Anticipando la formulazione dello stesso
termine urbanistica, l’egemonia sulle
questioni urbane in Italia viene rivendicata
per la prima volta dalle discipline di
origine medica. Negli anni ottanta
dell’ottocento, infatti, l’ingegneria
sanitaria formula un progetto di
trasformazione urbana, fondato sull’indagine
statistica delle patologie collettive,
proponendosi come sicura protagonista del
processo di diffusione delle pratiche di
piano, che da evento occasionale, diviene
questione di ordinaria amministrazione,
guidata da normative, apparati tecnici e
pratiche comuni all’intero territorio
nazionale1.
Tuttavia, la volontà legislativa, espressa
con provvedimenti che accomunano l’Italia
alle più sviluppate realtà economiche e
sociali d’oltralpe, tarderà a manifestarsi
nei segni di un’urbanistica matura: i nuovi
ordinamenti professionali, le riviste e i
manuali. In assenza di una produzione
critica originale si guarda alle esperienze
compiute all’estero per dedurne veri e
propri modelli da riproporre nella realtà
nostrana2. La classe dei politici
e dei tecnici italiani, quindi, non è
isolata dal contesto tecnico culturale
europeo e non è aliena da un forte interesse
per gli interventi urbanistici più avanzati,
come dimostra l’attenzione che già le
riviste di età giolittiana, dedicate ai
problemi della casa e della città, riservano
ai modelli d’oltralpe. E ciò, nonostante
quasi nulla di quanto pubblicato all’estero
sia integralmente tradotto in lingua
italiana, o per lo meno non subito3.
L’immagine della disciplina che così filtra
attraverso i manuali in italiano conferisce
alla ricerca europea “la dignità di un più
progredito avanzamento”4 e, pur
non mancando le citazioni da altri autori,
privilegia il contributo facente capo a
Sitte, Stübben e Buls. Il primo manuale di
urbanistica italiano, che Luigi Pagliani
pubblica nel 1902 a Milano5,
conferma di conoscere bene gli esempi
stranieri: dai testi di Baumeister e Stübben,
ai piani di ampliamento per le città
tedesche e al modello della Garden-City. Il
volume di Aristide Caccia del 1915,
Costruzione, trasformazione ed ampliamento
della città, è apertamente scritto sulla
traccia dello Städtebau di Stübben e
rinvia anche a Sitte, Buls e Gurlitt.
Daniele Donghi con La composizione
architettonica. L’edilizia e l’estetica
delle Città del 1922 si riferisce
anch’egli a Sitte, Buls e Stübben, oltre che
al precedente di Caccia.
In Vecchie città ed edilizia nuova
(1931) Giovannoni, grazie al cui contributo
la nuova scienza, sino a quel momento
orientata dalla matrice tecnica, si
riappropria degli aspetti
artistico-architettonici, fondendo in
un’unica visione estetica, igiene, traffico,
scienze economiche, sociali, cita tra gli
altri Sitte, Stübben, Buls, Gurlitt, Sierks
e Unwin. E così farà Chiodi quattro anni
dopo con La città moderna. Tecnica
urbanistica.
È indubbio, quindi, che la costruzione della
disciplina in Italia avvenga contraendo un
forte debito innanzitutto nei confronti
della cultura tedesca (Baumeister e Stübben)
e successivamente di Sitte e di Buls6.
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Figura 1 - Frontespizio della
rivista Der Städtebau |
La Germania è nazione che realizza il suo
decollo industriale più tardi
dell’Inghilterra o del Belgio. Solo dopo il
1848, infatti, le innovazioni tecniche e i
mutamenti sociali dei primi del secolo
riescono a tradursi in sensibili incrementi
della produzione industriale, registrandosi
un ampio movimento migratorio e di
urbanizzazione. Tra il 1850 e il 1910
Berlino è la capitale europea che subisce la
maggiore crescita e le trasformazioni sono
così intense da fornire la sensazione di un
processo disordinato. La risposta
amministrativa e tecnica è molto efficace:
si costituisce un nuovo corpo di funzionari
ed un quadro legislativo e regolamentare, si
sperimentano innovative analisi e tecniche
d’intervento e si delineano fitte reti di
diffusione delle conoscenze attraverso
manuali, riviste, esposizioni e congressi.
Secondo Giorgio Piccinato la cultura
urbanistica tedesca fornisce un’esemplare
lezione di chiarezza, in quanto persegue un
ideale di crescita equilibrata, evidenziando
un interesse molto preciso per le condizioni
e le tendenze di sviluppo della città e
preoccupandosi di analizzare e descrivere i
fenomeni in modo sistematico. Inoltre,
riesce a costruire un corpus disciplinare
con il concorso di tutte le società
capitalistiche moderne, per cui la teoria
elaborata risulta perfettamente applicabile
anche ad altri ambiti culturali7.
Concetto base, in questa fase di formazione
iniziale, è quello di città, intesa
come macchina complessa della quale è
necessario assicurare il funzionamento.
Scorrendo l’indice dei manuali tedeschi si
evince che tale funzionamento è identificato
con pochi meccanismi elementari, come la
circolazione e l’igiene, cui di volta in
volta si aggiungono altri elementi.
