Le cronache recenti hanno confermato la
gravità dei disagi ambientali e sociali
connessi alla realizzazione di impianti per
lo stoccaggio dei rifiuti. Non è in
discussione il fatto che tali impianti siano
necessari: il problema per il Pianificatore
(o Decisore) pubblico diventa piuttosto
quello di una loro localizzazione ottimale,
che sia al contempo efficiente in termini
logistici, valida in termini urbanistici,
sostenibile in termini ambientali ed
economici e – soprattutto – accettata
dalla collettività che dovrà ospitarli
sul proprio territorio.
Su queste premesse, si propone di seguito
una riflessione sul contributo che possono
dare a questi problemi la pianificazione
urbanistica e l’economia pubblica (intesa
come sistema di policy a livello
locale). La pianificazione urbanistica,
poiché la prospettiva con cui è pianificata
una discarica, nello spazio ma soprattutto
nel tempo, è un fattore determinante per una
sua corretta valutazione e accettazione.
L’economia pubblica, poiché il carattere
negativo delle discariche può essere
(quasi sempre) considerato come un valore
negoziabile, ovvero può essere compensato,
il che sposta la questione anche alla
valutazione economico-sociale di una
contropartita che le comunità interessate
percepiscano come equa.
Aspetti urbanistici e territoriali
La società dei consumi ha prodotto un nuovo
modo di intendere lo spazio e la
funzionalità del territorio: una delle
conseguenze più rilevanti – e più discusse –
è stato il proliferare di infrastrutture
connesse allo stoccaggio e smaltimento dei
rifiuti che hanno modificato i paesaggi
(urbani e non) provocando forti reazioni nel
corpo sociale.
Tali funzioni sono spesso localizzate in
aree escluse dalla vita sociale, o
irrilevanti dal punto di vista ambientale,
procedendo per esclusione, senza accorgersi
che seguendo la logica del tanto più è
degradata l’area, tanto più è idonea a
ospitare funzioni degradanti, si crea un
circolo vizioso negativo, con effetti
devastanti soprattutto nel lungo termine.
Occorre piuttosto pensare al territorio come
ad un sistema con risorse limitate, tutte
meritevoli di valorizzazione e
riqualificazione: in altri termini, è
necessario riflettere sulla questione dello
smaltimento dei rifiuti intesa come una fase
negativa ma necessaria per la vita della
società insediata, secondo un’ottica
differente dai cosiddetti vecchi metodi,
che identificavano invece questa
problematica come fase ultima di un ciclo
chiuso, in una prospettiva di emarginazione
e di irrecuperabilità.
Le forti reazioni sociali che ne derivano
sono il riflesso sia della presa di
coscienza delle problematiche ambientali,
sia della questione della riaffermazione
del locale, ovvero riconducibili alla
questione della non-accettazione di un
intervento imposto dall’esterno, che,
seguendo necessità di carattere sovralocale,
provoca effetti di carattere locale: le
istituzioni pubbliche, invece di essere
considerate come l’ambito entro il quale
risolvere il problema, sono viste come causa
e come parte integrante dello stesso – sia
perché la questione nasce in parte da una
decisione amministrativa, sia perché le si
ritiene incapaci di rappresentare
correttamente gli interessi locali.
La pianificazione ne esce sconfitta: le
risposte del piano a queste problematiche
appaiono inadeguate, sembra che sfugga al
controllo una questione che per definizione
dovrebbe all’opposto essere oggetto di
pianificazione e di programmazione
controllata. Invece, è proprio questo uno di
quei casi che possono restituire forza
all’idea del piano come strumento di
regolazione dei conflitti sociali e di
integrazione delle differenti funzioni che
trovano spazio nel territorio. Questa
rivincita del piano trova le sue ragioni
anche e soprattutto nella necessità di
avviare un processo di concertazione tra le
parti coinvolte, al fine di stabilire un
quadro condiviso di conoscenza e fiducia che
sia rivolto verso una risoluzione negoziale
dei conflitti.
