Lo sviluppo dei sistemi di terza generazione
rappresenta una svolta di estrema importanza
nella storia delle comunicazioni mobili. Gli
utenti attendono con curiosità la serie di
servizi wireless per mezzo di
connessioni always-on. Anche i
costruttori di apparati e di infrastrutture
hanno davanti un grosso incentivo
all’innovazione, mentre, dall’altra parte,
gli operatori di rete hanno il loro bel da
fare, dopo essersi conquistati le licenze,
nel potenziare le infrastrutture di rete per
garantire la copertura ai capoluoghi di
regione entro il 30 giugno del 2004 e dei
capoluoghi di provincia entro il 31 dicembre
del 2006, così come stabilito in fase di
assegnazione delle stesse licenze.
Il lancio del sistema di telefonia mobile di
terza generazione Umts (universal mobile
telecommunications system), della
televisione digitale terrestre e delle reti
Wi-Fi, unitamente alle esigenze più volte
rappresentate dalle società concessionarie
per disciplinare la materia dei servizi di
telecomunicazione e telefonia mobile in
maniera più organica, hanno fatto sì che il
Governo inserisse tra gli interventi
strategici di preminente interesse
nazionale, di cui all’art. 1 comma 1 della
legge 21 dicembre 2001, n. 443, oggetto di
semplificazione, anche gli interventi nel
comparto delle telecomunicazioni e, in
particolare, nei settori delle reti a banda
larga, delle reti per terminali (Umts, Gsm,
Gprs), nonché delle reti per televisione
digitale terrestre.
Il
DLgs 4 settembre 2002, n. 198,
“Disposizioni volte ad accelerare la
realizzazione delle infrastrutture di
telecomunicazioni strategiche per la
modernizzazione e lo sviluppo del paese, a
norma dell’art. 1, comma 2, della legge 21
dicembre 2001, n. 443”, noto come Decreto
Gasparri, si inserisce nelle azioni
legislative previste dalla legge delega al
fine di conseguire il riequilibrio
socio-economico fra le aree del territorio
nazionale (legge 443/2001, art. 1, comma 1).
La legge 443/2001, come prima menzionato,
prevede che attraverso uno o più decreti
legislativi, emanati nel rispetto delle
attribuzioni costituzionali delle regioni,
il Governo contribuisca alla definizione di
un quadro normativo finalizzato alla celere
realizzazione delle infrastrutture e degli
insediamenti produttivi strategici e di
preminente interesse nazionale da realizzare
per la modernizzazione e lo sviluppo del
paese.
L’entrata in vigore del DLgs 198/2002 segna
il radicale cambiamento della fisionomia del
quadro normativo disciplinante la
realizzazione delle reti di
telecomunicazioni nel nostro paese. D’altro
canto, esso, pur non inserendosi
direttamente tra i provvedimenti
legislativi, nazionali, regionali o
regolamentari, in materia di tutela
dall’esposizione ai campi elettromagnetici
prodotti da sistemi di telecomunicazione e
radiotelevisivi, e conseguentemente risulti
essere un atto completamente distinto dal
decreto, di competenza dei Ministeri
dell’ambiente e della salute, che determina
i limiti alle emissioni elettromagnetiche,
contiene numerose indicazioni in ordine al
riparto delle competenze e alla natura e
all’estensione dei poteri attribuiti ai
soggetti pubblici coinvolti nella gestione
del fenomeno degli impatti ambientali dei
campi elettromagnetici.
Poiché nel nostro paese la materia
dell’inquinamento elettromagnetico è
disciplinata dalla
legge 22 febbraio 2001,
n. 36, recante “Legge quadro sulla
protezione dalle esposizioni a campi
elettrici, magnetici ed elettromagnetici”,
prima legge nel panorama giuridico mondiale
sulla protezione della salute e
dell’ambiente dalle esposizioni residenziale
e lavorativa ai campi elettromagnetici
avente ad oggetto tutte le frequenze
possibili, occorre analizzare attentamente i
contrasti e le interferenze con le
previsioni di detta legge.
