Numero 8/9 - 2004

 

le aree metropolitane 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

La pianificazione per l'arcipelago metropolitano. I casi di Barcellona e Bologna


Francesco Indovina


 

La crescita di nuovi paesaggi urbani determina una significativa modifica strutturale nell’organizzazione dello spazio: non è più la città concentrata ma è il territorio il contenitore di tutto. Si potrebbe assimilare questo nuovo modello di città contemporanea ad un arcipelago metropolitano in cui ogni unità presenta una propria connotazione ma la cui valenza sociale e operatività è strettamente legata alle relazioni esistenti con tutte le altre. Francesco Indovina descrive come e per quali motivi tale processo di metropolizzazione si stia sempre più diffondendo

 

 

 

 

Nuovi paesaggi, nuove condizioni, le tendenze

 

I casi di Barcellona e Bologna appaiono esemplificazioni molto interessanti dei processi di metropolizzazione del territorio (Indovina, 2003), cioè di quei processi, frutto di autorganizzazione, che tendono a costruire un nuovo paesaggio territoriale che superano, in un certo senso, la diffusione territoriale di abitazioni, attività e servizi in una prospettiva metropolitana. Un processo questo che tende ad affermare la domanda di città (per così dire fuori dalle mura) nella dimensione territoriale, superando, sul piano del vissuto individuale, la frammentazione, che ha fatto proprie le possibilità offerte dalla crescente mobilità e che è determinata dalle modifiche dei processi produttivi, dalle innovazione tecnologiche e dai mutamenti negli stili di vita.

Tali processi, in misura maggiore che la città diffusa (Indovina, 1990), incarnano il bisogno di città, e alle condizioni dell’oggi costituiscono la forma territoriale assunta dalla dialettica tra individuo e società che ha trovato la massima espressione nella condizione urbana. In un certo senso la frammentazione costituisce l’affermazione dell’individualismo (spesso esasperato), mentre il processo di ricomposizione metropolitana esprime il bisogno di società.

Il processo di metropolizzazione spontaneo, che costituisce una tendenza sia dei territori diffusi che di quelli aventi carattere di area metropolitana, se da una parte determina condizioni non sostenibili, dall’altra non riesce a soddisfare a pieno il bisogno di città. Infatti la condizione urbana non è l’esito del manifestarsi spontaneo delle forze individuali, ma piuttosto un risultato intenzionale, che utilizza le pratiche sociali condizionandole all’interesse generale (Indovina, 1977).

Se guardassimo le cose dal punto di vista degli individui potremmo affermare che la fuga dalla città per la sua insostenibilità (di tipo economico, ambientale, sociale e psicologico, ecc.) fa ricadere gli stessi individui in nuove situazioni di insostenibilità (costi privati, aumento della mobilità, isolamento, insicurezza, ecc.), per dirla con un proverbio “dalla padella nella brace”1.

Nei territori diffusi i costi ambientali in termini di consumo di suolo ed energetici, inquinamento, ecc. risultano superiori a quelli della città concentrata, così come i costi economici e pubblici appaiono fino a quattro volte superiore sempre nei confronti della città concentrata (Camagni, Gibelli, Rigamonti, 2002); nel diffuso si affermano stili di vita dissipati (non solo in termini di consumo di suolo, per esempio il consumo di acqua risulta tre volte superiore).

Queste condizioni spingerebbero, quasi naturalmente, ad affermare la necessità di un ritorno alla città concentrata. Una soluzione tanto ovvia quanto difficile. Va infatti assunto che i processi di frammentazione (più o meno spinti) hanno alla loro origine una modifica delle forze produttive, l’affermarsi di nuovi mezzi e possibilità tecnologiche, una nuova struttura dei costi di produzione e, non meno rilevante, la modifica degli stili di vita (per l’analisi di questi processi rimando a Indovina, 2003). Essi cioè si presentano come fortemente condizionati dalle modifica delle condizioni materiali, tuttavia, e questo non sembri in contraddizione con quanto affermato, le modifiche delle condizioni materiali spingono ad una sorta di correzione, per così dire, dei processi di diffusione e frammentazione più spinti, quella che appunto si è individuato come un processo autorganizzato di metropolizzazione del territorio.

