La perdita di identità dei luoghi
rappresenta un’importante componente
culturale del rischio ambientale. Le
catastrofi naturali sono in grado di
trasformare i luoghi con tempi di
devastazione inversamente proporzionali a
quelli necessari per la ricostruzione,
stravolgendo valori e identità, modificando
rapidamente movimenti di persone, di cose e
di pensiero. Interventi effettuati tenendo
in minima o in nessuna considerazione la
ricostruzione dell’identità di un luogo
possono provocare nei centri colpiti dai
sismi danni ben più gravi dei terremoti
stessi: città duplicate, tessuti urbani
cancellati, centri ed edifici storici
distrutti o resi irriconoscibili.
Riconoscere il valore del luogo in quanto
componente fondamentale dell’identità di una
città costituisce nel suo processo di
ricostruzione elemento progettuale di
riferimento sia per ciò che concerne i
desideri della collettività sia per ciò che
riguarda la tutela dell’immagine urbana (Bauman,
2003; Carter, Donald, Squires, 1993;
Castells, 1997; Christensen, 1999; Mazzoleni,
Sepe, 2004).
Nonostante ciò, la maggior parte degli studi
e dei manuali prodotti in relazione ai
terremoti e alle ricostruzioni post-sisma
tendono a focalizzare l’attenzione
soprattutto sui dati tecnici del sisma,
spesso non approfondendo gli aspetti
relativi all’identità dei luoghi,
probabilmente per la concreta difficoltà a
riportare risultati oggettivi.
Partendo da tali premesse, scopo di questo
lavoro, elaborato nel contesto di una
ricerca più ampia nell’ambito di una
Convenzione tra il Consiglio Nazionale delle
Ricerche e il Dipartimento di Progettazione
Urbana dell’Università di Napoli Federico II,
è quello di proporre il metodo di analisi
PlaceMaker e i risultati di alcune
sperimentazioni significative effettuate in
due centri storici gravemente danneggiati
dal terremoto, con l’obiettivo di dimostrare
le potenzialità del metodo proposto. Il
territorio così come ci appare oggi offre
una notevole difficoltà di lettura e
rappresentazione attraverso metodologie di
analisi e restituzione cartografica di tipo
tradizionale. Al fine di studiare la
transitorietà e la complessità del
territorio contemporaneo e consentirne una
progettazione consapevole, nuovi approcci
metodologici e strumenti di supporto sono
allo stato in corso di elaborazione e
sperimentazione. Le metodologie di analisi
che possono essere individuate, relative ad
un approccio nei confronti della lettura dei
luoghi virtuale (Mitchell, 1996), laterale
(Boeri, 2003), nomade (Careri, 2002),
multiscala (MVRDV, 2002), configurazionale (Hillier,
2004), complesso-sensibile (Sepe, 2004)
hanno lo scopo di focalizzare l’attenzione
sul percorso che identifica il modo di
leggere e rappresentare oggi l’identità
urbana contemporanea e le sue
trasformazioni. L’individuazione
dell’identità di un sito all’interno di un
territorio consente una lettura complessa di
un luogo e, allo stesso tempo, del suo
significato e valore ai fini della tutela e
salvaguardia, da una parte, e della
progettazione e/o ricostruzione, dall’altra.
Le sperimentazioni del metodo PlaceMaker
illustrate nell’articolo hanno consentito di
comprendere l’attuale complessa identità di
questi luoghi dopo la ricostruzione, quanto
la memoria del terremoto ha influito nella
loro conformazione e riconoscibilità e in
che modo sia possibile contribuire al
processo di ricostruzione di un’identità
sostenibile (Nijkamp, Perrels, 1994).
Il metodo PlaceMaker
La metodologia di analisi PlaceMaker
è costituita da cinque fasi ed una fase
preliminare definita fase 0 (Tabella
1).
