Definizione di aree di costa: da
immagine lineare a immagine
radiale
Talvolta alcuni approcci al tema delle aree
di costa conducono a interpretazioni
teoriche generiche o a rigide
schematizzazioni operative che tendono a
classificarle come sistemi territoriali a
sviluppo prevalentemente lineare e parallelo
alla linea di costa2.
Rappresentazioni che non soddisfano
pienamente dal punto di vista dell’analisi
territoriale, soprattutto alla luce degli
importanti cambiamenti culturali avviati a
partire dal 2000, grazie alla convenzione
europea del paesaggio (Cep).
La complessità che caratterizza
l’interpretazione del significato stesso di
costa è sottolineata dalla mancanza di un
organico quadro normativo per il loro
governo e, soprattutto, dalla mancata
integrazione tra le competenze e i diversi
livelli di gestione che afferiscono a queste
aree3.
Uno dei più importanti tentativi di
armonizzazione delle diverse politiche che
esercitano un influsso sulle regioni
costiere è rappresentato dalla gestione
integrata delle zone costiere (Gizc)
promossa dall’Unione europea, la quale
assume tra i diversi obiettivi quello di
garantire la tutela degli ecosistemi e il
benessere economico e sociale al tempo
stesso ponendosi, non come ulteriore
esperienza isolata, ma come processo aperto
finalizzato a evolvere e durare nel tempo
(Commissione europea, 2001).
Condividendone i principi, il governo di
queste aree non deve rivolgersi alla
semplice integrazione spaziale degli
interventi e delle politiche programmate su
di esse ma assolvere a tre principali
funzioni strettamente interconnesse: lo
sviluppo, la tutela e l’integrazione.
Una corretta pianificazione integrata di
questi territori richiede approcci che
aprano a nuove interpretazioni del concetto
di aree di costa, ad esempio, sulla base del
modello proposto da Virginio Bettini (Bettini
V. e coll., in D’Erma M., Di Gioia V., 1986)
che prevede l’introduzione del significato
moderno di costa definito da un sistema
territoriale più ampio fino a comprendere le
risorse territoriali dell’interno e che
permetta di frenare la zonizzazione
consumistica lungo le coste4.
È questa la visione delineata anche dalla
Cep che invita a mettere in campo azioni che
considerino il territorio, e il paesaggio
come concetto più ampio, secondo una visione
che estende la valenza di bene comune
a tutto il territorio, compreso quello più
interno e non solo a quelli che, per il loro
valore posizionale, sono economicamente più
appetibili e, come tali, suscettibili di
maggiori trasformazioni.
L’originalità della Cep risiede proprio
nella sua applicazione tanto ai paesaggi
eccezionali quanto a quelli ordinari,
poiché, si dice, sono tutti determinanti per
la qualità dell’ambiente di vita delle
popolazioni.
Interpretazioni di questo tipo superano le
tradizionali rappresentazioni di tipo
lineare delle aree di costa e rimandano,
piuttosto, a immagini di tipo radiale5
nelle quali convergono relazioni di scale e
natura diverse. L’obiettivo è il superamento
delle logiche di gerarchizzazione del
territorio derivanti da sterili attribuzioni
di vincoli solo ai paesaggi di riconosciuta
valenza paesaggistica e che, spesso, hanno
generato aree cuscinetto lungo le
coste e nell’immediato entroterra, sulle
quali sono state scaraventate le funzioni
più disparate non localizzabili all’interno
delle aree vincolate. Nella fattispecie
delle aree costiere, tale strategia
permetterebbe ai comuni costieri di non
guardare i territori alle proprie spalle
come nuovi spazi da colonizzare dopo
la saturazione e l’esaurimento fisico dei
litorali.
Il ruolo delle aree di costa:
uso-rispetto, uso-consumo,
uso-tutela
Il grado di artificializzazione, soprattutto
a fini turistici, subita dalle aree di costa
nel corso degli ultimi due secoli, e con
accenti sempre più forti negli ultimi
decenni, è stato recentemente confermato
dall’ultimo Rapporto sullo stato di salute
delle coste del Mediterraneo e da altri
autorevoli studi condotti in territorio
nazionale6.
