Numero 10/11 - 2005

 

Il territorio rifiutato  

 

Area Vasta n. 10/11 Luglio 2004 - Giugno 2005 Anno 6

numero 10/11  anno  2005

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In copertina Lello Lopez,

Da lontano, 2004

acrilico su tela, cm 40x30.

Fotografia di Vince Gargiulo

 

ISSN 1825-7526

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Non nel mio giardino. E dove allora?


Alessia Cerqua

Paolo Liberatore


 

Le cronache recenti confermano la gravità dei disagi ambientali e sociali connessi alla realizzazione di impianti per lo stoccaggio e lo smaltimento dei rifiuti. Alessia Cerqua e Paolo Liberatore propongono alcune riflessioni sul contributo che pianificazione urbanistica ed economia pubblica, unitamente ad una quanto mai necessaria attività di concertazione, possono dare alla risoluzione dei conflitti sociali e facilitare così il processo di accettazione delle discariche

 

 

Le cronache recenti hanno confermato la gravità dei disagi ambientali e sociali connessi alla realizzazione di impianti per lo stoccaggio dei rifiuti. Non è in discussione il fatto che tali impianti siano necessari: il problema per il Pianificatore (o Decisore) pubblico diventa piuttosto quello di una loro localizzazione ottimale, che sia al contempo efficiente in termini logistici, valida in termini urbanistici, sostenibile in termini ambientali ed economici e – soprattutto – accettata dalla collettività che dovrà ospitarli sul proprio territorio.

Su queste premesse, si propone di seguito una riflessione sul contributo che possono dare a questi problemi la pianificazione urbanistica e l’economia pubblica (intesa come sistema di policy a livello locale). La pianificazione urbanistica, poiché la prospettiva con cui è pianificata una discarica, nello spazio ma soprattutto nel tempo, è un fattore determinante per una sua corretta valutazione e accettazione. L’economia pubblica, poiché il carattere negativo delle discariche può essere (quasi sempre) considerato come un valore negoziabile, ovvero può essere compensato, il che sposta la questione anche alla valutazione economico-sociale di una contropartita che le comunità interessate percepiscano come equa.

 

 

Aspetti urbanistici e territoriali

 

La società dei consumi ha prodotto un nuovo modo di intendere lo spazio e la funzionalità del territorio: una delle conseguenze più rilevanti – e più discusse – è stato il proliferare di infrastrutture connesse allo stoccaggio e smaltimento dei rifiuti che hanno modificato i paesaggi (urbani e non) provocando forti reazioni nel corpo sociale.

Tali funzioni sono spesso localizzate in aree escluse dalla vita sociale, o irrilevanti dal punto di vista ambientale, procedendo per esclusione, senza accorgersi che seguendo la logica del tanto più è degradata l’area, tanto più è idonea a ospitare funzioni degradanti, si crea un circolo vizioso negativo, con effetti devastanti soprattutto nel lungo termine.

Occorre piuttosto pensare al territorio come ad un sistema con risorse limitate, tutte meritevoli di valorizzazione e riqualificazione: in altri termini, è necessario riflettere sulla questione dello smaltimento dei rifiuti intesa come una fase negativa ma necessaria per la vita della società insediata, secondo un’ottica differente dai cosiddetti vecchi metodi, che identificavano invece questa problematica come fase ultima di un ciclo chiuso, in una prospettiva di emarginazione e di irrecuperabilità.

Le forti reazioni sociali che ne derivano sono il riflesso sia della presa di coscienza delle problematiche ambientali, sia della questione della riaffermazione del locale, ovvero riconducibili alla questione della non-accettazione di un intervento imposto dall’esterno, che, seguendo necessità di carattere sovralocale, provoca effetti di carattere locale: le istituzioni pubbliche, invece di essere considerate come l’ambito entro il quale risolvere il problema, sono viste come causa e come parte integrante dello stesso – sia perché la questione nasce in parte da una decisione amministrativa, sia perché le si ritiene incapaci di rappresentare correttamente gli interessi locali.