Uno dei percorsi utili per facilitare la
risoluzione dei conflitti connessi – in
maniera indissolubile – alla questione degli
impianti di stoccaggio dei rifiuti, potrebbe
allora essere il ripensare ad essi come una
fase di un processo più ampio, che porti ad
una destinazione d’uso finale differente. Si
tratta, in sostanza, di considerare una
doppia vita dell’impianto, ovvero di
introdurre nel processo di pianificazione il
concetto di reversibilità, che
consiste nella capacità di poter invertire –
se non completamente, almeno in parte –
alcune alterazioni (paesaggistiche,
economiche, sociali, ecologiche)
inevitabilmente connesse alle strutture
medesime, con particolare sensibilità per
gli effetti che potrebbe avere tale processo
per la destinazione d’uso prevista nel lungo
termine.
Si passerebbe così ad una nuova
concezione del recupero di queste
strutture, recupero inteso non come una
semplice attività ex post, ma come
parte integrante del processo di
progettazione, da avviarsi quindi sin dalla
fase iniziale. Si potrebbe giungere, in
altre parole, ad una visione che cercando di
comprendere il futuro, provi nel contempo a
condizionarlo, creando le condizioni per una
corretta gestione del loro riutilizzo.
In tale prospettiva, il problema della
localizzazione degli impianti di stoccaggio
dei rifiuti potrebbe affrontarsi in maniera
differente, esaminando la questione della
loro integrazione nel tessuto territoriale
secondo due scale differenti di analisi
intrinsecamente interdipendenti: locale e
sovralocale.
A livello sovralocale, ad esempio,
dove la pianificazione assume carattere
strategico, si potrebbero specificare – per
quanto riguarda la prima fase, ovvero la
destinazione a impianto di stoccaggio – i
criteri economici e funzionali per
l’individuazione dei bacini di utenza e di
localizzazione delle strutture necessarie
allo smaltimento e al trasporto dei rifiuti,
gli indirizzi per quanto riguarda le
procedure e le modalità dei processi. Per
quanto riguarda invece la seconda fase della
vita dell’impianto, ovvero il suo possibile
riutilizzo, è a questo livello di analisi e
pianificazione che potrebbe essere
individuata la possibilità di integrazione
della funzione prevista con il contesto
ambientale e socio-economico, tramite
l’analisi del sistema di valori
territoriali esistenti e potenziali, delle
dinamiche regresse e in atto, della
dotazione dei servizi esistenti e previsti,
e così via. In tale fase potrebbe essere
individuata una gerarchia di priorità
connesse sia alle prospettive
socio-economiche dell’intero territorio, sia
in base al grado di reversibilità delle
condizioni ambientali del medesimo.
Per quanto riguarda invece le operazioni a
scala locale, ove la prospettiva di
recupero potrebbe favorire il recupero della
dimensione infrastrutturale degli
impianti di stoccaggio dei rifiuti, è a
questo livello che potrebbero essere
precisate le questioni più tecniche del
processo progettuale (prime tra tutte
l’identificazione dei vincoli tecnici e dei
rischi specifici per l’uomo e per
l’ambiente), identificando le modalità
realizzative sia dell’impianto che della
destinazione finale prevista, intese come
due fasi differenti e separate dello stesso
processo. Ciò non porta necessariamente a
ragionare sul rapporto che potrebbe
instaurarsi tra il processo di smaltimento
dei rifiuti e le possibili destinazioni, con
particolare riferimento ai tempi e alle
modalità di costruzione, alla definizione di
un orizzonte di vita della discarica e alle
modalità della sua dismissione.
Ovviamente le due fasi devono essere
connesse tra loro in maniera ciclica e
iterativa, tramite un continuo processo di
feedback al fine di raggiungere la
necessaria integrazione dei differenti campi
di analisi e pianificazione.
Secondo tale prospettiva, si tratta di
ribaltare il modo di affrontare la
pianificazione di un impianto di stoccaggio
dei rifiuti, inteso come fase di un processo
costruttivo passante anche attraverso
questo, che potrebbe in tal modo essere
legittimato per la sua natura di
necessarietà, e per questo non rimosso
dall’ambiente di vita di una comunità,
collocando così l’ineluttabilità del
disfacimento dei rifiuti all’interno del
processo di pianificazione.
