Numero 6/7 - 2003

 

la programmazione regionale  

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Pianificazione e competenze nella tutela ambientale


Maria Gabriella Alfano


 

Accade sempre più spesso che nell’ambito di uno stesso territorio operino una pluralità di enti che ignorano i rispettivi programmi e che il sovrapporsi di poteri e competenze determini confusione e conflittualità, privando le azioni di governo e tutela del territorio della necessaria efficacia. Partendo da tali presupposti, Maria Gabriella Alfano precisa gli ambiti, le gerarchie e le competenze secondo cui tali poteri agiscono e interagiscono, passando in rassegna le principali normative in materia ambientale, con particolare riferimento alla Regione Campania

 

 

 

 

Nell’ambito di uno stesso territorio operano una pluralità di enti, ciascuno con specifiche competenze ed azioni di regolazione, di tutela, di sviluppo, di realizzazione di interventi che influiscono sulla trasformazione del territorio stesso. Si pensi ad enti quali le regioni, le province e i comuni che esercitano competenze di governo globale, ovvero a quelli quali enti parco, autorità di bacino, consorzi per aree di sviluppo industriale che regolano, invece, il territorio in modo settoriale, ovvero anche ad enti quali i consorzi di bonifica, l’Anas, le ferrovie, le soprintendenze, i presidi militari che pure influiscono sulla trasformazione del territorio con specifiche azioni di tutela o con realizzazioni di opere infrastrutturali.

Sempre più spesso accade che un ente ignori i programmi dell’altro e che il sovrapporsi di poteri e competenze determini confusione e conflittualità.

In tal modo finiscono col perdere di efficacia le azioni di governo e di tutela del territorio e ne viene compromesso l’ordinato sviluppo. I processi pianificatori, infatti, il più delle volte si arrestano e la programmazione viene snaturata con il ricorso a soluzioni di compromesso assunte a posteriori.

Questi i motivi che mi inducono a precisare gli ambiti, le gerarchie e le competenze secondo cui tali poteri agiscono e interagiscono, passando in rassegna le principali leggi in materia di ambiente, con particolare riguardo a quelle che si riflettono più direttamente sulla pianificazione urbanistica e territoriale. Per dare concretezza alla trattazione riferirò, a titolo di esempio, alcuni casi della Regione Campania.

È noto che le competenze in materia di ambiente sono state innovate dalle modifiche al Titolo V della Costituzione introdotte dalla legge costituzionale 3/2002.

Nel testo costituzionale è sancito che la legislazione in materia di tutela dell’ambiente, dell’ecosistema e dei beni culturali è di competenza esclusiva dello Stato, mentre quella per la valorizzazione dei beni culturali e ambientali è affidata in modo concorrente alle regioni, salvo che per la determinazione dei principi fondamentali, riservata alla legislazione dello Stato.

In attesa di principi generali e/o di ulteriori modifiche costituzionali, di cui si parla con sempre maggior insistenza, non resta che riferirsi all’attuale quadro normativo.

 

 

La pianificazione territoriale - legge 1150/1942

 

Come è noto la legge urbanistica del nostro ordinamento è la legge 17 agosto 1942, n. 1150 che ha subito nel tempo diverse modificazioni ed integrazioni.

Essa prevede diversi strumenti di pianificazione, caratterizzati da una struttura a cascata, nel senso che ogni tipo di piano deve essere coerente con quello ad esso sovraordinato, secondo una progressione verticale.

All’inizio della cascata l’art. 5 della legge (nella versione del 1942) poneva il piano territoriale di coordinamento (Ptc), con il quale il Ministero dei lavori pubblici aveva la facoltà di orientare e coordinare l’attività urbanistica da svolgere in determinate zone del territorio nazionale. Per effetto dell’introduzione dell’ordinamento regionale e del Dpr 15 gennaio 1972, n. 8, la competenza per la formazione e l’approvazione dei piani territoriali di coordinamento è stata trasferita alle regioni. Tuttavia, a partire dal 1990 la legge 8 giugno 1990, n. 142 ha assegnato alle regioni il compito di fissare gli obiettivi generali della programmazione economico-sociale e territoriale (art. 3), ed alle province i compiti di formazione del Ptc (art. 15). Le disposizioni dell’art. 3 e dell’art. 15 della legge 142/1990 sono state trasfuse nel Testo unico sugli enti locali, approvato con DLgs 267/2000.

