Numero 6/7 - 2003

 

la programmazione regionale  

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Verso il piano territoriale


Attilio Belli


 

La Regione Campania, dopo aver accumulato nei trascorsi decenni un pesante ritardo nell'azione di pianificazione e gestione del proprio territorio, sta ora recuperando il tempo perduto mediante l'avvio di un'iniziativa tesa a ridarle autorevolezza verso il sistema degli enti locali e che la abiliti a guidarne i processi di sviluppo. Attilio Belli definisce lo scenario culturale e normativo nel quale sta maturando la formazione del piano territoriale regionale, quale strumento innovativo di governo del territorio

 

 

 

 

Il governo del territorio si trova oggi di fronte ad un contesto per molti versi incerto1.

La riforma costituzionale del 2001 ha cambiato profondamente la situazione in cui all’inizio degli anni novanta si trovavano le regioni italiane, quando avevano ancora ben pochi poteri e responsabilità. Si prospetta una situazione aperta, perché un forte decentramento può creare benefici, ma anche inconvenienti e costi. Infatti, “il decentramento può produrre interventi a scala troppo piccola, ridondanza, conflittualità e duplicazione delle politiche, la moltiplicazione delle burocrazie e la complicazione delle procedure decisionali, e quindi un peggiore funzionamento del sistema politico-amministrativo”2. Si tratta di una partita tutta da giocare, per una efficace interpretazione dei principi di sussidiarietà che eviti una confusione di ruoli e inefficienze.

Questo processo si incrocia con quella “strana e ambigua voglia di Stato” di cui ha scritto recentemente Ilvo Diamanti3. Il rischio cioè che dopo vent’anni di infatuazione verso il privato, con il suo fallimento come valore e regolatore dell’economia e della vita sociale e individuale, nonostante la storica scarsa fiducia e stima che gli italiani hanno sempre avuto nei confronti dello Stato, solo per disperazione essi tornino ad apprezzarlo. Ma - questa è la domanda cruda che si pone Diamanti - può “crescere, durare, se non la passione, almeno la fiducia, [nei confronti dello Stato] quando nasce dalla disperazione?”. Probabilmente no, serve - credo - proprio in un momento di forte incertezza, perspicacia ed equilibrio.

Questo interrogativo generale ci pone subito di fronte al problema di una valutazione non superficiale e troppo oscillante su alcuni processi generali che riguardano oggi il governo del territorio.

Anzitutto un giudizio equilibrato nei confronti dei processi di contrattualizzazione (il gouverner par contrat dei francesi)4 che coinvolgono sempre più tutte le politiche complesse e integrate. Si tratta di un processo che, nella sua progressiva estensione, non può essere liquidato sulla base di pregiudizi. Su questi processi agisce il convincimento erroneo cioè che la costruzione di accordi significhi rinunciare a decidere sulla base di ragioni fondate e obiettive; significhi adattare la legge, le prescrizioni, a esigenze particolariste; comporti velare le responsabilità pubbliche dietro indistinte scelte negoziate; in sintesi significhi rinunciare alle prerogative pubbliche. Mentre al contrario il suo significato positivo risponde ad una concezione pluralista e federale, dove l’interesse pubblico si pone come espressione di un continuo accomodamento tra interessi diversi, da appoggiare su una visione del diritto di tipo adattivo. Senza per questo distorcere le regole, ma aiutando interessi e strategie distinte a convergere5.

Questi processi di contrattualizzazione dell’azione pubblica sono caratterizzati da alcuni tratti distintivi.

L’apertura relativa di due mondi tradizionalmente separati (quello privato e quello pubblico) e una dinamica di intersezione tra settori amministrativi tradizionalmente autoreferenziali.

L’apertura intersettoriale: la politica della città, oltre i confini tradizionali dell’urbanistica, si rivolge al campo delle politiche sociali, dello sviluppo economico e soprattutto della politica ambientale.

Ed infine uno sviluppo di forme collaborative limitate nel tempo, diverse dalle tradizionali forme stabili.