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Aspetti economici e sociali
Ragionando in termini di economia pubblica,
il principale problema che si pone al
Decisore nel momento in cui deve localizzare
una discarica consiste nel fatto che
generalmente un simile insediamento porta
benefici a molte comunità, penalizzandone
una sola: quella cioè che dovrà ospitare la
discarica nel proprio territorio. Ai disagi
ambientali, economici, paesaggistici e
sociali connessi all’insediamento, per
questa comunità (d’ora in poi: Comunità A,
anche qualora si tratti di più comunità
interessate) si aggiunge infatti la
contrarietà per cui altri godono dei
benefici che ne derivano, senza subirne
alcun costo.
Si tratta di un atteggiamento noto in
letteratura come sindrome nimby (not
in my backyard): nonostante sia compresa
la necessità di impianti degradanti,
l’individuo non accetta di sopportarne gli
impatti negativi e assume comportamenti
egoistici affinché sia localizzato altrove,
ovvero in un altro backyard.
Queste reazioni sono senz’altro
comprensibili, ma possono degenerare in
situazioni gravi di conflitto sociale. Per
entrambi i motivi, il Decisore ha oggi la
necessità di disporre di strumenti di
supporto alla scelta localizzativa di tali
impianti al fine di eliminare, o almeno
ridurre, il disequilibrio tra i benefici
percepiti da tutte le comunità e i costi
subiti dalla sola Comunità A.
L’approccio più immediato e razionale per
risolvere il problema è riconducibile alla
definizione di forme di compensazione,
ovvero a benefici introdotti specificamente
a favore della Comunità A, che vadano ad
aggiungersi alle usuali forme di
compensazione ambientale. In linea generale,
tali benefici dovrebbero rispondere almeno a
queste condizioni:
- devono essere percepiti dalla Comunità A
come almeno equivalenti alla penalizzazione
subita, cioè al danno percepito per
l’insediamento della discarica;
- devono essere sostenibili per il Decisore
in termini ambientali, economici e
amministrativi;
- non devono creare nuovi disequilibri
rispetto ad altre comunità.
Su queste premesse, viene proposta di
seguito una possibile classificazione delle
principali tipologie di compensazione
in quattro macro-voci:
- compensazione in forma di risparmio
tariffario;
- compensazione in forma di bene o servizio
collettivo;
- compensazione in forma di risarcimento
diretto;
- compensazione politica.
Queste tipologie, non esclusive e dunque
teoricamente sovrapponibili, sono descritte
nelle pagine seguenti. Le prime due hanno
già trovato applicazione nel nostro paese;
le altre, vengono proposte al fine di
consentire confronti e – semmai – stimolare
discussioni più approfondite su una loro
effettiva praticabilità.
Compensazione in forma di risparmio
tariffario
I membri della Comunità A ottengono una
compensazione sotto forma di riduzione del
carico fiscale imposto dal Decisore (in
questo caso, dal comune in cui risiedono).
L’esempio più immediato fa riferimento al
pagamento dei servizi offerti dalla
discarica, ovvero alla gestione dei rifiuti:
per l’intero periodo di attività
dell’insediamento, le relative imposte (Tarsu)
vengono ridotte ad ogni famiglia residente
nel comune; le riduzioni sono calcolate o in
base a quote percentuali fisse, o in base a
quote variabili a seconda del montante
complessivo dell’imposta, della distanza tra
la residenza e la discarica, ecc.
È possibile, tuttavia, fare riferimento
anche a imposte non direttamente collegate
alla funzione dell’insediamento imposto. Si
pensi, ad esempio, all’imposta comunale
sugli immobili (Ici): se la discarica
deve corrispondere al comune in cui è
insediata un’imposta annua pari a K,
tale somma potrà essere ridistribuita tra
gli individui o le famiglie della Comunità
A, anche stavolta secondo quote percentuali
fisse o variabili.
