A poco più di 4 anni dall’approvazione del
DLgs 490/1999 – e nonostante quest’ultimo,
nel corso della propria (forse troppo) breve
vita, abbia dato adito a ben pochi dubbi
interpretativi – il legislatore ha varato
una nuova disciplina, sostitutiva di quella
previgente e destinata ad assumere il ruolo
di unico riferimento normativo in materia di
protezione del patrimonio culturale.
Ovviamente l’obiettivo principale del nuovo
Testo unico non poteva non essere quello di
dare attuazione al riformato Titolo V della
Costituzione, il cui art. 117, nella sua
nuova formulazione, ha distinto la tutela
dei beni culturali – assegnata alla potestà
legislativa esclusiva dello Stato – dalla
valorizzazione degli stessi, confluita nel
novero delle materie di legislazione
concorrente Stato-regioni.
E proprio per rimediare a tale vera e
propria (e per alcuni versi imbarazzante)
divaricazione di poteri, il DLgs 42/2004 ha
tentato di rendere quanto più possibile
unitaria l’azione amministrativa in
subiecta materia, individuando da un
lato nel Ministero per i beni e le attività
culturali il principale attore della
politica di tutela del territorio, e
riconoscendo, dall’altro, la possibilità che
l’esercizio delle relative funzioni avvenga
anche congiuntamente con le regioni, previa
predisposizione di specifici atti di intesa
e di coordinamento: basti pensare, ad
esempio, alle Commissioni provinciali di cui
all’art. 137 – istituite al fine di
formulare proposte per la dichiarazione di
notevole interesse pubblico dei beni e degli
immobili individuati dal precedente art. 136
– composte sia da organi ministeriali
periferici, sia da “soggetti con particolare
e qualificata professionalità ed esperienza
nella tutela del paesaggio” nominati dalle
regioni.
Il Codice introduce una definizione di
paesaggio mutuata dalla Convenzione europea
di Firenze dell’ottobre 2000: ai sensi
dell’art. 131, infatti, “per paesaggio si
intende una parte omogenea del territorio i
cui caratteri derivano dalla natura, dalla
storia umana o dalle reciproche
interrelazioni”; definizione oltremodo
ambigua, visto che potrebbe applicarsi alla
quasi totalità del territorio nazionale.
Nessuna novità, invece, per quanto riguarda
la classificazione dei beni paesaggistici,
rimasta per la gran parte immutata (il
Codice vi inserisce gli immobili e le aree
sottoposte a tutela dai piani paesaggistici,
esplicitando una previsione per certi versi
già sottintesa dall’art. 149 del DLgs
490/1999).
La pianificazione paesaggistica
L’art. 135 del DLgs 42/2004, nel ribadire il
compito delle regioni di sottoporre a
specifica normativa d’uso il territorio
mediante l’approvazione dei piani
paesaggistici (definizione nella quale
vengono inclusi anche i piani
urbanistico-territoriali “con specifica
considerazione dei valori paesaggistici”),
specifica che detti piani vanno riferiti
all’intero territorio regionale (e non più a
singoli ambiti di quest’ultimo delimitati in
funzione della rispettiva concentrazione di
beni ambientali), e che gli stessi
definiscono “le trasformazioni compatibili
con i valori paesaggistici”, “le azioni di
recupero e riqualificazione” dei beni
tutelati, e gli “interventi di
valorizzazione del paesaggio, anche in
relazione allo sviluppo sostenibile”
(espressione spesso abusata nella prassi, ma
più che adatta alla materia de qua).
Restano attribuiti al Ministero per i beni e
le attività culturali, anche nel nuovo
regime, la potestà di indirizzo della
pianificazione, esercitata attraverso
l’adozione di linee fondamentali
dell’assetto del territorio per la tutela
del paesaggio, e il potere sostitutivo in
caso di perdurante inerzia o inadempienza
della regione competente (art. 5, commi 6 e
7, art. 143, comma 10, art. 145, commi 1 e
2).