Per effetto di questi processi il governo del territorio sembra configurarsi sempre più come spazio pubblico interattivo da rendere trasparente, che attende di essere esplorato e ordinato non solo a livello di riflessione teorica.

Anche sui processi di integrazione serve una riflessione non superficiale.

Alla base del forte impulso fornito da parte dell’Ue al principio dell’integrazione stanno le tensioni derivanti dalla complessità dei fenomeni sociali, economici e tecnologici in atto in Europa, in rapporto con le esigenze di competitività, ma anche di coesione e sostenibilità, e con la diffusa percezione che l’assenza di politiche non integrate produca effetti perversi6. Di qui una forte sollecitazione, assunta pienamente dalla “nuova programmazione” nel Mezzogiorno, a porre a base dell’azione di governance alcuni requisiti, in particolare una logica di progetto e di risultato, guidata dall’esigenza di attribuire ai progetti una spiccata interdipendenza, sollecitando una logica della competizione dipendente da quella della coesione, un ricorso alla disseminazione di buone pratiche più che a norme.

E occorre riflettere sull’esigenza di controllare meglio i processi di territorializzazione dei fondi strutturali. In generale, la programmazione dei fondi strutturali nelle regioni dell’obiettivo 1 rappresenta un’esperienza di rilevantissimo interesse per la pianificazione territoriale regionale, che ha incontrato non poche difficoltà, su cui è in corso un’importante riflessione che occorre aiutare e stabilizzare.

E, infine, si tratta di dare l’opportuno rilievo al fatto che una spia importante del mutamento intercorso negli ultimi anni è rappresentato dalla diffusione anche in Italia della pianificazione strategica. Diffusione che non può essere ignorata anche se mi sembra giusto che proceda con lo sforzo contemporaneo di un rafforzamento dell’identità di un riformismo attivo ben distinto dalla deregulation fondata sul cosiddetto ordine creativo7.

Indubbiamente pesa l’incertezza che grava sul processo di riforma costituzionale dello Stato, sull’eredità contrastata della riforma del Titolo V della Costituzione.

Nella riforma del titolo V della Costituzione, avvenuta nello scorcio della passata legislatura, il governo del territorio è una delle grandi materie che ha registrato la sostanziale conferma, in maniera estensiva, della tradizionale attribuzione alla materia urbanistica, mentre la materia della “tutela dell’ambiente, dell’ecosistema e dei beni culturali” è stata riservata alla competenza esclusiva statale8.

L’introduzione in Costituzione9 della nuova materia governo del territorio si accompagna alla eliminazione dell’urbanistica. La situazione che ne è derivata ha prodotto più interpretazioni sul senso da attribuire alla nozione di governo del territorio. Quella cui si sta lavorando da parte della Regione Campania tende ad individuare un ambito di competenze riguardanti le funzioni ordinatrici dell’assetto del territorio, espresse sostanzialmente dagli strumenti di pianificazione e di programmazione, escluse quelle di controllo sull’uso e sulle trasformazioni del suolo attribuite a province e a comuni.

Vanno considerati come consolidati alcuni principi innovativi: anzitutto i principi di pari dignità e di sussidiarietà, in base ai quali la politica regionale deve riconoscere che non solo gli altri soggetti della pianificazione non sono dipendenti nell’assumere le proprie decisioni, ma che essi hanno anche gli strumenti per tutelare le proprie competenze dalle eventuali ingerenze; e che poi il cittadino esplica rapporti con l’ente che assicura l’adeguatezza, ma che gli è più vicino e che, per quanto concerne le trasformazioni del territorio, questo ente è il comune.

E ancora il criterio dell’adeguatezza e della differenziazione. Il primo definisce per legge le determinate funzioni di regione, provincia e comune, in modo che nessun soggetto faccia le stesse cose degli altri, eliminando quindi sovrapposizione e gerarchia.