Ai più avveduti studiosi e ai più responsabili amministratori sembra impossibile che si accetti passivamente il processo di diffusione e frammentazione anche se corretto da tendenze spontanee alla metropolizzazione. Il che fare costituisce un tarlo anche perché mette in discussione consolidati convinzioni. Due soluzioni tendono a emergere.

Ad alcuni sembra che le tendenze spontanee spingano verso una struttura territoriale fondata sul policentrismo; una struttura, cioè, che negando la necessità e l’opportunità di grandi città si fondi, piuttosto, su una molteplicità di medie città che, proprio per la loro dimensione, si presentano con un’alta qualità della vita, qualsiasi cosa si intenda con questa locuzione. Le obiezioni che si possono formulare a questo proposito sono di due tipi: la prima riguarda la tendenza attuale di organizzazione sia territoriale che economica che delle relazioni, la seconda fa riferimento ad un uso, storico, del policentrismo come struttura territoriale che meglio permette il controllo politico sulle popolazioni.

Esemplare, di questo ultimo caso, è la politica attuata dalla Democrazia cristiana (Dc) nel Veneto. La formazione di un grande polo industriale (Portomarghera) con diecina di miglia di operai, la costituzione di una classe operaia cosciente di sé e operativamente attiva a difendere i propri interessi e conseguentemente il rafforzamento dei partiti di sinistra, ha indicato alle forze moderate (la Dc) la strada per evitare la diffusione di idee, strutture e organizzazione che potessero mettere in discussione la loro egemonia nell’intero Veneto. A partire da una struttura di centri piccoli e medi, di una molto diffusa presenza di strutture ecclesiastiche e dall’esistenza di una maglia consistente di strutture di credito locale (Savino, 1999) si è puntato sul rafforzamento del policentrismo: una crescita produttiva fondata sulla piccola e, al massimo, media industria (una fabbrica sotto ogni campanile), una struttura territoriale fondata sull’autonomia di ogni centro e su un progetto locale di sviluppo, ma insieme di una società locale chiusa.

Insomma un’operazione moderata di pieno successo politico fino ad anni più recenti. Che poi questo indirizzo abbia dato luogo ad un intenso sviluppo economico, un modello esaltato e assunto come paradigmatico per un’alternativa allo sviluppo fondato sulla grande impresa2, che ha saputo e potuto utilizzare al massimo il capitale sociale con la formazione di una struttura industriale distrettuale, ecc. non contraddice il tono moderato della gestione del potere, né all’esclusione della popolazione dalle opportunità offerte dalla grande città.

Se sul precedente punto sia possibile avere opinioni diverse (anche per le implicazioni politiche e ideologiche), l’accordo rispetto all’altra obiezione che è possibile avanzare nei riguardi di un’ipotesi policentrica, dovrebbe essere più ampio e solido. Il policentrismo, si può sostenere, si caratterizza per un elemento di autonomia forte di ogni centro, mentre al contrario le nuove condizioni spingono verso processi di integrazione diffusa, intendendo con questi termini i processi di integrazione che non necessitano di prossimità. Inoltre le esigenze della popolazione sono cresciute e sempre più la domanda è per servizi di livello metropolitano, che appunto in quanto tali necessitano di un bacino di utenti (o clienti, secondo i casi) di dimensione (quantitativa) di tipo metropolitano. Non è casuale, cioè, che i processi di autorganizzazione sembrano indicare quella che è stata definita la tendenza verso la metropolizzazione.

Costringere questi processi, che sono economici, sociali, culturali e di stile di vita, dentro la gabbia del policentrismo sembra impossibile. Si osservi, inoltre, che i processi di metropolizzazione, se da una parte trovano la loro origine in strutture territoriali di area metropolitana, in altri casi costituiscono il tentativo di rompere proprio il policentrismo. La rottura della crosta moderata (non solo in senso politico, ma anche economico, culturale e sociale) appare come un elemento di crescita e contemporaneamente una risposta alle spinte offerte dalle nuove possibilità tecnologiche, dalle condizioni economiche determinate dall’allargamento dei mercati, dalle nuove e più consapevoli esigenze culturali e di stile di vita.

La seconda soluzione, che appare come la più fruttuosa sul piano della crescita economica, sociale, culturale e ambientale, asseconda il processo di metropolizzazione autorganizzato fornendo ad esso una guida. All’autorganizzazione dei processi, per loro natura ciechi rispetto all’insieme, fornisce gli occhi di una intenzione e di una strategia. La costruzione consapevole di un nuovo paesaggio urbano che denominiamo arcipelago metropolitano.