Le ragioni di questo assalto sono
riconducibili a numerosi fattori
storico-culturali, sociali ed economici, che
hanno determinato l’occupazione progressiva
delle aree di costa, comprese quelle
demaniali, attraverso il rilascio della
concessione prevista dal codice navale
del 19427.
Da un punto di vista storico, l’evoluzione
del fenomeno è schematizzabile attraverso
alcune concettualizzazioni che vedono questi
spazi delle aree di costa
caratterizzati dall’uso-rispetto
nella prima fase storica, dall’uso-consumo
nella seconda e dall’uso-tutela nella
fase storica più recente.
La prima fase storica è, infatti,
caratterizzata dall’equilibrato rapporto tra
uomo e ambiente che ha portato all’utilizzo
delle risorse ambientali secondo logiche che
ne hanno rispettato i tempi di
rigenerazione. I tempi e i modi delle
trasformazioni dipendono dalle
caratteristiche strutturali e morfologiche
delle coste: il paesaggio è trasformato
secondo modelli di utilizzazione molto vari
e diversificati, producendo piccoli centri
nelle coste più alte e rocciose,
utilizzazioni agricole specializzate nelle
pianure costiere, sfruttamento sostenibile
delle aree umide a fini produttivi secondo
un modello nel quale l’uso corrisponde alla
produzione di valori aggiunti al paesaggio.
In questa fase anche le trasformazioni
legate alle dinamiche naturali (erosione,
trasporto e deposito) sono in equilibrio
secondo un processo chiuso che fa
corrispondere all’erosione di un tratto di
costa l’incremento di un altro tratto
attraverso azioni di trasporto e deposito
naturali.
Nella seconda fase l’uso dei territori
costieri si concretizza successivamente nel
suo consumo: il mito del progresso si è
tradotto nello sfruttamento di tutte le aree
anche di quelle apparentemente non vocate
per un certo tipo di utilizzazione8.
Il consumo è avvenuto in nome di uno
sviluppo incentrato sostanzialmente su
industria e turismo: l’industria attraverso
la localizzazione di grandi poli, dal nord
al sud secondo il modello a cattedrale,
determinando elementi di forte rottura nel
sistema territoriale costiero e interno per
diverse ragioni (inquinamento,
urbanizzazione delle periferie delle città
costiere, abbandono delle aree più interne,
localizzazione di nuovi centri costieri); e
il turismo secondo un modello più diffuso e
omologante che, alla grande scala e con
l’eccezione di poche realtà locali, ha
costituito un continuum urbano
spalmato sui territori costieri senza
distinzione e diversificazione9.
Tale processo ha contribuito ad accelerare
le dinamiche di trasformazione naturali di
erosione, subsidenza, inquinamento delle
acque e dei suoli, determinando il collasso
di importanti ecosistemi.
La terza fase è rappresentata dall’emergere,
intorno agli anni ’70, di nuove istanze di
matrice ecologica e di una nuova
consapevolezza ambientale che ha portato,
nel 1972, alla Conferenza sull’ambiente di
Stoccolma10.
L’esigenza di tutela nasce per preservare i
pochi residuali ambiti naturali e per
contrastare i già citati fenomeni di
accelerazione delle dinamiche naturali.
Il dibattito attuale è fortemente
indirizzato verso i temi della tutela di
queste aree che assolvono un importantissimo
ruolo a scala locale e globale11.
Anche il turismo, fenomeno che spesso ha
distrutto più di quanto abbia costruito,
assume oggi un importante ruolo nel processo
di valorizzazione integrata di queste aree
ponendosi come punto di possibile
convergenza tra sviluppo e tutela.
La capitalizzazione sostenibile
dell’ambiente a fini turistici impone una
trasposizione dal concetto di uso a
quello di sviluppo, dal concetto di
spazio a quello di territorio
e una più ampia interpretazione del concetto
di tutela come forma di gestione estesa alla
totalità del territorio e non come mero
vincolo da istituire.
Le interpretazioni teoriche e i campi di
intervento della tutela sono molteplici,
diversificati e a volte contrastanti, a
seconda che si tratti di misure tese alla
preservazione della natura in quanto tale e
a prescindere dal beneficio che l’uomo può
trarne12 (Bartolommei S., 1987) o
alla possibilità di un suo utilizzo da parte
dell’uomo con attività che vanno dalla mera
fruizione e utilizzo compatibile fino alla
sua capitalizzazione in chiave sostenibile
finalizzata anche allo sviluppo turistico.