La pianificazione ne esce sconfitta: le risposte del piano a queste problematiche appaiono inadeguate, sembra che sfugga al controllo una questione che per definizione dovrebbe all’opposto essere oggetto di pianificazione e di programmazione controllata. Invece, è proprio questo uno di quei casi che possono restituire forza all’idea del piano come strumento di regolazione dei conflitti sociali e di integrazione delle differenti funzioni che trovano spazio nel territorio. Questa rivincita del piano trova le sue ragioni anche e soprattutto nella necessità di avviare un processo di concertazione tra le parti coinvolte, al fine di stabilire un quadro condiviso di conoscenza e fiducia che sia rivolto verso una risoluzione negoziale dei conflitti.

Uno dei percorsi utili per facilitare la risoluzione dei conflitti connessi – in maniera indissolubile – alla questione degli impianti di stoccaggio dei rifiuti, potrebbe allora essere il ripensare ad essi come una fase di un processo più ampio, che porti ad una destinazione d’uso finale differente. Si tratta, in sostanza, di considerare una doppia vita dell’impianto, ovvero di introdurre nel processo di pianificazione il concetto di reversibilità, che consiste nella capacità di poter invertire – se non completamente, almeno in parte – alcune alterazioni (paesaggistiche, economiche, sociali, ecologiche) inevitabilmente connesse alle strutture medesime, con particolare sensibilità per gli effetti che potrebbe avere tale processo per la destinazione d’uso prevista nel lungo termine.

Si passerebbe così ad una nuova concezione del recupero di queste strutture, recupero inteso non come una semplice attività ex post, ma come parte integrante del processo di progettazione, da avviarsi quindi sin dalla fase iniziale. Si potrebbe giungere, in altre parole, ad una visione che cercando di comprendere il futuro, provi nel contempo a condizionarlo, creando le condizioni per una corretta gestione del loro riutilizzo.

In tale prospettiva, il problema della localizzazione degli impianti di stoccaggio dei rifiuti potrebbe affrontarsi in maniera differente, esaminando la questione della loro integrazione nel tessuto territoriale secondo due scale differenti di analisi intrinsecamente interdipendenti: locale e sovralocale.

A livello sovralocale, ad esempio, dove la pianificazione assume carattere strategico, si potrebbero specificare – per quanto riguarda la prima fase, ovvero la destinazione a impianto di stoccaggio – i criteri economici e funzionali per l’individuazione dei bacini di utenza e di localizzazione delle strutture necessarie allo smaltimento e al trasporto dei rifiuti, gli indirizzi per quanto riguarda le procedure e le modalità dei processi. Per quanto riguarda invece la seconda fase della vita dell’impianto, ovvero il suo possibile riutilizzo, è a questo livello di analisi e pianificazione che potrebbe essere individuata la possibilità di integrazione della funzione prevista con il contesto ambientale e socio-economico, tramite l’analisi del sistema di valori territoriali esistenti e potenziali, delle dinamiche regresse e in atto, della dotazione dei servizi esistenti e previsti, e così via. In tale fase potrebbe essere individuata una gerarchia di priorità connesse sia alle prospettive socio-economiche dell’intero territorio, sia in base al grado di reversibilità delle condizioni ambientali del medesimo.

Per quanto riguarda invece le operazioni a scala locale, ove la prospettiva di recupero potrebbe favorire il recupero della dimensione infrastrutturale degli impianti di stoccaggio dei rifiuti, è a questo livello che potrebbero essere precisate le questioni più tecniche del processo progettuale (prime tra tutte l’identificazione dei vincoli tecnici e dei rischi specifici per l’uomo e per l’ambiente), identificando le modalità realizzative sia dell’impianto che della destinazione finale prevista, intese come due fasi differenti e separate dello stesso processo. Ciò non porta necessariamente a ragionare sul rapporto che potrebbe instaurarsi tra il processo di smaltimento dei rifiuti e le possibili destinazioni, con particolare riferimento ai tempi e alle modalità di costruzione, alla definizione di un orizzonte di vita della discarica e alle modalità della sua dismissione.

Ovviamente le due fasi devono essere connesse tra loro in maniera ciclica e iterativa, tramite un continuo processo di feedback al fine di raggiungere la necessaria integrazione dei differenti campi di analisi e pianificazione.