Com’è noto, l’attuazione di tale riforma si trova ad essere, nell’attuale legislatura, oggetto di resistenze e ostilità in rapporto al tema della cosiddetta devolution. In ogni caso il legislatore nazionale dovrebbe provvedere alla definizione dei principi fondamentali (in collaborazione con le regioni), cosa che potrebbe intrecciarsi, anche in modo divaricato, con l’approvazione del Dl regionale di governo del territorio in Consiglio regionale10.

Pesa indubbiamente l’incertezza della legge quadro sui principi.

Nella proposta di legge Lupi (art. 4. della Relazione di accompagnamento) la dimensione regionale come spazio di pianificazione d’area vasta sostanzialmente scompare. Il riferimento è all’ambito ottimale di pianificazione variabile, che diventa il compito principale di attività della regione insieme alla determinazione dell’ente competente della pianificazione territoriale. In merito, il compito per la regione sembra ridotto alla determinazione di direttive (unitamente a quelle nazionali) per conferire al piano urbanistico della cosiddetta dimensione ottimale la funzione pianificatoria comprensiva di ogni “altra previsione di contenuto territoriale”.

In generale nel quadro del nuovo ruolo assunto recentemente dal territorio nelle dinamiche economico-sociali, e segnatamente nei processi programmati per lo sviluppo economico, torna ad emergere con forza il problema della dimensione intermedia di pianificazione/programmazione.

Lo attestano soprattutto i due disegni di legge11 Mantini ed altri e Lupi, che nel testo unificato in cui i due atti sono confluiti affermano: “Le regioni individuano gli ambiti territoriali da pianificare e l’ente competente alla pianificazione, fissando regole di garanzia e di partecipazione degli enti territoriali ricompresi nell’ambito da pianificare” (art. 2, comma 4).

La formulazione citata propone un vastissimo spazio per le scelte regionali in materia di governo del territorio: secondo tale principio sarebbe legittimo, assurdamente, anche il comportamento di una regione che individuasse solo una parte del proprio territorio come ambito da pianificare attribuendone a se stessa, poniamo, la responsabilità12. Ma a parte una possibilità limite come questa è evidente la maggior libertà offerta alle regioni a fronte dell’attuale ordinamento che non solo prevede la copertura completa dell’intero territorio con piani urbanistici e piani territoriali di coordinamento, ma intesta anche - salvo i casi eccezionali delle aree metropolitane - gli uni ai comuni e gli altri alle province13. Tale maggior libertà cerca evidentemente la sua giustificazione nella straordinaria varietà di situazioni e problematiche oggi riconoscibili nelle concrete vicende di promozione dello sviluppo locale segnate dalle specificità dei territori, sì da far ritenere - in una prospettiva in cui si privilegino in assoluto le ragioni dell’economia - che sia opportuno ritagliare ambiti, strumenti e soggetti di pianificazione su misura delle specifiche strategie di sviluppo e del partenariato che le anima.

In Campania, il disegno di legge regionale sul governo del territorio, attualmente all’esame del Consiglio regionale, e l’elaborazione (sulla base delle già approvate Linee guida per il piano territoriale regionale) del Documento di inquadramento strategico per la pianificazione territoriale regionale, base per l’avvio delle conferenze di pianificazione, considerano insieme le ragioni dello sviluppo economico accanto e in relazione a quelle della tutela dell’ambiente, e quindi prevedono la ordinaria corrispondenza fra strumenti di pianificazione e livelli istituzionali, e conseguentemente la copertura dell’intero territorio da piani urbanistici e piani territoriali14. Senza restare chiusi però nei confronti delle esigenze di iniziativa e flessibilità poste dalle energie impegnate nelle strategie per lo sviluppo locale.