Le diverse forme di tutela possono essere
ricondotte ai concetti di conservazione,
salvaguardia, protezione, valorizzazione e
numerose altre interpretazioni derivano
dalla possibilità di aggettivare il concetto
stesso di ambiente secondo le diverse
estrazioni culturali che lo studiano nella
sua accezione naturale o in una più
complessa come quella proposta dal filone di
ricerca sul progetto ambientale13
per il quale la tutela assume significati di
matrice anche sociale e culturale. È, quest’ultima,
una interpretazione culturalmente più ampia
che presuppone approcci integrati e di tipo
multidisciplinare che permettano la
definizione di forme di governo del
territorio più articolate rispetto ad
approcci di matrice settoriale.
Sviluppo e tutela rappresentano anche le
principali finalità delle politiche alla
base dell’istituzione dei parchi14
passati, nel tempo, da istanze di
conservazione dei caratteri prettamente
ambientali fino alle più moderne concezioni
che racchiudono ordini di valori e obiettivi
molto più complessi fino a ipotizzare la
definizione di reti ecologiche e culturali (Peano
A., 1997), promuovere lo sviluppo locale
basato su processi di valorizzazione e
integrazione dei diversi settori economici,
soprattutto con il settore turistico15.
Anche secondo quanto indicato dalla già
citata Gizc il turismo rappresenta un
importantissimo tramite per la promozione di
nuovi modelli di sviluppo sostenibili per le
aree costiere. Il turismo ha prodotto molti
scompensi sul sistema delle risorse16,
ma se pianificato secondo i criteri della
sostenibilità e dell’integrazione può
rivelarsi fondamentale, non solo per le aree
strettamente costiere quanto piuttosto per
tutto il sistema territoriale del quale la
fascia costiera fa parte.
Figura 1 - Stato dell'urbanizzazione
costiera al 2000 nel Comune di
Buggerru |
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Il concetto di tutela nelle aree di costa
può riferirsi a tre macro-categorie:
1. quella relativa alle aree ormai
compromesse17;
2. quella relativa alla tutela dei pochi
residuali ambiti naturali esistenti e
inseriti in ambiti territoriali fortemente
antropizzati e con problematiche connesse
alla conflittualità degli usi18;
3. quella relativa ad ambiti che mantengono
una condizione di diffusa naturalità ma a
rischio in quanto aree nelle quali, a volte,
mancano forme di tutela adeguate19.
Sviluppo e tutela dovranno porsi alla base
degli strumenti di governo del territorio
come variabili non negoziabili capaci
di ristabilire l’equilibrio tra tempi
economici dello sviluppo e tempi ecologici
dell’ambiente. Ciascuna variabile
comprende diverse sotto-variabili
che, nel caso della tutela, saranno
rappresentate da forme di gestione che vanno
dalla conservazione integrale a quelle di
riqualificazione territoriale e
urbana20 senza escludere
possibili sovrapposizioni o forme di
gestione a rotazione che rispettino i tempi
di rigenerazione dei processi ambientali.
Figura 2 - I nuovi comparti
turistici costieri previsti dal Puc
di Buggerru |
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In questo senso non si escluderanno forme di
utilizzo a fini turistici secondo strategie
che, in alcuni casi, ne permettano la
fruizione in altri, ne regolino o ne
limitino anche l’accesso per alcuni periodi.
La variabile sviluppo è delineata in
stretta relazione alla vocazione del
territorio e, nel caso specifico di un
territorio a vocazione di matrice turistica21,
secondo il principio che permette una forte
correlazione con gli altri settori
economici: agricoltura, artigianato e
attività locali in genere.
Per ciascuna sotto-variabile della
tutela (conservazione, valorizzazione, ecc.)
si individueranno diversi strumenti di
intervento che saranno modulati sulla base
delle sotto-variabili dello sviluppo
in maniera tale da prevedere azioni e
interventi realmente territorializzati22.
Il concetto di tutela andrà esteso alla
complessità del territorio, secondo quanto
prevede la Cep, attraverso individuazione di
diversi obiettivi di qualità diversificati e
orientati a nuove forme di tutela estese
anche ai paesaggi ordinari e a quelli
degradati.
