Le infrastrutture: nuovi obiettivi dello
sviluppo socio-economico nella concertazione
Le parti sociali stanno discutendo di nuovo,
ma il dialogo politico nazionale e locale
sta mutando: si sta passando da una fase
nella quale gli obiettivi principali della
concertazione erano quelli della dinamica
dei costi di produzione (tra i quali quello
del lavoro), del controllo delle dinamiche
inflative e del risanamento della finanza
pubblica, ad una diversamente complessa
incentrata sulla realizzazione di politiche
e strumenti finalizzati allo sviluppo e alla
crescita1. Se il rilancio dell’infrastrutturazione
materiale e immateriale, sia delle grandi
opere come di quelle minori, deve avvenire
con programmi dotati di una reale
fattibilità, il Mezzogiorno rappresenta il
punto centrale per una strategia di sviluppo
orientata ad un riequilibrio che coinvolga
la struttura produttiva, l’occupazione e il
reddito, ivi raggiungendo i livelli ormai
consolidati nel resto del paese. Tale
strategia dovrà fondarsi su alcuni assets
specifici, quali:
- utilities, divenute strategiche
mediante l’accelerazione degli interventi
infrastrutturali, l’attuazione della legge
obiettivo relativamente alle grandi dorsali
ferroviarie e autostradali collegate con le
reti Ten, il rafforzamento e la piena
operatività degli strumenti – come il
contratto di localizzazione – più
direttamente finalizzati all’attrazione nel
Mezzogiorno di nuove iniziative produttive,
la mission di Sviluppo Italia orientata
sulla promozione degli investimenti e sul
marketing territoriale;
- turismo come volano del sud, come
opportunità prioritaria mediante il recupero
e la promozione delle risorse artistiche e
culturali dei centri urbani meridionali,
valorizzandone le potenzialità turistiche
ancora ampiamente inutilizzate;
- ma anche su di un quadro di certezze
normative che è formato dalla legislazione
urbanistica regionale meridionale.
In Campania, il disegno di legge (ddil)
regionale sul governo del territorio,
attualmente all’esame del Consiglio
regionale, è un primo importante riferimento
nell’elaborazione della pianificazione
territoriale regionale come elemento di
sviluppo dell’attrazione imprenditoriale2.
È opportuno chiedersi se e come il nuovo
atteso strumento possa accompagnare tale
processo e cioè come l’articolato risulti
congruo con le esperienze locali dei
piani territoriali di coordinamento (Ptc)
dei cinque capoluoghi campani3,
degli esiti della programmazione negoziata
locale4, dei piani integrati
territoriali (Pit) e con le esperienze
nazionali sulle funzioni di una moderna
legislazione urbanistica regionale: se
insomma il testo in via di esame sia, o
meno, di ausilio a quella costruzione di
regole e di sanzioni che non dimentichino la
priorità dello sviluppo industriale
regionale. Infatti, considerando insieme le
ragioni dello sviluppo economico e quelle
della tutela dell’ambiente, da sconsigliare
è certo l’ordinaria corrispondenza fra
strumenti di pianificazione e livelli
istituzionali, e conseguentemente la
copertura dell’intero territorio da piani
urbanistici e piani territoriali. Sono
invece da proporre le esigenze di iniziativa
e flessibilità poste dalle energie impegnate
nelle strategie per lo sviluppo locale. In
primis quelle dell’industria e del turismo.
I progetti di infrastrutture, come di
qualsiasi altri tipo di trasformazione del
territorio – è stato autorevolmente detto da
queste colonne5 – possono sempre
rivelarsi dei fallimenti, ma siamo in grado
di ridurre ragionevolmente questi rischi con
lo sviluppo delle competenze nel campo della
pianificazione, specialmente se questa
sensibilità si diffonde all’interno delle
istituzioni pubbliche responsabili della
gestione del territorio, tanto al livello
centrale che locale – dato il decentramento
delle decisioni pubbliche.
In tutto ciò, si rileva una prima discrasia:
mentre a livello nazionale i nuovi obiettivi
dello sviluppo socio-economico nella
concertazione nazionale (tra i quali si sono
evidenziati utilities e turismo
nel sud) sono concertati tra le parti
sociali, nella legge regionale urbanistica
ci si limita alla cooperazione
interistituzionale nei processi di
pianificazione. Fin dal primo documento (Lr
20.6.2001, n. 109) la Giunta regionale ha
proposto un “sistema nel quale sia decisivo
il ruolo assegnato agli enti territoriali
infraregionale, mediante il metodo della
pianificazione partecipata, con la
previsione di un intervento preventivo delle
province e dei comuni al procedimento di
programmazione sovracomunale da parte della
regione”6: delle parti sociali
non c’è traccia.
Il loro ruolo va recuperato correggendo il
testo dell’art. 4 approvato dalla competente
Commissione consiliare: la cooperazione
istituzionale – sia in sede di
individuazione degli obiettivi della
pianificazione urbanistica che di successiva
verifica delle compatibilità delle scelte
adottate – va estesa alle organizzazioni
datoriali e sindacali (che stanno trattando
gli stessi temi a livello nazionale): e
ciò almeno per le scelte urbanistiche
relative alle aree industriali e turistiche7.
Esiste in Campania un ruolo degli strumenti
urbanistici per lo sviluppo industriale e
turistico locale?
Le scelte urbanistiche nazionali, regionali,
provinciali e comunali sono determinanti
come matrice delle priorità strategiche
capaci di incidere positivamente sullo
sviluppo delle reti e sui livelli dei
servizi, che non solo coinvolgano nella loro
realizzazione risorse pubbliche e risorse
private, ma determinino diverse condizioni
locali di attrazione dell’industria e del
turismo8.
