Numero 10/11 - 2005

 

Il territorio rifiutato  

 

Area Vasta n. 10/11 Luglio 2004 - Giugno 2005 Anno 6

numero 10/11  anno  2005

Presentazione

Sommario

Editoriale

Osservatorio Europa

Osservatorio Italia

Osservatorio Campania

La provincia di Salerno

Le province campane

Università e Ricerca

Antologia

Recensioni

Giurisprudenza

 Autori del numero

 Home

 

In copertina Lello Lopez,

Da lontano, 2004

acrilico su tela, cm 40x30.

Fotografia di Vince Gargiulo

 

ISSN 1825-7526

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Attività estrattiva e tutela costiera


Ginevra Balletto

Giovanni Mei

Noemi Meloni

Alessandra Milesi


 

La Lr 8/2004 impedisce l’edificazione nella fascia costiera, la cui salvaguardia sembra esprimersi sostanzialmente mediante un vincolo di edificabilità, imputando all’attività edilizia il maggior rischio di compromissione delle coste. Ginevra Balletto, Giovanni Mei, Noemi Meloni e Alessandra Milesi ritengono tale interpretazione pienamente condivisibile, ma meriti, tuttavia, un ulteriore approfondimento riguardo alle altre attività capaci di compromettere l’ambiente costiero

 

 

L’annullamento dei piani territoriali paesistici (Ptp) da parte del Presidente della Repubblica (Dpr 29 luglio 1998 e 20 ottobre 1998) e successivamente del Tar Sardegna (sentenze dal n. 1203 al n. 1208 del 6 ottobre 2003)1, ha generato una precarietà nel quadro di riferimento e coordinamento della pianificazione comunale e in particolare di quella costiera. La Lr 25 novembre 2004, n. 8, “Norme urgenti di provvisoria salvaguardia per la pianificazione paesaggistica e la tutela del territorio regionale”, ha individuato nel piano paesaggistico regionale il principale strumento della pianificazione territoriale.

In attesa della sua predisposizione e successiva approvazione la suddetta legge ha prescritto alcune limitazioni nell’uso del suolo tra le quali il divieto di realizzare nuove opere soggette a concessione e autorizzazione edilizia per quei comuni sprovvisti di adeguati strumenti di pianificazione comunale (piano urbanistico comunale - Puc).

L’inedificabilità negli ambiti territoriali indicati dalla legge ha suscitato un acceso dibattito sulla forma di tutela introdotta che si ritiene meriti la dovuta attenzione per le implicazioni che potrebbe generare nel complessivo equilibrio economico e ambientale della Sardegna. In particolare tale legge si esprime impedendo principalmente l’edificazione delle opere regolate dall’istituto della concessione e dell’autorizzazione edilizia nella fascia costiera dei 2.000 metri dal mare in assenza di strumenti urbanistici indispensabili per individuare i livelli di sostenibilità delle trasformazioni del suolo.

La salvaguardia costiera sembra quindi esprimersi sostanzialmente con un vincolo di edificabilità, attribuendo all’attività edilizia il maggiore rischio di compromissione delle coste.

Si ritiene che tale interpretazione sia pienamente condivisibile, ma che meriti, tuttavia, un ulteriore approfondimento riguardo alle altre attività che possono compromettere l’ambiente costiero. Tra queste rientra certamente il prelievo minerario, soprattutto in riferimento a sabbia e ghiaia che, per loro natura geologica, si trovano in prossimità dei limiti di costa o in corrispondenza degli alvei fluviali. Si tratta quindi di porzioni territoriali particolarmente sensibili, sulle quali spesso agiscono diversi strumenti di tutela ambientale, da quelli riferiti alle bellezze naturali a quelli idrogeologici. La legge 28 gennaio 1977, n. 10, “Norme per l’edificabilità dei suoli”, la cosiddetta legge Bucalossi, è stata oggetto di numerose interpretazioni riguardo l’assoggettabilità dell’attività estrattiva alle disposizioni della stessa legge. Sembrava, infatti, che tutti gli interventi che comportassero trasformazioni dello stato dei luoghi dovessero essere assoggettate alla legge Bucalossi. Tuttavia, è ormai assodato che l’attività estrattiva non sia soggetta alle disposizioni della legge 10/1977 e pertanto i vincoli di edificabilità, introdotti dalla recente tutela sulle coste, non includono l’attività estrattiva in senso stretto ma esclusivamente gli impianti fissi ad essa connessi soggetti all’istituto della concessione edilizia.