Infine, il concetto di integrazione e di
visione radiale delle aree di costa, più
volte richiamato, trova una sua possibile
applicazione attraverso strategie che li
connettano a sistemi territoriali più ampi
secondo il principio della compensazione,
dell’equilibrio tra uso e costi dell’uso da
risarcire, della complementarietà dei
diversi sistemi territoriali (montano,
collinare, di pianura e costiero)
caratterizzati dalla presenza di risorse
diversificate e complementari.
Figura 3 - Possibile evoluzione
dello stock edilizio |
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Dal punto di vista turistico, le aree
costiere, come quelle montane, sono
caratterizzate da forti processi di
stagionalità che ne determinano tempi di
funzionamento a due velocità. Il
risultato sono utilizzazioni e carichi molto
intensi in alta stagione, periodi di
sottoutilizzo nel resto dell’anno.
Le azioni messe in campo dovranno tendere al
decentramento dei flussi turistici
dalla costa verso l’interno in alta stagione
e alla diversificazione dell’offerta
nei periodi intermedi che riesca a captare
forme di utilizzo turistico di matrice
diversa da quella di tipo prettamente
balneare per le aree di costa o invernale
per quelle montane.
L’approccio integrato evita la realizzazione
di nuovi insediamenti, valorizza il
patrimonio edilizio esistente all’interno
dei centri costieri e nei territori più
interni escludendo nuove localizzazioni e
infrastrutture sulla costa.
Il caso del Comune di Buggerru nella costa
sud-occidentale della Sardegna
Quella del comune di Buggerru23,
è una vicenda che si inserisce in quella più
nota dei precedenti piani territoriali
paesistici (Ptp) sardi e del loro
annullamento sopraggiunto per mancata
corrispondenza con la funzione conservativa
attribuitogli dalla legge24.
Il Comune di Buggerru, come pochi altri
comuni costieri della Sardegna, ha adeguato,
nel 2000, il proprio piano urbanistico
comunale al sovraordinato Ptp del Marganai,
anch’esso annullato. Il piano individuava,
infatti, alcune aree oggetto di
trasformazione (2C) su un complesso
dunale di 350 ettari di proprietà demaniale,
rimboschito su circa 230 e con un fronte
mare di circa 2 km localizzato all’interno
del comune alle spalle della straordinaria
spiaggia di San Nicolò-Portixeddu. Un sito
che, per il suo particolare interesse
ambientale, solo tre anni dopo è stato
inserito nell’elenco dei siti di
interesse comunitario (Sic).
Figura 4 - Un tratto di costa nel
Comune di Buggerru |
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Obiettivo del nuovo piano era la creazione
di un sistema turistico che compensasse la
crisi economica e sociale conseguente alla
dismissione del settore industriale
minerario che a Buggerru, come in tutto il
bacino metallifero, ha prodotto economia su
cui si basava lo sviluppo culturale e
sociale di questi luoghi. Oggi, questo
territorio appare fortemente penalizzato su
molti fronti: quello industriale, quello
agricolo e quello terziario che non sono più
in grado di far fronte alla richiesta di
lavoro conseguente la crisi industriale25.
Il settore turistico sembra quello più
appetibile in termini di investimenti, ma
appare anch’esso piuttosto marginale26.
Anche per tale ragione, e in mancanza di
modelli di riferimento adeguati,
l’amministrazione comunale ha adottato una
strategia di ritorno economico a breve
termine che si è tradotta nella previsione
di interventi edilizi da localizzarsi sulla
costa proprio in corrispondenza dei Sic
precedentemente citati. Un comparto
attuativo sul complesso dunale di Portixeddu
(250.000 mq), un comparto per l’adiacente
area di San Nicolò (42.000 mq) e un comparto
per l’area di Pranu Sartu (10.000 mq).
Quest’ultimo attraverso il recupero delle
volumetrie originarie di un vecchio
villaggio minerario localizzato su uno
straordinario altopiano sul mare integro da
urbanizzazioni.
