Mutamenti socio-economici e struttura del
territorio urbano contemporaneo
Gli anni ’90 sono caratterizzati da una fase
di radicali innovazioni nell’approccio e
nelle metodologie di intervento sulle città
e sui sistemi territoriali; in particolare,
nel campo delle politiche pubbliche, questi
anni sono un laboratorio di sperimentazione
dal quale escono nuovi strumenti di
programmazione regionale e inedite modalità
distributive delle risorse al livello
locale.
L’Unione europea ha un ruolo determinante
nell’accompagnare queste mutazioni
istituzionali e nel fornire una fetta
considerevole delle risorse finanziarie a
disposizione delle politiche di sviluppo
locale per quelle aree ritenute marginali.
Mentre, lo Stato tende ad assumere un ruolo
di livellatore delle disuguaglianze
territoriali, sia attraverso procedure di
decentramento amministrativo sia attraverso
il trasferimento di competenze al locale1.
D’altro canto, molte città hanno puntato
sulla messa in valore delle specificità
locali, orientando le attività economiche
sulla base di un’identità urbana recuperata
attraverso gli elementi del patrimonio
storico e ambientale, o anche inventata
attraverso l’ausilio di massicci interventi
di riqualificazione delle aree centrali.
Tra le dinamiche2 che
maggiormente hanno inciso sull’evoluzione
dei sistemi di pianificazione a livello
europeo emergono, tra le più significative:
- la transizione economica dal
modello di industrializzazione fordista
verso il settore dei servizi, il che
comporta, con le strategie di rigenerazione
economica delle città degli anni ’90, un
rinnovato interesse per la dimensione
metropolitana e per le pratiche di
pianificazione strategica3;
- la dialettica globale-locale;
- l’emergere della questione ambientale
nei processi decisionali legati allo
sviluppo del territorio;
- l’integrazione europea, che
considera il ruolo della dimensione europea
nella revisione degli ordinamenti
urbanistici ai livelli nazionali, e che
introduce nei sistemi di pianificazione una
maggiore attenzione alla fase attuativa e un
più esplicito collegamento tra previsioni
territoriali e disponibilità finanziarie;
- l’organizzazione reticolare delle
politiche territoriali, che costituirà
la principale tendenza verso cui si
muoveranno, nei prossimi anni, i sistemi di
pianificazione dei vari paesi europei.
Un primo aspetto determinante per
l’identificazione degli elementi di
mutamento del contesto socio-economico e per
l’interpretazione del concetto di centralità
nelle strutture territoriali contemporanee
riguarda le nuove dimensioni
spazio-temporali introdotte dalla modernità
e il loro effetto sulla struttura dei luoghi
e degli insediamenti. Un secondo aspetto
affronta il tema della virtualizzazione come
fattore di innesco di mutamenti riguardanti
le strutture socio-economiche. In effetti,
l’introduzione e la diffusione del paradigma
virtuale rappresentano un interessante
fattore di alterazione dei rapporti tra le
persone e tra queste con gli oggetti. In
questo senso esso produce nuovi valori di
riferimento. Il terzo aspetto tenta di
cogliere elementi legati alla produzione e
percezione individuale di spazio e tempo,
sempre più condizionata dalla mediazione di
strumenti tecnologici.
Altro fenomeno emergente che si manifesta
come uno dei caratteri salienti della
società postmoderna è la tendenza
all’individualismo. Questo fenomeno
disarticola la città perché, come afferma
Indovina, “incide su uno dei principi che
con fatica si era affermato lungo tutta la
storia dell’urbanizzazione: il diritto alla
città”4; ma, nello stesso tempo,
introduce nuove forze e spirito d’iniziativa
nella città, perché si viene sempre più
spesso chiamati a far fronte individualmente
alle necessità.
Anche la diversa organizzazione del lavoro
sta producendo effetti sulla struttura della
centralità determinando la crescita dei due
fenomeni della centralizzazione e
della concentrazione. Alla
centralizzazione, intesa come capacità di
esercitare un forte potere di controllo
espressa dalle imprese globali, corrisponde
una concentrazione (anche fisica) delle
attività di servizio legate alle economie di
urbanizzazione; mentre i processi di
diffusione si manifestano nel fenomeno della
multilocalizzazione e della diffusione delle
attività terziarie nei tessuti consolidati
attraverso processi di riuso e
frammentazione di aree dismesse.