Anzitutto gli strumenti urbanistici devono
tenere conto dei fenomeni demografici e
residenziali. Ovunque in Italia si osserva
come l’emorragia costante delle residenze
dalle città verso l’hinterland e la
riappropriazione urbana delle periferie
industriali rende chiara la nuova
localizzazione manifatturiera e l’esigenza
di programmarne i siti delle infrastrutture
di supporto nella cinta di seconda fascia
delle città capoluogo regionali e locali (Tabella
1).
Roma, Bologna e Verona sono le città dove la
deurbanizzazione appare più evidente e dove
l’industria riscopre una sua possibilità di
forte impulso nella seconda cinta urbana
(30-50 km) proprio con il supporto di forti
investimenti infrastrutturali. Napoli non è
da meno, confermando il dato generale ed
evidenziando un forte riutilizzo
dell’hinterland nella saldatura delle
residenze con Caserta. La rilocalizzazione
di molte centinaia di migliaia di residenti
dal monte al mare ha contraddistinto la
stagione degli anni ’70-’80 (qualcuno
ricorderà il dibattito sull’auspicato, o
meno, contenimento dell’incremento
demografico della Provincia di Napoli
definito opzione Cascetta). La forte
infrastrutturazione contraddistinguerà i
primi decenni del nuovo millennio. Essa
interessa ogni fascia sociale e ogni
attività sia in chiave di utilizzo delle
risorse esistenti e future, sia in chiave di
sviluppo che infrastrutturale: si pensi agli
spostamenti delle numerose aziende
napoletane nelle aree attorno agli assi
stradali di viabilità superiore e alle
innovazioni logistiche più recenti (interportualità,
asse autostradale, ferroviario, energetico
elettrico e del metanodotto, ecc.).
Inoltre gli strumenti urbanistici devono
tenere conto dei Pit incentrati sulle
vocazioni d’area sovracomunale utili ai fini
delle potenzialità degli insediamenti
industriali, infrastrutturali e turistici.
La scelta delle aree industriali e
turistiche deve essere preceduta dalle
indicazioni di sviluppo dell’economia dell’area
più vasta regionale: in Campania lo
sviluppo distrettuale industriale,
l’attrazione dei grandi motori turistici, la
pianificazione della rete logistica ampliata
(ferro, nave, autostrada, aeroportualità,
intermodalità, energia elettrica, gas,
cablaggio) è stato fatto mediante
l’individuazione nel programma operativo
regionale della Campania di Pit incentrati
sulle vocazioni d’area sovracomunale utili
ai fini delle potenzialità degli
insediamenti industriali, infrastrutturali e
turistici. La portata dell’impegno
programmatico regionale sullo sviluppo della
risorsa regionale turistica e l’orientamento
a pianificare le relative scelte
infrastrutturali e ambientali è evidenziata
dalla decisione di approvare ben 32 Pit a
vocazione turistica dei 51 totali. Degli
stessi 51, la vocazione industriale di altri
13 Pit evidenzia i focus territoriali dello
sviluppo industriale auspicato anche al di
là dei 7 distretti industriali campani (Tabella
2).
Se queste sono le scelte industriali e
turistiche regionali, questo ci riporta
all’esigenza di correlarle con le
prospettive delineate dai Ptc delle cinque
province campane e le scelte di sviluppo
comunale. In Campania i 32 Pit turistici e i
13 Pit industriali sono la maglia di
correlazione tra i vari livelli di normativa
urbanistica: a livello regionale,
provinciale e comunale.
Inoltre, gli strumenti urbanistici devono
tenere conto dell’indicatore della
localizzazione previsionale del fabbisogno
energetico regionale. Esso riassume –
specialmente dal punto di vista
turistico-industriale – come e dove si
debbano correlare le zone di sviluppo
potenziale di manifattura e servizi alle
persone con l’esistente mappa delle
infrastrutture esistenti e con le iniziative
di potenziamento.
La mappa riportata in Figura 1 è solo
emblematica: i problemi della distribuzione
elettrica9 sono anche maggiori di
quelli della produzione energetica
(gravemente deficitaria in Campania, com’è a
tutti noto). Essa serve solo per indicare
agli urbanisti come – al di là del modello
più o meno vincolante della normativa
urbanistica – il ruolo della legge regionale
urbanistica per lo sviluppo industriale
locale passa attraverso la capacità di
creare un clima di concertazione e di
programmazione fattiva sulla predisposizione
di nuove infrastrutture adeguate alle scelte
di localizzazione dei poli turistici
e industriali facenti parte del piano di
sviluppo regionale di lungo termine.
Figura 1 - Distribuzione della
richiesta di energia da coprire
mediante impianti termoelettrici di
nuova installazione - anno 2010
(Tavola 1) |
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Fonte: Assessorato regionale
Industria Campania, 2° Forum
dell'energia e dell'ambiente, giugno
2004
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Si disse che le scelte urbanistiche
nazionali, regionali, provinciali e comunali
furono determinanti come matrice delle
priorità strategiche capaci di incidere
positivamente sullo sviluppo delle reti e
sui livelli dei servizi, che non solo
coinvolgano nella loro realizzazione risorse
pubbliche e risorse private, ma determinino
diverse condizioni locali di attrazione
dell’industria e del turismo. Malgrado
questa evidenza, il recente testo indica
alla pianificazione territoriale e urbana,
tra gli altri10, l’obiettivo
della “tutela e sviluppo del paesaggio
agricolo e delle connesse attività
produttive”, dimenticando (art. 2) la tutela
e lo sviluppo sia dell’industria che del
turismo. Ovunque in Italia non si può
accettare una legge urbanistica regionale
che dimentichi tra gli obiettivi da
perseguire l’industria e il turismo, ma in
Campania ciò appare addirittura ridicolo.