Si tratta di forme di compensazione
sovrapponibili, realizzabili in modo
relativamente semplice e per questo già
ampiamente praticate1, ma quasi
sempre di entità molto ridotta: la
popolazione se ne accorge appena e con ogni
probabilità vi rinuncerebbe volentieri, pur
di non avere la discarica insediata sul
proprio territorio. Più interessanti, e
soprattutto più comprensibili e apprezzabili
da parte dei cittadini, sono le forme di
indennizzo (sempre tramite riduzioni del
carico fiscale) che variano percentualmente
sulla scorta della tipologia o dei profitti
prodotti dall’insediamento2,
proposte in modo da far sentire la Comunità
A come azionista dell’impianto; anche
in questo caso, tuttavia, si tratta di
riduzioni generalmente piuttosto contenute,
raramente percepite dai cittadini come
sufficienti a bilanciare i disagi provocati.
Compensazione in forma di bene o servizio
utile per la collettività
In questo caso, il gettito finanziario
incrementale che entra nelle casse del
comune che accetta la presenza di una
discarica è utilizzato per interventi di
interesse collettivo: principalmente servizi
al cittadino (strutture per anziani, spazi
per i giovani, sportelli di servizio, ecc.)
o lavori pubblici (infrastrutture di
collegamento, opere di risanamento edilizio,
arredi urbani, giardini, aree verdi, ecc).
Anche questa ipotesi, sebbene facilmente
realizzabile dal punto di vista
amministrativo e piuttosto diffusa, non
sembra priva di elementi di criticità. Si
pensi, ad esempio, al fatto che in questo
caso i benefici sulla collettività non sono
immediati: la distanza temporale tra una
penalizzazione e i relativi benefici aumenta
notevolmente la percezione della prima, e
ridimensiona notevolmente i secondi.
Inoltre, i benefici potrebbero essere
percepiti in misura fortemente differenziata
tra i vari membri della Comunità A: a fronte
della realizzazione di servizi per la terza
età, ad esempio, i componenti più giovani
della comunità non avranno alcun beneficio
diretto e si sentiranno a tutti gli effetti
non ricompensati.
Compensazione in forma di risarcimento
diretto
I membri della Comunità A ricevono una
compensazione in forma di risarcimento
diretto dei danni subiti a fronte
dell’insediamento della discarica sul
proprio territorio.
In questo caso, per la stima dell’entità del
risarcimento si può ricorrere alle
metodologie di quantificazione economica dei
danni ambientali, ormai consolidate, che
sono distinguibili – come è noto – tra
metodologie market oriented (basate
su criteri oggettivi legati a valori di
mercato) e metodologie survey oriented
(basate su interviste dirette presso le
collettività interessate).
Nel primo caso, è possibile fare
riferimento, ad esempio, al metodo basato
sui cosiddetti prezzi edonici: il
disagio generato da una discarica può essere
calcolato sulla base del differenziale di
prezzo tra due appartamenti in tutto simili,
uno dei quali però localizzato nei pressi
dell’insediamento.
Nel secondo caso, è possibile fare
riferimento a tecniche di valutazione
contingente: si potrebbero realizzare
interviste presso i membri della Comunità A
con lo scopo di ricostruire quale cifra
minima essi sarebbero disposti ad
accettare per accogliere sul proprio
territorio l’insediamento di una discarica,
stabilendo poi il risarcimento sulla base
dei valori medi risultanti dall’indagine3.
Una simile forma di risarcimento sarebbe
sicuramente molto apprezzata dai cittadini,
se non altro perché, comunque calcolate, le
somme distribuite risulterebbero assai più
elevati delle riduzioni tariffarie sopra
descritte; tuttavia, gli ostacoli di natura
tecnica e amministrativa a una sua
praticabilità sembrano oggi difficilmente
superabili. A parte il fatto che non sarebbe
affatto semplice stabilire quale ente
dovrebbe sostenere le spese risarcitorie,
appare del tutto irreale ipotizzare, ad
esempio, una procedura affidabile e regolare
di versamento da questo ente ai vari
residenti; ancora più importante: tali forme
di risarcimento diretto rischierebbero di
innescare circoli viziosi per cui le
comunità, e in particolare per quelle più
povere, potrebbero essere indotte a
vendere con facilità il proprio
territorio e il proprio ambiente naturale.
Compensazione in termini di peso politico
La scelta di accettare una discarica sul
proprio territorio è premiata in termini
politici. Si può ipotizzare cioè che il
Decisore, una volta stabilito
l’insediamento, abbia un occhio di riguardo
per la Comunità A su altri temi di sviluppo
territoriale, e dunque possa favorirla in
altre scelte: priorità nella destinazione di
fondi, nuove infrastrutture, maggiore
visibilità, ecc.