 

 

La tutela del patrimonio naturale, agricolo, forestale e storico-artistico nella pianificazione territoriale

 

Anche la legislazione ambientale ha subito nel tempo una notevole evoluzione. La performance degli impianti normativi ha seguito quella dei movimenti del pensiero in materia: i fenomeni di antropizzazione spinta del territorio e il mutamento dei costumi della società hanno fatto acquisire la consapevolezza della limitatezza delle risorse naturali. Di qui la nascita del concetto di ambiente, inteso come l’insieme dei fattori fisici, chimici, biologici e sociali che esercitano una influenza apprezzabile sulla salute e il benessere degli individui e delle collettività1.

 

La legge 1497/1939 - I piani paesistici

 

Le prime norme in materia di tutela ambientale - introdotte nell’ordinamento italiano ancor prima della nascita della Repubblica - furono quelle della legge 29 giugno 1939, n. 14972.

In essa, tuttavia, più che all’ambiente inteso nella moderna accezione, si faceva riferimento alle bellezze naturali e panoramiche, considerate come quadri, ancorando, quindi, ad elementi meramente estetici i criteri che ne ispiravano la tutela.

All’art. 5, infatti, per le aree incluse nell’elenco dei beni vincolati, la legge 1497/1939 prevedeva la facoltà, da parte del Ministero per l’educazione nazionale3, di disporre la redazione di piani paesistici, con il compito di definire i parametri edilizi delle costruzioni, le zone di rispetto, le istruzioni per la scelta e la varia distribuzione della flora4.

La tutela del paesaggio e del patrimonio artistico fu poi radicata tra i principi della Repubblica italiana essendo stata espressamente enunciata all’art. 9 della nostra Carta Costituzionale.

Con il Dpr 15 gennaio 1972, n. 8, le funzioni amministrative inerenti la redazione dei piani paesistici furono trasferite alle regioni a statuto ordinario (art. 1, ultimo comma).

Con il Dpr 24 luglio 1977, n. 616, fu affidata alle regioni anche la regolamentazione in materia di beni culturali ed ambientali5.

Ma ormai il dibattito sui temi ambientali si andava diffondendo nel paese; in particolare emergeva con forza la necessità di considerare la tutela ambientale, intesa come tutela del patrimonio naturale, agricolo, forestale, storico-artistico, parte integrante della pianificazione territoriale ed urbanistica.

 

La legge 349/1986 - Istituzione del Ministero dell’ambiente

 

Negli anni ‘80 la società italiana ha ormai preso coscienza della necessità di tutelare acqua, aria, terra quali beni da tramandare alle generazioni future.

L’ambiente e l’ecologia diventano materie autonome. Si giunge all’istituzione del Ministero dell’ambiente con la legge 8 luglio 1986, n. 349.

Fatto singolare - tuttavia - è l’assenza nell’articolato della legge della definizione giuridica di ambiente.

 

La legge 431/1985 - Piani paesistici e piani territoriali di coordinamento

 

Negli stessi anni in cui forte si avvertiva la necessità di tutelare le risorse ed il territorio per tramandarle alle generazioni future veniva approvata la legge 8 agosto 1985, n. 431, meglio nota come legge Galasso. Venivano definite alcune categorie di beni sottoposti a vincolo direttamente dalla legge e per i quali non necessitava il pronunciamento delle autorità amministrative preposte e, al tempo stesso, si conferiva nuovo vigore ai piani territoriali paesistici (Ptp) già introdotti dalla legge 1497/1939, rendendone obbligatoria la redazione nelle parti del territorio nazionale riconosciute di particolare interesse pubblico per gli aspetti paesaggistici e naturalistici dalla legge stessa e dai cosiddetti galassini (decreti emessi dal Ministro Galasso tra il 1984 ed il 1985 per tutelare particolari zone territoriali in attesa della riforma introdotta con la legge 431/1985).

La normativa introdotta con la legge Galasso, ad oltre mezzo secolo da quella precedente, rifletteva il profondo mutamento avvenuto nel panorama culturale italiano in ordine all’oggetto dei beni da tutelare ed al concetto stesso di tutela.

Infatti, mentre i piani paesistici della legge del 1939 erano finalizzati ad impedire che le aree tutelate fossero utilizzate in modo pregiudizievole per la bellezza panoramica, quelli della legge 431/1985 “debbono sottoporre a specifica disciplina d’uso e di valorizzazione ambientale il relativo territorio”.