Anche l’Austria rappresenta un modello cui
attingere. In posizione intermedia
nella via dello sviluppo industriale,
rispetto alle più avanzate Inghilterra e
Francia e alla più arretrata Italia, vede a
partire dal 1850, dopo 3 secoli di governo
imperiali, i liberali impegnati nella
trasformazione delle istituzioni statali. Ma
soprattutto, a cavallo del secolo, Vienna è
l’emblema di una élite culturale
(accademica, artistica, giornalistica,
letteraria e politica) la cui coesione
agevola un intenso scambio tra le
discipline.
Tuttavia, la letteratura italiana sulla
città mostra di subire l’influenza straniera
in maniera piuttosto acritica solo negli
scritti di fine ottocento, incentrati sui
singoli problemi della città, e in quelli
dei decenni immediatamente successivi. Già a
partire dalla metà degli anni ’10, infatti,
maturando lentamente la presa di coscienza
del problema urbano e della individualità
della nuova disciplina, comincia quella che
Alberto Mioni definisce la “stagione d’oro”
della manualistica urbanistica italiana, che
durerà sino al secondo conflitto mondiale8.
In questo arco temporale, come accennato, i
principali modelli di riferimento sono
Stadterweiterungen in technischer,
baupolizeilicher und wirtschaftlicher
(1876) di Baumeister, Esthétique des
villes (1893) di Buls, Der Städtebau
nach seinen künstlerischen Grundsätzen
(1889) di Sitte, Der Städtebau, Handbuch
der Architektur (1890) di Stübben.
Ad essi si può aggiungere Town Planning
in practice (1909) di Unwin, che
arricchisce il filone di studi sulla casa
popolare con il tema anglosassone della
città giardino. Si tratta di cinque
trattazioni disciplinari che affrontano il
problema della città e della sua
progettazione/pianificazione sin dal titolo.
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Figura 2 - Sitte C., Der
Städtebau nach seinen künstlerischen
Grundsätzen, Vienna 1889.
Frontespizio |
Il dettagliatissimo volume che Reinhard
Baumeister pubblica nel 1876 rappresenta il
caposaldo, “chiarissimo nelle impostazioni
di principio e nelle conseguenze logiche”9,
per tutte le trattazioni successive. È un
testo essenziale, cui l’autore attribuisce
una duplice dimensione, descrittiva e
fondatrice, della teoria urbanistica:
un’opera che “da una parte, si prefigge di
descrivere ciò che esiste: gli edifici e i
progetti, i punti di vista diversi e i testi
legislativi; dall’altra, con l’aiuto della
critica e della scienza, desidera preparare
delle solide basi per il futuro”. Ricorrendo
ad una interrelazione costante tra elementi
mutuati dagli studi statistici, igienici,
sociologici e quelli dedotti dall’indagine
storica dei processi di formazione della
città e delle sue parti, Baumeister cerca di
attuare una sistematizzazione della
disciplina, ponendo contemporaneamente le
premesse per un’unificazione e
generalizzazione della prassi urbanistica a
livello delle amministrazioni locali e
operando altresì un bilancio dei dibattiti
condotti nelle principali capitali europee
sul tema delle politiche urbane.
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Figura 3 - Pagina del manoscritto
originale di Camillo Sitte, Der
Städtebau nach seinen künstlerischen
Grundsätzen. Immagine tratta da:
Sitte C., L'arte di costruire le
città. L'urbanistica secondo i suoi
fondamenti artistici, trad. it. a
cura di Della Torre R., Jaca Book,
Milano 1980, p. 223 |
Il volume si articola in quattro sezioni e
22 capitoli. Nella prima parte si affrontano
in maniera organica le problematiche legate
alla redazione del piano regolatore, con la
specificazione di compiti e limiti,
indicando soluzioni tecniche precise,
illustrando disposizioni e regolamenti
municipali e analizzando questioni
economiche concernenti lo sviluppo urbano.
Per Baumeister il piano è un inevitabile
strumento per garantire l’ordine economico,
il valore della proprietà fondiaria e la sua
stabilità. Il suo fine è regolare la
crescita naturale della città, rimovendo le
cause che artificialmente vi si oppongono10.
La progettazione verte soprattutto sul
disegno dell’andamento della circolazione,
secondo una struttura gerarchizzata delle
linee di traffico; la demolizione delle
fortificazioni risulta nodale per
l’espansione.
La seconda sezione è dedicata alle
principali caratteristiche tecniche
dell’insediamento (trasporti, piazze e aree
verdi); l’autore vi analizza la questione
delle porte della città e del passaggio di
nuove strade. La terza prende in
considerazione i compiti dell’Ufficio dei
lavori pubblici, gli argomenti relativi al
regolamento edilizio, le competenze dei
diversi dipartimenti, a testimonianza del
ruolo decisivo assegnato all’autorità
amministrativa nel processo di piano per la
tutela dell’interesse generale e contro gli
abusi. La quarta, infine, esamina problemi
espropriativi, inerenti la copertura dei
costi e il completamento dell’espansione
urbana.