Più in generale, negli altri tavoli di
concertazione o di decisione la Comunità A
potrà chiedere, anziché dare, con più
diritti rispetto alle altre comunità. Si
pensi, ad esempio, al fatto che
l’insediamento di una discarica comporta
quasi sempre la creazione di nuovi posti di
lavoro (in fase di cantiere o stabili):
accettando la localizzazione della discarica
sul proprio territorio, la Comunità A
potrebbe a buon diritto ottenere che almeno
una parte dei nuovi posti di lavoro sia
garantita ai propri componenti.
Questa tipologia di compensazione, che in
altre forme e in altri tavoli politici è
prassi diffusa, ha margini di applicabilità
e di successo proporzionali all’abilità
politica del Decisore e alla sua capacità di
mettere in luce gli aspetti positivi
connessi all’insediamento presso i membri
della Comunità A.
Il prospetto mostrato in Tabella 1
presenta uno schema, estremamente
semplificato, per una valutazione
orientativa delle quattro categorie di
compensazione ora descritte. Si ipotizza,
per comodità, che la realizzabilità
complessiva di una politica di compensazione
sia determinata dai livelli di praticabilità
tecnica, di praticabilità
giuridico/amministrativa, di comprensibilità
e di apprezzamento atteso da parte della
Comunità A. Ovviamente queste voci, così
come i giudizi (livello alto, medio, basso),
sono del tutto indicative e potranno variare
sensibilmente a seconda delle specifiche
caratteristiche dei territori interessati.
Un simile schema, a ben vedere, costituisce
una base di riferimento anche per una
procedura elementare di valutazione
multicriteria: la scelta tra più alternative
di compensazione può infatti essere operata
attribuendo un punteggio quantitativo,
anziché qualitativo, ai vari livelli (ad
esempio: alto = 3, medio = 2, basso = 1) e,
eventualmente, dei coefficienti di
rilevanza alle quattro voci che
compongono la realizzabilità complessiva,
qualora si ritenga che non abbiano lo stesso
peso in fase decisionale.
Vale la pena, in chiusura, accennare ad un
ulteriore aspetto che potrebbe favorire
significativamente l’accettazione di una
discarica. Esso si riferisce all’opportunità
di distribuire l’eventuale compensazione,
comunque stabilita, in modo proporzionale
all’effettivo disagio patito dai singoli
componenti la Comunità A. Una cattiva
gestione di questo tema potrebbe causare
sindromi nimby secondarie, che dallo
scontro tra comuni potrebbero scendere a
quello tra ambiti urbani, e poi tra
quartieri, tra isolati, ecc.: è
consigliabile, pertanto, introdurre
differenze basate su parametri oggettivi e
facilmente comprensibili, quali ad esempio i
coefficienti di disagio basati sulla
distanza fisica dalla discarica, la cui
definizione deve essere però attentamente
concertata.
Conclusioni
Nell’affrontare le criticità connesse alla
localizzazione di una discarica, le cronache
recenti dimostrano la necessità che
l’approccio urbanistico e quello
socio-economico – al di là dei meri aspetti
tecnici e logistici – assumano nel futuro un
ruolo nuovo e più rilevante.
Dal punto di vista urbanistico, in
particolare, l’attenzione dovrebbe essere
rivolta, oltre che alla validità della
localizzazione in termini logistici, ad un
possibile riutilizzo dell’area interessata
per finalità di interesse collettivo quando
l’attività della discarica sarà esaurita. Si
tratta, in altre parole, di ribaltare il
modo di affrontare il problema della
gestione dei rifiuti nel contesto della
pianificazione, intendendo la discarica come
fase di un processo passante
attraverso l’impianto stesso, ma finalizzato
al recupero e al riutilizzo dell’area
interessata.
In termini socio-economici, invece, appare
sempre più auspicabile la diffusione di
approcci negoziali finalizzati a ridurre
i conflitti e facilitare il processo di
accettazione delle discariche; in tali
contesti, potrebbero essere sperimentate
forme di compensazione nuove, alternative ad
una riduzione del carico fiscale e – nei
limiti del possibile – tali da essere
percepite dalle comunità interessate come
almeno equivalenti al danno subito.