Ad ogni buon conto, va subito premesso che
la legge 36/2001 si fonda sul principio
di precauzione sancito a livello europeo
(art. 174 del Trattato Ce). In base ad esso,
anche in assenza di risultati scientifici
certi in merito a determinate situazioni di
rischio, si stabilisce l’adozione di misure
di cautela al fine di garantire la
protezione di beni fondamentali, come la
salute o l’ambiente. Tale principio
legittima l’imposizione di determinate
cautele in un momento anteriore a quello nel
quale, in una logica di tipo preventivo,
debbono essere disposti gli interventi
preordinati alla difesa dal pericolo. Ne
consegue che con l’affermazione in sede
comunitaria del principio di precauzione e
del suo corollario, il principio as low
as reasonable achievable (Alara), una
volta effettuata la scelta tecnologica,
l’esposizione agli effetti potenzialmente
nocivi della stessa deve rimanere al livello
più basso ragionevolmente ottenibile.
Con la legge 36/2001 il legislatore adempie,
pertanto, all’obbligo di fornire un quadro
disciplinare per assicurare, senza
pregiudizio alcuno per la realizzabilità e
l’efficienza dei servizi di
telecomunicazione, che l’esposizione ai
campi elettromagnetici si attesti sui
livelli di campo più bassi realizzabili, con
riferimento ad aspetti tecnici ed economici.
Ulteriormente, il legislatore fornisce
indicazioni chiare in merito al riparto di
competenze tra comuni, province, regioni e
Stato, attribuendo rilevanti funzioni agli
enti locali da esercitare nella cornice
delineata dalla normativa nazionale. In
particolare, allo Stato compete la
determinazione dei limiti di esposizione ai
campi elettromagnetici, alle regioni e agli
enti locali competono la definizione degli
strumenti e delle azioni per il
raggiungimento degli obiettivi di qualità
consistenti in criteri localizzativi,
standard urbanistici, prescrizioni ed
incentivazioni.
Dopo tale premessa, utile per la
comprensione della disciplina legislativa
previgente il decreto Gasparri, nel seguito
del presente articolo più che soffermarsi su
aspetti di legittimità costituzionale del
decreto, in questo periodo in fase di
analisi e valutazione da parte della Corte
costituzionale, si porrà l’accento sulle
conseguenze sostanziali delle disposizioni
del decreto in termini di governo del
territorio e dell’ambiente, svolgendo alcune
considerazioni sulle motivazioni
politico-sociali del dispositivo di legge,
sulla sua compatibilità con la legge
36/2001, e sul rapporto fra progresso
tecnologico del paese e ruolo delle regioni
e degli enti locali in materia di
prevenzione, controllo e pianificazione del
territorio.
Separando, per quanto possibile, gli aspetti
urbanistici da quelli di tutela della salute
e dell’ambiente, di seguito si illustrano e
commentano i principali articoli, cercando
di porre in luce le novità, le
contraddizioni o le imprecisioni contenute
nel testo del decreto.
Gli obiettivi del decreto legislativo
Il DLgs 198/2002 detta principi definiti
fondamentali in materia di istallazione e
modifica delle categorie di infrastrutture
strategiche per le telecomunicazioni di cui
all’art. 1, comma 1, legge 443/2001. La
liberalizzazione e il potenziamento del
settore delle telecomunicazioni, così come
la razionalizzazione delle procedure per
l’installazione delle relative opere
infrastrutturali sono tra gli obiettivi
prioritari del decreto che spinge fortemente
verso la semplificazione delle procedure per
l’installazione di tutte le infrastrutture
legate alle telecomunicazioni, e tende a
garantire, in modo uniforme sul territorio
nazionale, l’osservanza dei limiti di
esposizione all’elettromagnetismo, dei
valori di attenzione e degli obiettivi di
qualità già previsti dalla legge 36/2001 e
dai relativi provvedimenti di attuazione
concernenti la fissazione dei limiti di
esposizione, i valori di attenzione, gli
obiettivi di qualità per la protezione della
popolazione dall’esposizione ai campi
elettrici, magnetici ed elettromagnetici.