Questo sarebbe stato un altro esempio di
intervento turistico volutamente pianificato
che avrebbe avuto come esito una colata
di cemento con morfologia a macchia di
leopardo nella fase iniziale, quasi
certamente senza soluzione di continuità
nelle fasi successive27. Ciò
sarebbe avvenuto se le Norme urgenti di
provvisoria salvaguardia per la
pianificazione paesaggistica e la tutela del
territorio regionale, individuate dalla
Lr 8/2004, non fossero intervenute in tempo.
In contesti territoriali marginali che si
affacciano a nuove opportunità di sviluppo
attraverso il turismo, senza strumenti e
riferimenti adeguati, torna utile la
riflessione sui temi dello sviluppo
della tutela e dell’integrazione.
Lungo i suoi 9 km di costa integri, Buggerru
possiede un’importante sistema di risorse ma
altrettanti valori si riscontrano nel
territorio più interno.
La millenaria cultura mineraria, unitamente
alla crisi economico-sociale e agli ingenti
danni ambientali, ha lasciato a Buggerru un
patrimonio culturale, materiale e
immateriale, unico e inserito in uno
straordinario contesto paesaggistico; un
sistema di valori universalmente
riconosciuti che persistono anche oltre la
scomparsa delle cause che li hanno generati
e che hanno fatto sì che il 30 luglio 1998,
l’Unesco abbia riconosciuto il Parco
geominerario storico e ambientale della
Sardegna, del quale Buggerru fa parte, primo
esempio emblematico della nuova rete
mondiale dei Geositi-Geoparchi.
La matrice territoriale incardinata sui temi
dello sviluppo, della tutela e
dell’integrazione, precedentemente
ipotizzata, permette, anche nel caso di
Buggerru, una concreta sperimentazione con
strategie che vanno dalla conservazione
e capitalizzazione sostenibile degli
importanti ecosistemi ambientali (compresa
la grande risorsa sole-mare), alla
valorizzazione dei territori più interni,
fino a interventi di riqualificazione
territoriale e urbana.
La corretta gestione del processo di
conservazione dei 3 Sic del territorio
comunale e degli 8 localizzati nei comuni
limitrofi28, con forme di
fruizione secondo logiche che ne valutino
l’effettiva capacità di carico e ne
rispettino i tempi di rigenerazione,
presuppone una reale possibilità di sviluppo
anche economico. A questo, si sommano le
reali opportunità di attivazione di
importanti strumenti finanziari specifici
per la protezione della biodiversità, così
come previsto dalla Direttiva Uccelli
79/409/Ue e la Direttiva Habitat 92/43/Ue
messe in campo al fine di individuare
strategie comuni per la costruzione della
Rete Natura 2000.
I processi di riqualificazione territoriale
e urbana, nel caso di Buggerru, potrebbero
essere orientate, da un lato, al ripristino
degli ingenti danni ambientali29
e, dall’altro, alla riqualificazione
dell’importante patrimonio edilizio
minerario esistente fino ad arrivare ad
azioni, anche puntuali, di rigenerazione
urbana del centro storico finalizzata al
superamento di forme di utilizzo del
territorio a due velocità tipiche del
turismo di tipo stagionale.
Il concetto di integrazione tra le parti
lascia spazio a proposte progettuali che
escludano volontà edificatorie lungo la
costa e tendano piuttosto alla
valorizzazione delle risorse dell’interno:
degli antichi tracciati viari che dalla
costa spingevano le prime popolazioni fenice
e cartaginesi verso l’interno alla ricerca
dei preziosi minerali del Sulcis-Iglesiente;
il riutilizzo delle importanti polarità
territoriali costituite da insediamenti
storici oggi abbandonati30; la
valorizzazione dell’ampia rete di siti
minerari dismessi e dei numerosi siti
archeologici ancora privi di studi
sistematici secondo modalità di fruizione
diversificate: di tipo archeologico,
didattico, escursionistico sulla base del
già richiamato principio della
complementarietà, dell’equilibrio tra le
parti e di quella visione olistica del
paesaggio promossa dalla Cep.
Figura 5 - L'altopiano di Pranu
Sartu nel Comune di Buggerru |
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Conclusioni
Il tema della tutela del territorio bene
comune in Sardegna sembra, finalmente,
essersi riappropriato del proprio spazio
grazie alle politiche messe in campo
dall’attuale amministrazione regionale la
quale prevede di assegnare, ai temi
dell’ambiente, del turismo e della
pianificazione, un ruolo centrale nello
sviluppo socio-economico sostenibile
dell’isola.