Paradossalmente verrebbe da credere che
l’articolato affermi non esistere in
Campania alcun ruolo degli strumenti
urbanistici per lo sviluppo industriale e
turistico locale. Questa tesi potrebbe
essere corroborata dal fatto che il testo
della Lr (art. 13, comma 1-6) affida:
- al piano territoriale regionale (Ptr)
la fissazione di meri “indirizzi per la
distribuzione territoriale degli
insediamenti produttivi e commerciali”;
- al Ptc (art. 18, comma 5, lett. g)
“indirizzi finalizzati ad assicurare la
compatibilità territoriale degli
insediamenti industriali”;
- allo stesso Ptc (art. 18, comma 9) e,
limitandosi ai soli agglomerati Asi, la
funzione di emetterne il piano regolatore
generale (Prg) precisando che esso “ha
valore e portata di piano regolatore delle
aree e consorzi industriali di cui alla Lr
13.8.1998, n. 16” (tralasciando tutte le
aree Pip e le zone D comunali);
- al piano urbanistico comunale (Puc)
– art. 24, comma 1 – una generica
“disciplina la tutela ambientale, le
trasformazioni urbanistiche ed edilizie”;
- e finalmente al piano urbanistico
attuativo (Pua) – art. 27, comma 2 – la
funzione (meramente attuativa e non di
sviluppo) di “piano delle aree da destinare
a insediamenti produttivi ex art. 27, legge
22.10.1971, n. 865”.
Per questi motivi la legge – almeno
all’odierna lettura – evidenzia un suo
essere prioritariamente rivolta alla tutela
del territorio, piuttosto che al suo
sviluppo socio-economico: alcune
integrazioni in tal senso sembrano
necessarie.
Quale modello di legge regionale urbanistica
è il più utile per lo sviluppo industriale
locale campano
Da queste colonne Belli ha sintetizzato il
quadro dell’inquadramento strategico
possibile nella pianificazione territoriale
regionale, indicandone i diversi modelli in
atto a livello delle diverse regioni
italiane. Delle sue parole ricordo i diversi
modelli di legge urbanistica regionale in
uso in Italia:
1. un piano territoriale inteso come governo
urbanistico del territorio, con rilevante
funzione regolatrice assistita
dall’individuazione di una serie di vincoli;
2. un piano come strumento d’indirizzo
territoriale, denominato legge di governo
del territorio, articolata in una
descrizione del territorio per grandi
sistemi, suddivisa in aree omogenee
d’intervento, per le quali vengono indicate
regole, indirizzi e strumenti operativi;
3. un piano come documento prevalentemente a
carattere strategico territoriale, inteso
come strumento agile capace di fornire una
cornice11 condivisa di alcuni
mirati progetti di trasformazione
territoriale concernenti ambiti di interesse
strategico;
4. un piano latente che si riferisce ad un
modello di governo del territorio aperto,
sorretto da una molteplicità di strategie
settoriali limitate e specifiche.
La scelta è quindi tra la pianificazione
strutturale – descritta nei primi due tipi
di normativa urbanistica regionale (che ha
forte impatto di certezza per le aziende ma
anche di grande rigidità) – il terzo caso
(che personalmente ritengo consono al
disegno dei Pit dianzi descritto) e
l’ultimo, improntato alla minore
prescrittività.
Belli, per la Campania afferma: “Rispetto,
quindi, all’evoluzione dell’esperienza di
pianificazione territoriale regionale in
corso in Italia, l’esperienza in corso in
Campania tende a dislocarsi verso l’estremo
del piano strategico. In sostanza
l’intenzione è di poggiare il successo della
sua azione non tanto sull’adeguamento
conformativo degli altri piani, ma sui
meccanismi di negoziazione e di consenso
intorno alle grandi materie dello sviluppo
sostenibile e delle grandi direttrici di
interconnessione. Il Ptr, pertanto, si
qualifica anzitutto come piano
d’inquadramento nei confronti dei soggetti
istituzionali cui è affidata la
pianificazione d’area vasta. Lo fa con la
finalità di contribuire all’ecosviluppo,
secondo una visione che attribuisce al
territorio, inteso come grande materia che
propone esplicitamente specifiche forme
d’integrazione, il compito di mediare
cognitivamente e operativamente tra la
materia della pianificazione
paesistico-ambientale e quella della
promozione e della programmazione dello
sviluppo. Questa funzione principale è
sorretta principalmente da una funzione di
agevolazione dell’operatività degli attori
territoriali, definendo prospettive di
trasformazione da sostenere attraverso un
percorso di affinamento di regole
istituzionali convergenti da parte degli
enti sollecitati ad una più certa leale
collaborazione. In riferimento a questi
obiettivi strategici il Ptr vuole
contribuire a superare o per lo meno a
ridurre l’indeterminatezza dei contesti per
gli attori istituzionali e sociali, offrendo
loro dei quadri territoriali di
riferimento (Qtr)12 come base
utile alla definizione delle diverse linee
d’azione”.