Gli obiettivi dettati, informati a principi
tipicamente liberisti, sono in larga
parte condivisibili. D’altronde,
l’enunciazione di principi e obiettivi, sui
quali è difficile esprimere dissenso, rimane
un mero esercizio se proposta all’interno di
un quadro confuso e a tratti preoccupante.
Infrastrutture di telecomunicazione: opere
strategiche di interesse nazionale
Con il decreto Gasparri le
infrastrutture di telecomunicazione mobile
sono annoverate tra le opere di
urbanizzazione primaria e, benché rientranti
solo tra i servizi di interesse economico
generale ai sensi dell’art. 90 del Trattato
Ce e rimangano di proprietà dei rispettivi
operatori, sono assimilate alla telefonia
fissa cui attribuire la natura di pubblica
utilità e per le quali è possibile
giustificare limitazioni legali (art. 3,
commi 1 e 3). Le infrastrutture di
telecomunicazioni, considerate strategiche,
sono opere di interesse nazionale,
realizzabili esclusivamente sulla base delle
procedure definite dal decreto in questione,
anche in deroga alle disposizioni stabilite
dalla legge quadro 36/2001. Inoltre, esse,
fatta eccezione per le torri ed i tralicci
relativi alle reti di televisione digitale
terrestre, sono compatibili con qualsiasi
destinazione urbanistica e sono realizzabili
in ogni parte del territorio comunale, anche
in deroga agli strumenti urbanistici e ad
ogni altra disposizione di legge o di
regolamento (art. 3, comma 2).
Ciò che si afferma con l’art. 3 è, in
effetti, una dichiarazione di compatibilità
ex lege dei sistemi, degli impianti e
delle infrastrutture di telecomunicazione
con qualsiasi destinazione urbanistica e di
ammissibilità in ogni parte del territorio
comunale, che, nei fatti, si traduce nella
pressoché totale esclusione delle regioni e
dei comuni dal processo di gestione
dell’insediamento e della modifica delle
infrastrutture.
In particolare, il DLgs 198/2002, prevedendo
speciali procedure ai fini della
realizzazione delle reti in deroga alle
previsioni della legge quadro, esautora le
regioni della responsabilità di definire le
procedure autorizzative (legge 36/2001, art.
8, comma 1, lett. c). Affermando, inoltre,
la compatibilità delle infrastrutture in
questione con qualsiasi destinazione
urbanistica, si sovrappone al potere
pianificatorio dei comuni, sottraendo agli
stessi la competenza, loro attribuita dalla
legge quadro, di adottare regolamenti per
assicurare il corretto insediamento
urbanistico e territoriale degli impianti
(legge 36/2001, art. 8, comma 6).
L’art. 3 del decreto pone in serio pericolo
sia il mantenimento degli equilibri tra i
soggetti pubblici, coinvolti nella gestione
del fenomeno dell’inquinamento
elettromagnetico, sia l’effettiva
realizzazione del principio di precauzione.
Il sistema previgente all’entrata in vigore
del decreto Gasparri contemplava, infatti,
il riparto delle competenze su tre livelli
di gestione (Stato, regioni, enti locali):
- allo Stato competeva la determinazione dei
limiti di esposizione ai campi
elettromagnetici (legge 36/2001, art. 4,
comma 1);
- alle regioni competeva la definizione
degli strumenti e delle azioni per il
raggiungimento degli obiettivi di qualità
consistenti in criteri localizzativi,
standard urbanistici, prescrizioni ed
incentivazioni (legge 36/2001, art. 8, comma
1);
- ai comuni competeva l’adozione di
regolamenti per assicurare il corretto
insediamento urbanistico e territoriale
degli impianti e minimizzare l’esposizione
della popolazione ai campi elettromagnetici
(legge 36/2001, art. 8, comma 6).