All’avvio della esperienza campana si offriva la variegata esperienza dei piani territoriali regionali dell’ultima generazione, che possiamo così sintetizzare15:

1. un tipo di piano territoriale inteso come governo urbanistico del territorio, in cui viene conservata come rilevante una funzione regolatrice, con l’individuazione di una serie di vincoli (che, al contrario, sembrerebbe opportuno temperare in ottemperanza al principio di sussidiarietà). Questo modello ha avuto una molteplicità di espressioni negli anni ottanta, in riferimento ad una articolazione a due livelli (un quadro di riferimento e di indirizzi, un insieme di progetti territoriali), ha mantenuto una sua rilevanza negli anni novanta e oltre in alcune situazioni, com’è il caso dell’Umbria16;

2. un tipo di piano come strumento d’indirizzo territoriale. L’esempio più rilevante è costituito dalla Toscana, fortemente legata ad una “Legge di governo del territorio” che metteva in essere il portato dell’elaborazione Inu. Elementi principali sono una descrizione del territorio per grandi sistemi, suddivisa al suo interno in aree omogenee d’intervento, per le quali vengono indicate regole, indirizzi e strumenti operativi. Intorno al concetto innovativo di “statuto dei luoghi” vengono individuati, in consonanza con l’articolazione del piano urbanistico comunale, i due livelli di pianificazione strutturale e operativa.

Più recentemente con la Lr “Norme in materia di programmazione territoriale” del 1999 è stato introdotto lo strumento del programma locale di sviluppo. Restano non molto definite le implicazioni operative del quadro territoriale soprattutto in riferimento alla consistente autonomia consentita alla programmazione economica;

3. un piano come documento prevalentemente a carattere strategico17.

Quello delle Marche definisce - in una situazione che presenta analogie con quella attuale della Campania per quanto riguarda l’assenza di una legge di governo del territorio dell’ultima generazione - un piano territoriale d’inquadramento territoriale, inteso come strumento agile capace di fornire una cornice condivisa di alcuni mirati progetti di trasformazione territoriale concernenti ambiti di interesse strategico. Cornice definita a valle di un’immagine condivisa del territorio regionale e dei nuovi probabili scenari futuri.

Significativo il superamento di una logica vincolistica a favore di una strategia della pianificazione sorretta dalla definizione di precise azioni intersettoriali;

4. una sorta di piano latente che si riferisce ad un modello di governo del territorio aperto, sorretto da una molteplicità di strategie settoriali limitate e specifiche, rappresentato dall’esperienza della Lombardia. Si tratta di un laboratorio sperimentale controverso nell’ambito della riflessione disciplinare prevalente in Italia, il cui percorso merita di non essere apoditticamente accantonato, ma piuttosto approfondito come uno scenario possibile - e ovviamente perfettibile - anche in rapporto alla sintonia che esso ha acquistato con l’orientamento del governo nazionale. La pianificazione paesistica ha svolto un ruolo significativo di tutela e regolazione del territorio.

È possibile individuare un asse - che va da una concezione prescrittivo-conformativa ad una più negoziale-strategica - caratterizzato dai rapporti che si manifestano nei confronti della pianificazione paesistico-ambientale e della programmazione economica18. Ai due estremi di questo asse si collocano un modello conformativo-urbanistico, che assume questi rapporti in maniera prevalentemente gerarchica, ed un modello strategico in cui questi rapporti vengono ricercati attraverso una coerenza tra le diverse scale determinata processualmente nelle successive fasi della concertazione. Tra questi due estremi sono le esperienze della pianificazione strutturale con gradi di maggiore o minore prescrittività.

In riferimento a questa cornice, il piano territoriale regionale (Ptr) della Campania si propone come un piano d’inquadramento, d’indirizzo e di promozione di azioni integrate; come riferimento per la riduzione delle condizioni d’incertezza (di conoscenza e interpretazione del territorio) per le azioni dei diversi operatori istituzionali e non, mediante l’elaborazione di 5 quadri territoriali di riferimento (con una sequenza che va dal cognitivo all’operativo), in particolare come attivatore di una pianificazione d’area vasta concertata con le province e soprintendenze, che definisce contemporaneamente gli indirizzi di pianificazione paesistica.