È possibile interpretare la crescita di nuovi paesaggi urbani come una rottura del modello di città storicamente definito. La città moderna si è dilatata, è cresciuta, ha spostato i confini sempre più verso l’esterno, è anche cresciuta a macchia d’olio, ma ha sempre mantenuto la sua caratteristica: la condizione urbana (densità, intensità e assenza di soluzione di continuità sul piano fisico; occasioni, socializzazione, opportunità, diritti di cittadinanza, partecipazione politica, ecc., sul piano sociale) era inscritta dentro le sue mura (reali o metaforici che fossero). Questo modello non pare oggi funzionare più, si prospetta una rottura rispetto al passato: la condizione urbana si tende a ricostruirla, per così dire, fuori le mura; la morfologia urbana, in un certo senso è negata ma si riafferma la società urbana. Non si tratta di un processo lineare, né esso appare privo di contraddizioni e di fratture, ma esso tende a prevalere anche perché la dimensione sociale non risulta più di livello urbano ma piuttosto metropolitano. Si intende sostenere che i bisogni che la popolazione esprime sono sempre più di tipo metropolitano, che non è solo una dimensione più grande ma di diversa qualità e spesso nuovi, così come, ovviamente, di tipo metropolitano sono, per così dire, i mezzi e le strutture per soddisfare tali domande.

 

 

L’arcipelago metropolitano

 

Questo nuovo modello, la città contemporanea, ci appare nella figura dell’arcipelago metropolitano. Le isole di un arcipelago, ciascuna delle quali ha un proprio connotato e si potrebbe dire una propria personalità, costituiscono una unità determinata non tanto da una descrizione geografica, ma piuttosto da loro relazioni (originarie e geologiche, naturali e ambientali, ma anche funzionali, economiche, sociali, ecc.), così nell’arcipelago metropolitano ciascuna unità (che con linguaggio disciplinare tradizionale potremmo chiamare città, borgo, nucleo, ecc., secondo dimensione e caratterizzazione) presenta una sua propria connotazione ma la cui valenza sociale e operatività è strettamente legata alle relazioni esistenti con tutte le altre3.

Quello che sembra emergere è una tendenza ad una specializzazione territorialmente articolata: il territorio si organizza attraverso micro poli specializzati (per esempio per il commercio, per il tempo libero, per la sanità, per l’istruzione superiore, ecc.), poli la cui fruizione non è strettamente locale, delle popolazioni che vivono nello spazio circostante stretto, ma hanno piuttosto fruizione a carattere territoriale, cioè di area vasta4. Tali polarità, inoltre, non presentano che limitati processi di agglomerazione.

1

 

Quello che appare rilevante è come la gerarchizzazione di una territorio metropolitano, o la frammentazione di un territorio a urbanizzazione diffusa e povero di strutture, convergono verso una moltiplicata polarità, che da una parte affievolisce le gerarchie e dall’altra integra i territori. Relazioni strettamente funzionali e preferenziali finiscono per stendere sul territorio un fitto reticolo di connessioni.

Si può convenire che forte sia l’effetto della molteplicità delle reti informatiche5, ma va colto, come elemento controintuitivo, che le relazioni di lunga distanza (le famose reti di città) non sono le sole ad essere influenzate, ma anzi l’effetto maggiore si ha a livello locale, data la difficoltà di moltissime singole città a svolgere un ruolo di qualche significato a livello internazionale. L’intensificazione delle relazioni è l’integrazione di territori che, mentre affermano la loro individualità, costruiscono rapporti sempre più stretti funzionali, economici e sociali, sembra la cifra caratteristica di questo processo di metropolizzazione, senza dire che è anche questa la strada per poter svolgere un ruolo internazionale come complesso territoriale (Indovina, 2001).

Causa ed effetto del processo di metropolizzazione è l’infrastrutturazione del territorio (viabilità e trasporti principalmente, ma anche reti, servizi sanitari, ecc.). Bisogna notare che la infrastrutturazione del territorio è risultata, molto spesso, indotta dai processi di autorganizzazione; sono questi quelli che hanno tirato quella. È mancata, cioè, una funzione trainante delle infrastrutture che avrebbe potuto determinare esiti migliori (minore frammentazione e dispersione, per esempio), la politica delle infrastrutture non ha avuto un ruolo strategico per determinare esisti territoriali, ma al contrario si è rilevata di tipo adattativa.