All’interno del processo di predisposizione
del nuovo piano paesaggistico regionale, per
l’area del bacino metallifero, si prevedono
azioni orientate anche alla conservazione
dei litorali sabbiosi dei campi dunari di
Portixeddu e il recupero dei percorsi
storici di derivazione mineraria (Conferenza
copianificazione n. 7, 2006).
Alla base delle pratiche è fondamentale un
radicale ripensamento politico-culturale
capace di guidare i comuni come Buggerru
che, spesso, sono costretti a operare in
assenza di un adeguato quadro di coerenze,
di modelli di riferimento sostenibili e in
condizioni di risorse economiche sempre più
limitate.
Occorrono nuovi paradigmi culturali che, di
fronte a volontà edificatorie insostenibili
e a spinte speculative, valutino fermamente
anche l’opzione zero, a volte, unica
garanzia per la salvaguardia del sistema dei
valori territoriali e per il ritorno
economico anche a lungo termine.
Con ciò non si vuole certo colpevolizzare
l’operato di chi, ai diversi livelli
amministrativi, coscientemente e con molta
fatica, si occupa della complessa (e in
alcuni casi fragile) disciplina della
pianificazione territoriale.
Ma se davvero, come auspica l’attuale
amministrazione regionale, ci fosse una
maggiore e più diffusa responsabilizzazione,
ciascun comune opterebbe per soluzioni di
sicuro più sostenibili senza approfittare di
scelte palesemente irragionevoli derivanti
dagli strumenti urbanistici sovraordinati.
In una tale prospettiva anche il deciso,
quanto urgente, cambiamento culturale
avviato in questi ultimi anni
dall’amministrazione regionale governata da
Renato Soru, agirebbe in condizioni di
maggiore stabilità non potendo essere, essa
stessa, come ogni azione importante,
totalmente esente da possibili errori o
fallimenti.
Note
1
Quanto segue raccoglie i primi esiti di una
ricerca annuale che conduco dal titolo:
“Prospettive di governo del territorio
nell’era della dispersione urbana. Il caso
delle aree di costa”. La ricerca avviata
alcuni mesi fa è stata finanziata grazie ad
un assegno di ricerca istituito presso il
Centro internazionale di studi sui paesaggi
culturali dell’Università di Ferrara
(Facoltà di Architettura). L’analisi del
caso studio proposto trova, invece, spunto
nel lavoro di tesi discussa nell’a.a 2002
presso la Facoltà di Architettura di Ferrara
dal titolo: “Il Parco geominerario storico e
ambientale della Sardegna. Il Comune di
Buggerru come nuovo modello di sviluppo
economico, valorizzazione e tutela del
territorio”. Relatori: Paolo Ceccarelli e
Francesca Leder. Il caso studio analizzato
si colloca, all’interno della ricerca sulla
dispersione urbana nelle aree di costa, come
caso paradigmatico di pianificazione di un
intervento turistico che rischiava di
compromettere uno straordinario tratto di
costa localizzato nella Sardegna
sud-occidentale, per certi aspetti ancora
incontaminato.
2
È il caso, per esempio, della Lr 33/2002
relativa alle norme in materia di turismo
emanate dalla Regione Veneto che prevede la
zonizzazione della costa per fasce
parallele, attraverso la suddivisione dei
litorali in tre fasce con relativa
definizione delle estensioni minime (Lenoci
S., Urbanistica Informazioni, n. 198, 2004).
Un’altra definizione di carattere normativo
deriva, ancora, dal concetto di demanio
marittimo che fa riferimento a confini
territoriali variabili delimitando una
visione che tende alla separazione e non
all’integrazione di questi ambiti con i più
ampi sistemi territoriali dei quali fanno
parte.
