Gli antefatti
La vicenda di cui danno conto queste note
prende inizio dai provvedimenti in materia
ambientale varati nel 1998 per consentire il
concorso pubblico nella realizzazione di
interventi di bonifica e ripristino
ambientale dei siti inquinati anche in
previsione della loro dismissione e per dare
seguito operativo all’assunzione di
responsabilità conseguente alla firma dei
Protocolli di Kyoto.
La legge 426/1998 individua una prima serie
di 14 siti di interesse nazionale1,
poi perimetrati con decreto del Ministero
dell’ambiente2, sentiti i comuni
interessati. Si tratta solo di un primo
elenco, passibile di incrementi man mano che
emergono le diverse situazioni di criticità
ambientale. Ed infatti la legge 23 dicembre
2000, n. 388, ed in particolare l’articolo
114, commi 24 e 25, ha in seguito
individuato tre nuovi siti di interesse
nazionale3.
Dal loro canto le regioni hanno presentato
proposte in merito agli interventi da
inserire nel programma statale ai fini della
classificazione quali ulteriori interventi
di interesse nazionale. Fra queste proposte
con il Dm 468/2001 sono stati identificati
ed inseriti nel programma nazionale 23
ulteriori siti, sulla base di criteri di
rischio sanitario e ambientale, di pregio
ambientale, di rilevanza socio-economica4.
Per tali siti è in corso la procedura di
perimetrazione secondo le medesime procedure
di cui alla legge 426/1998.
Il successivo provvedimento in materia, il
Dm 468/2001, è il primo vero tentativo di
costruire un programma operativo a scala
nazionale per la bonifica ed il ripristino
ambientale dei siti inquinati. Fra l’altro,
l’art. 3 del Dm prevede che gli interventi
di interesse nazionale, per i quali il
programma disciplina e prevede il concorso
pubblico, sono quelli di messa in sicurezza
d’emergenza, di bonifica, di messa in
sicurezza permanente e di ripristino
ambientale.
L’art. 5 descrive i possibili beneficiari
delle sovvenzioni pubbliche per la bonifica:
oltre ai soggetti pubblici, anche i soggetti
privati in grado di esercitare diritti reali
sui beni immobili, con la limitazione, per i
soli immobili con destinazioni residenziali,
che esse siano anteriori all’entrata in
vigore del Dm 471/19995 e
“conformi alla vigente normativa urbanistica
ed edilizia”.
Vengono esclusi i soggetti privati che in
data anteriore all’entrata in vigore del
regolamento di cui al Dm 25 ottobre 1999, n.
471, risultino a qualsiasi titolo
responsabili di violazioni di norme di
tutela ambientale che abbiano cagionato
danno ambientale, ai sensi della legge
349/1986, nonché in alcune fattispecie gli
altri soggetti privati responsabili
dell’inquinamento verificatosi prima
dell’entrata in vigore di detto Dm; vengono
altresì esclusi i soggetti privati che si
siano resi, a qualunque titolo, per atti
inter vivos, acquirenti o cessionari, in
data successiva all’entrata in vigore di
detto Dm, di diritti reali o personali d’uso
relativamente alle aree inquinate; in tutti
i casi con estensione alle persone
giuridiche che si trovino in una delle
condizioni di controllo o di collegamento di
cui all’articolo 2359 del codice civile
rispetto al soggetto responsabile
dell’inquinamento.
Gli sviluppi recenti
Su tale materia interviene la legge
179/2002, provvedimento omnibus in
materia ambientale, che introduce varie
innovazioni.
Anzitutto l’art. 14 aumenta a 50 il numero
dei siti inquinati riconosciuti come di
interesse nazionale (Figura 1 e
Tabella 1)6.
Figura 1 - Siti di interesse
nazionale |
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L’art. 18 istituisce una procedura
alternativa a quella prevista dal Dm
468/2001 e sopra descritta per
l’identificazione dei soggetti ai quali
affidare le attività di bonifica e
riqualificazione delle aree industriali
interessate.
Il Ministero dell’ambiente, avvia una
procedura di evidenza pubblica, nel caso che
il proprietario o gestore delle aree
industriali da bonificare, che abbiano
avviato o assunto impegni nel programma di
attuazione degli interventi di bonifica,
siano inerti ad una circostanziata diffida a
procedere.