Proprio attraverso tale articolazione e
ripartizione dei ruoli e delle competenze,
il legislatore aveva ritenuto di poter
pervenire all’applicazione del principio di
precauzione, affidando all’azione di
regioni, province e comuni il potere di
incidere sulle scelte tecnologiche e
realizzative dei gestori in funzione della
minimizzazione dei livelli di esposizione ai
campi elettromagnetici.
La legge quadro, nel rispetto di quanto
stabilito all’art. 117 della Costituzione,
nel nuovo testo derivante dal referendum
dell’ottobre 2002, si limita a delineare la
disciplina cornice del settore,
demandando a regioni, province e comuni, nel
rispetto delle reciproche competenze e
attribuzioni, la realizzazione del principio
di precauzione a livello locale in cui
avviene la gestione dell’insediamento delle
infrastrutture.
Se ne deduce che il Decreto Gasparri,
con la sottrazione delle competenze
attribuite in precedenza a regioni e comuni,
rende non più perseguibile il criterio della
minimizzazione dell’esposizione e,
conseguentemente, rende ineffettivo il
principio di precauzione, il quale,
rientrando tra le disposizioni del Trattato
Ce, ha valore costituzionale per tutti gli
Stati membri.
Procedimenti autorizzatori
Con gli artt. 5 e 6 si disciplina il
procedimento autorizzatorio, in base a
principi di speditezza, trasparenza,
pubblicità e concentrazione dell’azione
amministrativa. Si prevede l’obbligo
dell’ufficio competente a ricevere l’istanza
di comunicare immediatamente il nominativo
del responsabile del procedimento. È il
responsabile del procedimento il soggetto
che dovrà richiedere eventuali integrazioni
documentali, entro il termine di quindici
giorni dalla ricezione dell’istanza. Il
rilascio dell’autorizzazione è subordinato
alla presentazione di apposita istanza,
corredata della documentazione atta a
comprovare il rispetto dei limiti di
emissione, dei valori di attenzione e degli
obiettivi di qualità, attraverso l’utilizzo
di modelli predittivi conformi alle
prescrizioni del comitato elettrotecnico
italiano (Cei). Al fine di coordinare
gli interventi dei diversi operatori di
telecomunicazioni, la norma prevede,
altresì, che in sede autorizzatoria i comuni
siano tenuti a dare la precedenza alle
domande presentate congiuntamente da più
operatori. L’istanza è predisposta in modo
tale da poter essere acquisita su supporto
informatico e consentire la formazione di un
catasto nazionale delle sorgenti
elettromagnetiche.
Nel caso di impianti, con tecnologia Umts o
altre, con potenza in antenna inferiore ai
20 Watt, trova applicazione l’istituto della
denuncia di inizio attività (Dia), da
attivare mediante la presentazione all’ente
locale di apposita dichiarazione.
Ad ogni modo l’operatore di
telecomunicazioni, interessato
all’installazione, deve inviare una copia
della propria istanza anche all’Arpa,
affinché la stessa esprima il proprio nulla
osta entro venti giorni dalla sua ricezione.
Tale adempimento consente di evitare anche
le lungaggini della conferenza di servizi,
la quale deve essere convocata, dal
responsabile del procedimento, soltanto se
un’amministrazione interessata abbia
espresso il proprio motivato dissenso.
In quest’ultima ipotesi, è indetta
un’apposita conferenza di servizi, alla
quale prendono parte i rappresentanti delle
amministrazioni interessate e, in specie, un
rappresentante dell’amministrazione
dissenziente, nonché i soggetti preposti ai
controlli. La conferenza di servizi deve
pronunciarsi entro il termine di trenta
giorni dalla prima convocazione. Di tale
convocazione, così come dell’esito della
conferenza, deve essere tempestivamente
informato il Ministero delle comunicazioni,
trattandosi di opere di interesse nazionale.