3
Un esempio, il conflitto esistente tra la
regolamentazione urbanistica e le norme sul
demanio marittimo che ha generato un quadro
piuttosto complesso e articolato così come
evidenzia Corbino M. L. (1990). Gli
strumenti di governo delle aree di costa
sono, inoltre, numerosissimi e articolati su
altrettanti livelli comprendenti strategie e
forme di intervento più o meno dirette al
governo di queste aree. Le strategie di tipo
diretto vanno dalle politiche di mera
attribuzione di vincoli (di tipo passivo)
finalizzati alla tutela di porzioni
territoriali secondo logiche di
gerarchizzazione dei territori fino alle
strategie che mirano al coinvolgimento di
numerosi attori e attività come, ad esempio,
l’istituzione di parchi (strategie di tipo
attivo). Tra le strategie indirette
rientrano quelle di area vasta orientate a
costruire il quadro di coerenze generali
entro il quale la pianificazione di livello
inferiore e settoriale dovrebbe muoversi.
Tuttavia, come si cercherà di dimostrare
attraverso l’utilizzo del caso studio, la
presenza degli strumenti non rappresenta
sempre una condizione sufficiente a
garantire la tutela. In alcuni casi,
infatti, possono dimostrarsi inadeguati
mentre, in altri, privi di forza a causa
dell’insorgere di fenomeni, come
l’abusivismo edilizio, che prescindono dal
numero e dal grado di evoluzione degli
strumenti stessi.
4
Virginio Bettini propone, inoltre, la
necessità di basare gli studi di fattibilità
sui bilanci di impatto ambientale (Bettini
V. e coll. in D’Erma M., Di Gioia V., 1986).
La letteratura sul tema della valutazione
dell’impatto ambientale è molto vasta e gli
studi condotti da Virginio Bettini
rappresentano, in questo senso, un
contributo indubbiamente molto importante.
Tra i suoi contributi si veda ad esempio,
Bettini V., Canter L. W., Ortolano L., 2000.
5
Utilizzo il concetto di radialità vs
quello di linearità al fine di
tentare di codificare quanto emerge dalle
interpretazioni che propongono il
superamento delle logiche di classificazione
delle aree di costa come sistemi lineari.
6
Da quanto emerso nel Rapporto dell’United
Nations Environment Programme (Unep),
presentato a Roma il 30 marzo 2006, il
numero di turisti al 2000, concentrati
particolarmente sui litorali, ammontava a
175 milioni e le proiezioni al 2025 stimano
un aumento di altri 137 milioni. In
particolare, nel caso dell’Italia, secondo
quanto sostenuto dal II Rapporto sul Turismo
Natura (Ecotur, 2004), il turismo balneare
continua a rivestire un ruolo determinante:
ben due terzi della popolazione italiana
trascorre le proprie vacanze al mare con il
50% di preferenze per la spiaggia attrezzata
e un fatturato degli stabilimenti balneari
stimato nell’1,4% dei consumi turistici. A
questi vanno poi aggiunti circa 12 milioni
di turisti stranieri che gravitano sulle
stesse aree e utilizzano gli stessi sevizi.
7
Greco N. e Murroni B. sostengono che tale
processo sia stato accompagnato da una sorta
di incapacità della giurisprudenza di far
fronte all’adeguamento dell’istituto della
concessione rispetto alle nuove esigenze di
una società (quella post-bellica) in rapida
evoluzione vedendo scemare la distinzione
tra l’originario uso normale del bene
demaniale (connesso alla navigazione, alla
pesca, alla balneazione e alle
caratteristiche fisiche del demanio stesso)
e uso eccezionale (che prevede
attività alternative rispetto alla
destinazione normale ed esclusiva)
causato dalle numerose richieste di
concessione avanzate per le più svariate
utilizzazioni (Greco N., Murroni B., 1980).
Tale processo ha determinato una sorta di
perdita di significato del concetto di bene
pubblico, insito in queste aree, come bene
finalizzato a garantire interessi di tipo
collettivo e le recenti proposte di rilascio
di concessioni a fini turistici della durata
di 90 anni rappresentano un tangibile
tentativo di dissoluzione di tale
qualificazione.
8 Le aree umide sono trasformate in poco
tempo in spazi per agricolture intensive,
localizzazioni industriali, insediamenti
turistici passando, in Italia, dai 700.000
ettari all’inizio del secolo a 100.000 nel
1994 (Benedetto G., in Fioravanti S.,
Martinoja D., a cura di, 2000).
9
I diversi modelli di sviluppo perseguiti
hanno prodotto l’omologazione di molti
paesaggi costieri con ricadute in termini
sociali e culturali, diversificati a seconda
del contesto locale.