Questo determina un ambiente urbano in cui
pochi poli emergono con forte potere
strutturante, ed è caratterizzato da una
frammentazione territoriale e da uno
spontaneismo diffuso che hanno generato
fenomeni di congestione e squilibri
territoriali.
L’effetto del miglioramento dei trasporti
sulla competitività relativa dei centri
urbani e delle aree centrali
La dinamica di un sistema di centri urbani è
influenzata da variabili esterne, come il
trend dell’economia nazionale che determina
la variazione globale del sistema dei
centri, e da variabili interne che
determinano le diversità di sviluppo tra i
centri. Tra queste ultime le più importanti
sono i movimenti di popolazione e di
capitali: la popolazione si sposta per
trovare un reddito maggiore e gli
investimenti per trovare un maggiore
profitto. Questo doppio movimento porta alla
formazione di una gerarchia di centri urbani
dislocati sul territorio.
Anche i trasporti e le telecomunicazioni
cambiano la geografia del territorio.
Le distanze fisiche contano sempre meno ed
assumono sempre più importanza quelle orarie
e quelle psicologiche. Esse si riducono
soprattutto tra le città maggiori che sono
il nodo nelle reti dei trasporti nazionali,
ed in misura minore tra le città di medie
dimensioni che in modo crescente sviluppano
collegamenti a scala internazionale e
interregionale. Aumenta, quindi, la
differenza di accessibilità misurabile, ad
esempio, attraverso il valore della
popolazione accessibile entro un dato
intervallo di tempo (ad esempio 2-4 ore).
Le economie delle città maggiori diventano
sempre più interdipendenti e si
specializzano in funzioni diverse sfruttando
le economie di scala. I centri urbani minori
nelle aree più periferiche sono
relativamente isolati ed autonomi gli uni
dagli altri. Questo determina una
diminuzione della loro competitività a scala
internazionale.
Un cambiamento significativo è avvenuto nel
trasporto aereo. Il sistema degli aeroporti
è più articolato e i collegamenti sono
trasversali, per cui posso andare
direttamente da Bologna a Monaco senza
passare per Francoforte. Mentre, un altro
cambiamento in corso è quello nel trasporto
marittimo. Negli ultimi tre anni le cose
sono cambiate in modo radicale per effetto
del trasporto intermodale o con i container.
Una volta i grandi porti erano Anversa,
Amburgo oppure i porti vicini al punto di
aggancio delle tre penisole al continente
europeo (Barcellona, Genova, Trieste,
Tessalonica). Ora le grandi navi container
entrano nel Mediterraneo dal canale di Suez
e determinano enormi potenzialità per il sud
dell’Europa, che da periferia che doveva
essere collegata con dei raggi al centro del
continente europeo diventa, per il trasporto
merci, il nuovo centro o un gateway
nei trasporti intercontinentali.
Lo sviluppo delle reti di centri urbani
La distribuzione spaziale delle attività
economiche e delle residenze indica una
varietà impressionante di forme di
organizzazione territoriale. Accanto a forme
estreme, come i centri urbani di grandi
dimensioni e gli insediamenti diffusi nelle
aree rurali, emergono forme intermedie di
organizzazione territoriale come i sistemi
locali del lavoro, le reti di centri urbani
di medie dimensioni a scala regionale e i
sistemi metropolitani policentrici.
L’organizzazione fisica del territorio in
molte regioni italiane è rappresentata da un
fitto reticolo di insediamenti industriali o
sistemi produttivi locali e di centri
urbani di medie e piccole dimensioni e dalle
complesse relazioni di questi ultimi con le
grandi aree metropolitane.
L’efficienza di diverse forme di
organizzazione territoriale dipende dalle
specifiche caratteristiche delle transazioni
tra i diversi attori locali.