La fase 0 consiste nella costruzione
della griglia per l’insieme di operazioni
che si andranno a effettuare di seguito. La
prima operazione è creare delle banche dati
ad hoc per accogliere dati di
differente natura desunti da: l’analisi
preliminare (schizzi, poesie, collage,
ecc.); i rilievi nominale (parole scritte),
grafico (segni e disegni), percettivo
(parole, segni grafici, simboli),
fotografico (immagini fisse), video
(immagini in movimento); l’analisi con
l’utilizzo di planimetrie di tipo
tradizionale (segni grafici); il
questionario ai visitatori del luogo
(parole, immagini, ecc.). Si stabiliscono
altresì le categorie di elementi da
analizzare e i criteri di misurazione e si
decidono, nell’arco di periodo scelto quale
riferimento per lo studio delle
trasformazioni urbane, i giorni e le fasce
orarie più significativi per operare i
sopralluoghi e i relativi rilievi.
La prima fase consiste nell’analisi
delle aspettative. Questa fase dell’analisi,
da attuarsi precedentemente al primo
sopralluogo, ha lo scopo di operare una
prima indagine relativa al luogo; scelta
preliminarmente la città e la parte e/o
parti di essa che si intendono analizzare,
si traccia con lo strumento o mezzo di
espressione che si preferisce l’idea che si
ha di quella determinata area, attraverso le
notizie che si hanno a disposizione
antecedentemente al primo sopralluogo. Tali
notizie possono essere di diverso tipo e il
prodotto di questa fase dovrà essere una
carta-mosaico delle diverse idee del luogo
emerse.
La seconda fase è quella dei cinque
rilievi; il primo rilievo, quello nominale,
consiste nella raccolta dei dati riguardanti
gli elementi costruiti (presenza di
monumenti, edifici, ecc.), gli elementi
naturali (presenza di verde urbano, alberi,
animali, ecc.), i mezzi di trasporto
(presenza o passaggio di macchine, pullman,
ecc.), le persone (presenza di turisti,
residenti, ecc.) segnalandone la
localizzazione, la tipologia e la quantità
espressa in percentuale lieve, media o
notevole. Alla Scheda nominale è affiancata
la Scheda conoscitiva che costituisce un
tipo di banca dati flessibile, la quale
prevede la possibilità di inserimento di
elementi non decisi preventivamente, ma
desunti dall’analisi in loco.
Il secondo rilievo è quello percettivo nel
quale si effettua una rilevazione delle
sensazioni olfattive, acustiche, gustative,
tattili e visive, e della percezione
complessiva, ponendo l’attenzione sulla
localizzazione, la tipologia, la quantità
(dato presente in percentuale lieve, media,
notevole) e la qualità (sensazione percepita
in modo ininfluente, gradevole,
sorprendente, fastidiosa). Per la
rilevazione della quantità e qualità dei
dati, le tre alternative rispetto alla
percentuale di presenza e alla sensazione
provocata hanno lo scopo di sintetizzare la
elaborazione dei dati che in fase di
raccolta può comunque essere attuata in
maniera più estesa.
Si passa quindi a operare il rilievo
grafico che consiste nello schizzo dei
luoghi; gli schizzi rappresenteranno l’area
in oggetto secondo un’ottica
visuale-percettiva e saranno supportati da
eventuali annotazioni scritte. Tale
operazione costituisce un primo studio per
la costruzione dei simboli grafici della
mappa complessa.
Si effettuano ancora il rilievo
fotografico e il rilievo video
dell’intera area-studio, prestando
attenzione a registrare lo stato dei fatti
più che l’interpretazione dei luoghi.
Il prodotto dei cinque rilievi ha come
obiettivo l’elaborazione di una carta di
unione con la visualizzazione dei risultati
ottenuti dai differenti rilievi.
La terza fase è costituita dallo
studio dell’area attraverso l’utilizzo delle
carte tradizionali (rilievo
ortofotogrammetrico, tipologico, ecc.). La
tipologia di cartografie utilizzate dipende
dalla natura del luogo da analizzare e lo
studio viene eseguito alla scala urbana, per
comprendere le relazioni tra gli elementi
presenti al suo interno, e alla scala
territoriale, per comprendere l’area in
rapporto al territorio circostante. Il
prodotto della fase è costituito da un’unica
carta dove sono indicati gli elementi di
relazione esterna e interna al sito in
oggetto.