Rispetto, quindi, all’evoluzione dell’esperienza di pianificazione territoriale regionale in corso in Italia, l’esperienza in corso in Campania tende a dislocarsi verso l’estremo del piano strategico. In sostanza l’intenzione è di poggiare il successo della sua azione non tanto sull’adeguamento conformativo degli altri piani, ma sui meccanismi di negoziazione e di consenso intorno alle grandi materie dello sviluppo sostenibile e delle grandi direttrici di interconnessione. Non si ricerca, quindi, una diretta interferenza con le previsioni d’uso del suolo, che rimangono di competenza dei piani regolatori e delle province. La sua attuazione è piuttosto affidata alla capacità di esercitare una guida attraverso i meccanismi di concertazione (sostenuti da adeguati protocolli e gestiti da apposite conferenze di pianificazione).

Va, quindi, accuratamente soppesato lo spazio da attribuire alle regole e alle invarianti cogenti nei confronti dei piani urbanistici locali e settoriali, per evitare che questo venga assunto da altri piani regionali di settore o da altri piani urbanistico-conformativi regionali (determinando un conflitto tra piani dello stesso livello) o provinciali (con il rischio di rinviare il problema della determinazione delle regole ad un’altra scala)19.

Il Ptr, pertanto, si qualifica anzitutto come piano d’inquadramento nei confronti dei soggetti istituzionali cui è affidata la pianificazione d’area vasta. Lo fa con la finalità di contribuire all’ecosviluppo, secondo una visione che attribuisce al territorio, inteso come grande materia che propone esplicitamente specifiche forme d’integrazione, il compito di mediare cognitivamente ed operativamente tra la materia della pianificazione paesistico-ambientale e quella della promozione e della programmazione dello sviluppo.

Questa funzione principale è sorretta principalmente da una funzione di agevolazione dell’operatività degli attori territoriali, definendo prospettive di trasformazione da sostenere attraverso un percorso di affinamento di regole istituzionali convergenti da parte degli enti sollecitati ad una più certa leale collaborazione20.

In riferimento a questi obiettivi strategici il Ptr vuole contribuire a superare o per lo meno a ridurre l’indeterminatezza dei contesti per gli attori istituzionali e sociali, offrendo loro dei quadri di riferimento (Qtr) come base utile alla definizione delle diverse linee d’azione.

I Qtr territoriali che il Ptr struttura sono cinque.

Il primo è quello delle reti - la rete ecologica, la rete dell’interconnessione (mobilità e logistica) e la rete delle sorgenti di rischio - che attraversano il territorio regionale. Concettualmente i termini sono stati definiti nelle Linee Guida della pianificazione territoriale regionale pubblicate nel Burc del 24.12.2002, con i connessi indirizzi strategici introdotti dal punto di vista tematico.

Dalla articolazione e sovrapposizione spaziale di queste reti s’individuano, per i Qtr successivi, dei punti critici sui quali è opportuno concentrare l’attenzione e mirare gli interventi.

Qui si colloca il contributo per la “Verifica di compatibilità tra gli strumenti di pianificazione paesistica e l’accordo Stato-regioni del 19 aprile 2001”, pubblicato nel Burc dell’8 agosto 2003 e gli indirizzi concertati con le province e con le competenti soprintendenze.

Il secondo è quello dei nove ambienti insediativi, individuati in rapporto alle caratteristiche morfologico-ambientali e alla trama insediativa. Questi ambienti vogliono suggerire, soprattutto alle province, che hanno confini che ritagliano il territorio secondo logiche diverse, riferimenti e punti di connessione da utilizzare per sostenere una copianificazione che le province vanno sviluppando, o devono sviluppare, insieme alla regione e agli altri attori della pianificazione.

Questi ambienti insediativi contengono i tratti di lunga durata, gli elementi ai quali si connettono i grandi investimenti. Sono ambiti sub-regionali per i quali vengono costruiti delle visioni cui soprattutto i piani territoriali di coordinamento provinciali, che agiscono all’interno di ritagli territoriali definiti secondo logiche di tipo amministrativo, ritrovano utili elementi di connessione.

Il terzo Qtr è costituito da 45 sistemi territoriali di sviluppo (Sts).