Il processo di integrazione europea rende
sempre più intensi i rapporti tra i diversi
centri urbani, sia di grandi che di medie e
piccole dimensioni, e contribuisce allo
sviluppo di reti o network basati su
rapporti di competizione e cooperazione a
scala interregionale e persino a scala
transnazionale. I diversi centri urbani sono
sempre più interdipendenti e rappresentano i
nodi tra i quali circolano flussi sempre più
intensi di merci, servizi, persone,
informazioni ed investimenti. Le relazioni
tra gli attori locali non si svolgono solo
all’interno dei confini di ciascun centro
urbano ma si estendono sempre più ad altri
centri urbani relativamente distanti.
Gli elementi caratterizzanti una rete di
centri urbani o di imprese risultano:
a) i nodi: le imprese o i centri urbani;
b) le risorse caratteristiche e
complementari dei singoli nodi;
c) le diverse funzioni assegnate ai nodi;
d) il ruolo gerarchico dei diversi nodi;
e) la mobilità o il cambiamento di ruolo
nella rete dei singoli nodi;
f) l’efficienza o i costi delle singole
funzioni svolte nei singoli nodi;
g) i flussi di beni, fattori, informazioni
tra i diversi nodi;
h) la distanza tra i diversi nodi ed i costi
di transazione;
i) le infrastrutture ed i servizi di
supporto nella circolazione dei diversi
flussi;
j) gli scopi comuni, le risorse
condivisibili e le politiche di governo
della rete;
k) i confini esterni e le relazioni con i
nodi esterni alla rete considerata.
I centri urbani possono essere considerati
come il polo di concentrazione di vari
fattori di localizzazione di infrastrutture
materiali ed immateriali, che determinano la
competitività di un sistema produttivo
locale e regionale.
Il sistema urbano non sembra tanto essere
rappresentato da una piramide caratterizzata
da poche grandi città e da città via via
sempre più piccole, ma da una rete i cui
nodi hanno ciascuno un ruolo e una funzione
complementare a quella degli altri. In un
siffatto sistema urbano possiamo distinguere
le città per dimensione demografica, ma è
più interessante andare a vedere le diverse
tipologie di città.
Risulta interessante lo studio di un
pianificatore-economista tedesco, Kunzman,
che individua diverse tipologie di città
legate all’esistenza di fattori soft
di localizzazione e alla ricerca di una
propria vocazione basata sull’innovazione
del prodotto/servizio che caratterizza
ciascuna città. In particolare, i centri
urbani svolgono cinque funzioni diverse in
un’economia regionale.
Le città sono il centro delle economie
esterne di agglomerazione e
disagglomerazione e, quindi, il centro delle
attività di servizio, sia private come i
servizi commerciali, che pubbliche come i
servizi sanitari, da garantire alla
popolazione, compresa quella del rispettivo
hinterland. In secondo luogo, i
centri urbani svolgono un ruolo cruciale nel
promuovere un processo graduale di
riconversione produttiva dell’economia
locale e regionale rispettiva verso settori
più qualificati. Essi sono la localizzazione
più adeguata delle imprese tecnologicamente
più avanzate, dei centri di ricerca e dei
servizi avanzati alla produzione. In terzo
luogo, i centri urbani sono il centro della
identità culturale della regione
complessiva. Essi creano un effetto di
polarizzazione culturale sul loro
hinterland e contribuiscono a creare una
immagine che facilità la visibilità della
regione nel contesto internazionale. Esse
esercitano un potere di attrazione nei
confronti degli investitori esterni alla
regione e svolgono un ruolo cruciale nella
definizione di una strategia di sviluppo
regionale che aggreghi il consenso degli
attori locali. In quarto luogo, i centri
urbani sono il nodo delle reti dei trasporti
e delle comunicazioni a scala
interregionale. I centri urbani sono,
quindi, il porto d’entrata (gateway)
della regione di appartenenza, nei confronti
del resto del mondo e sono in competizione
tra loro per una migliore interconnessione
con le grandi reti nazionali ed europee dei
trasporti. Infine, i centri urbani svolgono
un ruolo istituzionale.
Queste cinque dimensioni della natura e del
ruolo di una città nell’economia regionale e
nazionale indicano che le politiche urbane
rappresentano un campo di intervento
importante anche per le autorità nazionali e
comunitarie, e che tale ambito non coincide
necessariamente con quello tradizionale
delle politiche urbanistiche o di
pianificazione.