La quarta fase è quella del
questionario da porre ai visitatori
dell’area con lo scopo di tracciare un’idea
del luogo percepita da chi non è coinvolto
nello studio e non è un professionista del
settore, ma percepisce i siti solo da
utente, a diversi livelli: l’abitante, il
passante, il turista. Il questionario è
costituito di norma, oltre che da una breve
richiesta di dati personali (età, tipologia
di professione, utenza abituale o di
passaggio del sito, ecc.), da domande
riguardanti soprattutto la percezione
globale del luogo, poste sulla base di
immagini storiche e attuali dell’area in
oggetto e/o nel corso di un sopralluogo. Le
informazioni dedotte dal questionario
saranno anch’esse trasferite su una mappa
che, come le precedenti, costituirà la base
per la costruzione della mappa complessa.
Gli intervistati non sono informati prima
dell’inchiesta del motivo specifico per il
quale vengono fatte questo tipo di domande,
viene solo spiegato che si tratta di una
ricerca scientifica mirata allo studio delle
caratteristiche culturali di quel
determinato luogo, per far sì che le
risposte non siano date in modo guidato.
La quinta fase è quella della
rielaborazione delle informazioni
collezionate. In questa fase va fatto un
controllo dei diversi tipi di dati raccolti,
delle carte elaborate, e una scelta degli
elementi utili ai fini della costruzione
della mappa finale. I dati individuati nelle
quattro fasi costituiscono la base per la
costruzione di un unico sistema grafico di
simboli per la rappresentazione degli
elementi identificativi del paesaggio urbano
e l’elaborazione della mappa complessa (Sepe,
2006).
Le sperimentazioni
Il metodo PlaceMaker è stato
concepito nel 2001 ed è stato continuamente
aggiornato nel corso delle sperimentazioni
iniziate nel 2002, che hanno visto quali
casi-studio aree urbane europee e
oltreoceano. I principali utenti ai quali è
rivolto il metodo e le mappe complesse sono:
amministratori, urbanisti e progettisti
urbani, cittadini, utenti dei luoghi.
Per quello che concerne gli amministratori e
i tecnici di settore, la mappa complessa
consente di capire nel processo
pianificatorio quali potenzialità e problemi
possiede un luogo, la sua vocazione, come è
percepito da chi lo usa e lo vive. La mappa
può anche essere utilizzata con scopi
specifici per ridisegnare l’identità e
l’immagine di un luogo rispetto ad una
domanda iniziale (ad esempio l’identità
storica, quella commerciale, ecc.), oppure
per comprendere la compatibilità di
un’attività rispetto alla sua identità o
ancora nel caso in cui si vogliano
recuperare attività esistenti per capire se
un dato intervento è ancora in linea con le
esigenze attuali. La mappa consente di
ottenere sia dati analitici relativi al
luogo sia dati utili ad un intervento
progettuale. A riguardo, i dati contenuti
nella mappa possono essere utilizzati per
costruire indici attivi e parametri di
riferimento per studiare la sostenibilità
dell’identità, le soglie del benessere o
dell’inquinamento o comunque riferimenti
utili in relazione alla sostenibilità del
progetto. Per i cittadini la mappa complessa
è utile per capire più approfonditamente
l’identità della propria città, per
sentirsene parte in maniera più forte, e
quindi per tutelarla, salvaguardarla o farsi
parte attiva per proporre miglioramenti alle
amministrazioni o parteciparne alla
progettazione. Per i turisti può
rappresentare un tipo di mappa che guida ad
una conoscenza della città che non si ferma
alla sola individuazione dei monumenti più
importanti, ma che coglie la complessità
dell’identità di un luogo costituita da
elementi tangibili e intangibili, permanenti
e transitori.
A titolo esemplificativo si riporta di
seguito una sintesi dei risultati delle
sperimentazioni svolte in due aree
interessate da ricostruzione post-sisma e le
due relative mappe. Tali sperimentazioni
hanno riguardato il centro storico di Sant’Angelo
dei Lombardi in Irpinia, Sud Italia svolta
nell’ambito del Progetto dimostratore
Irpinia del Centro regionale di competenza
AMRA, e di Kobe (chiamato Kitano-Cho) in Sud
Giappone.