I caratteri specifici dell’arcipelago metropolitano (in tendenza) sono: diffusione, densificazione, specializzazione articolata, multipolarità di eccellenza, integrazione, ciascuno dei quali si declina con proprie peculiarità a secondo della struttura territoriale di partenza. Si osservi che la contraddizione che può osservarsi nei termini descrittivi usati, non appartiene al linguaggio usato ma alla realtà territoriale, questa, infatti, non presenta ogni suo punto omologo ad ogni altro, ma si caratterizza per diversità, il dato forte e costitutivo, tuttavia, è una crescente integrazione.

Questi fenomeni mettono in evidenza quella che sembra una significativa modifica strutturale nell’organizzazione dello spazio, non è più la città concentrata ad essere la polarità di attrazione, ma piuttosto è il territorio il contenitore di tutto, al suo interno convivono varie forme di insediamento: città concentrate di media e grandi dimensione; centri urbani di piccola dimensione; aggregati residenziali senza centro; abitazioni diffuse e isolate; zone di insediamenti produttivi; fabbriche e laboratori isolati e dispersi; distretti produttivi; grandi attrezzature di servizio; poli per il divertimento e il tempo libero; poli di eccellenza; centri della logistica; depositi; ecc. Una struttura territoriale nella quale assumono grande rilievo i flussi di mobilità delle persone; sia quelli obbligatori (lavoro e studio) che quelli opzionali (per motivi diversi: sport, acquisti, spettacoli, relazioni sociali, ballo, cinema, ecc.), risultano pluridirezionali e pluricentrici e sono costitutivi della natura metropolitana del territorio. Va anche sottolineata l’importanza crescente dei flussi immateriali: flussi di comando e di relazione (amministrativi, politici, finanziari, di ricerca, scientifici, culturali, di informazione, sociali, ecc.). Il territorio è attraversato sia da crescenti flussi fisici (persone e merci), che si adattano al nuovo contesto e nello stesso tempo determinano la nuova realtà territoriale, sia da flussi immateriali che si sommano ai primi. Una situazione questa che mette sotto tensione, per la crescita e il modificarsi dei flussi di massa (persone e merci) e per il rilievo assunto dai flussi di potenza (informazioni), la gerarchia del territorio e produce articolazioni di specializzazioni.

Tali processi valorizzano complessivamente il territorio, mentre, come è ovvio, la distribuzione dei valori risulta differenziata al suo interno. Le opportunità localizzative e insediative si moltiplicano in funzione dei diversi valori dei suoli; mappando i valori dei suoli in un immaginario plastico tridimensionale, la superbia di questo sotto le mani si presenterebbe rugosa, non omogenea, con picchi e valli, ma di altezza e profondità limitata. In sostanza, se i valori potessero essere assunti come indicatori di gerarchie, si sarebbe in presenza di un territorio con una gerarchia molto articolata, sia nel suo insieme considerata, sia analizzandola per settori specifici di funzioni. Quello che sembra prevalere è l’emergere di territori a gerarchia soft; i singoli luoghi di questo territorio, proprio nella loro varietà, costituiscono le tessere di un mosaico6. La dizione arcipelago metropolitano pare descrivere meglio le caratteristiche di questa struttura territoriale, insieme mette in luce la qualità metropolitana del territorio e il suo articolarsi in unità integrate.

È importante sottolineare che in questo territorio si incontra un nuovo cittadino, che vive in ambiti spaziali diversi. L’esperienza individuale e collettiva, per i suoi aspetti di lavoro, funzionali, culturali, affettivi, sociali, di consumo, politici, ecc., si svolge a due livelli: per ambiti locali, cioè più spazialmente e socialmente ristretti, ripetitivi e, forse, conformisti o comunque soggetti ad un forte controllo sociale (un ambito che solo apparentemente assume connotato di comunità) e per ambiti metropolitani, allargati, differenziati, occasionali, non ripetitivi, più liberi, ecc. Questa doppia esperienza, che proietta a livello territoriale quella dell’abitante della grande città, costituisce un altro connotato specifico (il più importante?) dell’arcipelago metropolitano e determina, una nuova personalità, che declina insieme, combinandole, due esperienze che precedentemente erano separate e non sommabili. L’una e l’altra, in questa situazione, finiscono per essere normali, portatori di rilevanti gradi di libertà comportamentali7.