Secondo tale prospettiva, si tratta di ribaltare il modo di affrontare la pianificazione di un impianto di stoccaggio dei rifiuti, inteso come fase di un processo costruttivo passante anche attraverso questo, che potrebbe in tal modo essere legittimato per la sua natura di necessarietà, e per questo non rimosso dall’ambiente di vita di una comunità, collocando così l’ineluttabilità del disfacimento dei rifiuti all’interno del processo di pianificazione.

 

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Aspetti economici e sociali

 

Ragionando in termini di economia pubblica, il principale problema che si pone al Decisore nel momento in cui deve localizzare una discarica consiste nel fatto che generalmente un simile insediamento porta benefici a molte comunità, penalizzandone una sola: quella cioè che dovrà ospitare la discarica nel proprio territorio. Ai disagi ambientali, economici, paesaggistici e sociali connessi all’insediamento, per questa comunità (d’ora in poi: Comunità A, anche qualora si tratti di più comunità interessate) si aggiunge infatti la contrarietà per cui altri godono dei benefici che ne derivano, senza subirne alcun costo.

Si tratta di un atteggiamento noto in letteratura come sindrome nimby (not in my backyard): nonostante sia compresa la necessità di impianti degradanti, l’individuo non accetta di sopportarne gli impatti negativi e assume comportamenti egoistici affinché sia localizzato altrove, ovvero in un altro backyard.

Queste reazioni sono senz’altro comprensibili, ma possono degenerare in situazioni gravi di conflitto sociale. Per entrambi i motivi, il Decisore ha oggi la necessità di disporre di strumenti di supporto alla scelta localizzativa di tali impianti al fine di eliminare, o almeno ridurre, il disequilibrio tra i benefici percepiti da tutte le comunità e i costi subiti dalla sola Comunità A.

L’approccio più immediato e razionale per risolvere il problema è riconducibile alla definizione di forme di compensazione, ovvero a benefici introdotti specificamente a favore della Comunità A, che vadano ad aggiungersi alle usuali forme di compensazione ambientale. In linea generale, tali benefici dovrebbero rispondere almeno a queste condizioni:

- devono essere percepiti dalla Comunità A come almeno equivalenti alla penalizzazione subita, cioè al danno percepito per l’insediamento della discarica;

- devono essere sostenibili per il Decisore in termini ambientali, economici e amministrativi;

- non devono creare nuovi disequilibri rispetto ad altre comunità.

Su queste premesse, viene proposta di seguito una possibile classificazione delle principali tipologie di compensazione in quattro macro-voci:

- compensazione in forma di risparmio tariffario;

- compensazione in forma di bene o servizio collettivo;

- compensazione in forma di risarcimento diretto;

- compensazione politica.

Queste tipologie, non esclusive e dunque teoricamente sovrapponibili, sono descritte nelle pagine seguenti. Le prime due hanno già trovato applicazione nel nostro paese; le altre, vengono proposte al fine di consentire confronti e – semmai – stimolare discussioni più approfondite su una loro effettiva praticabilità.

 

Compensazione in forma di risparmio tariffario

 

I membri della Comunità A ottengono una compensazione sotto forma di riduzione del carico fiscale imposto dal Decisore (in questo caso, dal comune in cui risiedono).

L’esempio più immediato fa riferimento al pagamento dei servizi offerti dalla discarica, ovvero alla gestione dei rifiuti: per l’intero periodo di attività dell’insediamento, le relative imposte (Tarsu) vengono ridotte ad ogni famiglia residente nel comune; le riduzioni sono calcolate o in base a quote percentuali fisse, o in base a quote variabili a seconda del montante complessivo dell’imposta, della distanza tra la residenza e la discarica, ecc.

È possibile, tuttavia, fare riferimento anche a imposte non direttamente collegate alla funzione dell’insediamento imposto. Si pensi, ad esempio, all’imposta comunale sugli immobili (Ici): se la discarica deve corrispondere al comune in cui è insediata un’imposta annua pari a K, tale somma potrà essere ridistribuita tra gli individui o le famiglie della Comunità A, anche stavolta secondo quote percentuali fisse o variabili.