I centri storici di Sant’Angelo dei Lombardi
e Kobe sono stati distrutti rispettivamente
nel 1980 e nel 1995 da un evento sismico di
magnitudo pari a 6,9 e 7,3 della scala
Richter, provocando milioni di vittime,
danni materiali incalcolabili e forti segni
all’identità dei luoghi e nella memoria
delle persone (Bernard, Zollo, 1989).
Si è inteso con questi esempi sperimentare
il metodo in due contesti volutamente molto
differenti per cultura e tradizione delle
popolazioni, ma paragonabili in merito
all’evento sismico e per quanto attiene al
loro carattere di luogo storico,
all’orografia del sito, alla tipologia di
ricostruzione fondata sul come era-dove
era e ad alcune percezioni descritte in
seguito.
Le mappe complesse di Sant’Angelo dei
Lombardi e Kitano-Cho
La mappa complessa elaborata per il caso
studio di Sant’Angelo dei Lombardi (Figura
1) rende leggibile come il Centro
Storico stabilisca un forte dialogo con il
resto della città, anche se di fatto non
esiste una continuità architettonica.
L’impianto è concentrico, a inviluppo, tutte
le strade si rincontrano e si ricollegano;
il tipico impianto dei paesi-presepe non ha
subito, nella ricostruzione, forti lesioni o
sgranature (Sepe, 2005).
Figura 1 - Sant'Angelo dei Lombardi,
mappa complessa |
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Gli edifici sono prevalentemente in cemento
armato, alti non più di due piani e con
tetto a falda; i portoni e le finestre sono
rifinite in pietra, non si osservano
decorazioni. Le tinteggiature delle facciate
sono di colori pastello. Le pendenze delle
strade sono lievi, il percorso a piedi non è
faticoso. Lo stato di manutenzione o il
periodo di ricostruzione dei fabbricati è
piuttosto recente.
L’arredo urbano è molto curato soprattutto
in Piazza De Sanctis e la pavimentazione
cambia la dimensione delle lastre e dei
cubetti di porfido, il verso dell’orditura e
il materiale per differenziare i percorsi
delle strade.
Piazza De Sanctis e Piazza Umberto I sono i
potenziali luoghi di socializzazione. Piazza
De Sanctis è la piazza principale del paese,
ma attualmente poco vissuta; è divisa in due
parti, le quali entrambe sembrano costituire
una sorta di vuoto nonostante la
fontana potrebbe fungere da catalizzatore.
Piazza Umberto I presenta al centro una
sorta di doppio vuoto molto
suggestivo: un doppio muro basso attrezzato
con sedili e fioriere in pietra dove al
centro si osservano i resti cementificati di
pietre di costruzioni distrutte; dietro il
muro vi è, a quota più bassa, uno spazio
vuoto con un parcheggio per le auto da
dove si ha una percezione visiva del
paesaggio molto forte e ravvicinata (vedi
nella mappa simboli relativi al luogo di
doppio limite).
La Piazza Umberto I conduce in molti luoghi
(vedi nella mappa simbolo relativo al luogo
multiplo), sembra il reale fulcro, uno dei
luoghi simbolici di Sant’Angelo, anche se
non a pieno valorizzato.
Il Castello e la cattedrale sono tra i
monumenti di maggiore rilievo storico; in
particolare, il Castello si vede da quasi
tutti i punti del paese. Non vi sono
trasporti cittadini pubblici urbani, solo
extra urbani. Mancano gli spazi di
aggregazione, vi sono pochissimi ristoranti
e luoghi per giovani, il paese sembra poco
vissuto; non ci sono negozi, tranne uno di
artigianato di presepi presente sulle rampe
di Piazza De Sanctis. Non si osservano
inoltre luoghi per turisti, nonostante
alcune insegne indicano un itinerario
storico.