D’altro lato, Roma – commentando il recente
Rapporto sulla città 2004 della
Fondazione Ambrosianeum13 – ha
affermato che “la fotografia di una città
caotica e cara che viene abbandonata per
cercare una maggiore vivibilità è abbastanza
vera ma non dice tutto: sta cambiando il
rapporto centro-periferia. Dobbiamo imparare
a parlare di regioni urbane”. Storicamente
nella periferia delle città si sono
insediate le imprese, via via delocalizzate
per l’estendersi delle città. Ora questo
processo non deve essere lasciato ai singoli
operatori ovvero alle imposizioni di
ecocompatibilità del singolo comune, bensì
far parte di quel processo di concertazione
dello sviluppo di cui si sta assistendo a
livello nazionale al rilancio. Ecco perché –
anche dal punto di vista dell’economia e, in
particolare, della parte dell’economia
imprenditoriale legata allo sviluppo del
territorio – il ruolo della legge regionale
urbanistica diventa centrale per il
necessario contemperamento tra le esigenze
delle diverse funzioni umane: abitazione,
industria, commercio, istruzione ecc.
Se è della regione il compito di contribuire
all’ecosviluppo, questa funzione principale
va sorretta da una cooperazione
istituzionale – sia in sede di
individuazione degli obiettivi della
pianificazione urbanistica che di successiva
verifica delle compatibilità delle scelte
adottate – con le organizzazioni datoriali e
sindacali e che svolga proprio quella
funzione di agevolazione dell’operatività
degli attori territoriali, di definizione
delle prospettive di trasformazione, di
affinamento di regole istituzionali
convergenti da parte degli enti sollecitati
ad una più certa leale collaborazione con i
cittadini e con gli attori dello sviluppo e
dell’attrazione imprenditoriale.
Punti di forza e di debolezza nello sviluppo
industriale presenti nel ddil urbanistico
campano in via di approvazione
Da queste colonne14 recentemente
ricordavo che la programmazione delle aree
industriali configura una scelta politica di
rilevante importanza per le istituzioni ma
soprattutto per gli operatori economici e i
cittadini. Sono noti i punti di forza della
Campania15. Bankitalia ha
recentemente confermato questi dati
aggiungendo alcune specifiche indicazioni (Tabella
3) nell’industria e nel turismo campano.
Tutto ciò fa rimarcare come – anche in
Campania – la legge urbanistica debba
svolgere il proprio ruolo di componente
primaria di attrazione degli investimenti
esterni all’area, oggi inesistenti,
attraverso la moderna programmazione delle
aree industriali e delle aree turistiche:
essa, quindi, diventa un fattore decisivo
del rilancio della Regione Campania.
Da queste colonne Moccia ha giustamente
ricordato16 l’esigenza di
territorializzazione dei grandi progetti
infrastrutturali, in modo che assicurino, da
un lato, il non creare ulteriori squilibri
e, dall’altro, il trasformarsi in progetti
di sistemi locali capaci di controllare
l’impatto territoriale e programmare le
valorizzazioni e i benefici derivanti dalle
nuove iniziative. Personalmente, anche per
le indicazioni di Belli sopra riportate,
apprezzo il nuovo testo perché supera la
logica vincolistica e rende leggera ma
certa la pianificazione urbanistica
imprenditoriale.
L’impianto della legge appare molto più
articolato, rispetto al precedente, e
risponde positivamente all’esigenza di
semplificazione, di non comprimere
l’autonomia degli enti locali, promuovendo
la copianificazione e la cooperazione
istituzionale (artt. 4 e 5), la
sussidiarietà espressamente citata (art. 8),
nonché la normativa relativa alle aree
industriali (art. 18). In particolare appare
molto utile la ripartizione delle competenze
e la fissazione del procedimento di
formazione del Ptr, del Ptcp, del Ptc e
degli Accordi di programma. I punti focali
della bozza di legge, dal punto di vista
dell’ottica degli interessi imprenditoriali,
sono i seguenti:
- se gli obiettivi della legge tengano conto
di tali interessi (artt. 2 e 4);
- la regolamentazione degli accordi di
programma (art. 12);
- competenze del Ptr in ordine all’industria
e turismo (art. 13);
- competenze del Ptcp in ordine
all’industria e turismo (art. 18);
- gli strumenti urbanistici comunali (Puc,
art. 24; Pua, art. 27; Pria art. 29).
Tenterò di fornire per ognuno di questi
punti spunti di riflessione.
Gli obiettivi della pianificazione
urbanistica regionale (art. 2)
Tra gli obiettivi della pianificazione
territoriale e urbanistica del ddil campano
si rileva il concetto della “tutela e dello
sviluppo del paesaggio agricolo e delle
connesse attività produttive” (art. 2, comma
1, lettera e). Si è già detto come sarebbe
importante che questo concetto fosse esteso
a tutta l’attività economica. Si suggerisce
di aggiungere la seguente frase come secondo
comma dell’art. 2: “La pianificazione
territoriale persegue finalità di
qualificazione ambientale e funzionale del
territorio ligure con prioritario riguardo
alle esigenze di organizzazione e di
sviluppo dei settori produttivi
dell’economia regionale, con particolare
riferimento al turismo, e di adeguamento
delle reti infrastrutturali” (riferimento
testuale all’art. 2 - Principi
informatori della pianificazione
territoriale della legge urbanistica
regionale Liguria 4.9.1997, n. 36).
Le competenze delle parti sociali nella
pianificazione urbanistica regionale (art.
4)
Mantenendo nelle competenze di regione,
province, comuni l’adozione degli strumenti
di pianificazione territoriale e
urbanistica, si notano positivi riscontri
interistituzionali negli iter di formazione
del Ptr (art. 13), dei Ptcp (art. 18) ma non
del coinvolgimento delle cosiddette forze
sociali. Nel livello degli strumenti
urbanistici comunali (art. 23) non vi è
neppure l’indicazione di cooperazione con
gli attori socio-economici del territorio.