Con l’art. 6 si stabilisce il termine
massimo di novanta giorni entro il quale
deve essere concluso il procedimento
amministrativo di autorizzazione alla
installazione di tali infrastrutture di
telecomunicazioni, attribuendo all’inerzia
della pubblica amministrazione, protratta
oltre il predetto termine, il significato di
accoglimento dell’istanza presentata
dall’operatore.
Il secondo comma del medesimo articolo
prevede che i lavori di installazione
debbano essere completati entro il termine
perentorio di dodici mesi dal rilascio
dell’autorizzazione, stabilito a pena di
decadenza del titolo abilitativo stesso:
questo per evitare che gli operatori del
settore procedano ad eventuali acquisizioni
preventive dei siti.
Alla luce delle precedenti disposizioni,
perplessità sostanziali nascono anche sotto
il profilo dell’iter autorizzatorio.
Procedendo con ordine nell’esame delle
singole previsioni, occorre sottolineare la
fissazione di diversi percorsi autorizzatori
a seconda che si tratti di installazione di
impianti con tecnologia Umts o altre, con
potenza in singola antenna uguale o
inferiore a 20 Watt, o di qualsiasi altra
tipologia di impianto previsto dall’art. 4,
comma 1. Tale differenziazione del regime
autorizzatorio fra i due tipi di impianti, è
difficilmente giustificabile dal punto di
vista sia giuridico sia tecnico. Volendo
fornire una interpretazione soft può
dirsi che il legislatore ha voluto
indirizzare la scelta tecnologica per la
realizzazione delle reti Umts e per il
potenziamento delle reti esistenti nella
direzione della realizzazione di
microcelle, di piccola potenza a basso
impatto ambientale, filosofia progettuale
largamente adottata in città come Parigi,
Barcellona, Tokyo, Seul ed altre. D’altro
canto, se questa è una possibile
giustificazione tecnica, non può certamente
spiegarsi la motivazione recondita per la
quale per tali impianti non è prevista
apposita modulistica definita ai fini della
sua acquisizione su supporto magnetico,
deducendosene di conseguenza il disinteresse
dello stesso legislatore dalla formazione
del catasto nazionale per queste sorgenti
elettromagnetiche. Si rifletta su un dato: è
prevista l’installazione di circa 55.000
antenne per la realizzazione del sistema
Umts. Ulteriormente, per tale tipologia di
impianti, dalla analisi della modulistica di
cui all’allegato B del decreto emerge
la mancanza della dichiarazione di
assunzione di responsabilità, prevista
invece per l’altra categoria di impianti.
Viene a cadere, quindi, uno dei punti
qualificanti posto più volte in rilievo dal
Ministro delle comunicazioni, nel corso
della fase di pubblicizzazione del decreto,
secondo il quale l’istanza di autorizzazione
e la scheda tecnica allegata, riportante le
caratteristiche elettromagnetiche
dell’impianto, avrebbero dovuto essere
sottoscritte come atto notorio, con la
conseguenza che “... chi dichiara il falso
va in galera”.
Altro aspetto di rilievo è l’introduzione
per la installazione degli impianti del
silenzio assenso e, per gli impianti con
tecnologia Umts o altre, con potenza in
singola antenna uguale o inferiore a 20 W,
della Dia in luogo della richiesta di
concessione edilizia. Tutto ciò desta forti
perplessità soprattutto sotto il profilo
della tutela. L’applicazione sistematica
della forma del silenzio accoglimento,
o peggio della Dia, può seriamente
compromettere l’applicazione effettiva del
principio di precauzione, ponendo i
cittadini davanti al rischio concreto di
vedere realizzati un numero enorme di
impianti di piccola potenza il cui impatto
elettromagnetico complessivo potrebbe essere
anche maggiore di quello di impianti di
grosse dimensioni.