Dalla lettura della mappa e dei suoi simboli
si può rilevare che gli elementi della
globalizzazione presenti sono pochi,
riscontrabili solo nelle antenne paraboliche
e nel traliccio con i ricevitori; non sono
presenti i tipici luoghi della città
contemporanea quali gli internet cafè, i
multisala o i fast-food.
L’impressione generale è piuttosto positiva,
le percezioni sono per lo più gradevoli, a
volte anche sorprendenti (vedi nella mappa
simboli relativi alle percezioni).
Gli elementi che immediatamente emergono nel
corso del rilievo riguardano: il silenzio
che pervade i luoghi, a tratti interrotto da
alcune voci di persone, dal passaggio delle
macchine, dai lavori provenienti dai
cantieri edili (per il continuo silenzio, si
sente infatti ogni minimo rumore, ogni voce
o passo di persona); il rumore del vento,
molto presente soprattutto nei luoghi
aperti; il passaggio di persone anziane e di
qualche giovane soprattutto vicino ai bar di
Piazza De Sanctis; non si vedono bambini, ma
c’è un giardino per i giochi vicino al
Castello. Le percezioni legate all’olfatto e
al gusto sono poco sollecitate. Il panorama
è un altro elemento molto presente, fa
leggere il rapporto difficile con le forze
della natura.
Le poche persone intervistate non sembrano
voler ricordare il terremoto. Per loro non
vi sono monumenti particolarmente
interessanti, dicono che tutto è tornato
come prima, sono soddisfatti dello stato del
centro storico. Molti monumenti sono stati
cambiati di funzione, il comune, il carcere,
ecc. La memoria del terremoto sembra essere
volutamente accantonata ed è fisicamente
presente solo nel monumento alle vittime del
terremoto in Via Mancini e nei resti vicino
alla statua della Madonna in Piazza Umberto
I (vedi nella mappa simboli relativi a luogo
simbolico e luogo della memoria).
È invece molto più presente di quanto si
possa a prima vista leggere negli enormi e
irrisolti vuoti di Piazza Umberto I,
Via Caracciolo, Corso Vittorio
Emanuele, dove il paese sembra non
prendere scelte e lasciare questi luoghi non
disegnati.
Riguardo al centro storico di Kobe chiamato
Kitano-Cho, dalla mappa complessa (Figura
2) si può osservare che l’area accoglie
numerose case-museo. Queste case
appartenevano a uomini di affari europei che
abitarono a Kitano-Cho intorno alla fine del
XVIII secolo e tutte ricostruite di recente
(vedi nella mappa simboli relativi a luogo
di interesse storico-turistico). Si può
osservare che il centro storico contiene
altresì: vari edifici per residenze di
diversa tipologia e altezza; templi e
santuari di diversi culti religiosi (vedi
nella mappa simboli relativi a luogo di
culto). All’interno delle case-museo delle
varie nazioni (la casa della Germania, la
casa della Francia, la casa dell’Italia,
ecc.) è possibile osservare mobili e
suppellettili del paese che ospitano e
acquistare souvenir. Uno degli elementi
interessanti che si può rilevare dalla mappa
è costituito dal fatto che le residenze e le
case-museo delle diverse nazionalità
convivono insieme ai templi e ai santuari di
differente culto.
Figura 2 - Kitano-Cho, mappa
complessa |
|
|
L’area è molto abitata, non si ha nessuna
sensazione di quartiere vuoto o disabitato:
è possibile osservare nelle zone
residenziali, macchine parcheggiate, panni
stesi sui balconi dei palazzi, ecc. La mappa
mostra che la zona orientale, diversamente
dalla zona occidentale che presenta meno
edifici di interesse e alcuni luoghi vuoti,
ha la maggiore concentrazione di case-museo.
Vi è inoltre la presenza di alcune
costruzioni contemporanee di architettura di
qualità lungo il percorso della montagna e
su Kitano-street, strada ad ampia sezione,
con una bella atmosfera turistica la quale
ospita case museo, negozi di souvenir,
negozi di abiti da sposa.