Il metodo proposto conferisce grande spazio
all’indagine preliminare della struttura
della popolazione (incremento, attività,
vita media, mortalità infantile, malattie) e
al censimento delle attività industriali e
commerciali, del traffico e delle attività
edilizie in atto. Gli strumenti generali
dell’urbanistica – intesa come tecnica
operativa – sono la normativa, la
zonizzazione e la lottizzazione. La città,
considerata unico campo di applicazione
dell’urbanistica, deve essere costruita a
partire dalle idee di eguaglianza e libertà
poste a fondamento di tutti gli ambiti di
azione sociale, per cui i suoli, urbani e
rurali, sono tra di loro uguali, e tutti i
proprietari sono liberi di costruire.
Monocentrica, essa è destinata a crescere
indefinitamente e il processo, naturale e
fisiologico, non va contrastato:
l’espansione in tutte le direzioni è infatti
ritenuta equilibrata, mentre il limite alla
stessa dannoso e contrario al diritto a
costruire che “negli stati civili è
riconosciuto come uno dei diritti
fondamentali dell’uomo”. I conseguenti
effetti di valorizzazione dei suoli
interessati dall’espansione è intesa come
produzione di ricchezza che l’urbanistica
deve concorrere ad assicurare attraverso
l’ampliamento omogeneo e indifferenziato in
tutte le direzioni.
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Figura 4 - Frontespizio della
traduzione italiana di Sitte C., Der
Städtebau nach seinen künstlerischen
Grundsätzen, curata nel 1953 da
Luigi Dodi |
L’urbanista diventa agente del cambiamento
sociale, detentore di un sapere razionale
sufficiente a motivare la validità della sua
azione, consapevole dei limiti imposti da
una legislazione che riflette i veri
rapporti di potere. Ne deriva un
atteggiamento critico e progressista nei
confronti dell’ambiente sociale e politico,
senza venature utopistiche. Baumeister, tra
l’altro, dubita della capacità e della
volontà dei comuni di adempiere ai propri
compiti di gestione autonoma e auspica che
lo Stato continui a esercitare un’azione di
controllo e di pressione per conseguire i
risultati considerati imprescindibili.
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Figura 5 - Salisburgo. Immagine
tratta da: Sitte C., L'arte di
costruire le città. L'urbanistica
secondo i suoi fondamenti artistici,
trad. it. a cura di Della Torre R.,
Jaca Book, Milano 1980, p. 104 |
Di qualche anno successivo è Der
Städtebau nach seinen künstlerischen
Grundsätzen di Camillo Sitte11,
testo che Françoise Choay definisce
instauratore, in quanto connotato
dall’esplicito obiettivo di costruire
un’attrezzatura concettuale autonoma per la
concezione di spazi nuovi non esistenti12.
Volutamente incentrato sui problemi
artistici ed estetici della città, avrebbe
dovuto costituire il primo di una serie di
volumi dedicati alla trattazione di tutti
gli aspetti relativi alla costruzione della
città13. Le sue 180 pagine (216
nella versione italiana) risultano suddivise
in 12 capitoli, raggruppabili in tre parti.
Nella prima è esaminato il tema dello spazio
rimpianto delle antiche città, nella seconda
la città moderna criticata, nella terza,
infine, l’organizzazione spaziale futura
desiderabile.
Attraverso la dichiarata contrapposizione
tra passato celebrato e presente contestato,
Sitte intende farsi portatore di un’immagine
urbana che salvaguardi la coesistenza tra
continuità e innovazione e il cui modello
sia la forma unitaria della città
tradizionale, dalla costruzione della quale
cerca di trarre regole e principi per una
progettazione consapevole, al fine di
reintrodurre nuovamente le ragioni
dell’arte. Egli infatti sostiene che il
principio ispiratore delle città antiche sia
artistico: la città è “pura opera d’arte
compiuta attraverso un lavoro secolare”14,
la quale, con la sua bellezza influenza la
sensibilità degli abitanti e garantisce la
serenità15. Per ottenere
nuovamente un tale effetto, occorre opporsi
alla regolarizzazione spinta dei moderni
piani di ampliamento, all’inutile
allargamento delle strade, agli allineamenti
“interminabili e rigorosamente rettilinei”,
e rivalutare invece le “irregolarità delle
piazze antiche”16. Bisogna
evitare di appiattirsi su una concezione
riduttiva della simmetria, intesa
come identità di due figure rispetto ad un
asse, invece che come senso di adeguata
proporzione, secondo la definizione
vitruviana di giusto rapporto tra le parti e
il tutto, e tra queste separatamente. Tale
significato, conservato nel Medioevo, è
invece ridotto nel Rinascimento, e da
allora, lamenta Sitte, gli assi di simmetria
si moltiplicano nei piani d’architettura,
passando nelle piazze e nelle vie,
conquistando un campo dopo l’altro e
rimanendo “i soli padroni, rimedi unici e
miracolosi di tutti i problemi”17.
Dei piani moderni, quindi, stigmatizza lo
schematismo, la riproduzione all’infinito
del blocco edilizio rettangolare, incurante
delle condizioni locali e di qualsiasi
effetto estetico. Sottolinea per di più come
l’eccessivo numero di crocevia ad angolo
retto provochi comunque ingorghi nel
traffico e l’ubicazione degli edifici
monumentali in mezzo a delle piazze e la
sistemazione di strade secondarie troppo
larghe costituiscano un inutile sperpero di
denaro.
|
Figura 6 - Stübben J., Der
Städtebau, Handbuch der Architektur,
Darmstadt 1890.