Ciò non potrà essere evitato poiché il ruolo
del comune, per il tramite del responsabile
del procedimento, si limita alla verifica
della completezza della documentazione
prodotta, con eventuale richiesta di
integrazioni. La possibilità di esprimere un
motivato dissenso appare piuttosto
limitata, stante la quasi automaticità del
rilascio delle autorizzazioni. I comuni
potranno opporsi all’installazione delle
antenne unicamente per due motivi:
1. impatto visivo: motivazione
difficile da sostenere, a meno che non si
tratti di tutelare il patrimonio
storico-artistico, visto che la tecnologia
attuale consente di realizzare antenne
miniaturizzate;
2. superamento dei limiti di emissione
dei campi elettromagnetici: anche questa
motivazione è molto debole e difficile da
documentare, dovendo ricorrere a modelli
predittivi estremamente complessi al fine di
valutare l’impatto dei campi
elettromagnetici prodotti da una
molteplicità di antenne poste a distanza
ravvicinata. A tal proposito è interessante
evidenziare come all’estensore del
provvedimento legislativo sia,
probabilmente, sfuggito che è tecnicamente
impossibile autocertificare gli effetti
cumulativi indotti dal campo
elettromagnetico su un ricettore derivanti
dal concorso di una molteplicità di
impianti, insistenti sullo stesso sito, dei
quali il progettista dell’impianto da
asseverare potrebbe non essere a conoscenza.
Ciò comporta il rischio di conseguenze
penali per i progettisti, ove le
dichiarazioni che la domanda deve contenere
si dimostrassero mendaci.
Si potrebbe, infine, ulteriormente
continuare a disquisire circa la opportunità
di inoltrare, contestualmente, copia
dell’istanza o della denuncia di inizio
attività all’Arpa che è tenuta ad esprimere
il proprio parere entro 20 giorni senza,
però, conoscere l’esito della verifica della
regolarità formale della documentazione di
competenza del responsabile del
procedimento, e circa l’opportunità di
rimettere la decisione in merito alla
installazione al Consiglio dei ministri, nel
caso di dissenso espresso da amministrazioni
preposte alla tutela ambientale, alla salute
e alla tutela del patrimonio
storico-artistico, la qual cosa
determinerebbe da un lato una accelerazione
negativa alla realizzazione
dell’infrastruttura, dall’altro
deresponsabilizzerebbe gli organi e gli
apparati amministrativi locali.
Tutela del paesaggio e dei beni culturali
Seppur vero quanto evidenziato in precedenza
circa il nuovo regime autorizzatorio
introdotto dalle disposizioni del decreto
Gasparri, esso contiene spunti di interesse
e di indubbia validità nel settore della
tutela del paesaggio e dei beni culturali.
La procedura autorizzativa estremamente
accelerata e perentoria, prima descritta, se
da un lato può compromettere l’applicazione
effettiva del principio di precauzione,
dall’altro risulta fortemente incentrata sui
comuni che la gestiscono fin dalla fase
iniziale e che hanno potere di veto non più
in quanto detentori di poteri
urbanistico/edilizi, ma in quanto titolari
della subdelega al rilascio delle
autorizzazioni paesaggistiche in zone
vincolate.
Inoltre, il nuovo regime autorizzatorio fa
salvezza completa delle norme di tutela del
paesaggio e dei beni culturali e dei poteri
delle amministrazioni che devono farle
rispettare (comuni e sovrintendenze), nonché
dei poteri dei parchi. Ciò in perfetta
armonia con i numerosi pronunciamenti della
Corte costituzionale e del Consiglio di
Stato.
Altre infrastrutture
Un tertium genus di infrastrutture è
costituito dalle opere edili, dagli scavi e
dall’occupazione di suolo pubblico e dalle
reti dorsali. Questa categoria è assimilata
ad ogni effetto alle opere di urbanizzazione
primaria (art. 3, comma 3), discostandosi
espressamente da quelle tradizionali per il
fatto, non secondario, di restare di
proprietà degli stessi operatori.