Kitano-cho Plaza è il fulcro dell’intera
area (vedi simbolo luogo di socializzazione
tradizionale) nonché uno dei luoghi più
fotografati dai turisti: è una piazza di
forma circolare con gradonate dove le
persone a volte si siedono, ma per lo più si
fermano per fotografare l’area. I simboli
della mappa mostrano che nella piazza si
sentono: il rumore dell’acqua della fontana,
la musica jazz proveniente da alcuni
altoparlanti, le voci delle persone. Da
questo punto è possibile vedere vari luoghi
di Kitano-Cho: la Rheinen House, le sculture
che raffigurano i musicisti jazz, il
panorama di grattacieli dell’altra parte
della città.
L’arredo urbano non è di particolare
interesse; la particolarità maggiore è
costituita dai tombini dove sono disegnati
immagini simboliche della città di Kobe,
quali la torre di Kobe, il porto, ecc.
I resti del terremoto sono visibili solo in
un’area verde al di sotto della casa
dell’Olanda dove tra gli alberi è possibile
osservare un’abitazione completamente
devastata dal sisma. Il percorso è in
pendenza; alcuni tratti sono caratterizzati
da una pendenza piuttosto ripida,
identificando le percezioni tattili più
forti. Quasi tutte le strade perpendicolari
a Kitano-cho street sono carrabili,
asfaltate, ad un senso di marcia e fanno
percepire una forte discontinuità visiva del
costruito. Le altre strade e sentieri spesso
non sono in pendenza, sono più stretti, più
verdi, il pavimento non è in asfalto e vi è
una certa continuità visiva. I sentieri tra
la montagna sono molto suggestivi, ricchi di
punti panoramici attrezzati dove sostare e
dotati di alcuni spazi per i giochi dei
bambini. La percezione visiva è
caratterizzata dalla vista in alto della
montagna e da quella in basso dei
grattacieli della parte moderna della città.
La percezione acustica più forte è quella
del silenzio. Il passaggio dei turisti,
tutti giapponesi e quasi sempre muniti dei
tipici ombrellini per ripararsi dal sole, il
rumore della fontana e della musica jazz di
Kitano-Cho plaza, il suono delle cornacchie
e il passaggio delle macchine sono gli unici
suoni che interrompono, pur se non
frequentemente, il silenzio. La percezione
olfattiva più rilevante è quella del tè
verde, che i commercianti locali utilizzano
per preparare soprattutto gelati, e del
burro, che utilizzano in gran quantità per
la cucina dei loro piatti. Alcuni chioschi
che vendono gelati al tè verde, nella parte
iniziale del percorso, offrono in questo
senso una percezione gustativa
caratterizzante il luogo. Il ritmo è sempre
tranquillo tranne su Kitano street dove è
moderato e in alcuni punti sostenuto (vedi
simboli relativi alle percezioni).
Gli elementi tipici della globalizzazione
sono poco presenti, soprattutto se a
confronto con il resto della città: la
presenza di antenne paraboliche negli
edifici per abitazione, i tipici
distributori giapponesi per le bibite e i
vistosi pali per l’elettricità che
attraversano tutto il percorso sono forse
tra gli elementi più visibili. Nella parte
orientale dell’area vi è una stazione di
Scinkanzen, una stazione metro e un punto
teleferica.
L’area è, per la sua particolarità, non è
solo molto visitata dai turisti giapponesi,
ma è anche utilizzata per i matrimoni, tanto
che, come si può leggere dalla mappa, vi
sono vari negozi di abiti da sposa e alcune
case sono utilizzate per celebrare il rito e
organizzare il ricevimento.
Gli intervistati hanno mostrato poco
interesse (o probabilmente anche difficoltà
dovute all’utilizzo della lingua inglese) a
rispondere alle domande tranne i proprietari
delle case-museo. Non è stato riconosciuto
un solo monumento particolarmente
significativo per l’area; tutte le
case-museo sono ritenute elementi in qualche
modo significativi. La ricostruzione ha
tenuto infatti conto soprattutto delle case
museo, perché fonte di guadagno per il
turismo. Il ricordo del terremoto è ancora
presente, ma non si osservano elementi
simbolici della sua memoria d’interesse
nell’area.