Modelli alternativi di organizzazione del
territorio nazionale
Alcuni criteri possono essere formulati come
grandi coordinate per strategie urbane
consapevoli del presente ed orientate al
futuro. Fra questi emergono come decisivi:
- lo sviluppo di una capacità di
investimento orientata al lungo periodo;
- la capacità di reinterpretare
innovativamente la propria cultura
tradizionale;
- la possibilità di inserirsi in circuiti
comunicativi più ampi che permettono di
usufruire dei benefici della centralità
anche da posizioni periferiche.
In un siffatto sistema urbano complesso il
successo della competizione
dipenderà, in buona parte, dalla capacità di
raggiungere la miglior posizione possibile
nella propria categoria, piuttosto che dallo
sforzo per assurgere ai vertici della
gerarchia.
Probabilmente le reti di città di medie
dimensioni potranno essere la via d’uscita
alle contraddizioni e alle complessità
presenti nelle attuali metropoli. Anche se
il limite che queste città incontrano, e che
spesso le fa soccombere nei confronti della
grande città, dipende dal fatto che da una
parte molte funzioni a carattere elevato
esigono una dimensione elevata di mercato,
sia per quanto concerne la domanda dei
servizi prodotti, sia soprattutto per quanto
concerne l’offerta del capitale umano
impiegato; d’altra parte queste stesse
funzioni esigono una centralità forte e una
facile accessibilità alle reti di
comunicazione mondiale.
Si prospettano orizzonti di possibili
modalità diverse nelle comunicazioni e nei
rapporti, non solo per gli individui ma
anche per le città. Una cittadina, fino a
ieri considerata provinciale, può
divenire culturalmente centrale e
attirare attenzione non solo nazionale.
Secondo alcuni studiosi, la città
contemporanea non rappresenta più un’unità
territorialmente significativa; essa si
riduce ad essere una raccolta di nodi
appartenenti a reti differenti, giustapposti
nello spazio ma non effettivamente
integrati. Di conseguenza, la duplice natura
della città come luogo di compresenza di
nodi appartenenti a reti globali e come
sistema economico locale rappresenta oggi un
elemento di interesse.
Le forme tradizionali della città non si
dissolvono nel nuovo assetto metropolitano,
ma cambiano funzione, ruolo, figura sociale,
status simbolico nell’immaginario
collettivo. Tutto cambia fisicamente, ma
ancora di più per quanto attiene i
circuiti del senso. Circuiti che
diventano la cosa più importante da studiare
e indirizzare.
È giusto il tentativo, all’inizio del nuovo
millennio, di una aggiornata identificazione
del concetto di centralità, cominciando
dalla redazione di un catalogo delle specie
di centralità, delle loro forme e dei sensi.
Forse è il momento di lasciare la figura del
centro al suo destino telemaico e pensare in
modo post-copernicano al luogo come un
aperto crocevia di mappe sociali, mentali,
di culture. Una cartografia acentrata, più
che multicentrica, di nuovi incroci.
Il modello tradizionale di tipo piramidale o
gerarchico non riesce più a spiegare la
struttura del territorio. Il modello non è
più quello incentrato sul rapporto
centro-periferia, ma è di tipo
policentrico.
Il territorio europeo può essere
interpretato come una serie di
macro-regioni transnazionali5,
che comprendono reti di centri urbani di
diverse dimensioni, che svolgono un ruolo
complementare all’interno della stessa
macro-regione e un ruolo competitivo tra
le diverse macro-regioni. Ciascuna di
queste macro-regioni ha dei riferimenti
geografici, storici e istituzionali comuni.
Ognuno di questi bacini può essere concepito
come una rete di città, e le città si
costituiscono in reti, alleanze per fare
concorrenza ad altri bacini interregionali.
Nello studio Europa 2000+ della Commissione
dell’Unione europea sono evidenziate diverse
aree regionali transnazionali: l’arco
alpino, le regioni metropolitane
nord-occidentali, l’arco atlantico, il
mediterraneo centro-orientale e il
mediterraneo centro-occidentale.
In una Europa che si allarga la singola
regione e la singola città non possono
competere. Nel sistema delle regioni e delle
città europee emergono, quindi, nuove
macro-regioni6.