Da entrambi i punti di vista, la decisione
relativa alla localizzazione di una
discarica non dovrebbe essere affidata ad un
Decisore unico (autorità pubblica competente
o pianificatore). Appare senz’altro
preferibile, ad esempio, che il problema
venga risolto nell’ambito di un processo
concertativo in cui siano coinvolti,
prima della redazione del progetto
definitivo, i promotori del progetto di
insediamento, le istituzioni (comunali e
sovracomunali) competenti, le associazioni
ambientaliste, nonché rappresentanti e
portatori di interesse delle comunità
interessate.
Oltre che alla decisione sull’opportunità
dell’insediamento e alla negoziazione sulla
compensazione più adeguata, tale attività di
concertazione dovrebbe essere finalizzata
almeno:
1. a spiegare ai cittadini la necessità
della realizzazione dell’impianto e i
possibili benefici, ambientali e non;
2. a chiarire le questioni legate alla
sicurezza, alla durata, alla localizzazione
e alle possibilità di recupero
dell’impianto;
3. a vagliare eventuali opportunità di
cofinanziamento pubblico o privato
attivabili. Tale processo, peraltro,
potrebbe essere efficacemente realizzato
anche attraverso il ricorso a forme di
mediazione (ad esempio con il contributo di
facilitatori) o a tecniche di
negoziazione specifiche già sperimentate con
successo4.
Note
1
Tra i casi italiani che hanno trovato
maggiore spazio anche sugli organi di
informazione, si può citare ad esempio
l’impianto di Piccioli, in Provincia di
Pisa, la cui discarica, gestita in modo
imprenditoriale, porta nelle casse
comunali vari milioni di euro l’anno, il che
ha consentito – tra l’altro – di abbassare i
livelli di Tarsu e Ici ai minimi imposti
dalla legge.
2
Due casi esemplari sono forniti dal piano
industriale dell’ambito territoriale
ottimale n. 6 della Regione Toscana e dal
piano per la gestione dei rifiuti della
Provincia di Parma, in cui è introdotto un
contributo di compensazione, denominato
indennità di disagio ambientale,
destinato al comune o ai comuni che
“risentono delle ricadute ambientali
conseguenti all’attività dell’impianto”,
convenzionalmente determinati nell’area
compresa in un raggio di 2 km dal suo
perimetro; il contributo è calcolato come
percentuale delle entrate derivanti
dall’attività di gestione, e varia a seconda
che si tratti di una discarica semplice, o
di un impianto di trattamento termico, o di
un impianto di pretrattamento del rifiuto
urbano indifferenziato o di un impianto di
compostaggio.
3
Tale approccio avrebbe tuttavia dei costi
elevatissimi, senza contare tutti gli altri
punti deboli tipici dei metodi di
valutazione contingente, tra i quali:
conoscenze e informazioni per la valutazione
diseguali tra gli individui intervistati;
rischio di comportamenti strategici (free
riding) di chi non risponde la verità
contando sulle altre risposte; preferenze
non sempre transitive e sommabili; rischi di
distorsione a secondo del tipo di domanda o
di definizione del campione.
4
Si può fare riferimento, ad esempio, alla
tecnica di negoziazione statunitense
alternative dispute resolution, che
parte dal presupposto per cui conflitti
basati su interessi che sono percepiti non
come contrapposti, ma semplicemente come
differenti, possono essere risolti
individuando soluzioni ad hoc che
soddisfino contemporaneamente le diverse
parti coinvolte.
L’articolo è il risultato di elaborazioni
comuni di Alessia Cerqua e Paolo Liberatore.
Nel dettaglio, Introduzione e Conclusioni
sono state redatte in collaborazione; il
paragrafo sugli aspetti urbanistici è stato
redatto da Alessia Cerqua; il paragrafo
sugli aspetti economici è stato redatto da
Paolo Liberatore.
1. Collage di Lello Lopez, Pozzuoli (Na),
immagine di copertina del quindicinale
“terr@ flegrea”, anno II, n. 20 del 7 marzo
1998.
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