Frontespizio |
Il cuore della negatività dello spazio
moderno, secondo Sitte, è quindi
rappresentato dai “luoghi a cielo scoperto”,
le piazze e le strade, che nelle città
antiche “costituivano una totalità chiusa la
cui forma era determinata in vista
dell’effetto che essi dovevano produrre.
Attualmente, invece, si dividono i lotti
fabbricabili secondo figure regolari e ciò
che avanza viene chiamato via o piazza”. La
qualità formale degli spazi urbani antichi,
allora, risiede nella chiusura con una
cortina continua di edifici dai motivi
architettonici variati, nella presenza di
proporzioni, anche in rapporto agli edifici
circostanti, derivanti da norme semplici ed
elastiche, in una disposizione dei monumenti
lungo il bordo esterno e lontani dalle
strade di circolazione, nella forma che
valorizza le irregolarità e le funzionalizza
alla ricerca di un effetto efficace sul
fruitore, nell’essere spesso raggruppati al
centro delle città, accogliendo i principali
edifici pubblici. Queste caratteristiche,
proposte come principi ispiratori della
progettazione degli spazi moderni, sono
riassumibili nel concetto di pittoresco,
essenziale nel ragionamento di Sitte.
Pittoresco è un carattere dello spazio
urbano opposto a pratico e del tutto
estraneo al significato attribuitovi dal
romanticismo. Ma per ottenere risultati
analoghi a quelli degli spazi antichi –
evidenzia la Choay18 – Sitte
ritiene si debba inoltre ricorrere ad
un’analisi capace di riprodurre processi e
regole un tempo conseguiti attraverso un
“sentimento naturale”, un “istinto artistico
innato”, una decisione deliberata, ma non
razionalizzata, una “creazione non
cosciente”, persa invece nella modernità.
Bisogna cioè “sostituire la tradizione
artistica perduta con la conoscenza teorica
delle cause che fondavano la bellezza delle
creazioni antiche”. La costruzione della
città secondo i suoi fondamenti artistici
va allora intesa come impegno per una
disciplina capace di ottenere mediante il
raziocinio estetico ciò che prima si
conseguiva attraverso il “senso artistico
inconscio”. Si giunge così ad un’idea di
urbanistica come disciplina fondata
sull’unità tra arte e tecnica.
Guidato dall’obiettivo di migliorare la
città industriale, Sitte, profondamente
realista, constata l’impossibilità di
estendere a tutta la città un programma di
questo tipo, e affida alla disciplina un
compito parziale, di riduzione degli effetti
negativi della modernizzazione, limitando il
campo di attenzione alle sole piazze e alle
vie principali: “concediamo pure che la gran
massa delle abitazioni sia consacrata al
lavoro e che la città compaia in tenuta da
lavoro. Ma le vie e le piazze principali
dovrebbero presentarsi con i più begli
ornamenti per essere motivo di gioia e di
fierezza, per risvegliare il senso civico e
ispirare continuamente grandi e nobili
sentimenti alla gioventù che si prepara alla
vita”19. Egli non pensa ad una
disciplina ambiziosa: “L’urbanistica di oggi
deve, prima di tutto, esercitarsi alla
nobile virtù della modestia e, cosa
bizzarra, vi è costretta non tanto per
mancanza di risorse finanziarie, quanto
piuttosto per ragioni interne e pienamente
obiettive”20. E l’urbanista
diventa un “rigeneratore culturale”, una
figura che patrocina l’aspetto artistico
dell’edilizia cittadina, caricando l’arte di
forti implicazioni socio-comunitarie.
Se lo storicismo, che conduce Sitte a
riconoscere la specificità delle strutture
spaziali antiche indissociabile da
un’organizzazione sociale e culturale,
rappresenta il primo tratto che differenzia
il suo orientamento teorico dalla scuola
viennese di storia dell’arte, altro aspetto
peculiare è l’empirismo. Questo fa
riferimento al posto che nel suo discorso
ricopre l’esperienza sensibile: sebbene la
bella città si ottenga tramite
l’applicazione di principi razionali, essa
esiste unicamente per il cittadino che ne
esplora i recessi. Il piacere del cittadino,
riflesso della gioia di edificare, è
criterio irrefutabile che verrà anteposto ad
ogni sistema. Dall’esperienza sensibile,
quindi, Sitte ricava le proprietà formali
degli spazi, che sottopone a verifica in
rapporto alle sensazioni iniziali.
Come sottolinea sempre la Choay, molte delle
osservazioni contenute nelle pagine sittiane
derivano dagli Entretiens sur l’architecture
(1867-1872) di Viollet-le-Duc. Indubbiamente
forte, infatti, è l’analogia circa la
contrapposizione tra città contemporanea e
antica, dal punto di vista della bellezza, o
il privilegio accordato allo spazio delle
città greco-romane e la superiorità
riconosciuta ai tessuti urbani medievali
italiani. Anche l’analisi delle regole
estetiche costanti nella storia delle città
preindustriali – solidarietà e articolazione
delle parti, chiusura visuale delle piazze,
disposizione dei monumenti, arte
scenografica – è la stessa. Come lo è il
modo di rendere conto delle carenze della
città contemporanea, nella quale con la
nascita di una nuova civiltà tecnicista le
scale di progettazione sono mutate e la vita
pubblica si è progressivamente ritirata
dalle strade e dalle piazze. Ma soprattutto
Sitte, come già Viollet-le-Duc, non intende
imporre dei modelli, bensì spiegare un
metodo. E la sua originalità, alla “ricerca
disperata di una forma urbana
contemporanea”, “consiste nell’aver fatto
non più degli edifici individuali, ma della
città nella sua totalità “un’opera d’arte””21.