Nelle linee guida per la pianificazione territoriale i Sts sono stati individuati seguendo la geografia dei processi di autoriconoscimento delle identità locali e di autorganizzazione nello sviluppo, confrontando il mosaico dei patti territoriali, dei contratti d’area, dei distretti industriali, dei parchi naturali, delle comunità montane, e privilegiando tale geografia - in questa prima ricognizione - rispetto ad una geografia costruita sulla base di indicatori delle dinamiche di sviluppo, classificati in una tipologia composta da sei classi, funzione di dominanti territoriali (naturalistica, rurale-culturale, rurale-industriale, urbana, urbano-industriale, paesistico-culturale).

Questo procedimento è stato approfondito nella fase successiva, attraverso una verifica di coerenza con l’intervento in corso del Por, con l’insieme dei Pit, dei Prusst, dei Gal e delle indicazioni dei Ptcp. Siamo pervenuti - attraverso piccoli spostamenti - ad una interpretazione del territorio regionale verificata nel confronto con le province e i comuni, per la condivisione di questa mappatura. Ciascuno di questi Sls si colloca all’interno di una matrice di indirizzi strategici specificata all’interno della tipologia delle sei classi suddette. A valle della adesione a questi Sts potrebbe essere individuata una premialità per un più forte sostegno dello sviluppo.

Una prima sintonizzazione con alcuni di tali Sts è già stata sperimentata. Sarà compito della terza fase di costruzione del Ptr di organizzare specifiche conferenze di programmazione che, attraverso adeguati protocolli, definiscano gli impegni, le risorse e i tempi per la realizzazione dei relativi progetti locali.

Il quarto Qtr è costituito dai campi territoriali complessi.

Nel territorio regionale esistono campi territoriali nei quali la sovrapposizione-intersezione dei precedenti Qtr mette in evidenza degli spazi di crisi, dei veri punti caldi, dove si ritiene la regione debba svolgere un’azione prioritaria di promozione di interventi particolarmente integrati. Essi possono essere costituiti da infrastrutture di interconnessione di particolare rilevanza (come ad esempio l’aeroporto di Grazzanise), oppure da aree di intensa concentrazione di fattori di rischio.

Una anticipazione di particolare rilevanza è costituita dal “Programma di azioni per la mitigazione del rischio Vesuvio” composto da una delibera-quadro e da 12 specifiche azioni fortemente integrate (approvate nel luglio 2003) oltre che da un protocollo d’intesa con il Governo.

Un altro campo di particolare concentrazione di fattori di rischio è costituito dal quadrante compreso tra il confine settentrionale della provincia napoletana e l’area meridionale della Provincia di Caserta, dove è molto rilevante la presenza di siti potenzialmente contaminati; per esso si ipotizzano azioni integrate tra quelle di specifica bonifica e quelle legate all’uso e riqualificazione dei siti.

Il quinto quadro territoriale di riferimento riguarda le modalità di promozione della cooperazione istituzionale tra i comuni minori. Il Rapporto Censis 2003 segnala l’avvio dopo il 1999 di un processo di unione di comuni in tutta Italia (appena 8 nel 2000 e già 202 nel 2003) che in Campania nel 2003 ha riguardato 5 unioni riferite a 27 comuni.

In tale direzione il Dl approvato dalla Giunta regionale il 15.2.2001 individua un percorso generale riferito alla “Riorganizzazione sovracomunale di servizi e di funzioni e per le forme di incentivazione connesse”. Esso sembra debba essere articolato soprattutto per i tre settori territoriali già indicati del settore settentrionale della Provincia di Benevento, il settore orientale della Provincia di Avellino e il Vallo di Diano nella Provincia di Salerno, dove gruppi di comuni con popolazione inferiore ai 5000 abitanti, tra loro contigui, appartenenti allo stesso Sts possono essere incentivati alla collaborazione.

 

 

1 Dalla relazione Pianificazione territoriale regionale e pianificazione provinciale presentata in versione più estesa al Seminario di studi “La pianificazione territoriale provinciale in Campania e nel Mezzogiorno. Questioni metodologiche e forma del piano. Processi di governo ed efficacia delle politiche territoriali”, Napoli 5 e 6 marzo 2004.