Pare possibile definire l’identità di questo cittadino come una identità liquida, che come l’acqua non ha propria forma ma si adatta secondo le circostanze, che gode dei luoghi frequentati senza pregiudizi, che considera il suo territorio come composto da occasioni differenti da esperire e sperimentare e nel quale la diversità (di persone e luoghi) viene assunta come una valenza positiva (forse più tollerante). “Ama o si identifica con più di una piazza, con più di un paesaggio, con più di un luogo, secondo momenti, occasioni e, anche, proprie necessità; coglie nelle relazioni multiple, nella conseguente innovazione, nell’imprevisto, una modalità di essere della propria identità, che appare sempre più individuale (e non individualista) e relazionata ad un contesto sociale (non di gruppo). La formazione di questa identità liquida non è istantanea ma dipende dalla pratica nell’arcipelago metropolitano, costituisce l’esito inconscio di esperienze, ma anche l’esercizio di una costruzione sociale; non costituisce una pacificazione, con se stesso e con gli altri, essa impone, infatti, continuamente una scelta, non è escluso sia carica di solitudine e di angoscia, ma è anche portatrice di libertà e di senso di sé, fino alla costituzione di identità progettuali (Castells, 1997) in grado di opporsi all’assunto deterministico del processo di trasformazione elaborando progetti adeguati” (Indovina, 2003)8.

 

 

Della pianificazione di area vasta

 

La tendenza messa in luce costituisce, come più volte ripetuto, l’esito di un processo prevalentemente di autorganizzazione, il risultato è un territorio scaturito, in misura rilevante, dagli sforzi, dalle decisioni e dalle azioni, non coordinate, di singoli portatori di interesse, finalizzate alla realizzazione di propri obiettivi.

L’organizzazione del territorio che ne deriva può rispondere solo parzialmente a esigenze reali (determinate dalle trasformazioni tecnologiche, economiche, culturali e nelle abitudini di vita), esso infatti risulta privato da soluzioni coordinate e dotate di un’ottica generale e comune. Lo testimonia l’abnorme consumo di suolo, un crescente inquinamento, un conflitto crescente tra usi alternativi o vicini dello spazio, l’utilizzazione impropria dello spazio, la crisi dello spazio pubblico, la crescente congestione, l’alto consumo energetico, ecc. Inoltre a livello sociale si presentano, anche se la densificazione più recente appare come un correttivo (spontaneo), fenomeni di isolamento, di scarsa socialità, ecc.

In sostanza appare evidente la necessità di governare le tendenze in atto, con l’ottica del governo pubblico delle trasformazioni, cioè di un interesse generale che legittimi e faciliti le azioni di trasformazione dei singoli interessi. Vanno, cioè, colte le tensioni in atto, le aspettative, i processi di trasformazione, le innovazioni, le resistenze, per realizzare un progetto di interesse generale, che garantisca l’efficienza e l’efficacia dell’organizzazione del territorio (è questa la strada che permette di raggiungere gli obiettivi dei portatori di interesse senza ledere gli interessi terzi e collettivi). È soltanto la pianificazione territoriale che può garantire crescita economica, innovazione tecnologica, avanzamento culturale ed equilibrio sociale, nel nuovo contesto dell’arcipelago metropolitano. È evidente che il livello di pianificazione adeguato all’arcipelago metropolitano sembra essere quella di area vasta.

La pianificazione di area vasta, nel nuovo contesto, diventa, in un certo senso, una sorta di pianificazione urbana per il nuovo modello di città. In questa nuova dimensione, infatti, non basta sia attenta alle condizioni ambientali, né finalizzata all’identificazione delle invarianze o a pianificazione le grandi infrastrutture e la localizzazione della localizzazione dei maggiori complessi economici e di servizio, essa deve anche assumere un ruolo strategico per la costruzione della condizione urbana allargata, deve aiutare a definire le polarità articolate dell’intero territorio dell’arcipelago e deve, ancora, contenere tutte le politiche pubbliche (in termini di definizione e di attivazione) necessarie a realizzare quell’obiettivo.