Si tratta di forme di compensazione sovrapponibili, realizzabili in modo relativamente semplice e per questo già ampiamente praticate1, ma quasi sempre di entità molto ridotta: la popolazione se ne accorge appena e con ogni probabilità vi rinuncerebbe volentieri, pur di non avere la discarica insediata sul proprio territorio. Più interessanti, e soprattutto più comprensibili e apprezzabili da parte dei cittadini, sono le forme di indennizzo (sempre tramite riduzioni del carico fiscale) che variano percentualmente sulla scorta della tipologia o dei profitti prodotti dall’insediamento2, proposte in modo da far sentire la Comunità A come azionista dell’impianto; anche in questo caso, tuttavia, si tratta di riduzioni generalmente piuttosto contenute, raramente percepite dai cittadini come sufficienti a bilanciare i disagi provocati.

 

Compensazione in forma di bene o servizio utile per la collettività

 

In questo caso, il gettito finanziario incrementale che entra nelle casse del comune che accetta la presenza di una discarica è utilizzato per interventi di interesse collettivo: principalmente servizi al cittadino (strutture per anziani, spazi per i giovani, sportelli di servizio, ecc.) o lavori pubblici (infrastrutture di collegamento, opere di risanamento edilizio, arredi urbani, giardini, aree verdi, ecc).

Anche questa ipotesi, sebbene facilmente realizzabile dal punto di vista amministrativo e piuttosto diffusa, non sembra priva di elementi di criticità. Si pensi, ad esempio, al fatto che in questo caso i benefici sulla collettività non sono immediati: la distanza temporale tra una penalizzazione e i relativi benefici aumenta notevolmente la percezione della prima, e ridimensiona notevolmente i secondi. Inoltre, i benefici potrebbero essere percepiti in misura fortemente differenziata tra i vari membri della Comunità A: a fronte della realizzazione di servizi per la terza età, ad esempio, i componenti più giovani della comunità non avranno alcun beneficio diretto e si sentiranno a tutti gli effetti non ricompensati.

 

Compensazione in forma di risarcimento diretto

 

I membri della Comunità A ricevono una compensazione in forma di risarcimento diretto dei danni subiti a fronte dell’insediamento della discarica sul proprio territorio.

In questo caso, per la stima dell’entità del risarcimento si può ricorrere alle metodologie di quantificazione economica dei danni ambientali, ormai consolidate, che sono distinguibili – come è noto – tra metodologie market oriented (basate su criteri oggettivi legati a valori di mercato) e metodologie survey oriented (basate su interviste dirette presso le collettività interessate).

Nel primo caso, è possibile fare riferimento, ad esempio, al metodo basato sui cosiddetti prezzi edonici: il disagio generato da una discarica può essere calcolato sulla base del differenziale di prezzo tra due appartamenti in tutto simili, uno dei quali però localizzato nei pressi dell’insediamento.

Nel secondo caso, è possibile fare riferimento a tecniche di valutazione contingente: si potrebbero realizzare interviste presso i membri della Comunità A con lo scopo di ricostruire quale cifra minima essi sarebbero disposti ad accettare per accogliere sul proprio territorio l’insediamento di una discarica, stabilendo poi il risarcimento sulla base dei valori medi risultanti dall’indagine3.

Una simile forma di risarcimento sarebbe sicuramente molto apprezzata dai cittadini, se non altro perché, comunque calcolate, le somme distribuite risulterebbero assai più elevati delle riduzioni tariffarie sopra descritte; tuttavia, gli ostacoli di natura tecnica e amministrativa a una sua praticabilità sembrano oggi difficilmente superabili. A parte il fatto che non sarebbe affatto semplice stabilire quale ente dovrebbe sostenere le spese risarcitorie, appare del tutto irreale ipotizzare, ad esempio, una procedura affidabile e regolare di versamento da questo ente ai vari residenti; ancora più importante: tali forme di risarcimento diretto rischierebbero di innescare circoli viziosi per cui le comunità, e in particolare per quelle più povere, potrebbero essere indotte a vendere con facilità il proprio territorio e il proprio ambiente naturale.