In sede di formazione dei piani
paesaggistici sono, inoltre, assicurate
un’adeguata pubblicità, la concertazione
istituzionale e la partecipazione sia dei
soggetti interessati, sia delle associazioni
costituite per la tutela degli interessi
diffusi individuate ai sensi dell’art. 1
della legge 349/1986.
La concertazione istituzionale, in
particolare, può portare ad una elaborazione
del piano paesaggistico concordata tra lo
Stato e la regione e preceduta dalla stipula
di un accordo che individua presupposti,
modalità e tempi per l’approvazione (art.
143, comma 10) e la revisione periodica del
piano stesso (art. 143, comma 11).
Tale peculiare modalità procedimentale
consente, tra l’altro, di prevedere che in
alcune aree vincolate ai sensi della legge
Galasso (431/1985) l’autorizzazione
paesaggistico-ambientale per la modifica
dello stato dei luoghi non sia più
necessaria; ciò in quanto le esigenze di
salvaguardia si ritengono adeguatamente
soddisfatte già con la redazione congiunta
del piano, che comporta la previsione
concordata di prescrizioni operative
differenziate per ciascuna area e che al
tempo stesso tengono conto delle
caratteristiche specifiche del territorio.
Con la conseguenza che gli obiettivi di
tutela si riterranno ex se perseguiti
mediante il recepimento delle prescrizioni
del piano da parte della strumentazione
urbanistica comunale; di riflesso, la
conformità dell’opera da realizzare al piano
regolatore generale implicherà, da sola,
anche la compatibilità
paesaggistico-ambientale a cui il nulla osta
di cui al previgente art. 151 del DLgs
490/1999 era preordinato.
Analoga disciplina è stata dettata per
l’adeguamento dei piani territoriali
paesistici (Ptp) vigenti: anche in
questo caso le attività di verifica e
adeguamento dei piani esistenti alle
intervenute prescrizioni del DLgs 42/2004 –
che debbono concludersi entro 4 anni
dall’entrata in vigore del Codice – possono
essere svolte dalle regioni d’intesa con lo
Stato, sulla base di appositi accordi che
stabiliscano i termini entro cui concludere
le relative attività e approvare il singolo
piano adeguato; nel caso però che
l’adeguamento non venga concordato
istituzionalmente, l’edificazione nelle aree
cosiddette Galasso resterà
subordinata al previo conseguimento
dell’autorizzazione paesaggistico-ambientale
(non trovando applicazione, in tale ipotesi,
la causa di esenzione di cui si è detto
sopra).
Al di là delle notazioni di carattere
meramente tecnico-procedimentale, comunque,
non può negarsi che il contenuto dei piani
di tutela delineati dal Codice risulta tutt’altro
che innovativo: e infatti i Ptp e i piani
urbanistici territoriali conservano una
valenza marcatamente prescrittivi con
riferimento a tutte le aree da questi
contemplate.
Certamente, il ricorso a degli strumenti
così analitici va qualificato come reazione
all’eccessiva vaghezza della disciplina
puntuale dei vincoli paesaggistici vigenti,
che ha attribuito in maniera forse avventata
un potere discrezionale troppo ampio agli
organi deputati a verificare la
compatibilità delle trasformazioni
consentite rispetto alle relative
disposizioni di piano. Al tempo stesso,
però, con la redazione del Codice sarebbe
stato opportuno accogliere la tante volte
auspicata distinzione tra paesaggio
naturale – che rende sufficiente una
disciplina di tutela di carattere negativo,
che evidenzi, cioè, gli obblighi di non
facere – e paesaggio artificiale,
frutto delle trasformazioni progressivamente
impresse dall’uomo, nel quale la
riproposizione di una disciplina negativa
interrompe drasticamente l’evoluzione del
contesto territoriale di riferimento.