2 Viesti G. (2003), Abolire il Mezzogiorno, Laterza, p. 107.

3 Diamanti I., Una strana e ambigua voglia di Stato, in “La Repubblica”, 29.2.2004.

4 Gaudin J. P. (1999), Gouverner par contrat L’action publique en question, Presse de sciences Po.

5 Bobbio L. (2000), Produzione di politiche a mezzo di contratti nella pubblica amministrazione italiana, in “Stato e mercato”, n. 58.

6 Donolo C. (2002), Politiche integrate come contesto dell’apprendimento istituzionale, in Battistelli F. (a cura di), “La cultura delle amministrazioni fra retorica e innovazione”, FrancoAngeli.

7 Si veda Morisi M. e Magnier A. (2003), Governo del territorio: il modello Toscana, il Mulino.

8 Parte delle considerazioni che seguono fanno riferimento alla bozza del Documento d’inquadramento strategico della pianificazione territoriale regionale della Campania.

9 Si veda Traina D. M., Regioni e governo del territorio. Dopo la riforma del titolo V della Costituzione, in Morisi M. e Magnier A., op. cit., pp.65-83.

10 Vandelli L. (2002), Devolution e altre storie. Paradossi, ambiguità e rischi di un progetto politico, il Mulino.

11 Non a caso si è potuto predisporre per i lavori della competente Commissione della Camera dei Deputati un testo unificato dei due atti.

12 Riproducendo, mutatis mutandis (cioè, soprattutto, con la regione al posto del Ministero dei lavori pubblici), la logica dell’art. 5 e segg. della legge 1150/1942.

13 Il disegno di legge dell’on. Sandri dà per scontato tale scenario, esplicitamente affermando inoltre che “ciascun livello istituzionale esplica le proprie funzioni di governo del territorio primariamente attraverso gli strumenti di pianificazione generale” (art. 5, comma 1), con ciò prevedendo ordinariamente anche uno strumento di pianificazione regionale.

14 Lo scenario utilizzato in Campania è in sostanza assai vicino a quello del disegno di legge dell’on. Sandri.

15 Si veda in particolare Palermo P. C. in Prove d’innovazione, op. cit.

16 Piano urbanistico territoriale, Lr del 24.3.2000, n. 27, Regione Umbria, Bollettino Ufficiale della Regione Umbria n. 31 del 31 maggio 2000 suppl. straordinario.

17 Quello dell’Emilia-Romagna - che appartiene a una generazione precedente - esprime una forte connessione con gli obiettivi e la natura della programmazione economica e come quadro territoriale delle grandi politiche infrastrutturali che valorizza e territorializza una rilevante strumentazione di settore nell’ambito della mobilità e dei trasporti; unitamente ad una forte e innovativa applicazione dei programmi integrati d’intervento a favore di una diffusa politica di riqualificazione urbana. Questa esperienza si è ridotta nell’orientamento assunto negli ultimi anni, in rapporto alla Lu del 2000, verso la configurazione di un quadro di riferimento unitario, una nuova disciplina di riforma del regime dei suoli (in riferimento soprattutto al principio di perequazione), il rilancio della pianificazione d’area vasta affidata alle province; la valorizzazione del piano urbanistico come carta unica del territorio; la valorizzazione degli aspetti ecologici ed ambientali. Centrale sembra l’obiettivo di ribadire un metodo di pianificazione agganciato ad un forte orientamento programmatico, all’interno del quale le province devono realizzare nei Ptcp una trasformazione coerente del territorio e attuare il piano paesistico regionale.

18 Fabbro S. (2003), I nuovi piani territoriali regionali in Italia: approcci, scenari, efficacia, in Urbanistica n. 121.

19 Fabbro S. (2003), op. cit.,in Urbanistica n. 121.

20 Fabbro S. (1998), Pianificazione regionale tra locale e globale, Forum, pp. 32-33.

 

 

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