Non più semplice visione estetizzante, quindi, ma tutela attiva.

In sede di conversione nella legge 431/1985 del decreto 312/1985, fu prevista per le regioni la possibilità di fare ricorso - in alternativa al piano paesistico ex lege 1497/1939 - ad uno strumento che avesse maggiori caratteri di pianificazione territoriale, piuttosto che di sola tutela. Tale strumento venne definito “piano territoriale con specifici valori paesistici ed ambientali”, estesi ad ambiti più vasti anche comprendenti beni non vincolati.

Si tratta, come si vede, di uno strumento che appare preferibile al Ptp di cui alla legge del 1939, per una serie di ragioni.

Il Ptc ha una portata più ampia, sia in ordine ai contenuti che all’ambito territoriale cui è diretto; può travalicare gli ambiti spaziali sottoposti a vincolo e configurarsi come un vero e proprio strumento di pianificazione, assumendo le caratteristiche e gli effetti giuridici del Ptc di cui all’art. 5 della legge urbanistica 1150/1939, con spiccato orientamento alla tutela di beni paesistici ed ambientali.

La Regione Campania, pur potendo redigere diversi Ptc, si è limitata al piano urbanistico territoriale (Put) della penisola sorrentino-amalfitana, approvato con la Lr 27 giugno 1987, n. 35.

I comuni inclusi nel piano hanno l’obbligo di uniformare i propri strumenti urbanistici alle norme ed alle direttive del Put che hanno carattere vincolante, come previsto dall’art. 3, comma 2 della citata Lr 35/1987.

Per la redazione dei Ptp, divenuti obbligatori per le aree vincolate dai cosiddetti galassini, ai sensi dell’art. 1 quinquies della legge 431/1985, e che nell’insieme costituivano circa il 13% del territorio regionale (oltre 1900 Kmq), la Regione Campania incaricò nel 1990 la società Infratecna.

La ditta, tuttavia, non riuscì a portare a termine l’incarico, anche a causa di alterne vicende giudiziarie, per cui nel 1995, il Ministero dei beni culturali si sostituì alla Regione Campania attivando il potere di surroga previsto dall’art. 2 della legge 431/1985.

Furono, così, redatti dalla Soprintendenza i Ptp dei Campi Flegrei, del Vesuvio, del Cilento costiero, del Cilento interno, del Terminio Cervialto, del Taburno, del Matese e del Litorale Domitio.

Tali piani - come è noto - non hanno avuto vita facile per i numerosi ricorsi instaurati davanti alle diverse sezioni del Tribunale amministrativo della Campania conclusi con l’annullamento di alcuni piani per vizi procedurali. Ma ogni volta il Ministero - corrette in parte le procedure - ha riproposto gli stessi piani, senza apportarvi alcuna modifica.

I Ptp sono sovraordinati agli strumenti di pianificazione urbanistica comunali ed ai piani di settore, sia che questi ultimi siano a scala regionale che provinciale6.

La prevalenza dei Ptp sugli altri strumenti non era stata esplicitamente indicata dalla legge 431/1985, ma era riconosciuta ed affermata in dottrina ed in giurisprudenza ed anche nella prassi amministrativa. Anche la Corte costituzionale ne aveva riconosciuto la superiorità gerarchica.

Solo nel 1999, con il riordino della materia sui beni di interesse storico, artistico, architettonico, culturale ed ambientale, da parte del Governo su delega del Parlamento, venne sancita con legge la prevalenza del Ptp sugli altri strumenti urbanistici con il comma 2 dell’art. 150 del DLgs 29 ottobre 1999, n. 490, recante “Testo unico delle disposizioni legislative in materia di beni culturali ed ambientali a norma dell’art. 1 della legge 8 ottobre 1997, n. 352”.

Il richiamato comma 2, infatti, testualmente recita: “I Piani regolatori generali e gli altri strumenti urbanistici si conformano, secondo l’art. 5 della legge 17.8.1942, n. 1150 e le norme regionali, alle previsioni dei Piani territoriali paesistici e dei Piani urbanistici territoriali di cui all’art. 149 …”.

