Con la Lr 16/2004 si è per certi versi
chiuso il cerchio dell’intensa attività
normativa in materia edilizia e urbanistica
che ha contrassegnato l’intero arco della
legislatura regionale appena conclusa.
Le tappe più significative di tale iter
sono rappresentate dalla Lr 19/2001, sul
procedimento per il rilascio dei titoli
abilitanti l’attività edilizia, che ha
precorso – soprattutto in ordine alla
denuncia di inizio attività – il testo unico
approvato con Dpr 380/2001 (ed entrato in
vigore soltanto nel 2003); dalla Lr 26/2002,
sulla salvaguardia dei centri storici; dalla
Lr 21/2003, che ha vietato l’edificazione a
fini residenziali nella cosiddetta zona
rossa dell’area vesuviana; e dalla Lr
10/2004, con la quale si è disciplinato il
condono introdotto con il Dl 269/2003.
Ma la pressante priorità restava, comunque,
la legge urbanistica – la prima e organica
legge urbanistica – licenziata dalla Giunta
regionale nel 2001 e approvata a stragrande
maggioranza (un solo voto contrario) dal
Consiglio regionale dopo quattro anni di
intensa attività concertativa con enti
locali, associazioni, ordini professionali e
forze politiche.
La legge prende le mosse da un quadro di
fatto disastroso: secondo una recente
ricerca condotta dall’Università di Salerno1,
soltanto 370 (su 551) comuni della regione
sono dotati di Prg, 124 sono provvisti di
programma di fabbricazione e 57 (quasi il
10%) non posseggono alcuno strumento
urbanistico.
Non meno incoraggiante l’attività
pianificatoria delle province campane,
nessuna delle quali è dotata di un piano
di coordinamento territoriale (Ptc)
approvato; dato, quest’ultimo, che non
sorprende più di tanto, a fronte di un
contesto normativo regionale – quello
vigente fino al dicembre 2004 – formatosi in
un’epoca in cui la pianificazione di area
vasta veniva praticamente ignorata.
Occorreva, dunque, ripensare i ruoli e i
compiti dei singoli enti coinvolti nella
pianificazione territoriale, anche e
soprattutto a fronte della riforma del
Titolo V della Costituzione, e attribuire
contenuti e tempi certi ai processi di
formazione dei singoli piani.
Per far fronte a queste esigenze, quindi, la
Lr 16/2004, ha anzitutto attribuito
elasticità ai 3 livelli (regionale,
provinciale e comunale) in cui si articolano
le funzioni pianificatorie: è stato così
previsto, da un lato, che il piano
territoriale regionale (Ptr, la cui
proposta è già stata approvata dalla Giunta
regionale) e il Ptc siano sottoposti a
verifica quinquennale, in modo da essere
continuamente aggiornati rispetto alle
mutevoli esigenze del territorio, e
dall’altro che mediante la formazione del
Ptc o del piano urbanistico comunale
(Puc), ciascun comune o provincia possa
proporre, in attuazione del principio di
flessibilità, modifiche sostanziali dei
rispettivi atti di pianificazione
sovraordinata.
In coerenza con gli stessi obiettivi – che
imponevano l’accorpamento dei contenuti di
più piani in un unico modulo – la provincia
è diventata il principale attore della
pianificazione di area vasta, e al Ptc sono
stati attribuiti valore e portata di piano
paesaggistico, di piano di bacino, di piano
territoriale del parco e di piano Asi, in
modo tale da offrire ai comuni in procinto
di adottare e/o di variare un Puc un unico
parametro di riferimento, comprensivo di
tutte le prescrizioni di tutela che la
previgente disciplina ripartiva tra più
atti.
Ma le novità più significative non potevano
non riguardare gli strumenti urbanistici,
fino ad oggi ingessati all’interno di schemi
procedurali e contenutistici troppo rigidi:
basti pensare, ad esempio, ai tempi di
formazione e approvazione dei Prg, che hanno
spesso sfiorato (se non superato) il
decennio – anche grazie alle frequenti
restituzioni dei piani per la modifica
sostanziale degli stessi – o al controllo di
conformità, che appesantiva il procedimento
di formazione dei Prg, riducendone oltremodo
la spinta innovatrice.
Sul punto la Lr 16/2004 ha, anzitutto,
innovato la ripartizione delle competenze
tra Consigli e Giunte comunali: queste
ultime promuovono la proposta di Puc e
approvano i piani urbanistici attuativi
(Pua) ad essi conformi – e che, in quanto
tali, non necessitano più del controllo di
conformità provinciale, che risulterebbe
un’inutile duplicazione dell’istruttoria già
svolta dalla provincia in sede di
approvazione del Puc – mentre i Consigli
adottano il Puc e approvano il
regolamento edilizio urbanistico comunale
(Ruec) e gli atti di programmazione degli
interventi (che hanno durata triennale,
disciplinano la nuova edificazione e la
riqualificazione dell’edificato esistente e
individuano le opere pubbliche o di
interesse pubblico, nonché le opere di
urbanizzazione da realizzare nel predetto
arco temporale), conservando quindi il ruolo
di organo responsabile dell’attività di
pianificazione comunale.