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Figura 7 - Immagine tratta dalla
traduzione italiana di Der Städtebau
di Joseph Stübben, inserita
nell'antologia di scritti teorici a
cura di Calabi D., Piccinato G., La
costruzione dell'urbanistica.
Germania 1871-1914, Officina, Roma
1974, p. 362 |
Il testo suscita dapprima un forte
entusiasmo in quanti si oppongono alla
monotonia e all’assenza di preoccupazioni
estetiche propri della nuova urbanistica.
Ristampato dopo soli due mesi, è all’origine
di due approcci diversi, entrambi
riconducibili al campo dell’estetica. Da una
parte, la corrente (di cui fa parte lo
stesso Sitte) che si preoccupa di realizzare
nuovi tessuti urbani ispirati, per tracciato
e articolazione dei volumi, alla morfologia
delle città antiche. Dall’altro lato, la
tendenza (poi incarnata da Buls) che si
propone la conservazione e il restauro di
centri o di insiemi urbani storici. Molte
delle tesi saranno riprese da Cornelius
Gurlitt, il cui Über Baukunst (1904),
spesso citato dagli autori italiani,
sostiene la coincidenza tra punto di vista
estetico e punto di vista tecnico nella
costruzione della città, in quanto “solo
l’utile può essere bello e solo il bello può
essere utile”. L’autore vi afferma, inoltre,
la grande importanza dello studio della
storia dell’arte e delle città antiche per
il disegno delle nuove espansioni urbane.
Grande sostenitore di Sitte sarà anche
Geddes che, alla ricerca di uno sviluppo
urbano più umano e organico, difficilmente
può apprezzare gli aspetti più crudi di
alcune realizzazioni tedesche. E, come si
sa, non ha mai nascosto il suo debito nei
confronti del maestro viennese Giovannoni,
che mutua da Der Städtebau l’analisi
del tessuto urbano antico, la dialettica
tessuto minore-monumento, fino al concetto
stesso di ambiente. E soprattutto trae la
dualità passato-presente che supera,
trasformandola nell’opposizione tra due
spazi e modi di vita, due scale di
intervento – locale e territoriale – che non
sono reciprocamente esclusive.
Successivamente l’opera sittiana è
aspramente osteggiata, divenendo per i
razionalisti simbolo di oscurantismo; Sitte
è criticato (da Giedion come da Le Corbusier)
in quanto nostalgico, incapace di apprezzare
il proprio tempo e la rivoluzione tecnica e
sociale. Negli anni sessanta, in piena
revisione critica del movimento moderno,
Der Städtebau è finalmente, fedelmente e
integralmente, tradotto in lingua inglese
dai Collins (1965). Conosce nuova fortuna:
da una parte, infatti, in una fase di crisi
della città occidentale, assurge a
riferimento per i fautori del ritorno
alla città, dall’altro diventa oggetto
di culto per i nuovi eclettici e i fanatici
della conservazione del patrimonio storico.
Resta indubbio che il volume abbia
costituito un testo di cui nel tempo gli
studiosi si sono appropriati, di
volta in volta reinterpretandone il senso e
spesso travisando asserzioni meno chiare e
più ambigue.
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Figura 8 - Immagine tratta dalla
traduzione italiana di Der Städtebau
di Joseph Stübben, inserita
nell'antologia di scritti teorici a
cura di Calabi D., Piccinato G., La
costruzione dell'urbanistica.
Germania 1871-1914, Officina, Roma
1974, p. 329 |
Der Städtebau
di Joseph Stübben è uno degli oltre quaranta
volumi che compongono lo Hadbuch der
Architektur, opera enciclopedica
sull’architettura edita tra il 1833 e il
1933, cui partecipano numerosi studiosi. Il
testo, ponderoso trattato di estetica e
costruzione della città, è rivolto a tecnici
e operatori pubblici e privati con
l’intenzione di proporre indicazioni
pratico-tecniche e attuativo-procedurali di
supporto all’intervento.
Esso cerca di trasferire l’impostazione
positivistica delle scienze naturali
all’analisi dei fenomeni urbani e offre una
sintesi delle tecniche edilizie in
urbanistica, intesa come disciplina il cui
obiettivo è la predisposizione delle aree in
cui localizzare gli impianti edilizi, le
attività pubbliche e private con i relativi
collegamenti, definendo la cornice entro cui
inquadrare le singole iniziative, altrimenti
contraddittorie: “le abitazioni urbane,
l’attività industriale nella città, il
traffico interurbano e locale, gli impianti
pubblici urbani sono quindi il punto di
partenza e il punto di arrivo di tutto ciò
che va sotto il nome di urbanistica”.
La città è considerata come fenomeno e
struttura urbani e suburbani e come area
edificata, la cui espansione comporta
l’allargamento dei limiti che comunque
restano riconoscibili; la sua crescita va
guidata giustapponendo al nucleo antico la
città moderna, per cui il centro va
raddoppiato e non modificato.