Osservazioni sul metodo
Il metodo PlaceMaker proposto ha
mostrato alcuni punti nodali. Le difficoltà
riscontrate nella prima fase hanno
riguardato la scelta del mezzo di
espressione più idoneo alla rappresentazione
delle aspettative e in particolare di
un’area che ha subito forti danni provocati
da eventi sismici: in questa fase si è
portati a pensare che il tipo di
osservazioni compiute sono vaghe e senza
molto senso. È interessante notare alla fine
del processo di analisi come tali
annotazioni possano tornare utili al fine
della comprensione del luogo.
Nella seconda e quarta fase dell’analisi,
l’attenzione deve essere sempre rivolta al
raccogliere i dati dedotti dallo specifico
strumento utilizzato per ciascun rilievo e
non da deduzioni logiche o da conoscenza
pregressa del luogo. Si è rilevato che i
diversi tipi di rilievo e le interviste ai
visitatori devono essere operati in tempi
preferibilmente paralleli in modo da poter
ottenere risultati sovrapponibili e
confrontabili.
Le parti del rilievo che hanno comportato
maggiori tempi di esecuzione sono state
quelle relative al rilievo di olfatto e
tatto. In questi casi si è operato per
comparazione e deduzione, descrivendo e
misurando questi elementi della percezione
in parte per approssimazione in parte in
rapporto ad altri sensi quali la vista e
l’udito. Il senso del gusto non ha offerto
particolari sollecitazioni. Si ritiene che
l’aleatorietà dei risultati ottenuti non
infici enormemente sull’analisi, perché la
percezione finale del luogo viene comunque
data da una sommatoria di percezioni e non
da una singola, a meno che non vi sia una
componente talmente più rilevante da
sopraffare le altre e, a questo punto, data
l’eccezionalità, diventa anche più semplice
rilevarla e misurarla. In queste fasi, come
del resto in quelle successive, si è cercato
di operare una lettura dei luoghi attuale,
pur in considerazione delle problematiche
legate ai danni del terremoto, per
riconoscere l’identità contemporanea dei
luoghi e gli elementi del paesaggio urbano
in grado di provocare trasformazioni anche
culturali. La terza fase ha comportato
qualche difficoltà per la scelta degli
elementi da annotare. È stato scelto di
effettuarla dopo la fase dei rilievi in modo
da non essere influenzati dalla conoscenza
della planimetria; ma allo stesso modo si è
dovuto porre attenzione a leggere la
cartografia tradizionale in maniera
oggettiva, senza lasciarsi influenzare dalla
lettura del luogo operata attraverso i
sopralluoghi. Per quello che concerne le
interviste poste agli utenti del luogo
relative alla quarta fase, la tipologia e il
numero di intervistati deve essere testata e
catalogata con maggiore e più accurata
sistematicità al fine di ottenere risultati
più completi. Il questionario potrebbe
inoltre essere rimodulato sulle deduzioni
delle risposte ottenute. Per quanto riguarda
il prodotto finale, la mappa, la difficoltà
di questa parte dell’analisi consiste
nell’utilizzo sintetico e ragionato dei
diversi tipi di dati a disposizione e delle
carte e nella loro trasformazione in simboli
grafici univoci. Per controllare la
congruenza dei dati raccolti si devono
operare continue sovrapposizioni relative ai
dati di stessa natura raccolti dall’analisi
delle aspettative, dall’analisi sulle
cartografie tradizionali e dai sopralluoghi,
e dai dati raccolti dai diversi strumenti
utilizzati. Si è riscontrato che le zone
dove si incontrano maggiori incongruenze tra
le informazioni indicano le parti urbane
dove sono accaduti fatti nuovi o criticità e
rappresentano i luoghi di maggiore interesse
da analizzare.