 

La legge 183/1989 - I piani di bacino

 

La legge 18 maggio 1989, n. 183 recante “Norme per il riassetto organizzativo e funzionale della difesa del suolo” fu emanata per “assicurare la difesa del suolo, il risanamento delle acque e la gestione del patrimonio idrico per gli usi di razionale sviluppo economico e sociale, la tutela degli aspetti ambientali ad essi connessi”7.

Il territorio nazionale veniva suddiviso in bacini idrografici, disciplinati da un ulteriore strumento di pianificazione, il piano di bacino, da elaborarsi a cura delle autorità di bacino, organismi previsti dalla medesima legge.

L’art. 17 della legge 183/1989 attribuisce al piano di bacino il valore di piano territoriale di settore. Con il Dpr 18 luglio 1995 venivano approvati “criteri, indirizzi, prescrizioni, norme ed interventi finalizzati alla conservazione e gestione delle risorse del bacino idrografico”.

Ai sensi del comma 5 del medesimo art. 17, le disposizioni del piano di bacino approvato hanno carattere immediatamente vincolante per le amministrazioni ed enti pubblici che, come è previsto dal successivo comma 6, devono recepirne le previsioni nei propri strumenti urbanistici.

Per quanto riguarda la nostra regione, nel 1990 è stata costituita l’autorità di bacino dei fiumi Liri-Garigliano e Volturno, di carattere nazionale. Tale autorità, oltre la Campania, interessa le Regioni Abruzzo, Molise e Lazio.

Sono state costituite anche tre autorità di bacino di carattere interregionale, cioè Sele, Ofanto e Fortore e quattro bacini regionali (Nord occidentale, Sarno, Destra Sele e Sinistra Sele), istituite nel 1998 ai sensi della Lr 7 febbraio 1984, n. 8, recante la normativa di attuazione della legge 183/1989.

Con un certo ritardo rispetto ai tempi previsti dalla legge 183/1989, le autorità di bacino si sono dotate di piani stralcio, di cui al Dl 13 maggio 1999, n. 132, convertito con modifiche nella legge 13 luglio 1999, n. 226.

 

La legge 142/1990 (DLgs 267/2000)

Il Ptc

 

La ricostruzione storico giudica degli strumenti di pianificazione territoriale ed ambientale ci conduce alla legge 8 giugno 1990, n. 142, i cui principi sono trasfusi nel Testo unico sugli enti locali, approvato con DLgs 18 agosto 2000, n. 267.

La legge 142/1990 riconosce la necessità di individuare un livello intermedio tra comuni e regioni e rafforza il ruolo delle province, affidando ad esse nuove competenze in materia di pianificazione e di tutela del territorio.

Infatti, il comma 2 dell’art. 20 dispone che la provincia rediga il Ptc riferito, ovviamente, al territorio provinciale.

Tale piano determina gli indirizzi generali di assetto dei territorio tracciando un quadro di riferimento per la politica territoriale della provincia e dei comuni, indicando “le diverse destinazioni del territorio sulla base della prevalente vocazione delle sue parti, la localizzazione di massima delle maggiori infrastrutture e delle principali vie di comunicazione, le linee di intervento per la sistemazione idrica, idrogeologica ed idraulico-forestale ed in genere per il consolidamento del suolo e la regimentazione delle acque, nonché le aree in cui sia opportuno istituire parchi o riserve naturali”.

Il DLgs 267/2000, nel riordinare la materia sugli enti locali, ha stabilito che alla redazione del piano provinciale concorrono i comuni, con proposte da raccogliere e coordinare, e le comunità montane il cui piano socio-economico deve confluire nel piano stesso.

Le norme statali innanzi richiamate devono essere – tuttavia - integrate dalle specifiche norme di competenza regionale che devono disciplinare le procedure di formazione e di redazione del Ptc.

La Regione Campania, pur riconoscendo la necessità di dotarsi in tempi brevi di una nuova legge urbanistica, non ha ancora portato in aula il disegno di legge sul governo del territorio, proposto dalla Giunta regionale ormai da più di un anno per cui i Ptc per i quali è conclusa la fase di formazione - tra cui quello della Provincia di Salerno - non possono di fatto conseguire alcuna efficacia.

 

La legge 394/1991 - Il piano per il parco

 

Nello stesso arco temporale di approvazione della legge 142/1990 e della legge 183/1989, il Parlamento italiano ha approvato la legge 6 dicembre 1991, n. 394 - “Legge quadro sulle aree protette”.