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Figura 9 - Caccia A.,
Costruzione, trasformazione ed
ampliamento delle città. Compilato
sulla traccia dello Städtebau di
Joseph Stübben, Hoepli, Milano 1915.
Frontespizio |
L’opera è suddivisa in cinque sezioni che
affrontano i diversi problemi di definizione
e attuazione del piano. La prima parte
esamina le abitazioni urbane, distinte per
tipologia (case unifamiliari e
plurifamiliari), in base ai rispettivi modi
di edificazione (edilizia aperta o chiusa) e
alle categorie sociali degli abitanti
(signorili, medie, operaie, artigiane,
casa-officina), nonché gli edifici pubblici
in rapporto al piano. Quindi analizza i
problemi del traffico, studiando le diverse
possibili direzioni (radiale, anulare,
longitudinale, diagonale) e tipi (pedonale,
a cavallo, automobilistico, ferroviario,
tranviario). La seconda sezione tratta
dell’organizzazione generale della città
(fondazione, sviluppo, ampliamento,
ricostruzione), del raggruppamento delle sue
parti (differenziate nella destinazione
d’uso), degli isolati, delle strade
(classificate in base alle dimensioni),
delle piazze (considerate dal punto di vista
funzionale, dimensionale, compositivo,
estetico), dei tipi di ferrovie urbane. La
terza indica i compiti spettanti allo Stato,
al comune, ai privati, nell’attuazione del
piano regolatore; i modi per espropriare,
lottizzare, ricomporre le aree edificabili
per aprire nuove strade o migliorare le
vecchie, il ruolo del regolamento edilizio,
inteso come strumento di mediazione tra
interesse pubblico e privato, in grado di
dettare norme riguardanti le forme di
procedura della polizia edilizia, la
sicurezza dei trasporti, la salute pubblica,
la statica degli edifici, la protezione
contro i pericoli d’incendio. La quarta è
dedicata agli impianti (approvvigionamento
idrico, fognatura, elettrico, termico,
illuminazione). La quinta infine descrive le
diverse forme del verde urbano.
Scomponendo il fenomeno urbano nella serie
di elementi che lo costituiscono e
pervenendo ad una specializzazione delle
tematiche, Stübben riesce a dimostrare,
nella sua minuziosa descrizione, una
conoscenza e padronanza dei caratteri
fisico-tipologici, oltre che di tutti gli
aspetti relativi alla forma, dimensione,
tipologia, destinazione d’uso, densità, ecc.
Perviene così ad una sorta di catalogazione
e tipizzazione, in cui molto ampia è la
rassegna di esempi, sempre trattati come
repertorio oggettuale e non come
proposizione di una soluzione migliore.
Poiché, poi, i casi illustrati rappresentano
progetti realizzati soprattutto in Europa e
nell’Ottocento, il manuale restituisce
complessivamente l’immagine della città
ottocentesca e ne ripropone, codificandoli,
i modi di costruzione e con essi tutte le
contraddizioni. I luoghi restano, tuttavia,
componenti essenziali del progetto, per cui
la scelta delle soluzioni deve essere
appropriata in relazione alle condizioni
locali.
Eserciterà una grande influenza
sull’impostazione dei piani regolatori in
Italia, fino agli anni trenta, anche il
testo di Charles Buls, opuscolo estremamente
coinciso e di grande efficacia comunicativa.
Scritto per scongiurare la demolizione di un
pittoresco quartiere di Bruxelles, supera
immediatamente le intenzioni originali,
conoscendo notevole fortuna e venendo presto
tradotto in tedesco (1898), in inglese
(1899) e in italiano (1903). La metodologia
definita per l’organizzazione del rapporto
tra città e territorio si rivela, infatti,
di facile applicazione anche in altri
contesti. Per cui Esthétique des villes
“diviene molto presto una espressione
evocatrice, vera parola-chiave, che allude
ad una maniera di affrontare le questioni
urbanistiche, ad una cultura che si sforza
disperatamente di oltrepassare le barriere
delle specializzazioni”22.
|
Figura 10 - La chiesa dei SS.
Michel et Gudule a Bruxelles.
Immagine tratta da Buls C.,
Esthétique des villes, Bruxelles
1893 |
Con il fine di guidare gli amministratori a
impostare gli interventi di ammodernamento
nelle città storiche, la prima operazione
consigliata è la ricomposizione del
tracciato geometrico delle grandi correnti
di traffico che collegano le stazioni
ferroviarie con le principali attrezzature
pubbliche dislocate nel centro. Tali linee
di flusso andrebbero realizzate tentando di
“allacciare le vie che già si trovano nella
direzione richiesta; se si può, [infatti]
curvando la via addolcire un pendio, non si
esiti punto a deviare dalla inflessibile via
retta”. Il collegamento dei punti di innesto
delle grandi arterie esterne alla città
lungo i muri di cinta, attraverso percorsi
che realizzino allacciamenti possibili,
viene visto come la soluzione più idonea a
conservare alla città il suo carattere
“locale e nazionale”, a conciliare la
struttura storica con le esigenze moderne,
contenendo i costi e conservando al massimo
le consuetudini e gli interessi della
popolazione. È quindi all’interno di un
quadro di conciliazione tra le esigenze
della vita moderna di mobilità e di igiene
che l’architetto collocherà le sue regole
estetiche, evitando di procedere
all’isolamento dei monumenti.
