 10, recante “Indirizzi
programmatici e direttive fondamentali per
l’esercizio delle deleghe e sub deleghe ai
sensi dell’art. 1 della Lr 1 settembre 1981,
n. 65: Tutela dei beni ambientali”.
6
Fanno eccezione i piani di settore previsti
dalla legge 394/1991 - Legge Quadro sulle
Aree Protette: il piano parco, adottato
ed approvato dalle regioni, si sostituisce,
infatti, a qualsiasi altro strumento
operante nell’area protetta, ai sensi del
comma 7 dell’art. 12, legge 394/1991.
7
Cfr. art. 1 della legge. |