Questa legge è finalizzata, come recita l’art. 1, a garantire la conservazione e la valorizzazione del patrimonio naturale protetto. La tutela degli elementi naturali ed ambientali di pregio è perseguita attraverso il piano per il parco, predisposto dall’ente parco e adottato ed approvato dalla regione.

Il piano per il parco deve prevedere l’articolazione in zone del territorio ed il relativo grado di trasformabilità, da definirsi in base a specifiche analisi intersettoriali tese ad individuare il livello di protezione di ciascuna zona compresa nel territorio protetto.

In Campania sono stati istituiti due parchi nazionali: quello del Vesuvio e quello del Cilento-Vallo di Diano, per una superficie complessiva di circa 190.000 ettari.

Inoltre, in attuazione della Lr 1 settembre 1993, n. 33, sono state definite le perimetrazioni provvisorie e le misure di salvaguardia di sei parchi regionali e quattro riserve naturali, per un totale di circa 148.000 ettari.

Il piano per il parco non è un piano aggiuntivo rispetto agli altri, ma “si sostituisce” a quelli esistenti, ai piani paesistici, territoriali o urbanistici e ad ogni altro strumento di pianificazione. Il piano per il parco può, quindi, essere considerato il piano dei piani (cfr. nota 6).

Gli enti dei Parchi nazionali istituiti in Campania stanno completando l’iter di approvazione dei rispettivi piani, pur tra mille difficoltà: in primo luogo le aree parco interessano ambiti territoriali molto estesi, comprendenti zone notevolmente antropizzate e caratterizzate da articolate forme di sviluppo economico e da dinamiche di trasformazione complesse e spesso incontrollabili; in secondo luogo si tratta di zone disciplinate da precedenti strumenti di pianificazione, sia di ordine gerarchico superiore che sottordinati, sui quali si sono spesso innestati i programmi di investimento speciali, quali Por, Pit oppure quelli promossi da enti non territoriali quali soprintendenze, ferrovie, società autostrade, consorzi di bonifica, ecc.

Inoltre il piano per il parco, come tutti gli strumenti di pianificazione previsti dal nostro sistema normativo, è soggetto ad un iter di formazione e di approvazione notevolmente lungo e articolato. I tempi necessari al completamento del procedimento di formazione comportano, per il territorio interessato, la stasi di qualsiasi attività edilizia in conseguenza delle misure di salvaguardia.

Di qui gli atteggiamenti di diffidenza e, in qualche caso, di contrapposizione delle comunità locali nei confronti dell’istituzione di aree protette con i numerosi ricorsi alla giustizia amministrativa che fanno dilatare ulteriormente i tempi di entrata in vigore dei piani a tal punto che essi, una volta approvati, risultano di difficile attuazione a causa delle trasformazioni che nel frattempo il territorio ha subito.

 

 

Conclusioni

 

Come si è visto, ogni piano è ancorato ad una specifica norma ed ha contenuti, procedure e modalità di redazione e di approvazione diversi e, dunque, difficilmente coordinabili fra loro.

Tanto per fare un esempio, il Ptc deve tenere conto, oltre che dei piani comunali (piani regolatori e programmi di fabbricazione), del piano territoriale di coordinamento della penisola sorrentino-amalfitana, relativamente al territorio ricadente nell’ambito della Provincia di Salerno, dei piani di bacino, dei piani paesistici (cilento costiero, cilento interno e dei monti picentini), del piano delle aree di sviluppo industriale, dei programmi pluriennali di sviluppo delle comunità montane, dei piani dei parchi, oltre che dei progetti e dei programmi delle soprintendenze, dell’Anas, delle ferrovie e così via.

Quindi, se da un lato va rifiutata l’idea di piani onnicomprensivi e superficiali che rischiano di sottovalutare le priorità derivanti dagli elementi da tutelare, dall’altro vanno ricercate soluzioni capaci di ricomporre e coordinare i diversi piani e programmi in modo da assicurare unitarietà e coerenza alle azioni di governo del territorio.

Utili e convenienti sistemi di semplificazione sono stati delineati fin dal 1991 e meglio specificati nella legislazione successiva e ad essi può farsi ricorso, come le procedure di confronto e di collaborazione indicate dalla legge 394/1991 e quelle per giungere alle decisioni definitive indicate dal DLgs 267/2000.