 

Compensazione in termini di peso politico

 

La scelta di accettare una discarica sul proprio territorio è premiata in termini politici. Si può ipotizzare cioè che il Decisore, una volta stabilito l’insediamento, abbia un occhio di riguardo per la Comunità A su altri temi di sviluppo territoriale, e dunque possa favorirla in altre scelte: priorità nella destinazione di fondi, nuove infrastrutture, maggiore visibilità, ecc.

Più in generale, negli altri tavoli di concertazione o di decisione la Comunità A potrà chiedere, anziché dare, con più diritti rispetto alle altre comunità. Si pensi, ad esempio, al fatto che l’insediamento di una discarica comporta quasi sempre la creazione di nuovi posti di lavoro (in fase di cantiere o stabili): accettando la localizzazione della discarica sul proprio territorio, la Comunità A potrebbe a buon diritto ottenere che almeno una parte dei nuovi posti di lavoro sia garantita ai propri componenti.

Questa tipologia di compensazione, che in altre forme e in altri tavoli politici è prassi diffusa, ha margini di applicabilità e di successo proporzionali all’abilità politica del Decisore e alla sua capacità di mettere in luce gli aspetti positivi connessi all’insediamento presso i membri della Comunità A.

Il prospetto mostrato in Tabella 1 presenta uno schema, estremamente semplificato, per una valutazione orientativa delle quattro categorie di compensazione ora descritte. Si ipotizza, per comodità, che la realizzabilità complessiva di una politica di compensazione sia determinata dai livelli di praticabilità tecnica, di praticabilità giuridico/amministrativa, di comprensibilità e di apprezzamento atteso da parte della Comunità A. Ovviamente queste voci, così come i giudizi (livello alto, medio, basso), sono del tutto indicative e potranno variare sensibilmente a seconda delle specifiche caratteristiche dei territori interessati.

Un simile schema, a ben vedere, costituisce una base di riferimento anche per una procedura elementare di valutazione multicriteria: la scelta tra più alternative di compensazione può infatti essere operata attribuendo un punteggio quantitativo, anziché qualitativo, ai vari livelli (ad esempio: alto = 3, medio = 2, basso = 1) e, eventualmente, dei coefficienti di rilevanza alle quattro voci che compongono la realizzabilità complessiva, qualora si ritenga che non abbiano lo stesso peso in fase decisionale.

Vale la pena, in chiusura, accennare ad un ulteriore aspetto che potrebbe favorire significativamente l’accettazione di una discarica. Esso si riferisce all’opportunità di distribuire l’eventuale compensazione, comunque stabilita, in modo proporzionale all’effettivo disagio patito dai singoli componenti la Comunità A. Una cattiva gestione di questo tema potrebbe causare sindromi nimby secondarie, che dallo scontro tra comuni potrebbero scendere a quello tra ambiti urbani, e poi tra quartieri, tra isolati, ecc.: è consigliabile, pertanto, introdurre differenze basate su parametri oggettivi e facilmente comprensibili, quali ad esempio i coefficienti di disagio basati sulla distanza fisica dalla discarica, la cui definizione deve essere però attentamente concertata.

 

Tabella 1

 

 

Conclusioni

 

Nell’affrontare le criticità connesse alla localizzazione di una discarica, le cronache recenti dimostrano la necessità che l’approccio urbanistico e quello socio-economico – al di là dei meri aspetti tecnici e logistici – assumano nel futuro un ruolo nuovo e più rilevante.

Dal punto di vista urbanistico, in particolare, l’attenzione dovrebbe essere rivolta, oltre che alla validità della localizzazione in termini logistici, ad un possibile riutilizzo dell’area interessata per finalità di interesse collettivo quando l’attività della discarica sarà esaurita. Si tratta, in altre parole, di ribaltare il modo di affrontare il problema della gestione dei rifiuti nel contesto della pianificazione, intendendo la discarica come fase di un processo passante attraverso l’impianto stesso, ma finalizzato al recupero e al riutilizzo dell’area interessata.