Si potrebbe, quindi, meglio integrare il
concetto della cooperazione nei processi di
pianificazione e specificare l’eventuale
ruolo attivo di privati sia al momento della
formazione della pianificazione, sia nella
sua pratica attuazione.
Per il primo si suggerisce di aggiungere
all’art. 4 una frase del tipo: “Le
conoscenze che costituiscono il presupposto
dell’attività di pianificazione sono
patrimonio comune degli enti che condividono
la responsabilità del governo del
territorio, nonché di tutti gli altri
soggetti, ivi compresi gli enti e
associazioni rappresentative di interessi
collettivi o diffusi coinvolti” (il cui
testo è tratto dall’art. 7, primo comma
della citata legge urbanistica Liguria).
Per il secondo tema, più complesso, si
suggerisce di aggiungere la seguente frase
alla fine dell’art. 7: “Gli enti locali
possono concludere accordi con soggetti
privati per assumere nella pianificazione
proposte di progetti e di iniziative di
rilevante interesse per la comunità locale,
al fine di determinare talune previsioni del
contenuto discrezionale degli atti di
pianificazione territoriale e urbanistica,
nel rispetto della legislazione e
pianificazione sovraordinata vigente e senza
pregiudizio dei diritti dei terzi”
(riferimento testuale tratto dall’art. 18 –
Accordi con i privati della legge
urbanistica regionale Emilia Romagna
20/2000). A conferma dell’opportunità
dell’indicazione si riferisce come un testo
similare si possa trovare all’art. 6 -
Accordi tra soggetti pubblici e privati
della recentissima legge urbanistica Veneto
8.4.2004.
Gli accordi di programma (art. 12)
Il ddil campano riporta in breve il DLgs
18.8.2000, n. 267 per regolare “un’azione
integrata tra regione, province, comuni e
amministrazioni dello Stato e altri enti
pubblici per la definizione e l’esecuzione
di programmi di intervento di opere
pubbliche o di interesse pubblico, anche di
iniziativa privata, nonché per l’attuazione
dei piani urbanistici comunali”. Si deve
valutare se l’articolato sintetico sia
opportuno, ovvero specificare alcune
questioni procedurali, per rendere più
chiara e fruibile l’attuazione dell’accordo
di programma in Campania, come hanno
ritenuto altre regioni. Molte regioni hanno,
infatti, regolato diffusamente l’accordo di
programma nella loro legge urbanistica:
- così la legge 6.4.1998, n. 11 della Val
d’Aosta che ha dedicato ben 7 articoli al
solo tema della esplicitazione di come si
attua l’accordo di programma (un articolo
per definirne l’ambito, il secondo per la
procedura di formazione, il terzo per la
procedura di pubblicazione, il quarto per le
OOpp di interesse regionale, il quinto per
le OOpp di interesse statale, il sesto per
quelle comunali, intercomunali e delle
comunità montane e l’ultimo per quelle delle
telecomunicazioni) a riprova della
centralità dell’argomento;
- così la legge 217/2000 dell’Emilia Romagna
regolò nell’art. 40 soggetti, modalità,
destinatari e procedure con estrema
attenzione: essa si rivolse a chi – per
accordi di programma in variante alla
pianificazione territoriale e urbanistica
per la realizzazione di opere, interventi o
programmi di intervento di iniziativa
pubblico o privata – potesse formulare
osservazioni e proposte ivi comprese
le associazioni economiche e sociali e
quelle costituite per la tutela di interessi
diffusi;
- così anche dall’art. 7 della recentissima
legge urbanistica del Veneto che ne formula
attente precisazioni: “I rapporti con i
privati sono disciplinati da un atto
unilaterale d’obbligo o da una convenzione
da allegare all’accordo di programma”;
specifica l’iter di efficacia dopo la sua
sottoscrizione (“Ove l’accordo di programma
comporti variante al piano di assetto del
territorio è necessaria l’adesione della
provincia e l’accordo è approvato dal suo
Presidente, ove comporti variante al piano
di interventi comunale è approvato dal
Sindaco ma tale adesione va ratificata dal
Consiglio comunale entro 30 gg. dalla
sottoscrizione a pena di decadenza”).
Il piano territoriale regionale (art. 13 e
segg.)
La scelta del ddil campano è quella di un
piano snello: esso, infatti, così
recita: “Il Ptr individua gli obiettivi di
assetto e le linee principali di
organizzazione del territorio regionale
nonché le strategie e le azioni volte alla
loro realizzazione, i sistemi
infrastrutturali e le attrezzature a
rilevanza sovraregionale e regionale e gli
indirizzi e criteri di elaborazione degli
strumenti di pianificazione territoriale
provinciale e per la cooperazione
istituzionale”.
Il limite è, tuttavia, contenuto nell’art.
16 che afferma come le varianti e gli
aggiornamenti delle previsioni del Ptr sono
sottoposte alle stesse procedure della sua
iniziale formazione (art. 16) “con i termini
ridotti della metà”. Si deve valutare
attentamente se sia condivisibile un piano
snello ma lento alle modifiche
o altra forma di struttura del Ptr.