Ancora, mentre nel regime previgente il
Consiglio comunale era tenuto, con due
diverse delibere, ad adottare il Prg e a
controdedurre alle osservazioni presentate
dalla cittadinanza, la Lr 16/2004 accorpa
tale duplice fase in un unico passaggio
procedimentale, mediante il quale il
Consiglio controdeduce alle osservazioni
presentate, adotta il Puc e lo trasmette
alla provincia per l’approvazione.
Attraverso tale meccanismo procedimentale,
peraltro, i cittadini non formulano più le
proprie osservazioni su di un piano già
adottato, e quindi cristallizzato
dalla volontà politica del Consiglio, ma
hanno la reale possibilità di contribuire
attivamente alla fase di adozione dello
strumento urbanistico generale proponendone
la modifica.
Infine il Puc, trasmesso alla provincia per
la verifica di conformità con la
normativa statale e regionale vigente, e di
compatibilità con gli strumenti di
pianificazione sovracomunale, diviene
oggetto, in caso di esito negativo di tale
verifica, di una conferenza di
pianificazione (presente anche nel
procedimento di approvazione del Ptr e del
Ptc), a cui partecipano organi provinciali e
comunali.
Nel corso della conferenza il piano viene
direttamente modificato – evitando così
correzioni unilaterali da parte del comune
soggette ad un’ulteriore istruttoria
provinciale – per poter essere approvato
(dal Presidente dell’amministrazione
provinciale previa semplice delibera di
Giunta) dopo la conclusione della stessa ed
entrare, quindi, in vigore.
I medesimi principi di partecipazione e
semplificazione ispirano anche l’istituto
degli accordi di programma, i cui effetti
producono, per espressa previsione di legge,
la modifica degli strumenti di
pianificazione urbanistica e territoriale,
ivi inclusi, ad esempio, i piani paesistici
(cfr. Consiglio di Stato, Sezione VI,
Sentenza n. 25/2001).
Proprio in virtù degli ampi riflessi
urbanistico-territoriali prodotti dagli
accordi di programma, è stato stabilito che
al procedimento preordinato alla stipula
dell’accordo partecipano sia i proprietari
delle aree interessate dai relativi
interventi (a cui è data peraltro la
possibilità di formulare osservazioni a
seguito della pubblicazione della
documentazione occorrente alla stipula
dell’accordo medesimo), sia le
organizzazioni portatrici di interessi
diffusi.
Inoltre, allo scopo di assicurare il
costante aggiornamento delle modifiche
apportate dagli accordi di programma sugli
atti di pianificazione, è stato istituito
presso la Giunta regionale un apposito
settore, incaricato di esprimere il parere
della regione nel corso delle conferenze di
servizi all’uopo convocate.
Tale settore ha anche il compito di gestire
il sistema informativo territoriale,
chiamato a costituire e a gestire la banca
dati cartografica e normativa, aperta alla
consultazione di tutti gli enti locali, in
cui affluiscono tutti gli atti di
pianificazione territoriale e urbanistica.
Quanto alle modalità di attuazione della
pianificazione comunale, la legge dà ampio
spazio, oltre ai Pua di cui si è detto, alla
perequazione urbanistica – che ha lo scopo
di distribuire equamente, tra i proprietari
di immobili interessati dalle trasformazioni
previste dal Puc e dagli atti di
programmazione degli interventi, diritti
edificatori e obblighi nei confronti del
comune o di altri enti pubblici, e che si
attua mediante l’attribuzione di quote
edificatorie, liberamente commerciabili, a
ciascun proprietario – e alle società di
trasformazione: alle tradizionali società di
trasformazione urbana (introdotte dall’art.
120 del DLgs 267/2000) sono state affiancate
le società di trasformazione territoriale
(Stt), chiamate a realizzare interventi a
carattere sovracomunale (è già in corso lo
studio di fattibilità per la creazione della
prima Stt in Italia avente a oggetto l’area
vesuviana).
È stato poi affrontato l’annoso problema
della decadenza dei vincoli urbanistici, la
cui reiterazione, in conformità al costante
insegnamento della Corte costituzionale, è
ammessa soltanto a condizione che la stessa
sia motivata e accompagnata dalla previsione
di un equo indennizzo, calcolato ai sensi
del Dpr 327/2001, in favore dei proprietari
incisi dai medesimi vincoli.
Infine, allo scopo di garantire
l’effettività del nuovo sistema della
pianificazione, la legge regionale assicura
supporti tecnici e finanziari per la
predisposizione degli strumenti urbanistici
a favore dei comuni che ne facciano
richiesta – primi fra tutti quelli
sprovvisti di strumenti urbanistici – e
sanziona l’inerzia di Comuni e province con
la previsione di interventi sostitutivi
esercitati, entro termini perentori, dagli
enti sovraordinati (a seconda dei casi,
provincia o regione).
Note
1
Cfr. Edilizia e Territorio, 10 gennaio 2005,
pag. 5. |