Attraverso le sue personali esperienze, e i
precedenti contributi di Viollet-le-Duc,
Stübben e Gurlitt, Buls giunge pertanto a
elaborare una propria teoria di restauro
urbano, che si oppone con vigore alla
pratica dominante degli sventramenti e delle
distruzioni indiscriminate del tessuto
antico: la liberazione dei monumenti e il
diradamento edilizio.
In Town Planning in practice,
denunciando le condizioni di accidentalità e
inconsapevolezza con cui sono sorti i
quartieri moderni, Unwin si fa portavoce di
regole e principi attraverso i quali
supportare una progettazione consapevole,
dai passi che il pianificatore deve compiere
nell’affrontare un piano, ai rapporti tra
piano e progetto. Il tutto attraverso
l’esame di esempi di piani e progetti urbani
(tra cui anche quelli dell’antichità),
riconosciuti come strumenti di riferimento e
apprendimento nella pratica della
progettazione. In quest’ottica introduce il
tema dell’applicabilità dei principi della
composizione architettonica al disegno della
città nel suo insieme e dunque della messa
in relazione e in proporzione di tutti gli
elementi che la compongono. I suoi
riferimenti sperimentali assumono la
struttura di una casistica
normativo-progettuale, in cui sono collocati
i diversi materiali e parti, chiaramente
identificati e trattati come parti di un
insieme dalle piazze, agli incroci, al verde
ai lotti edificati.
|
Figura 11 - Immagine tratta da:
Unwin R., Town Planning in practice,
1909, trad. it. a cura di Mazza A.,
Il Saggiatore Milano 1971, p. 140 |
L’idea della forma chiusa della città lascia
il posto ad una maggiore integrazione tra
città e campagna. La ricerca dei limiti,
problema che continua tuttavia a esistere,
viene portata avanti proprio in relazione
alla necessità di volerne rafforzare il
senso di unità, attraverso la ricerca di
forme di armonia e coerenza. La periferia è
l’ambito nel quale il pianificatore può
intervenire fondendo efficiency e
amenity e generando una comunità di
quartiere, costituita da nuclei di
abitazioni unifamiliari aggregati mediante
sapienti sistemazioni paesistiche nella
tradizione pittorica dei parchi
naturalistici. Si tratta cioè di una
crescita organica e cellulare per unità di
vicinato, unica risposta ad una
proliferazione indistinta e caotica della
periferia.
Nella realtà, la letteratura italiana sulla
città nel selezionare, filtrare e
interpretare quanto intende riconoscere e
accogliere come sapere, tenderà
sostanzialmente a ridimensionare il
contributo della cultura urbanistica inglese
e manifesterà solo tardivamente un interesse
per l’esperienza francese23.
|
Figura 12 - Immagine tratta da:
Unwin R., Town Planning in practice,
1909, trad. it. a cura di Mazza A.,
Il Saggiatore Milano 1971, p. 156 |
La cultura tedesca, invece, rappresenterà
sempre un solido riferimento, perché
peculiare di una nazione capace di un
vorticoso recupero, nonostante l’unità
raggiunta in ritardo, grazie all’eccezionale
ruolo svolto dal sapere tecnico. E infatti
sono proprio le modalità di costruzione
della città secondo una descrizione
oggettiva ed una minuziosa classificazione
dei fenomeni, l’approccio di carattere
prevalentemente tecnico e il conseguente
rilievo assegnato al lavoro degli ingegneri,
i fattori di fascino per la cultura
nostrana.
Sitte, all’opposto, sarà apprezzato in
quanto fautore di una prospettiva estetica
dell’ambiente urbano, contrapposta alla
rigida esaltazione del carattere scientifico
della nuova disciplina e dei suoi aspetti
funzionalistici. Pertanto, eserciterà un
notevole influsso sulla cultura italiana –
anche quando questa dichiarerà di volersene
affrancare – per l’ambigua profondità con
cui cerca di rispondere alle contraddizioni
che la vita moderna impone alla città. Egli
incarnerà, per di più, il comune interesse
che Italia e Austria manifestano verso la
fine del XIX secolo nei confronti dell’arte
del passato, incarnando il tentativo di una
nazione in viaggio verso la modernità di
riuscire a salvaguardare comunque la società
preindustriale e la sua dimensione
artigianale.
Buls, infine, e la civiltà belga
costituiranno l’emblema dell’intermediazione
tra culture e della fusione tra caratteri
germanici e latini. Per l’Italia sarà un
modo per rivendicare l’esigenza di sottrarsi
all’egemonia francese. Ma sarà anche una
vivida espressione delle due facce
contraddittorie della modernità e della
profonda lacerazione che segna l’impegno
culturale alla fine del XIX secolo:
l’accettazione del progresso e la
constatazione della disintegrazione
culturale e sociale che esso provoca.
|
Figura 13 - Immagine tratta da:
Unwin R., Town Planning in practice,
1909, trad. it. a cura di Mazza A.,
Il Saggiatore Milano 1971, p. 208 |
Note
1
Cfr. Zucconi G. (1989), La città contesa.