Le procedure autorizzatorie di tali
infrastrutture ricalcano lo schema prima
descritto, prevedendo una diversificazione
ove lo scavo e/o l’occupazione di suolo
pubblico riguardi un solo comune o
interferisca con più comuni od enti come nel
caso della realizzazione di reti dorsali di
telecomunicazioni. Il procedimento,
fortemente semplificato, prevede termini
ancor più brevi per richieste di rettifiche
e/o integrazioni - appena 10 giorni - con la
conseguenza che ove il procedimento non si
conclude entro 90 giorni dalla presentazione
della domanda, la stessa si intende accolta
(art. 7, comma 7).
Novità interessante è l’introduzione del
principio di “condivisione e coubicazione”
(art. 8), ossia dell’obbligo di trasmissione
al Ministero delle comunicazioni da parte
degli operatori dell’intenzione di
effettuare scavi all’interno dei centri
abitati; in tal caso, un apposito archivio
telematico agevolerà la condivisione dello
scavo da parte degli operatori, con il
duplice obiettivo di ottenere un minore
impatto ambientale e una ottimizzazione
delle risorse. Tale previsione è certamente
degna di attenta valutazione per i
potenziali benefici derivabili alla
collettività. D’altronde, dubbi possono
emergere dalla circostanza che l’obbligo
sancito per gli operatori si riferisce
unicamente alla comunicazione e non alla
effettiva condivisione e coubicazione, la
quale rimane subordinata ad un accordo fra
gli operatori. Inoltre, una tale proposta
all’interno di un quadro confuso e a tratti
preoccupante, qual è quello che ne deriva
dall’impianto legislativo adottato, potrebbe
eventualmente incoraggiare i gestori a
realizzare tutti un unico scavo, utilizzando
tutti un medesimo sostegno per più impianti,
con notevoli risparmi di installazione per i
gestori ma con conseguenti maggiore
concentrazione e impatto ambientale delle
antenne.
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1. atlas, elaborazione computerizzata
di Nicola Vitolo (2002) |
Limitazioni legali alla proprietà privata
Coerente con la definizione di opere di
urbanizzazione primaria data dal
legislatore alle opere civili, scavi ed
occupazione di suolo pubblico necessarie
all’installazione di infrastrutture di
telecomunicazioni e di reti dorsali ovvero
con la realizzabilità, a prescindere dalla
destinazione urbanistica, di quasi tutti gli
impianti radio-elettrici, con l’art. 11 del
decreto si dispone che “l’operatore di
telecomunicazioni incaricato del servizio
può agire direttamente in giudizio per far
cessare eventuali impedimenti e turbative al
passaggio ed alla installazione di
infrastrutture”. Tale disposizione viene
aggiunta ad un comma dell’art. 232 del Dpr
156/1973, concedendo, di fatto, la
possibilità della espropriazione per
pubblica utilità non più solo per il
passaggio dei cavi per la telefonia fissa,
bensì ora anche per l’installazione delle
antenne per telefonia cellulare.
Ciò appare essere una grave limitazione alla
proprietà privata, in quanto prevede di
fatto l’esproprio di aree private a favore
dei gestori della telefonia, per di più
senza nemmeno aver stabilito un equo
indennizzo.
Disposizioni finali
L’art. 12 disciplina i rapporti giuridici
sorti sotto l’impero della previgente
disciplina legislativa. Stabilisce, tra
l’altro, che i gestori delle reti
radiomobili di comunicazione pubblica devono
provvedere ad inviare ai comuni ed ai
competenti ispettorati territoriali del
Ministero delle comunicazioni la descrizione
di ciascun impianto installato prima
dell’entrata in vigore del decreto
legislativo, affinché possa essere
realizzato un catasto di tali
infrastrutture.