La pianificazione di area vasta, inoltre, deve determinare una dimensione (massa) efficace per la collocazione dei territori considerai nel contesto internazionale globalizzato. La dimensione in sé non ha valenza positiva, tuttavia, costituisce una premessa necessaria a determinare quelle condizioni economiche che riescano a evitare l’emarginazione del territorio considerato. A questo scopo deve contribuire a determinare efficienti livelli di integrazione economica, tecnologica e funzionale tra le attività economiche dell’area e a facilitare i rapporti tra l’area e l’esterno. Si potranno, così, al meglio, valorizzare potenzialità e risorse locali, facendo acquisire ad esse un maggior peso (la valorizzazione delle specificità locali costituisce una tra le possibile linee di resistenza all’omologazione dettata dalla globalizzazione). Può promuovere e realizzare un’organizzazione del territorio efficiente ed efficace (virtuosi usi del suolo, salvaguardia ambientale, riduzione dell’inquinamento e della congestione, ecc.) che costituiscono premessa per la crescita economica. Si fa riferimento, cioè, non al piano di area vasta, ma piuttosto alla pianificazione di area vasta, cioè un insieme di azioni e di politiche, compreso il piano, finalizzato a obiettivi definiti in modo chiaro ed esplicito.

In assenza di istituzioni di governo diretto dell’arcipelago metropolitano la pianificazione di area vasta deve fondarsi sulla capacità di promuovere la collaborazione interistituzionale (il caso di Barcellona, in questo senso insegna qualcosa), che deve puntare, per avere margini ragionevoli di successo, non tanto sulla buona volontà quanto piuttosto sulla messa in evidenza di interessi comuni e di vantaggi specifici. È noto che la collaborazione interistituzionale trova minori ostacoli nella gestione di alcuni servizi in comune (servizi a rete, gestione dei rifiuti, ecc.) tuttavia quello che appare rilevante, nel nuovo contesto dell’arcipelago metropolitano, è raggiungere il consenso su una linea strategica valida per tutto il territorio, sia circa gli sviluppi futuri, sia per l’integrazione e interdipendenza, che per la sua organizzazione.

2

 

Le principali linee strategiche della pianificazione di area vasta che devono trovare l’accordo e la collaborazione attiva di tutte le amministrazioni, in modo estremamente semplificato, possono indicarsi in:

- equità sociale, tra le diverse zone e le diverse forze sociali attivando un’equilibrata crescita dei servizi collettivi;

- riduzione della trasformazione del territorio, anche attraverso politiche di freno alla crescita insediativi e di localizzazione promuovendo accordi di compensazione tra le diverse comunità, o politiche passive di resistenza, ecc.;

- densificazione, una linea di indirizzo che tende a realizzare un uso meno compromissorio ed esteso del territorio e che eviti isolamento, sfrangiamento spaziale, guasti ambientali, ecc.;

- controllo sul consumo delle risorse, soprattutto di quelle non rinnovabili, con processi sostitutivi, messa in comune di servizi, ecc.;

- promozione della crescita economica e sociale, attraverso la creazione di nuove opportunità, con la valorizzazione di risorse locali, processi di adeguamenti professionali, ecc.;

- diffusione dell’innovazione scientifica e tecnologica, la diffusione dell’innovazione deve essere facilitata e promossa, una integrazione pubblica ai meccanismi di diffusione di mercato costituisce un rilevante contributo alla crescita economica;

- avanzamento culturale della popolazione, la crescita culturale costituisce la condizione necessaria per lo sviluppo futuro; non possono allo scopo non essere assunte iniziative premianti, la realizzazione di nuove strutture, ecc. La società della conoscenza necessita di alti livelli culturali di massa;

- infrastrutturazione del territorio che tenga conto delle relazioni interne all’arcipelago metropolitano; la realizzazione delle infrastrutture devono essere utilizzate in modo strategico per condizionare gli sviluppi futuri delle trasformazioni del territorio. Lo sviluppo di efficienti servizi collettivi di trasporti determinerà spontaneamente processi di densificazione, così come costi differenziati dei servizi a rete potranno scoraggiare la diffusione territoriale (Gibelli, 2004);

- recupero e risanamento del patrimonio, sia storico e culturale, sia naturale, che edilizio, un processo di valorizzazione dell’insieme.

Insomma si tratta di una pianificazione (piano e politiche) in grado di affermare la condizione urbana estesa a tutto il territorio e in grado di essere vissuta da tutti gli abitanti.