Mi riferisco, in particolare, all’istituto dell’accordo di programma - previsto dall’art. 34 del citato DLgs 267/2000 - attraverso il quale, ponendo a confronto tutti i soggetti preposti ai vari livelli e nei vari settori al governo del territorio, è possibile pervenire ad un “sistema della pianificazione territoriale” in cui piani generali e settoriali di regioni, province, comuni ed altri enti pubblici, siano interrelati positivamente, attuando quella “leale collaborazione fra tutti i livelli istituzionali” già auspicata dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 366 del 1992, emessa in occasione di una controversia insorta per i ricorsi della Provincia Autonoma di Bolzano e della Regione Sardegna contro la legge quadro istitutiva delle aree protette. Tale leale collaborazione è irrinunciabile in una materia qual è quella della tutela ambientale, che va attuata da tutti i livelli istituzionali interessati, evitando sovrapposizioni e conflittualità, pur nella distinzione dei ruoli e delle competenze propri di ciascuno.

Una parola chiarificatrice in merito alle gerarchie ed alle competenze è dettata dal DLgs 31 marzo 1998, n. 112, che tenta di superare i problemi fin qui evidenziati.

Infatti, l’art. 57, comma 1, prevede che il Ptc possa assumere il valore e gli effetti dei piani di tutela nei settori di protezione della natura, della tutela dell’ambiente, della acque e della difesa del suolo e della tutela delle bellezze naturali, sempre che la definizione delle relative disposizioni avvenga nella forma di intese fra la provincia e le altre amministrazioni, anche statali, competenti. E al successivo comma 2 precisa che, in mancanza dell’intesa, i piani di tutela di settore conservano il valore ad essi assegnati dalla rispettiva normativa nazionale e regionale.

La soluzione alle problematiche trattate è, infatti, una pianificazione integrata, in ordine sia alle materie oggetto dei piani, sia alle competenze, che alle gerarchie tra i diversi strumenti, affinché si giunga ad una programmazione organica del territorio e ad uno sviluppo realmente sostenibile.

Per assicurare reale efficacia al principio di pianificazione integrata, recato dal DLgs 112/1998, anzi per estendere tale principio ad ogni livello di pianificazione, è necessario che esso venga recepito nelle leggi regionali sul governo del territorio.

È noto che con la modifica del Titolo V della Costituzione, conseguente all’approvazione della legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3, il governo del territorio risulta annoverato tra le materie a legislazione concorrente e ciò comporta che le regioni italiane hanno autonomia normativa in materia nel rispetto dei principi generali dettati dallo Stato.

In Campania spetta, quindi, al Consiglio regionale l’emanazione di norme sul governo del territorio capaci di attivare una pianificazione territoriale integrata che, assumendo come elemento centrale l’ambiente, assicuri processi di trasformazione innovativi, caratterizzati da procedure snelle ed improntati allo sviluppo sostenibile.

 

 

1 In realtà non vi è in alcuna legge del nostro ordinamento una specifica definizione dell’ambiente. La definizione si può ricavare in via deduttiva dagli artt. 9 e 39 della Costituzione, dalla legge 8.7.1986, n. 349, istitutiva del Ministero dell’ambiente e dal DLgs 24.2.1997, n. 39.

2 Oggi Testo unico sui beni ambientali e culturali approvato con DLgs 490/1999.

3 Ora le competenze sono delle regioni ed in surroga del Ministro dei beni culturali ed ambientali.

4 Le norme per la redazione del piano paesistico sono contenute nel Regolamento attuativo approvato con Regio Decreto 3 giugno 1940, n. 1357, fatto salvo espressamente dal comma 2 dell’art. 161 del DLgs 490/1999.

5 In particolare in Campania cfr. la Lr del 23 febbraio 1982, n. 10, recante “Indirizzi programmatici e direttive fondamentali per l’esercizio delle deleghe e sub deleghe ai sensi dell’art. 1 della Lr 1 settembre 1981, n. 65: Tutela dei beni ambientali”.

6 Fanno eccezione i piani di settore previsti dalla legge 394/1991 - Legge Quadro sulle Aree Protette: il piano parco, adottato ed approvato dalle regioni, si sostituisce, infatti, a qualsiasi altro strumento operante nell’area protetta, ai sensi del comma 7 dell’art. 12, legge 394/1991.

7 Cfr. art. 1 della legge.

 

 

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