Soccorre sul tema il taglio fluidificante
adottato dal ddil Lombardia in via di
approvazione che sceglie di dividere il
piano di governo del territorio (Pgt) in
un documento di piano (quinquennale e
sempre modificabile), un piano di servizi
(senza limiti di validità e sempre
modificabile) e il piano delle regole
(anch’esso senza termini di validità e
sempre modificabile). Ma questo
modificherebbe tutto l’assetto del ddil
campano. Si suggerisce, quindi, di limitarsi
ad aggiungere alla fine dell’art. 16 -
Varianti al Ptr del ddil campano la
locuzione contenuta nell’art. 22 della
normativa lombarda che afferma: “Il piano è
aggiornato annualmente mediante il documento
di programmazione economico-finanziaria
regionale: l’aggiornamento può comportare
modifiche e integrazioni a seguito di studi
e progetti di sviluppo e di procedure, del
coordinamento con altri atti della
programmazione regionale, nonché di quelle
di altre regioni, Stato o Unione europea”.
L’aggiornamento annuale sarebbe molto più
utile della riduzione ad uno dei tre piani
perché agirebbe sulle risorse economiche,
unico vincolo agli amministratori degli enti
locali.
Per la gestione del Ptr attenta alle
tematiche imprenditoriali, si suggerisce di
adottare la soluzione dell’art. 16 della
legge urbanistica Lazio 22.12.1999, n. 38,
che istituisce un “Comitato regionale per il
territorio” con funzione consultiva su tutti
i temi della pianificazione territoriale e
urbanistica e composto, tra gli altri, da
esperti esterni alla regione designati dal
Consiglio regionale: esso “esprime pareri
sui piani delle aree e dei nuclei di
sviluppo industriale”.
Il piano territoriale di coordinamento
provinciale (art. 18 e segg.)
Senza riprendere le note questioni che hanno
portato l’Unione industriali di Napoli a
proporre osservazioni al Ptcp della
Provincia di Napoli, si deve riconoscere che
le competenze affidate dal ddil campano al
Ptcp nell’art. 18 sono assai più blande
delle decisioni assunte dall’amministrazione
provinciale di Napoli: avevamo giustamente
opposto alla provincia di essersi
accaparrata poteri di incerta attribuzione
da parte della regione e infatti oggi si
parla di utilizzare i Ptcp per fissare
“disposizioni che contengano gli indirizzi
finalizzati ad assicurare la compatibilità
territoriale degli insediamenti
industriali”. Quanto siamo lontani da una
certa e non la stessa e meticolosa
individuazione di luoghi, indici, che
ritrovammo nel Ptcp di Napoli!
A favore dell’attività dei consorzi tra le
imprese presenti nello stesso agglomerato
industriale e promossi dal sistema
confindustriale campano, si segnala
l’importanza del chiarimento che il ddil
campano ha messo al nono comma dell’art. 18
nel quale si afferma che “il Ptcp ha valore
e portata di Prg delle aree e dei consorzi
industriali di cui alla legge regionale
13.8.1998, n. 16; ai fini della definizione
delle relative disposizioni del Ptcp, la
provincia promuove le intese con i consorzi
Asl e con tutti gli altri soggetti previsti
dalla Lr 16/1998”.
La separazione dei tre livelli, tuttavia,
sembra superata da molte interrelazioni
territoriali (ad esempio, infrastrutture,
logistica, ecc.). A tal fine si segnala come
questo processo di sussidiarietà(che si
ritrova nell’art. 8 del ddil campano almeno
come indicazione di principio) determini,
come per la recentissima legge del Veneto,
l’innovazione di piani di assetto del
territorio subprovinciali mediante procedure
concertate tra comune e provincia e piani di
assetto del territorio intercomunali. Si
potrebbe valutare se suggerire questa
indicazione per i 7 Distretti industriali
regionali campani.
Gli strumenti urbanistici comunali (art. 23
e segg.) e gli interventi dei privati
Questo è il vero nodo del ddil campano. La
scelta del ddil campano è di creare ben tre
strumenti di pianificazione comunale (piano
urbanistico comunale, piano urbanistico
attuativo e regolamento urbanistico edilizio
comunale), ai quali si aggiunge (si veda
l’art. 29) il neonato piano di recupero
degli insediamenti abusivi, la qual cosa
renderà complessa la futura normativa
urbanistica.
Non così hanno fatto altre regioni: esse
hanno varato norme nelle quali si evidenzia
una scelta difforme ovverosia quella per il
quale il modello di piano regolatore finora
usato viene superato e sostituito da un
doppio livello, quello strutturale e quello
operativo: stanno facendo tutte così
ancorché i piani siano diversamente
denominati nelle più recenti normative
(Veneto, Liguria, Piemonte, Emilia Romagna).
Questo in quanto si ritiene che una scelta a
due livelli consenta una maggiore
flessibilità di adozione e di gestione della
pianificazione urbanistica comunale.
È interessante per la Campania – dove vi è
una forte concentrazione urbanistica e
demografica nella città capoluogo –
l’indicazione del Lazio: esso adotta per la
città metropolitana di Roma le norme del
livello provinciale: ma per tutti gli altri
comuni della regione adotta il doppio
livello del piano urbanistico comunale
generale (Puc) e del piano
urbanistico operativo comunale (Puo).
Napoli potrebbe ritenere di fare
altrettanto? Ma il tema che si ritiene più
importante è quello del ruolo operativo
dei privati e quindi del regime concessorio.
Su questo tema il ddil campano è del tutto
carente: esso si limita a prescrivere
(ultimo comma dell’art. 27) che
“l’amministrazione comunale provvede alla
stipula di convenzioni disciplinanti i
rapporti derivanti all’attuazione degli
interventi previsti dal Pua”.