I casi, che qui si presentano, di Barcellona e Bologna, pur nella loro diversità sia storica, che di peso economico, che di organizzazione del territorio, mostrano un tratto comune: il tentativo di governare le trasformazioni del loro territorio (verso la formazione di un possibile arcipelago metropolitano) con un riferimento costante a piani di area vasta.

Le esperienze sono diverse, anche le storie non solo del territorio e delle relative strutture economiche e sociali sono diverse, ma anche diversa è la storia delle relative istituzioni. C’è, tuttavia, qualcosa che le associa: la mancanza di una istituzione forte in grado di governare il territorio allargato, e quindi i costanti e continui tentativi di promuovere accordi interistituzionali, tentativi spesso messi in mora sia da azioni politiche avverse di ogni politica di autonomia non circoscritta, sia dall’avversità dei rispettivi maggiori centri urbani a cedere una loro diretta egemonia sui territori circostanti. Non essendo chiaro, ai rispettivi amministratori, che, da una parte, era proprio il rispettivo successo, per così dire, all’origine del processo di dispersione, di peggioramento delle condizioni di efficienza e di efficacia del territorio ampio e quindi di una riduzione del loro potere egemonico, e che, dall’altra parte, quello che era all’ordine del giorno non era tanto una gara per l’egemonia, ma piuttosto una politica di integrazione larga. Infatti solo facendo emergere il potenziale economico, sociale, culturale, di intraprendenza e di valenza ambientale del territorio largo (facendo, cioè, massa integrata) sarà possibile emergere a livello internazionale (affermazione che non disconosce le differenze dei due casi), ma che mette in evidenza, pur nelle differenze di peso e di iniziative, come nelle nuove condizioni internazionali neanche una grande città è al riparo di emarginazione.

L’arcipelago metropolitano non si governa sulla base di poteri predefiniti ma piuttosto attraverso la collaborazione e la disponibilità di ciascuna unità territoriale a giocare un ruolo in un’organizzazione territoriale più complessa. In sostanza, non si tratta di sottoporre un territorio ad una più o meno consistente egemonia di una grande città, ma piuttosto di organizzare e pianificare il potenziale economico-territoriale nel suo complesso.

Se questa fosse l’esigenza non si potrebbe non rilevare che la pianificazione di area vasta (come dimostrano le diverse esperienze) non pare essere consolidata né sul piano teorico, né su quello disciplinare, né su quello della pratica. Inoltre è la dimensione prospettica dell’arcipelago metropolitano che tale pianificazione deve assumere per correggere da una parte, le tendenze di autorganizzazione negative, e per dare, dall’altra parte, una prospettiva di valorizzazione complessiva del territorio. Si può forse affermare che c’è molto lavoro metodologico da sviluppare ed esperienze pratiche da esperire.

 

 

Note

 

1 Forse, ma è questione che qui non si può trattare, bisognerebbe accettare la città come luogo delle contraddizioni, dalle grandi possibilità, ma anche di gravi aspetti negativi, dove maturano condizioni di oppressione ma anche possibilità di libertà, dove la povertà può essere estrema ma dove si sviluppa anche un risarcimento sociale dei più svantaggiati, dove si affermano, attraverso strutture operative, i diritti di cittadinanza. Non un Eden, ma piuttosto un territorio di tensioni che esaltano la dinamica sociale, la crescita economica e culturale, le possibili rivendicazioni di un mondo migliore.

2 Si tratta di un modello molto studiato anche a livello internazionale (numerosa la bibliografia), del cui successo di lungo periodo, tuttavia, si hanno fondati dubbi dati i più recenti avvenimenti in conseguenza delle sempre più allargato mercato mondiale.

3 Alla nuova struttura territoriale si fa riferimento anche con l’appellativo di città di città (Nel-lo, 2001); il concetto di città di città pare assimilabile a quello di arcipelago metropolitano, tuttavia questa ultima dizione, anche se meno elegante della precedente, pare da preferirsi perché allude direttamente alla dimensione metropolitana, che come si detto non è solo questione di dimensione, ma di differente qualità di servizi, di strutture, di bisogni, di interazione, ecc.