In termini socio-economici, invece, appare sempre più auspicabile la diffusione di approcci negoziali finalizzati a ridurre i conflitti e facilitare il processo di accettazione delle discariche; in tali contesti, potrebbero essere sperimentate forme di compensazione nuove, alternative ad una riduzione del carico fiscale e – nei limiti del possibile – tali da essere percepite dalle comunità interessate come almeno equivalenti al danno subito.

Da entrambi i punti di vista, la decisione relativa alla localizzazione di una discarica non dovrebbe essere affidata ad un Decisore unico (autorità pubblica competente o pianificatore). Appare senz’altro preferibile, ad esempio, che il problema venga risolto nell’ambito di un processo concertativo in cui siano coinvolti, prima della redazione del progetto definitivo, i promotori del progetto di insediamento, le istituzioni (comunali e sovracomunali) competenti, le associazioni ambientaliste, nonché rappresentanti e portatori di interesse delle comunità interessate.

Oltre che alla decisione sull’opportunità dell’insediamento e alla negoziazione sulla compensazione più adeguata, tale attività di concertazione dovrebbe essere finalizzata almeno:

1. a spiegare ai cittadini la necessità della realizzazione dell’impianto e i possibili benefici, ambientali e non;

2. a chiarire le questioni legate alla sicurezza, alla durata, alla localizzazione e alle possibilità di recupero dell’impianto;

3. a vagliare eventuali opportunità di cofinanziamento pubblico o privato attivabili. Tale processo, peraltro, potrebbe essere efficacemente realizzato anche attraverso il ricorso a forme di mediazione (ad esempio con il contributo di facilitatori) o a tecniche di negoziazione specifiche già sperimentate con successo4.

 

 

Note

 

1 Tra i casi italiani che hanno trovato maggiore spazio anche sugli organi di informazione, si può citare ad esempio l’impianto di Piccioli, in Provincia di Pisa, la cui discarica, gestita in modo imprenditoriale, porta nelle casse comunali vari milioni di euro l’anno, il che ha consentito – tra l’altro – di abbassare i livelli di Tarsu e Ici ai minimi imposti dalla legge.

2 Due casi esemplari sono forniti dal piano industriale dell’ambito territoriale ottimale n. 6 della Regione Toscana e dal piano per la gestione dei rifiuti della Provincia di Parma, in cui è introdotto un contributo di compensazione, denominato indennità di disagio ambientale, destinato al comune o ai comuni che “risentono delle ricadute ambientali conseguenti all’attività dell’impianto”, convenzionalmente determinati nell’area compresa in un raggio di 2 km dal suo perimetro; il contributo è calcolato come percentuale delle entrate derivanti dall’attività di gestione, e varia a seconda che si tratti di una discarica semplice, o di un impianto di trattamento termico, o di un impianto di pretrattamento del rifiuto urbano indifferenziato o di un impianto di compostaggio.

3 Tale approccio avrebbe tuttavia dei costi elevatissimi, senza contare tutti gli altri punti deboli tipici dei metodi di valutazione contingente, tra i quali: conoscenze e informazioni per la valutazione diseguali tra gli individui intervistati; rischio di comportamenti strategici (free riding) di chi non risponde la verità contando sulle altre risposte; preferenze non sempre transitive e sommabili; rischi di distorsione a secondo del tipo di domanda o di definizione del campione.

4 Si può fare riferimento, ad esempio, alla tecnica di negoziazione statunitense alternative dispute resolution, che parte dal presupposto per cui conflitti basati su interessi che sono percepiti non come contrapposti, ma semplicemente come differenti, possono essere risolti individuando soluzioni ad hoc che soddisfino contemporaneamente le diverse parti coinvolte.

 

 

L’articolo è il risultato di elaborazioni comuni di Alessia Cerqua e Paolo Liberatore.

Nel dettaglio, Introduzione e Conclusioni sono state redatte in collaborazione; il paragrafo sugli aspetti urbanistici è stato redatto da Alessia Cerqua; il paragrafo sugli aspetti economici è stato redatto da Paolo Liberatore.

 

 

1. Collage di Lello Lopez, Pozzuoli (Na), immagine di copertina del quindicinale “terr@ flegrea”, anno II, n. 20 del 7 marzo 1998.

 

 

Bibliografia

 

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