L’autorizzazione paesaggistico-ambientale
Il Codice prevede, all’art. 146,
l’introduzione di un nuovo procedimento di
rilascio del nulla osta di cui al previgente
art. 151 del DLgs 490/1999; procedimento la
cui entrata a regime è stata rinviata
all’indomani dell’“approvazione dei piani
paesaggistici, ai sensi dell’articolo 156
ovvero ai sensi dell’articolo 143, e al
conseguente adeguamento degli strumenti
urbanistici ai sensi dell’articolo 145”.
Nelle more di tale adeguamento, si applica
una disciplina transitoria – vigente
dall’1.5.2004 – dai tratti simili a quella
dettata dal Testo unico del 1999 e
contrassegnata (art. 159):
- dal rilascio, entro 60 giorni dalla
relativa richiesta, dell’autorizzazione (il
termine è perentorio e sospendibile una sola
volta per l’acquisizione di integrazioni
documentali o per l’esperimento di appositi
accertamenti); in caso di inerzia
dell’amministrazione, il privato può
richiedere l’autorizzazione direttamente
alla Soprintendenza, che decide anch’essa
entro 60 giorni dall’istanza;
- dalla comunicazione alla Soprintendenza
competente, da parte dell’amministrazione
preposta alla tutela del vincolo, del
rilascio dell’autorizzazione;
detta comunicazione viene contestualmente
inviata anche agli interessati, per i quali
la stessa costituisce avviso di inizio del
procedimento ai sensi dell’art. 7 della
legge 241/1990;
- dalla possibilità per la Soprintendenza di
annullare l’autorizzazione, con
provvedimento motivato, entro il termine
(perentorio) di 60 giorni dalla ricezione
della relativa pratica (comprensiva di tutta
la necessaria documentazione); decorso tale
termine, l’autorizzazione si intende
confermata.
Del tutto innovativo, invece, risulta il
procedimento di autorizzazione a regime,
caratterizzato:
- dalla trasmissione alla Soprintendenza
della proposta di nulla osta entro 40 giorni
dalla ricezione della relativa istanza
(termine sospendibile sia per l’acquisizione
di documenti che andavano ab origine
allegati all’istanza, sia per l’acquisizione
di documentazione ulteriore: in questo
ultimo caso la sospensione può avvenire una
sola volta e non può avere durata superiore
a 30 giorni); nello stesso termine
l’amministrazione procedente dà notizia agli
interessati dell’avvenuto avvio del
procedimento;
- dalla formulazione del parere della
Soprintendenza entro il termine perentorio
di 60 giorni, decorsi i quali il parere si
intende favorevolmente espresso;
- dal rilascio dell’autorizzazione entro i
20 giorni successivi; l’autorizzazione
diviene efficace dopo ulteriori 20 giorni
dalla sua emanazione;
- dalla possibilità per gli interessati, nel
caso di mancato rilascio
dell’autorizzazione, di richiedere
l’intervento sostitutivo della regione (o
della Soprintendenza, in caso di mancato
esercizio della sub-delega in materia di
funzioni paesaggistico-ambientali da parte
della prima), che provvede entro 60 giorni
dalla nuova istanza.
L’art. 146 prevede, inoltre, che
l’autorizzazione “non può essere rilasciata
in sanatoria successivamente alla
realizzazione, anche parziale, degli
interventi”, confermando così la validità
dell’opinione già espressa sulle pagine di
questa rivista (cfr. areaAVasta nn.
6-7/2003, pag. 320) in ordine all’inconfigurabilità,
anche nel contesto normativo precedente,
dell’autorizzazione paesaggistica cosiddetta
postuma.
A differenza dell’art. 164 del DLgs
490/1999, però, l’art. 181 del Codice non
ammette l’applicazione di specifiche
sanzioni pecuniarie per la realizzazione di
opere edilizie prive della prescritta
autorizzazione – sanzioni dalle quali
derivava un’autorizzazione implicita al
mantenimento delle medesime opere – ma si
limita a prevedere unicamente la rimessione
in pristino, a spese del responsabile
dell’abuso, dello stato dei luoghi; per cui
nessuna sanatoria degli abusi in parola
appare più configurabile. |