Dopo numerose
disquisizioni appare oramai consolidato il
principio secondo cui l’attività estrattiva,
sia di prima che di seconda categoria, non
risulta assoggettata al regime di
concessione introdotto dalla legge 28
gennaio 1977, n. 10 (cosiddetta legge
Bucalossi), che ha imposto la
concessione comunale per qualsiasi tipo di
trasformazione nel territorio.
In
particolare, l’art. 1 recita: “Ogni attività
comportante trasformazione urbanistica ed
edilizia del territorio comunale partecipa
agli oneri ad essa relativi e la esecuzione
delle opere è subordinata a concessione da
parte del sindaco, ai sensi della presente
legge”. Tuttavia la giurisprudenza, nel
sottolineare l’autonomia della disciplina
estrattiva rispetto a quella urbanistica, ha
posto in evidenza come l’impiego della
concessione per disciplinare il fenomeno
estrattivo avrebbe comportato uno
snaturamento e una utilizzazione distorta
dell’istituto della stessa1.
Inoltre, la
dottrina ha precisato come la concessione
introdotta dalla Bucalossi non
riguardi l’attività estrattiva, in quanto
tale attività rientra nella specifica
competenza dello Stato e delle regioni a
statuto speciale e attualmente anche di
quelle a statuto ordinario.
Infatti, la
questione si basa sulla particolarità e
sulla rilevanza economica della attività
mineraria, tanto da poter rappresentare di
fatto un limite alla potestà
pianificatoria del comune, e allo stesso
tempo essere obiettivo di pianificazione a
livello regionale.
Tuttavia, se
ciò vale per il giacimento da coltivare,
altro discorso è per le opere fisse a
servizio della miniera o della cava, che
invece sono soggette alla disciplina
urbanistica e, quindi, alla concessione
edilizia.
Come è facile
comprendere la questione non risulta
semplice, tanto più che l’ambito della
pianificazione urbanistica abbraccia ogni
categoria di immobili, anche se appartenenti
al patrimonio indisponibile dello Stato
(quali, ad esempio, i giacimenti estrattivi)2.
Per tentare
di organizzare al meglio il tema della
discussione, pare interessante offrire una
breve sintesi del quadro normativo riferito
agli ultimi anni.
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In origine,
si era delineato l’indirizzo secondo cui i
lavori di ricerca e di coltivazione
mineraria non trovavano limite nella diversa
destinazione urbanistica della zona. In
altri termini secondo la Cassazione (2
dicembre 1977, n. 5246) viene stabilito che
“il riconoscimento da parte dello Stato per
mezzo dei propri competenti organi
amministrativi e tecnici, delle condizioni
di idoneità del proprietario del fondo,
scopritore della miniera, per l’esercizio
del relativo sfruttamento e il rilascio
della concessione stessa, costituendo
esercizio del diritto di proprietà dello
Stato sulla miniera con l’attribuzione al
detto privato concessionario del diritto di
utilizzazione della medesima, mutano la
destinazione del fondo oggetto della
concessione, dovendo esso essere destinato
al detto uso e sfruttamento; la concessione
comporta pertanto il sorgere di un’impresa,
che deve svolgersi con il carattere di
industria privata sulla miniera, alla quale
resta subordinata la coltivazione agricola
del fondo; anche i possessori di questo non
possono quindi opporsi alle opere inerenti
alla concessione e considerate dall’art. 32.
Rd 29 luglio 1927, n. 1443 di pubblica
utilità; contro l’atto amministrativo di
concessione non vale perciò né l’eventuale
vincolo derivante dal carattere rurale della
zona, riconosciuto dal piano regolatore
comunale, né la proroga del contratto di
affitto a scopo agricolo, che viene pertanto
a cessare”. Con il Dpr 24 luglio 1977, n.
616, si è modificato l’orientamento secondo
cui l’autorità statale nel rilasciare
concessioni in materia mineraria, non può
incidere su vincoli di destinazione
urbanistica senza una preventiva intesa con
l’autorità regionale e locale da raggiungere
mediante le procedure dell’art. 81 del
citato dispositivo.
Anche il
Consiglio di Stato (5 ottobre 1984, n. 571)
ha stabilito che l’autorità statale,
nell’emanare provvedimenti concessivi in
materia mineraria, non può incidere su
vincoli paesaggistici e di destinazione
urbanistica senza una preventiva intesa con
l’autorità regionale e locale, intesa che
deve essere raggiunta seguendo la procedura
prevista dall’art. 81 del Dpr 24 luglio
1977, n. 616 - Delega alle regioni a
statuto ordinario in numerose materie.
In altri termini, possiamo affermare che
l’attività estrattiva continui a soffrire
per le numerose difficoltà anche dovute ai
conflitti delle destinazioni urbanistiche.
Ma l’aspetto ancora più grave è dato dalla
mancanza di un chiaro rapporto tra attività
mineraria e pianificazione urbanistica
comunale. La pianificazione può infatti
ignorare l’esistenza di un giacimento e
prevedere una destinazione diversa da quella
compatibile con l’attività estrattiva, ma
non può interferire con essa, una volta
dimostratane la validità economica, pur con
le necessarie garanzie ambientali. Una
strategia che si è cercato di attuare, ma
con modesti risultati, è quella dell’intesa
obbligatoria tra l’autorità amministrativa
mineraria e i comuni. Le principali
motivazioni frenanti riscontrabili sono: il
timore degli elevati impatti ambientali; le
iniziative sovralocali interpretate come
vere e proprie ingerenze; la difficoltà di
definire nuove funzioni per i siti
estrattivi una volta dismessi.