Il Ministero individua, sulla base dei
progetti preliminari integrati di bonifica e
sviluppo (dizione sinora mai apparsa)
presentati dai concorrenti, il soggetto al
quale affidare le attività di bonifica e di
riqualificazione delle aree industriali
interessate.
Per essere ammessi alla procedura di
evidenza pubblica, i progetti preliminari
devono contenere, tra le altre, le seguenti
indicazioni:
- garanzia da parte del soggetto affidatario
per l’integrale assunzione dei costi di
esproprio delle aree interessate, di cui ai
commi 3 e 4;
- durata del programma;
- piano economico e finanziario
dell’investimento.
Il Ministro dell’ambiente stipula, con i
Ministri dell’interno - protezione civile,
delle attività produttive e delle
infrastrutture e dei trasporti, con i
presidenti delle giunte regionali, delle
province e con i sindaci dei comuni
territorialmente competenti, uno o più
accordi di programma per l’approvazione del
progetto definitivo di bonifica e di
ripristino ambientale. Gli accordi di
programma comprendono il piano di
caratterizzazione dell’area e l’approvazione
delle eventuali misure di messa in sicurezza
di emergenza, gli interventi di bonifica o
di messa in sicurezza definitiva e
l’approvazione del progetto di
valorizzazione dell’area bonificata, che
include il piano di sviluppo urbanistico
dell’area e il piano economico e
finanziario dell’investimento.
Al fine di garantire al soggetto affidatario
il recupero dei costi di esproprio, bonifica
e riqualificazione delle aree, nonché il
congruo utile di impresa, il soggetto
affidatario può disporre delle aree
bonificate utilizzandole in proprio in
concessione o cedendole a terzi secondo le
direttive fissate dal piano di sviluppo
urbanistico.
È prevista l’acquisizione con esproprio al
patrimonio disponibile dello Stato o degli
enti territoriali competenti delle aree
inquinate da bonificare, i cui costi saranno
integralmente sostenuti dal soggetto
affidatario.
È anche previsto che dall’attuazione del
provvedimento non debbano derivare nuovi o
maggiori oneri per il bilancio dello Stato e
degli enti territoriali competenti.
La procedura è applicabile anche da parte
delle regioni per i siti da bonificare di
loro competenza.
Il commento
Gli aspetti toccati dall’insieme dei
provvedimenti più sopra sunteggiati sono
vari; ci limiteremo nel presente testo ad un
commento relativo a quelli che presentano un
più evidente rilievo
urbanistico-pianificatorio.
Un primo elemento di riflessione è relativo
alla gran varietà delle aree e di contesti
territoriali, molto differenziati, che sono
ricompresi in una disciplina che vuole,
invece, porsi come omogenea. Vengono
associate operazioni prettamente urbane,
perché riguardanti contesti ormai
storicamente interni agli insediamenti, a
operazioni di riqualificazione ambientale,
come ad esempio il risanamento di interi
ambiti fluviali, che si presentano, invece,
come chiaramente proiettate alla scala
dell’area vasta. È auspicabile che una seria
applicazione operativa dell’insieme dei
provvedimenti in esame sappia trovare gli
opportuni raccordi con gli strumenti di
pianificazione più appropriati a programmare
e gestire i relativi interventi,
distinguendo sia in relazione al livello
scalare ed alla proiezione territoriale, che
in relazione alla specificità più o meno
settoriale o specialistica che gli
interventi necessari invocheranno. Appare
cioè necessaria quella capacità di concerto
interistituzionale e di definizione a
geometria variabile degli strumenti di
pianificazione già da tempo invocata dall’Inu
in molti suoi documenti, e ribadita in
occasione del Convegno nazionale di Firenze
del dicembre 2001 sulle pianificazioni
separate.