Questo concetto di apertura all’iniziativa
privata o mista, validissimo, deve essere
meglio specificato per non ingenerare
difficoltà di applicazione. Qui soccorre
l’ampio articolato della legge urbanistica
36/1997 della Liguria. Questa legge afferma
che il piano comunale “si sviluppa
operativamente nei distretti di
trasformazione di norma mediante i Puo” (1°
comma art. 48) e aggiunge che il Puo può
essere di iniziativa pubblica o privata
(art. 50) ovvero mista (art. 51). Inoltre
essa afferma che “il Puo, quando non sia
approvato in sede di accordo di programma o
di conferenza di servizi, è adottato con
deliberazione del Consiglio comunale e
successivamente inviata alla provincia per
la formulazione di eventuali rilievi di
legittimità e pubblicata per 45 gg. a libera
visione del pubblico. Durante il periodo di
deposito possono essere presentate
opposizioni da parte dei proprietari di
immobili compresi nel Puo e osservazioni da
parte di chiunque ne abbia interesse. Nel
medesimo periodo il Presidente della
provincia sentito il Ctup, può formulare
rilievi di legittimità, con particolare
riferimento alla conformità del Puo al Puc.
Il Puo si intende approvato con la
deliberazione, da adottarsi entro i
successivi 90 gg., con la quale il Consiglio
comunale decide sulle osservazioni e
opposizioni pervenute nonché sui rilievi
formulati dalla provincia e la Giunta
comunale prende atto della mancanza di detti
osservazioni, opposizioni e rilievi”. L’iter
e i tempi sono ben tracciati e certi.
Una specificazione nello stesso senso si può
trovare all’art. 14 del ddil lombardo in via
di approvazione. Esso afferma: “I piani
attuativi e le loro varianti sono adottati
dalla Giunta comunale, nel caso che si
tratti di piani di iniziativa privata
l’adozione deve avvenire entro 90 gg. dalla
presentazione al comune del piano o
variante. Il termine può essere interrotto
una sola volta per infrazioni richieste
dagli uffici … entro 30 gg”.
In entrambi i casi ci troviamo di fronte a
norme che si preoccupano di semplificare e
di rendere certo nella sua durata e nei suoi
esiti – positivo o negativo che sia – il
procedimento amministrativo edificatorio
promosso da privati.
L’adozione di procedure analoghe (silenzio
assenso, decisione finale anche di
legittimità affidata al comune,
prefissazione della durata del periodo
istruttorio, ecc.) appare utilissimo per
riavviare il comparto edile e quello
industriale in Campania.
Quindi, potrebbe essere valutata la
possibilità di adottare procedure specifiche
in due parti del ddil:
- in quella dedicata alla società di
trasformazione urbana di cui si parla in
modo troppo stringato nell’art. 38;
- in quella, altrettanto scarna dizione,
dell’art. 39 denominato Contenuto delle
convenzioni.
In entrambi i casi questo suggerimento
consentirebbe di mantenere invariato
l’assetto dato sinora al ddil campano ma
aprirebbe un varco di maggiore certezza per
gli investitori privati impegnati nei
settori dello sviluppo industriale e
turistico.
Conclusioni: l’urgenza del ddil urbanistico
campano
In sintesi, in Campania la programmazione
delle aree industriali e dello sviluppo
turistico hanno precisi indicatori (i Pit) e
altrettanto precisi vincoli (energetico,
ambientale, della sicurezza del territorio,
ecc.). La legge urbanistica regionale è
anzitutto urgente, migliorabile se legata ai
distretti industriali e turistico in quanto
esigenza degli operatori economici e delle
amministrazioni locali e di settore che lì
operano e che sono elemento di attrazione
industriale esterna.
Circa le scelte di prima localizzazione
delle aree industriali e delle
infrastrutture, esse devono provenire
dalla concertazione con le parti sociali,
come quelle di secondo livello devono essere
frutto del confronto con gli operatori
economici. Solo così potremo sperare di
avere:
- siti industriali più calibrati nella
localizzazione e nella quantizzazione di
quelli (troppi e sparsi) inseriti
nell’Intesa istituzionale quadro,
intervenuta tra il Governo italiano e la
Presidenza della Giunta regionale Campania
del dicembre 2001;
- scelte tipologiche e localizzative dell’infrastrutturazione
delle aree produttive attrattive di
insediamenti provenienti dall’esterno della
regione e della nazione;
- promuovere la visibilità di un disegno
strategico regionale di poche nuove aree
(con infrastrutture superiori di sicurezza,
servizi consortili, ecc.) e, quindi, una
promozione della finanza di progetto: ad
essa non vi è alternativa finanziaria, visti
gli alti costi di tali infrastrutture e
l’esigenza di ricarichi di lungo termine per
renderle appetibili nel confronto nazionale
e internazionale.
Circa il turismo, il coordinamento
tra le anzidette preesistenze
infrastrutturali logistiche appare prossimo.
L’azione delle due agenzie regionali
promosse dall’Ea Volturno sulla logistica
merci e passeggeri ripercorre un recente
studio del Cesit per la Campania: esso
confrontava i modelli esistenti di agenzie
di gestione, esecutive e di supporto
prediligendo le prime perché coerenti con le
indicazioni della privatizzazione dei
servizi pubblici locali: esse sembrano –
come mostra l’esperienza di Roma,
Forlì-Cesena, Rimini, Parma e Reggio Emilia
– una forte opportunità. La presenza dei
numerosi Pit di vocazione turistica ne sono
un primo concreto banco di prova.
La priorità è una e duplice: se la logistica
attrae le merci, la mobilità locale facilita
uomini e mezzi, il turismo attiva dipendenti
e clienti delle aziende delle aree
industriali e delle attività
turistico-release che, entrambi, si servono
di essa. Ecco perché il disegno della
pianificazione territoriale e urbanistica
non può essere solo interistituzionale,
bensì concertativi … ma soprattutto urgente.