Conclusioni
Scopo di questo lavoro è stato proporre e
illustrare il metodo di analisi dei luoghi
PlaceMaker. Le sperimentazioni svolte
in aree Europee e oltreoceano hanno
consentito di testare il metodo sia riguardo
alle diverse fasi delle quali è composto sia
in merito alle sue diverse possibilità di
utilizzo in contesti differenti. L’articolo
ha illustrato a riguardo una sintesi delle
sperimentazioni svolte nei centri storici di
Sant’Angelo dei Lombardi, in Irpinia, Sud
Italia e di Kobe (chiamato Kitano-Cho) in
Sud Giappone, le quali costituiscono esempi
di zone fortemente distrutte da eventi
catastrofici quali il terremoto e dove, in
particolare nel caso dell’Irpinia, i danni
dovuti alla ricostruzione sono stati
maggiori di quelli dovuti al terremoto e la
popolazione trova ancora oggi difficoltà a
identificarsi nei nuovi paesi. PlaceMaker
ha raccolto, elaborato e ricostruito i dati
derivanti dai rilievi nominale, percettivo,
grafico, fotografico, video e confronta tali
dati con quelli raccolti da un’analisi delle
aspettative, un’analisi elaborata con
l’utilizzo di cartografia tradizionale, da
un questionario posto agli abitanti del
luogo.
Il metodo, rilevando dati di diversa
tipologia (oggettivi e percettivi,
permanenti e transitori) e utilizzando
strumenti e sistemi di differente natura, ha
consentito a riguardo di comprendere
l’attuale complessa identità di questi
luoghi dopo la ricostruzione e quanto la
memoria del terremoto ha influito nella loro
conformazione e riconoscibilità.
I punti nodali che si sono riscontrati nel
corso delle sperimentazioni riguardano: la
costruzione di una banca dati il più
possibile flessibile e adatta a raccogliere
dati di tipo differente, in particolar modo
quelli multimediali; la scelta dei nomi
delle categorie di elementi sulle quali
indirizzare l’osservazione; i parametri con
i quali rapportare tra loro gli elementi
individuati; l’attenzione a raccogliere i
dati dedotti da ciascuno degli strumenti
utilizzati per il rilievo e non da deduzioni
logiche derivate dall’utilizzo di quel
particolare strumento, la costruzione dei
simboli; l’individuazione dell’identità dei
luoghi cercando di prescindere dalle
questioni relative al terremoto.
I principali utenti ai quali è rivolto il
metodo e le mappe complesse sono:
amministratori, urbanisti e progettisti
urbani, cittadini, utenti dei luoghi. Dalle
sperimentazioni è possibile trarre
informazioni utili al processo di
ricostruzione di un’identità sostenibile.
Nel caso di Sant’Angelo dei Lombardi, la
ricostruzione del centro storico ha tenuto
conto dell’identità dei luoghi non
stravolgendola. A tutt’oggi però il Centro
di Sant’Angelo dei Lombardi non ha ancora
ripreso la sua piena funzionalità e in
alcuni punti il rumore del silenzio pervade
talmente l’area da non dare il posto alle
altre percezioni. Pochi i servizi e le
attività che si svolgono al suo interno,
poche le persone che lo abitano. Il ricordo
del terremoto non ha ancora abbandonato
questi luoghi, che appaiono come fermati nel
tempo, pur se ricostruiti. La restante parte
della ricostruzione dovrebbe tenere conto
dei risultati di questa analisi per la
progettazione di interventi che valorizzano
maggiormente i beni culturali esistenti e
coinvolgano maggiormente la popolazione.
Nel caso-studio di Kitano-Cho si è osservato
un contrasto tra l’area orientale, con la
maggiore concentrazione di case-museo, e
quella occidentale dove ci sono aree ancora
incolte e alcuni edifici sono ancora in
corso di costruzione. Anche se l’area è a
uso misto turisti-residenti, l’area sembra
probabilmente costruita solo per i turisti
ed essersi in qualche modo cristallizzata,
offrendo in alcuni tratti un’atmosfera
finta. La ricostruzione post-terremoto ha
mirato in particolare solo al ridefinire
allo stesso modo le case-museo, principale
fonte di guadagno per la gente del luogo.
Nel completare la ricostruzione i risultati
di quest’analisi dovrebbero in particolare
far riflettere sul come integrare il
patrimonio culturale nell’area e utilizzare
le parti restanti per rendere i luoghi più
accoglienti anche per la popolazione
residente.
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