Reti di città di media e piccola dimensione:
una risorsa sulla quale investire
Da qualche tempo l’immagine della rete è fra
le metafore di maggiore successo in vari
campi di ricerca, nello studio dei sistemi
urbani e territoriali e nella pianificazione
territoriale, nella ricerca sociale ed in
quella ambientale, nell’elaborazione teorica
e nella pratica, nel linguaggio della
politica e nel sapere comune. Le ragioni di
un simile successo sono molteplici.
La rete, per il suo carattere aperto,
indeterminato, dinamico, flessibile delle
immagini che evoca, ben si presta a
raffigurare processi in atto nella società
contemporanea, in particolare, la crescente
interdipendenza dei sistemi sociali ed
economici, lo sviluppo delle tecnologie
telematiche, l’affermarsi di concezioni
decentrate del potere. Tutto questo senza
ridurre la ricchezza dei caratteri di
identità, specificità, contestualità delle
maglie che la compongono.
La disposizione geografica dell’Italia, che
si colloca verticalmente dal centro verso il
sud dell’Europa, costituendosi come una
sorta di ponte sul bacino del
Mediterraneo, è tale da far ritenere
ugualmente degne di attenzione le diverse
tipologie di città di livello regionale
delineate nel documento comunitario7,
perché tutte in qualche modo presenti.
La classificazione comunitaria delle città
di taglia regionale, i recenti rilevamenti e
le generali caratteristiche
dell’infrastruttura urbana di cui l’Italia
dispone, portano ad individuare almeno
quattro sistemi di reti transregionali di
città:
1. reti di città medie e medio-piccole
interne alle grandi aree metropolitane.
In questi casi, conviene intervenire
migliorando le connessioni radiali, puntando
soprattutto sul potenziamento del sistema di
trasporto su ferro;
2. reti di città medio-piccole che
costituiscono bacini di urbanizzazione
diffusa. Tali contesti risultano
caratterizzati da una discreta dotazione di
infrastrutture per la mobilità locale che
stentano a connettersi in modo efficiente
con i grandi assi di comunicazione;
3. reti di città medie e medio-piccole
nel centro-sud e nelle isole, dove la
presenza di un discreto numero di città
metropolitane (Roma, Napoli, Palermo, Bari,
Messina, Catania, Cagliari) non si
accompagna alla diffusione di sistemi
insediativi sufficientemente robusti
ed articolati;
4. reti di città medie e medio-piccole da
costruire, specialmente nelle aree
interne e meno popolate del centro-sud e
delle isole, dove all’assenza di
gravitazione intorno a bacini metropolitani
e una scarsa propensione a forme di sviluppo
endogeno, si accompagnano alla mancanza di
sistemi efficienti di mobilità locale e di
connessioni strategiche con i grandi assi.
Lo sviluppo urbano e territoriale del nostro
paese testimonia la coesistenza di modelli
insediativi plurimi, in cui le differenze
non sono dovute soltanto alla soglia
dimensionale ma anche al determinante
condizionamento di fattori
economico-geografici (dualismo nord-sud) e
all’affermarsi di strutture regionali
policentriche. Le aree metropolitane
italiane presentano quasi sempre una
specializzazione terziario-produttiva
relativamente avanzata ed esercitano una
vasta gamma di funzioni internazionali; esse
costituiscono l’interfaccia tra il sistema
territoriale del paese e le reti globali di
carattere internazionale, veicolando beni e
servizi rari, informazione ed innovazioni
tecnologiche. Le città medie e piccole del
paese, soprattutto se integrate in sistemi
regionali a rete, sono spesso i luoghi
dell’innovazione incrementale, delle
specializzazioni, della competitività
raggiunta attraverso sinergie locali; esse
sono l’interfaccia tra milieux locali
e la dimensione del mercato nazionale e,
spesso, internazionale.
A vocazioni e funzioni differenti
corrispondono anche problemi e difficoltà di
natura diversa. Le aree metropolitane
manifestano processi di deterioramento delle
condizioni della vita, del potenziale
economico, della dotazione infrastrutturale
e dell’ambiente; i sistemi di città piccole
e medie richiedono, invece, di essere meglio
strutturati nella loro articolazione
multiregionale, rafforzando le relazioni di
complementarità e sinergia tra i singoli
centri e le connessioni con le reti globali.