Sempre in relazione a questo ordine di
ragionamenti, appare sensato che a fronte
della varietà di situazioni e contesti che
verranno affrontati, corrisponda una varietà
di criteri per la definizione delle
perimetrazioni che consenta di includere
negli ambiti di intervento non le sole
aree-problema (alle quali può comunque
essere eventualmente riferito un perimetro
più ristretto), ma anche l’ambito fisico
ambientale e relazionale sul quale sia
l’attuale condizione di inquinamento che i
possibili interventi di trasformazione
proiettano effetti rilevanti e
significativi. Si tratta del classico caso
nel quale un criterio universalistico non
può essere applicato sulla base delle
condizioni di partenza (la gravità del
degrado e dell’inquinamento dei siti), ma
ogni valutazione va riferita alla
sostenibilità ed alla qualità,
necessariamente varia e differenziata, delle
possibili condizioni di arrivo, dando così
spazio all’applicazione di principi di
perequazione territoriale indispensabili per
un programma di scala nazionale.
Un secondo ordine di considerazioni è
relativo al rapporto tra fattibilità degli
interventi e pianificazione territoriale e
urbanistica. Secondo il testo del
provvedimento più recente il progetto di
valorizzazione include il piano di sviluppo
urbanistico dell’area ed il piano economico
e finanziario dell’investimento. Si tratta
per certi versi di una scelta ragionevole,
giacché appare sensato che le elaborazioni
per la trasformazione urbanistica siano
coordinate con quelle relative alla
fattibilità economico-finanziaria degli
interventi; un coordinamento la cui mancanza
sostanziale ha gravemente nuociuto alla
operatività dell’urbanistica italiana del
secondo dopoguerra, e che è rientrato
pienamente nelle pratiche urbanistiche per
lo più grazie alle esperienze di
sperimentazione dei programmi complessi a
livello nazionale.
Va segnalata un’inversione logica, dato che
è previsto che sia il progetto di
valorizzazione a comprendere il piano
urbanistico, mentre normalmente sono i piani
urbanistici a dare indirizzi e prescrizioni
ai progetti. Qui il legislatore sembra
ignorare che, nella definizione degli
interventi di trasformazione del territorio,
è ormai ampiamente invalso l’uso di
arricchire il percorso progettuale di uno
stadio preliminare della progettazione
correntemente definito come studio di
fattibilità, che è oggetto di apposita
normativa di indirizzo emanata dalla
Conferenza dei presidenti delle regioni e
che si presenta come lo strumento principe
per associare accertamenti sostanziali ed
affidabili distinguendoli dagli atti
formali, quali appunto i piani urbanistici,
che, invece, precisano e dettagliano gli
specifici diritti edificatori afferenti ai
singoli proprietari.
Altrettanto problematico appare il fatto che
il piano urbanistico venga approvato in sede
di accordo di programma fra un gran numero
di enti, con prevalenza numerica di quelli
di rango nazionale e con inevitabile
riduzione del ruolo delle autorità comunali.
Indipendentemente da ogni pur rilevantissima
e pertinente riflessione sull’esercizio
della sovranità delle comunità locali e del
loro diritto di prima istanza di
autodeterminazione delle linee di
trasformazione del territorio di
insediamento, non si può misconoscere che le
principali componenti del plusvalore
fondiario, realizzabile con la
trasformazione urbanistica, non siano
proprie del sito di per sé, ma dipendano in
modo determinante dalle condizioni al
contorno e dal contesto, che spesso ha per
lo più sopportato, anche con gravi danni e
sofferenze degli abitanti, la presenza delle
attività inquinanti nei siti.
Mi sembra innegabile come le utilità
principali derivanti da eventuali e pur
necessarie valorizzazioni immobiliari
debbano in prima istanza essere orientate,
oltre che per obiettivi di risanamento
ambientale, al ristoro delle comunità
locali, che per ammissione della stessa
normativa vigente hanno sinora subìto le
conseguenze di episodi di degrado ambientale
di rango nazionale.
Un quarto aspetto degno di considerazione è,
in senso più ampio, il trade-off che
si viene a generare tra economia urbana e
copertura dei costi delle politiche
ambientali nazionali. Non si vuol qui
sostenere delle tesi contro le politiche
nazionali di bonifica dei siti inquinati,
che vanno invece promosse e sostenute. Ma
esse per motivi di equità non possono, a mio
avviso, derogare dal principio generale del
chi inquina paga (su questo aspetto i
provvedimenti arrivano al massimo a dire che
chi inquina non guadagna).