A tal
proposito sempre il Consiglio di Stato (5
novembre 1991, n. 905) ha affermato che
“l’autorità urbanistica locale non può
disporre unilateralmente la destinazione
urbanistica dei beni statali”.
Tale
complessa situazione ha richiesto l’esame
della variegata normativa regionale di
settore. Dalla sua attenta valutazione si è
potuto verificare che sia il Molise che la
Calabria risultano sprovviste di una
specifica legge di settore in materia
estrattiva e, quindi, anche di un apposito
strumento di mediazione tra l’attività
estrattiva e il piano urbanistico. In
particolare, si potuto constatare che 11 su
21 regioni e province autonome hanno
demandato la procedura amministrativa per il
rilascio delle concessioni ai comuni e/o
alle province, senza mai coinvolgere il
livello politico. In altri termini, le
deleghe sono state ben esplicitate nelle
normative, non lasciando nessun margine di
interferenza politica sull’atto
amministrativo (Tabella 1).
Viceversa,
soltanto 8 regioni su 21 mantengono la
facoltà di rilasciare concessioni
estrattive. Un caso a parte è rappresentato
proprio dalla Regione autonoma della
Sardegna, la cui legge di settore prevede,
nel caso l’attività estrattiva non fosse
coerente con lo strumento urbanistico
comunale, la necessità della approvazione
del Consiglio comunale. In tal modo, un atto
che dovrebbe essere regolamentato in termini
amministrativi diviene praticamente di
competenza di un organo politico, creando
conseguentemente numerosi conflitti e
venendo meno alla linea giurisprudenziale
del Consiglio di Stato, come sopra citata.
Una nota
invece più che positiva è rappresentata
dalla quasi piena volontà delle regioni e
province autonome (19/21) di dotarsi di uno
strumento di coordinamento delle attività
estrattive, volontà che tuttavia non ha
avuto piena attuazione, tanto che meno di 10
tra regioni e province autonome hanno
completato l’iter di approvazione di detto
strumento (Tabella 2).
Inoltre è
stato possibile evidenziare quanto fosse
importante il parere di una apposita
commissione di valutazione ai fini del
rilascio della concessione estrattiva. In
tal senso si è potuto riscontrare che ben 12
regioni e province autonome su 19, che hanno
legiferato in materia estrattiva, hanno
riconosciuto un ruolo tecnico-scientifico ad
una apposita commissione, al fine di
valutare con maggior rigore i numerosi
aspetti interdisciplinari che caratterizzano
il settore minerario.
Aspetto di
certo non trascurabile è stato poi
evidenziato dalla scelta di ciascuna regione
e provincia autonoma di dotarsi di un
catasto dei giacimenti estrattivi, sia in
produzione che dismessi, anche al fine di
meglio localizzare, reperire e soddisfare il
fabbisogno di minerali. A tal proposito ben
15 regioni e province autonome su 19 hanno
evidenziato la fondamentale importanza di
detto strumento.
Inoltre, è da
sottolineare che ben 16 regioni su 19 hanno
posto l’accento sulla riqualificazione dei
siti estrattivi dismessi, prevedendo nelle
rispettive leggi di settore apposite
procedure per tale riqualificazione.
In ultimo,
non certo l’importanza dell’oggetto, si è
potuto constatare che ben 13 regioni e
province autonome su 19 hanno esplicitato
nella rispettiva normativa di settore “il
prevalere dell’attività estrattiva sulla
destinazione urbanistica”, con ciò
confermando il ruolo sovraordinato di detta
attività produttiva sulla destinazione d’uso
del suolo.
Infatti, solo
5 regioni e province autonome su 19
richiedono la coerenza tra il piano
urbanistico e attività estrattiva,
sollevando non pochi problemi per il suo
conseguimento. Tra queste rientra anche la
Regione autonoma della Sardegna che a tal
proposito può annoverare una lunga polemica
politico-amministrativa, tuttavia con scarsi
risultati.
Per
concludere, le numerose e varie iniziative
previste a livello normativo di mediazione
fra il momento economico-produttivo e quello
urbanistico-ambientale, si può affermare che
non hanno praticamente raggiunto gli
auspicati risultati. Ciò dimostra che il
livello di maturità nell’affrontare e
superare tale discrepanza non si sia ancora
raggiunto, forse anche a causa della
eccessiva complessità dei meccanismi finora
previsti e nei fatti attuati.
Note
1 A tal proposito la Corte di cassazione ha stabilito che “l’art. 1
della legge 28 gennaio 1977, n. 10, non può
essere interpretato nel senso che ogni
attività che si svolge sul territorio sia
assoggettata all’apposita concessione da
parte del sindaco” (Cass. pen. - sez. un. -
13 ottobre 1993).
2 Il regime giuridico delle cave nella legislazione statale. Tratto
da G. Balletto, Attività di cava e
recupero ambientale, Cuec, 1999.
Bibliografia
Sertorio M.
(2003), Miniere e cave tra disciplina
nazionale e regionale, Il sole 24 ore.
Balletto G.
(1999), Attività di cave e recupero
ambientale, Cuec.
Codici leggi
regionali (2003), Utet.
Grancini L.
(1992) (a cura di), Recupero delle cave
dismesse: valutazione delle suscettività
ambientali e delle potenzialità di riuso,
IReR (Istituto regionale di ricerca della
Lombardia), Milano.
Nizzero G.
(1987) (a cura di), Quaderni di
documentazione. Le cave tra interesse alla
produzione e governo del territorio.
Materiali per la disciplina legislativa a
livello regionale, Ras.
La fotografia
1 Centro Direzionale di Napoli è
tratta dal repertorio di G. Balletto. |