Recenti ricerche, finalizzate a definire i
punti di forza e di debolezza del sistema
urbano italiano nello spazio unificato
europeo, hanno messo in evidenza la
necessità di valorizzare il sistema delle
città di media e piccola dimensione per le
grandi opportunità che possiede. I dati
raccolti dal Dipartimento aree urbane8
consentono di sottolineare le migliori
performance conseguite dal sistema delle
città medie italiane, rispetto alle città
grandi e piccole; esse fanno registrare i
più forti incrementi, relativi, negli
indicatori del benessere economico, della
sicurezza urbana e della qualità della vita.
Rete urbana nel Mezzogiorno e nella Sicilia
Nel Mezzogiorno e nella Sicilia non mancano
i grandi agglomerati urbani: sei città
superano i 200.000 abitanti. La maggiore
regione urbana, con 4 milioni di abitanti,
si estende compatta tra Napoli e Caserta,
con una ramificazione interna verso Avellino
e una costiera verso Salerno e Battipaglia.
Un’altra regione urbana si va configurando
attorno a Bari, lungo la costa adriatica tra
Barletta e Monopoli. Rilevante è pure
l’allineamento che dalla conurbazione dello
Stretto (Reggio Calabria-Messina) si estende
lungo la costa orientale della Sicilia,
ispessendosi attorno a Catania e Siracusa.
Ma se c’è stata crescita di singole aree, è
mancata una integrazione tra esse, analoga a
quella che si è avuta nel nord e nel centro.
Le città meridionali non formano un sistema
e la loro stessa distribuzione geografica lo
indica chiaramente. Delle quasi 20 città con
più di 80.000 abitanti, solo due, Foggia e
Cosenza, non sono costiere; mentre, nel
largo spazio compreso tra Salerno, Bari,
Taranto e Reggio Calabria non esistono vere
città.
In vaste aree interne peninsulari e
insulari, anche dove la densità della
popolazione si mantiene relativamente
elevata, lo sviluppo urbano non ha avuto
modo di manifestarsi neanche di recente. I
processi di impoverimento e di degradazione
delle campagne hanno coinvolto anche i
comuni urbani: le città contadine
tradizionali hanno perso i loro caratteri
senza acquistare funzioni moderne. Un forte
squilibrio oppone, dal punto di vista della
geografia urbana, le coste alle aree
interne, le zone di addensamento urbano al
loro intorno territoriale sottosviluppato.
I casi di forte crescita demografica
corrispondono a quei centri aventi
prevalenti funzioni amministrative come
Cosenza, Potenza, Isernia; coincidono con
quei centri minori caratterizzati dalla
presenza di insediamenti industriali come
Gela, Augusta, Termoli; oppure con i centri
posti nella fascia esterna di espansione
della regione urbana di Napoli (Casoria,
Caserta, Avellino, Salerno, Battipaglia).
L’area barese, caratterizzata da una elevata
densità abitativa, ha saputo approfittare
della vicinanza di distretti agricoli più
produttivi e divenire il punto di
riferimento. Decima città italiana per
popolazione, Bari ha ormai una solida
struttura di piccole e medie imprese e una
buona dotazione di servizi, tali da poter
consentire alla città di potere svolgere il
ruolo di centro metropolitano di una regione
urbana ancora in formazione. Inoltre, il
recente sviluppo industriale e terziario, ha
selezionato le antiche città contadine
pugliesi e privilegiato i centri toccati
dall’autostrada adriatica o posti lungo la
linea di costa.
La Sicilia, oggi la quarta regione italiana
per popolazione, possiede due grandi città,
entrambe con ambizioni di metropoli
regionale (Palermo e Catania); due città
medio-grandi (Messina e Siracusa) e altre
sette città con oltre 50.000 abitanti. Ma
dalla metà degli anni ’90 il quadro
economico della Sicilia è ancora quello di
una regione semisviluppata, con grandi
potenzialità agricole, turistiche e
industriali solo in parte valorizzate. Lo
spazio siciliano è caratterizzato da un
netto dualismo tra aree costiere e zone
interne, di conseguenza lo spazio economico
siciliano si presenta come un mosaico, con
forti differenziazioni interne, e non si è
ancora pienamente innescato un processo
integrato e autopropulsivo di crescita
economica.