Tuttavia è proprio l’attività estrattiva in senso stretto e non le sue pertinenze a incidere maggiormente sull’ambiente naturale. Infatti essa genera forti impatti ambientali quali impatto visivo, polveri, rumori, inquinamento delle falde acquifere, traffico veicolare pesante, ecc. che si ripercuotono sulla qualità dell’ambiente antropico e naturale ma soprattutto generano numerosi conflitti sia di natura politica che sociale.

Da una parte emerge il conflitto tra amministrazioni comunali e pianificazione di settore di livello regionale che risulta particolarmente acceso nell’esperienza maturata nella Regione Sardegna. Infatti, nonostante il piano regionale dell’attività estrattiva (Prae) del 1993 individui le aree potenzialmente destinabili a tale attività come risultato della sovrapposizione tra le carte geologiche e quella dei vincoli, i comuni interessati non necessariamente recepiscono questi indirizzi, assecondati dalla mancanza nella legge regionale della Sardegna sull’attività di cava (Lr 30/1989) di indicazioni circa la prevalenza del Prae sul Puc.

La Lr 15/2002 conferma il medesimo indirizzo recitando all’art. 8 che: “fino all’emanazione di una normativa per la disciplina dell’attività mineraria e di cava, i permessi di ricerca, le concessioni minerarie e le autorizzazioni di cava possono essere rilasciate dall’amministrazione regionale previa intesa con il comune territorialmente competente espresso in conformità con la pianificazione urbanistica comunale o, in assenza di questa, previa delibera del Consiglio comunale assunta con i due terzi dei componenti”.

A livello sociale, invece si deve far fronte all’opposizione della popolazione residente che, il più delle volte, condizionata negativamente sia dagli impatti che dalla scarsa conoscenza del settore, si schiera contro l’apertura di nuovi siti estrattivi nel proprio territorio.

Figura 1 - Immagine satellitare dell’Europa

 

Eppure, nonostante tale situazione di conflittualità sociale e politica, la Regione Sardegna risulta una delle maggiori produttrici di inerti da costruzione a livello nazionale, basti pensare che solo nel 2000 vi è stata una produzione pari a 7,4 metri cubi ad abitante a fronte di una media nazionale di 4 metri cubi ad abitante. Tali livelli di produzione sono inferiori solo a quelli registrati dalla Puglia (7,9 metri cubi ad abitante) e dall’Abruzzo (8,7 metri cubi ad abitante), ma con la sostanziale differenza che la produzione in Sardegna risulta esclusivamente riferita alla domanda locale al contrario delle due regioni citate dove il mercato può assumere contorni sovralocali.

Posto che proprio in prossimità delle coste sono localizzati i giacimenti di sabbia e ghiaia, indispensabili sia per la nuova edificazione sia per la sempre più urgente riqualificazione dei centri e dell’edificato storici, emerge la necessità di definire in quale modo l’attività estrattiva si relazioni con la tutela ambientale per le coste della Sardegna.

Quanto detto rappresenta un’altra riflessione possibile in merito alla salvaguardia delle coste che non può essere esclusivamente circoscritta alla sola edificazione dei litorali ma estendersi verso un più razionale utilizzo delle risorse tra cui anche quelle geologiche del sottosuolo.

La distribuzione edilizia diffusa, che caratterizza il sistema territoriale della Sardegna, implica inevitabilmente una maggiore compromissione dello spazio naturale per l’edificazione di infrastrutture e spazi collettivi che, pur risultando irrinunciabili in termini economici e sociali, incidono in maniera significativa sull’ambiente naturale. Infatti, all’aumentare della diffusione urbana, anche a fronte di un numero modesto di abitanti, aumenta progressivamente la domanda di minerali per l’edilizia e quindi il prelievo ambientale. Trasferire pertanto volumetrie dalle coste verso l’interno comporterà minori impatti, in riferimento alle volumetrie che si sarebbero potute costruire, ma non influirà sul fabbisogno di inerti che dovrà essere soddisfatto anche con prelievi in ambiti costieri. La necessità di materiali inerti per l’edilizia deve spingere quindi le politiche territoriali non solo a valutare la reale consistenza del loro fabbisogno, ma soprattutto a stimolare il mercato di materiali alternativi come quelli derivanti dal riciclaggio.