Note
1
Dalla bozza di Memorandum per la crescita
e lo sviluppo: le priorità condivise fra
Confindustria e Cgil, Cisl, Uil in
discussione dal 14 luglio 2004.
2
Coppola E. Moccia F. D. (2001), La
pianificazione strategica nei patti
territoriali della Regione Campania, in
areAVasta n. 3-2001.
3
Cugini A. (2004), Le aree industriali nel
Ptc di Napoli, in areAVasta nn.
6/7-2003.
4
De Vivo P. (2004) Pratiche di
concertazione e sviluppo locale,
FrancoAngeli.
5
Lo Cicero M., in Moccia F. D., Il fattore
territorio nello sviluppo solidale, in
areAVasta nn. 6/7-2003.
6
Deliberazione 40 del 5.6.2001 della Giunta
regionale Campania, disegno di legge
concernente Norme sul governo del
territorio – proposta al Consiglio.
7
Un esempio tra tanti possibili: dopo molti
black out e interruzioni di corrente
elettrica, uno studio in corso (Unione
industriali Napoli con l’assistenza tecnica
di Università di Napoli “Federico II”,
Seconda Università di Napoli, Aei, Provincia
di Napoli) sta rilevando la mappa delle
carenze nella rete di distribuzione
elettrica: un primo report di aziende e
comuni colpiti è disponibile sul sito
www.unindustria.na.it.
8
Nel numero precedente della rivista
areAVasta in Le aree industriali nel Ptc
di Napoli, scrivevo sulla medesima
tematica “Ritengo di poter affermare che –
in assenza di un quadro di sviluppo
regionale e di una concretizzazione di
almeno uno dei due distretti industriali nel
territorio napoletano – sia quanto meno
prematura una pianificazione deterministica
delle localizzazioni. Discutibile appare
anche la suddivisione in alcune aree
industriali di interesse maggiore
(provinciale) e altre di (inferiore)
interesse comunale”. Perché si sceglie di
ampliare agglomerati industriali non
connessi a distretti (come Giugliano), se
poi si prevede di istituire un complesso di
quattro piani degli insediamenti produttivi
(Pip) nel distretto sangiuseppese?”. Dopo
quasi un anno il testo della legge regionale
affida al Ptr “gli indirizzi per la
distribuzione territoriale degli
insediamenti produttivi e commerciali” e al
Ptc “gli indirizzi finalizzati ad assicurare
la compatibilità territoriale degli
insediamenti industriali”.
9
Si richiama l’attenzione del lettore con
esperienza nel settore su due Accordi
interistituzionali sottoscritti il 21 luglio
2004 tra la Regione Campania e Grtn in
ordine alle problematiche energetiche: il
“Protocollo d’intesa in merito alla
pianificazione elettrica e per la disciplina
della Vas applicata al piano di sviluppo
della rete nazionale elettrica tra Grtn e
Regione Campania” e l’“Accordo di programma
in merito a ulteriori opportunità di
sviluppo della porzione di rete elettrica di
trasmissione elettrica nella porzione della
rete nazionale nel territorio delle Regioni
Campania, Basilicata, Calabria e Sicilia
mediante applicazione volontaria della
valutazione ambientale strategica”.
10
Nell’art. 13, dove sono fissati i campi di
azione del Ptr si affida a questo strumento
l’indicazione degli obiettivi
d’assetto e le linee di organizzazione del
territorio, delle infrastrutture
sovraregionali e regionali e i criteri di
cooperazione interistituzionale, mentre come
obiettivi da definire troviamo la
tutela fisica e culturale del territorio, lo
sviluppo sostenibile, le articolazioni
infrastrutturali e logistiche, gli ambiti
territoriali sovracomunali e le aree di
rischio.
11
Cornice definita a valle di un’immagine
condivisa del territorio regionale e dei
nuovi probabili scenari futuri che comporta
il superamento di una logica vincolistica a
favore di una strategia della pianificazione
sorretta dalla definizione di precise azioni
intersettoriali.
12
Il primo è quello delle reti – la
rete ecologica, la rete
dell’interconnessione (mobilità e logistica)
e la rete delle sorgenti di rischio – che
attraversano il territorio regionale. Il
secondo è quello dei nove ambienti
insediativi, individuati in rapporto
alle caratteristiche morfologico-ambientali
e alla trama insediativa. Il terzo Qtr è
costituito da 45 sistemi territoriali di
sviluppo (Sts).Il quarto Qtr è
costituito dai campi territoriali
complessi.
13
Il Sole 24 Ore del 13.7.2004, p. 9.
14
Cugini A.(2004), Le aree industriali nel
Ptc di Napoli, in areAVasta nn.
6/7-2003.
15
Secondo il Censimento 2001, la consistenza
di una forza industriale connessa ad un
abbozzo di infrastruttura logistica sono
composti da:
- 294.465 le unità locali attive delle
imprese e delle istituzioni in Campania di
cui il 19,2% è costituito da unità locali di
imprese del settore dell’industria;
- 1.197.587 di addetti alle unità locali,
suddivisi tra industria (24,1%), commercio
(18,8%), altri servizi (30,7%), che lascia –
raro nel Sud – il solo 26,4% alle
istituzioni pubbliche e private;
- un aumento, rispetto al precedente
Censimento del 1991, delle unità locali
(+8,9%) e degli addetti (+1,3%).
16
Moccia F. D.(2004), Il fattore territorio
nello sviluppo solidale, in areAVasta nn.
6/7-2003. |