In realtà le disposizioni finali, non
prevedendo il rispetto dei limiti di
esposizione, dei valori di attenzione e
degli obiettivi di qualità di cui alla legge
36/2001, sottendono una vera e propria
sanatoria di autorizzazioni rilasciate in
difformità alla nuova normativa.
In ordine al comma 4 dell’art. 12, con esso
si abroga l’art. 2 bis della legge 189/1997,
che impone di sottoporre ad opportune
procedure di valutazione di impatto
ambientale le infrastrutture che generano
campi elettromagnetici, in accordo alle
esigenze imprescindibili di tutela della
salute dai rischi per la popolazione,
peraltro richiamate tra gli obiettivi
prioritari dello stesso DLgs 198/2002.
Conclusioni
Dal quadro tracciato nelle sezioni
precedenti appare evidente il rischio
concreto sia di un pericoloso arretramento
neocentralista sia di un progressivo
abbassamento della guardia in merito alle
tematiche dello studio e della prevenzione
dei potenziali danni dovuti all’esposizione
ai campi elettromagnetici. Il DLgs 4
settembre 2002, n. 198 - pur non avendo per
espresso oggetto la tutela da inquinamento
elettromagnetico - indirettamente segna un
passo indietro, all’interno di un contesto
già deficitario, sia per quanto riguarda i
dati già raccolti sia per quanto riguarda la
ricerca scientifica.
A rendere ancora più problematica la
situazione attuale contribuisce
ulteriormente lo scontro che si sta
consumando tra comuni, regioni e Stato; uno
scontro che può compromettere le
finalità stesse del decreto, con
ripercussioni gravi sulla salute, l’ambiente
e l’economia.
Occorre, pertanto, che da parte di tutti i
soggetti, pubblici e privati, coinvolti
nella gestione del fenomeno vengano azioni e
proposizioni volte a garantire la celere
realizzazione delle infrastrutture, senza
però sferzare organismi quali comuni,
province e regioni, riaffermando il
principio del rispetto delle competenze
delle regioni e degli enti locali in materia
di disciplina urbanistica e di tutela del
paesaggio, in ottemperanza ai principi di
minimizzazione e di giustificazione.
Spinta decisiva verso un tale nuovo
orientamento potrà venire dal
pronunciamento, atteso entro novembre 2003,
della Corte costituzionale in merito alla
costituzionalità del DLgs 4 settembre 2002,
n. 198.
Bibliografia
Decreto del Presidente del Consiglio dei
ministri 8 luglio 2003, “Fissazione dei
limiti di esposizione, dei valori di
attenzione e degli obiettivi di qualità per
la protezione della popolazione dalle
esposizioni a campi elettrici, magnetici ed
elettromagnetici generati a frequenze
comprese tra 100 kHz e 300 GHz” (Gazzetta
Ufficiale n. 199 del 28.8.2003).
Decreto del Presidente del Consiglio dei
ministri 8 luglio 2003, “Fissazione dei
limiti di esposizione, dei valori di
attenzione e degli obiettivi di qualità per
la protezione della popolazione dalle
esposizioni ai campi elettrici e magnetici
alla frequenza di rete (50 Hz) generati
dagli elettrodotti” (Gazzetta Ufficiale n.
200 del 29.8.2003).
Legge 22 febbraio 2001, n. 36, “Legge quadro
sulla protezione dalle esposizioni a campi
elettrici, magnetici ed elettromagnetici”
(Gazzetta Ufficiale n. 55 del 7.3.2001).
Raccomandazione 1999/519/Ce 12 luglio 1999,
“Raccomandazione del Consiglio relativa alla
limitazione dell’esposizione della
popolazione ai campi elettromagnetici da 0
Hz a 300” (Guce n. 199 del 30.7.1999).
1. atlas, elaborazione computerizzata
di Nicola Vitolo (2002) |