Alla base di qualsiasi dibattito sulla tutela ambientale delle coste occorre comunque definire il ruolo che si vuole loro attribuire nell’ambito dello sviluppo regionale, senza trascurare tutto ciò che esse offrono, dalla fruizione balneare alle potenzialità del prelievo ambientale di minerali per l’edilizia.

Il fenomeno di utilizzazione delle coste che ha interessato la Sardegna negli ultimi decenni, con una vivace attività edilizia prevalentemente di tipo turistico, si inserisce in uno scenario più ampio di quello strettamente locale: in ambito euro-mediterraneo si assiste al forse più grande processo antropico di utilizzazione delle coste. In ogni fase storica l’utilizzazione del territorio è avvenuta con diverse modalità: nel Medioevo gli insediamenti erano di crinale, nel Rinascimento di pianura, ma tutti caratterizzati dall’essere nodi strategici per gli scambi e il commercio. In epoche decisamente più recenti, e precisamente con l’urbanesimo, manifestatosi con l’abbandono delle campagne verso la città, si sono generati i primi effetti di quelle che oggi possono essere definite come le città lineari costiere. Tra quelle più significative si segnalano quella che parte da La Spezia per arrivare sino a Barcellona e quella quella che da Venezia si estende sino alla fine dello stivale, seppur con qualche interruzione. Anche nel versante più a sud del Mediterraneo è possibile riscontrare tali condizioni e in particolare lungo tutto l’arco di costa tunisina. L’urbanizzazione costiera è quindi un fenomeno di ampia scala e investe anche quelle nazioni che non sono caratterizzate esclusivamente dal turismo balneare. Pertanto non si può attribuire al turismo la prevalente compromissione delle coste. L’argomento in questione rientra nel più vasto fenomeno antropico che vede il passaggio progressivo della localizzazione dalla città nodo alla città lineare costiera. In altri termini si è modificato il ruolo di centro da cui si sviluppava la città. Non è più infatti il centro delle funzioni pubbliche a caratterizzare la forza della città bensì la sua accessibilità, sopratutto intermodale: porti, aeroporti, stazioni ferroviarie e metropolitane e svincoli stradali rappresentano sempre più la prevalente strategia localizzativa per lo sviluppo della città. Sono infatti i tempi di accessibilità, e non più le distanze, a rappresentare il principale indicatore localizzativo urbano.

In questo senso lo spazio costiero è in grado di offrire maggiori opportunità rispetto ad un qualunque altro sito e per tale ragione risulta decisamente appetibile, sia in termini reali che potenziali. Le forme urbane costiere offrono numerose opportunità per le quali un divieto di assoluta edificabilità comporterebbe delle profonde limitazioni. Si ritiene, infatti, che i divieti così formulati, seppur temporanei, rappresentino un significativo freno non solo per le zone costiere a cui si riferiscono ma anche per quelle più interne, che ancora non mostrano elementi di controesodo, anzi perdurano gli effetti dello spopolamento.

In Sardegna quanto detto rappresenta la realtà prevalente, infatti è ancora in atto l’abbandono dei centri minori dell’interno verso la città di Cagliari che, congiuntamente a Capoterra, Sarroch e Quartu S. E., contribuiscono a formare la città lineare costiera che presenta modestissimi caratteri turistici.

Quindi questo aspetto, unito alla problematica riferita al prelievo minerario, dovrebbe far riflettere sul nuovo ruolo che le coste stanno assumendo sia da un punto di vista strettamente localizzativo che economico. A fronte di questa breve descrizione non appare semplice riconoscere i rischi e le opportunità che le iniziative orientate alla salvaguardia delle coste siano in grado di generare nel nostro contesto regionale.

 

 

Note

 

1 Rimane vigente il Ptp n. 7 del Sinis.

 

 

Presentazione | Referenze Autori | Scrivi alla redazione | AV News | HOME

 

 Il sito web di Area Vasta è curato da Michele Sol