Dagli ingegneri sanitari agli urbanisti
(1885-1942), Jaca Book, Milano.
2
Cfr. Carozzi A., Mioni A. (1970),
L’Italia in formazione, De Donato, Bari.
3
Se Buls è già tradotto nel 1903, Sitte è
solo parzialmente tradotto e commentato nel
1907, in Note sull’arte di costruire la
città, da Monneret de Villard, mentre
per una traduzione integrale occorrerà
attendere il 1953 con il lavoro di Luigi
Dodi.
4
Paone F. (1996), Sullo spazio. Note a
margine della costruzione concettuale di una
immagine dell’urbanistica italiana, Tesi
dottorato in pianificazione territoriale,
Istituto Universitario di Architettura di
Venezia, Politecnico di Milano, p. 67.
5
Pagliani L. (1902), Trattato di igiene e
di sanità pubblica, Vallardi, Milano.
6
Naturalmente si rivelerà fondamentale anche
il ruolo delle prime riviste di urbanistica
a diffusione internazionale: a partire dal
1909, “Der Städtebau”, edita a Berlino e
Vienna, che pur facendo riferimento alla
realtà tedesca, palesa interessi decisamente
internazionali, riflettendo gli orientamenti
della società urbanistica europea, e dal
1910 “The Town Planning Review”, pubblicata
in Inghilterra sotto la direzione di Patrick
Abercrombie.
7
Cfr. Piccinato G. (1977), La costruzione
dell’urbanistica. Germania 1871-1914,
Officina Edizioni, Roma.
8
Cfr. Mioni A. (1989), Cento anni di
manuali di progettazione urbanistica in
Italia, in “Territorio”, nn. 2-4.
Ricordando la definizione fornita
dall’autore, possiamo chiamare manuali
i testi aventi carattere operativo, scopo di
utilità pratica, destinati a impieghi
didattici, concepiti per fornire strumenti
per l’azione, riferimenti teorici e
concettuali, ma soprattutto applicativi, e
che in quanto tali selezionano le
acquisizioni fondamentali della disciplina
allo scopo di farle applicare, implicando
così una riduzione del problema. Si
tratta di luoghi testuali in cui la
riduzione degli apparati categoriali,
l’ordinamento fortemente gerarchizzato degli
argomenti, la chiarezza di trasmissione
delle informazioni e il proposito di
diffusione del sapere sono i caratteri
primari e in cui il destinatario – tecnico,
professionista o studente – è esplicito. La
città vi è trattata, mediante un approccio
sistematico e ordinato, per singoli temi e
aspetti costitutivi, in una sorta di analisi
lessicale e grammaticale. Il tema del
progetto è affrontato ricorrendo a forme
dichiarative che impartiscono istruzioni sul
cosa fare, codificando, fornendo soluzioni,
repertori di esempi, uniformati e
ripetibili, imitabili per un tempo
sufficientemente lungo; l’intento è, cioè,
quello di produrre azioni, e non
meditazioni.
9
Piccinato G., op. cit., p. 57.
10
Sica P., op. cit., p. 34.
11
Un’ampia trattazione circa l’enorme
influenza esercitata da questo testo è
contenuta nel volume curato da Guido Zucconi
e intitolato Camillo Sitte e i suoi
interpreti, FrancoAngeli, Milano 1992.
In esso vengono segnalate le principali
traduzioni, tratteggiato il rapporto con la
nascita dell’arte urbana e con i movimenti
per la riforma dei modelli insediativi in
Germania, Francia e Gran Bretagna, la
diffusione nei diversi contesti.
Cfr. inoltre Wieczorek D. (1994) (ed. or.
1982), Camillo Sitte e gli inizi
dell’urbanistica moderna, Jaca Book,
Milano.
12
Choay F. (1980), La règle et le modèle.
Sur la théorie de l’architecture et de
l’urbanisme, Éditions du Seuil, Paris.
13
Vigano P. (1999), La città elementare,
Skira, Milano, p. 55.
14
Sitte C., L’arte di costruire le città.
Urbanistica secondo i suoi fondamenti
artistici, (1889), trad. it. a cura di
Della Torre R. (1981), Jaca Book, Milano, p.
29.
15
Id., p. 35.
16
Id., p. 77.
17
Id., p. 82.
18
Choay F. (2002), Camillo Sitte, Der
Stadtebau nach Seinen Künstlerischen
Grundsätzen, 1889.
Uno statuto antropologico dello spazio
urbano, in Di Biagi P. (a cura di), “I
classici dell’urbanistica moderna”, Donzelli
Editore, Roma.
19
Sitte, op. cit., p. 122.
20
Id., p. 143.
21
F. Choay, op. cit., pp. 10-11.
22
Calabi D. (1995), Dilettantes on le
devient, introduzione a Smets M.,
“Charles Buls et les principes de l’art
urbain”, Pierre Mardaga éditeur, Liège, p.
10.
23
Cfr. Belli A. (1996), Immagini e concetti
nel piano. Inizi dell’urbanistica in Italia,
EtasLibri, Milano.
|
Figura 14 - Immagine tratta da:
Unwin R., Town Planning in practice,
1909, trad. it. a cura di Mazza A.,
Il Saggiatore Milano 1971, p. 214 |
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