L’obiettivo da porsi dovrebbe comportare “la
costituzione di reti di cooperazione fra
città, con possibilità di finanziamento di
procedure di tutoraggio fra città,
nell’organizzazione di servizi tecnici
avanzati”9.
1
Nell’ambito delle recenti politiche di
programmazione nazionale, un’esperienza che
ingloba proprio questa concezione dello
Stato nei confronti delle dinamiche locali
sono i patti territoriali.
2
Vinci I. (2002), Politica urbana e
dinamica dei sistemi territoriali,
FrancoAngeli, Milano.
3
L’introduzione nei processi di
pianificazione di temi quali il recupero
della città esistente, la sostenibilità
ambientale dello sviluppo urbano, la
partecipazione alle scelte di piano sia
in termini di mobilitazione sociale che di
coalizione delle forze locali, ha
parzialmente cambiato la natura della
pianificazione strategica. Cambia, inoltre,
come ha evidenziato una recente ricerca
comparativa sulle politiche di
pianificazione strategica condotte in
diversi contesti europei (Healey, 1997), il
principale riferimento esterno cui aprire le
strategie, che non è più il mercato
internazionale, ma che diventa lo spazio
comunitario che si manifesta nelle sue
dinamiche urbane e regionali.
4
Indovina F. (1999), La città prossima
futura: un nuovo protagonismo istituzionale,
in Dematteis G., Indovina F., Magnaghi A.,
Piroddi E., Scandurra E., Secchi B., “I
futuri della città”, FrancoAngeli editore,
Milano.
5
Cappellin R. (1989), Networks nelle città
e networks tra città, in Curti F. e
Diappi L. (a cura di), “Gerarchie e reti di
città: tendenze e politiche”, FrancoAngeli,
Milano.
6
Testi e letture di riferimento:
Cappellin R. (2000), Il ruolo del
territorio nella politica regionale europea,
Europa e Mezzogiorno, Rivista del Formez
n. 40, pp. 15-34.
Camagni R. (1995), Il principio di
gerarchia, in “Economia urbana”, cap. 4,
La Nuova Italia Scientifica, Roma.
Cappellin R. (1986), Cambiamenti
tecnologici e politiche per la riconversione
delle aree urbane, Economia Pubblica n.
3.
Cappellin R. (1989), Networks nelle città
e networks tra città, in Curti F. e
Diappi L. (a cura di), “Gerarchie e reti di
città: tendenze e politiche”, FrancoAngeli,
Milano.
Cappellin R. (1989), The diffusion of
producer services in the urban system,
Revue d’Economie Regionale et Urbaine, n. 4.
Tradotto in italiano in: Cappellin R.
(1991), La diffusione dei servizi alle
imprese in un sistema metropolitano, in
Bertuglia C. e La Bella A. (a cura di), “I
sistemi urbani”, FrancoAngeli, Milano.
7
La prima formulazione dello schema di
sviluppo dello spazio europeo, approvata
nel giugno del 1999 a Noordwijk nella
riunione dei ministri europei dell’assetto
del territorio, sottolinea che le
prestazioni economiche delle città di
livello regionale dipenderanno molto dalla
loro posizione geografica:
- le città regionali nel cuore
dell’Europa presenteranno un potenziale
di crescita favorevole, soprattutto nel
settore dei servizi;
- le città regionali situate al di fuori
del cuore dell’Europa saranno dipendenti
dalla loro posizione geografica, dal loro
inserimento in un corridoio di sviluppo o in
una zona d’influenza particolarmente
attraente da cui trarre vantaggi;
- le città medie delle regioni
prevalentemente rurali per le quali
molto dipenderà dalla posizione geografica e
dai vantaggi derivanti da un ambiente rurale
di elevata qualità.
8
Fonti: Centro Studi Confindustria,
Censis-Rur, Istat, Annuario immobiliare,
Lega Ambiente, Il Sole24Ore.
9
Dematteis G. e Bonavero P. (1997) (a cura
di), Il sistema urbano italiano nello
spazio unificato europeo, il Mulino
editore, Bologna. |