4 Anche in questo caso non sono rari i fraintendimenti politici e pianificatori; un caso esemplare, da questo punto di vista, pare quello della diffusione di università. La percezione, forse non consapevole ma pur viva, del processo di metropolizzazione e quindi di una tendenza alla specializzazione diffusa spinge molte amministrazioni di medie città a promuovere nel loro territorio qualche facoltà decentrata da qualche grande università, le quali per una visione un po’ antiquata di egemonia e per una più recente di concorrenza, aderisco alla richiesta. Si tratta di un processo di svilimento della funzione universitaria; una università non è solo una sede dove si tengono delle lezioni, ma una struttura complessa fatta di servizi, di biblioteche, di centri di ricerche, di integrazioni tra apporti disciplinari spesso molto distanti tra di loro ma pur reagenti, ecc.; si tratta, cioè, di un ambiente, che non è realizzabile da una facoltà molto spesso povera di strutture. Non si tratta, in questi casi, di una specializzazione diffusa, quanto piuttosto di un impoverimento della funzione.

5 M. Castells in un recente saggio (2004) sintetizza i suoi precedenti studi e avanza in modo concentrato le proprie conclusioni sul tema. Si tratta di rilievi molto interessanti (a mio parere non completamente condivisibili, è nella natura dello studioso una tendenza a estremizzare) che tentano di mettere capo ad una nuova teoria della città fondata sulle conseguenze e sulle nuove esperienze individuali a seguito dell’affermarsi della comunicazione a distanza. Relativamente all’organizzazione dello spazio, l’elaborazione proposta, chiamata regione metropolitana, non sembra molto distante dall’arcipelago metropolitano, tuttavia quello che non pare convincente, proprio perché si tratta di un contributo di peso nella determinazione della nuova forma di città, è la connessione messa in evidenza tra individualismo e comunitarismo a livello del vissuto individuale, a questa connessione mi pare si debba preferire quella della identità liquida. Il saggio, comunque, è ricchissimo di spunti di grande interesse utili ad alimentare la ricerca, che accomuna ricercatori di diverse tendenze, tesa a tentare di definire la nuova condizione urbana.

6 Quanto prima messo in luce si riferisce alla situazione dell’Europa (troppo diverse essendo le situazioni del terzo mondo e delle stesse americhe), inoltre si fa riferimento ad una tendenza non ad un fenomeno consolidato.

7 È ovvio che la condizione economico-sociale ha un peso rilevante nella possibilità di cogliere le opportunità offerte dalla situazione descritta.

8 Vanno segnalati possibili reazioni a questa condizione e la formazione di identità resistenziali (Castells, 1997) che sulla base del recupero di “materiali grezzi tratti dalla storia, dalla geografia, dalla lingua e dall’ambiente” si oppongono alle trasformazioni.

 

 

Bibliografia

 

Camagni R., Gibelli M. C., Rigamonti P. (2002), I costi collettivi delle città dispersa, Alinea, Firenze.

Castells M. (1997), The Information Age: Economy, Society and Culture, Blackwell, Oxford (trad. Italiana 2003, Il potere delle identità, Università Bocconi, Milano).

Castells M. (2004), Spazio fisico e spazio di flussi. Materiali per un’urbanistica della società dell’informazione, in idem, “La città delle reti”, Marsilio, Venezia.

Gibelli M. C. (2004), I costi economici e sociali della città a bassa densità (mimeo, di prossima pubblicazione).

Indovina F. (1990) (a cura di), La città diffusa, Daest, Venezia.

Indovina F. (1997), Nuove condizioni ed esigenze per il governo urbano, in Bertuglia C. S., Vaio F. (a cura di), “La città e le sue scienze: la programmazione della città”, FrancoAngeli, Milano.

Indovina F. (2001), Economia locale e internazionale nella rivalorizzazione della città, in “Urbanistica e pianificazione del territorio”, Bollettino del dipartimento di Urbanistica e Pianificazione del territorio, Università di Firenze, n. 1-2.

Indovina F. (2003), La metropolizzazione del territorio. Nuove gerarchie territoriali, in “Economia e società regionale”, n. 3, FrancoAngeli, Milano.

Nel-lo O. (2001), Ciutat de ciutata, Editorial Empùries, Barcellona.

Savino M. (1999), Veneto. Il successo controverso del policentrismo, in “Genio rurale”, n. 3.

 

 

Le fotografie 1 e 2 sono tratte da “La città infinita” a cura di Aldo Bonomi e Alberto Abruzzese, Paravia Bruno Mondadori Editori, 2004.

 

 

Presentazione | Referenze Autori | Scrivi alla redazione | AV News | HOME

 

 Il sito web di Area Vasta è curato da Michele Sol