È, inoltre, gravemente negativo che i
plusvalori fondiari producibili all’interno
di operazioni di trasformazione urbanistica
vengano orientati per intero al
finanziamento della bonifica e all’utile
degli operatori. In tal modo si sottrae al
governo delle trasformazioni, che non ha mai
ricevuto in Italia una quota di risorse
paragonabile alla scala ed alla rilevanza
dei problemi che si è trovato a gestire,
anche la possibilità di orientare quei
plusvalori che costituiscono la principale
risorsa rimasta nelle disponibilità delle
amministrazioni locali che, tramite la
manovra urbanistica, conferiscono
credibilità e sostanza alle politiche
pubbliche di trasformazione del territorio.
Si tratta in fondo di un tipico conflitto
nell’uso delle risorse liberabili, fra
obiettivi pubblici di diverso ordine e grado
di rilevanza. Conflitti che, in una corretta
interpretazione del nuovo testo della
seconda parte della Costituzione, non è più
possibile tranciare assegnando comunque la
palma della primazia ad un interesse di
livello statale. Al contrario, a partire dai
nuovi principi di sussidiarietà,
differenziazione ed adeguatezza (art. 118
Cost.) occorrerà, caso per caso, proporre le
opportune domande su quali siano gli
interessi pubblici da tutelare e quale sia
la gerarchia che va fra di essi composta
secondo proporzionalità e misura. Per poter
poi collocare le opportune risposte negli
strumenti di pianificazione e programmazione
che meglio si attagliano ai problemi in
campo, anzitutto in quelli d’area vasta che
appaiono i più adatti al governo delle
problematiche di riqualificazione ambientale
di molti dei siti in questione.
Infine: come farà il Ministero dell’ambiente
ad individuare il miglior progetto
preliminare integrato di bonifica e
sviluppo, quando la parte decisiva di tale
progetto, quella destinata a generare le
condizioni di fattibilità sarà, come è
ovvio, la parte urbanistica e non quella
ambientale? È una domanda alla quale daranno
via via risposta i vari decreti attuativi
che definiranno gli ambiti e avvieranno le
operazioni nelle singole aree.
1
Questi primi siti sono i seguenti: Cengio e
Saliceto; Massa e Carrara; Napoli orientale;
Pieve Vergonte; Balangero; Casal Monferrato;
Manfredonia; Litorale Domitio Flegreo ed
Agro Aversano; Pitelli (La Spezia); Taranto;
Brindisi; Piombino; Gela e Priolo;
Venezia-Porto Marghera.
2
Sulla base dei criteri di cui all’art. 18,
comma 1, lettera n) del DLgs 5 febbraio
1997, n. 22 e successive modificazioni.
3
Sesto San Giovanni, Napoli Bagnoli-Coroglio,
Pioltello e Rodano.
4
Basse di Stura (Torino), Biancavilla,
Bolzano, Cerro al Lambro, Cogoleto (Stoppani),
basso bacino del fiume Chienti, Crotone,
Emarese (Aosta), Fibronit (Bari), Fidenza,
Provincia di Frosinone, laguna di Grado e
Marano, Guglionesi II, Livorno, Mardimago e
Ceregnano (Rovigo), Milano-Bovisa, fiumi
Saline e Alento, comprensorio
Sassuolo-Scandiano, Sulcis
Iglesiente-Guspinese, Terni, Tito, Trento
Nord, Trieste.
5
Regolamento recante criteri, procedure e
modalità per la messa in sicurezza, la
bonifica e il ripristino ambientale dei siti
inquinati, ai sensi dell’art. 17 del DLgs 5
febbraio 1997, n. 22, e successive
modificazioni e integrazioni.
6
I nuovi siti aggiunti sono: Brescia-Caffaro
(aree industriali e relative discariche da
bonificare), Broni, Falconara Marittima,
Serravalle Scrivia laghi di Mantova e polo
chimico, Orbetello area ex Sitoco, aree del
litorale vesuviano, aree industriali di
Porto Torres, area industriale della Val
Basento.
Le informazioni e le immagini riportate sono
tratte dall’Annuario 2002 dei dati
ambientali prodotto dall’Apat. |