10
Purtroppo molto spesso, come sottolinea
Alessandro Lanza (1997), le conferenze
internazionali, che hanno prodotto oltre 200
trattati in tema di ambiente, assumono la
forma di dichiarazioni non vincolanti e,
come tali, diventano politicamente rilevanti
solo per i paesi che ne riconoscono un
appropriato peso.
11
In queste aree si concentrano, infatti, la
maggior parte delle attività economiche,
un’altissima densità abitativa, una grande
quantità di biodiversità con altissimi
valori ecologici. Sono aree nelle quali
interessi economici molto forti convivono
con forti tensioni di carattere ambientale.
12
Per esempio, secondo alcune teorie
dell’etica ambientale il movimento Deep
Ecology Movement (Dem), allarga la
considerazione morale agli oggetti naturali
(Bartolommei S., 1987).
13
Il filone di ricerca sul Progetto
Ambientale, nasce negli anni ’70 presso le
Università di Parma, Pisa e Bologna e,
grazie all’opera di Fernando Clemente, trova
la sua massima espressione nella scuola
di Cagliari oggi, portata avanti grazie
ai numerosi studi di Macciocco G.. Secondo
tale approccio l’ambiente non è inteso come
fattore fisico ma come racconto dei luoghi,
come sistema di relazioni tra popolazione,
luoghi e attività passando da oggetto a
soggetto attivo custode di sapienza
ambientale e identità.
14
Attualmente esistono in Italia 24 parchi
costieri, 54 riserve naturali diffuse lungo
le cose, 16 riserve marine che hanno tra gli
obiettivi principali: la difesa della costa,
la salvaguardia dell’ambiente costiero,
l’arretramento delle infrastrutture e la
promozione del turismo ecocompatibile.
15
Si pensi, ad esempio, al caso del Parco
delle Cinque Terre, il quale promuove azioni
mirate al mantenimento del paesaggio
culturale dei terrazzamenti di particolare
interesse anche turistico o al Parco del
Delta del Po, nel quale convivono forme di
utilizzazione delle risorse ambientali
(produzione ittica, agricoltura) unitamente
a istanze di carattere conservativo
finalizzate al mantenimento di importanti
ecosistemi.
16
Pressioni sulle risorse idriche,
inquinamento, il declino di tradizionali
metodi di coltivazione ad alta intensità di
manodopera, l’omologazione dei paesaggi ecc.
17
È il caso di gran parte dei paesaggi del
turismo, con il caso emblematico della costa
medio e alto-adriatica, caratterizzata da
diffusione insediativa con connotazioni di
conurbazione nei quali il caos e il degrado
emergono come costanti e fattori dominanti
anche all’interno dei pochi brandelli di
spazi aperti rimasti. Questi assumono,
infatti, la caratteristica di spazi
transitori, in attesa di imminenti
lottizzazioni. È una condizione di degrado
spesso superiore a quella riscontrabile
nelle periferie di molte grandi città, ma
rispetto a queste le città balneari non
possiedono il dinamismo e la vitalità urbana
essendo, quelli del turismo, paesaggi che
vivono a intermittenza per tre mesi
l’anno. Tuttavia, l’utilizzazione massiva
dei degradati arenili soffocati nella
diffusione urbana, conferisce a questi spazi
la qualificazione di luoghi
popolari, di nuove centralità,
(Ricci M., 2003) di paesaggi ordinari che,
anche se privi di qualità, costituiscono un
sistema di risorse sociali importanti che
lasciano spazio a nuove sperimentazioni
progettuali.
18
È il caso del già citato Delta del Po che ha
subito processi di antropizzazione molto
forti ma che conserva ambiti di naturalità
di grande interesse, come il bosco della
Mesola, le dune di Massenzatica, le Valli di
Comacchio e altri importanti ecosistemi.
19
A tale proposito si veda l’approfondimento
tematico sul caso studio della costa sud
occidentale della Sardegna.
20
Intesa nella sua più ampia accezione di
rigenerazione come forma “più complessa,
aperta a obiettivi di integrazione e
coesione sociale e di sviluppo economico
locale” così come propone Franz G. (2005,
pag. 43). In questo senso potrebbero essere
comprese anche alcune forme di ripristino
ambientale per contesti degradati quali, ad
esempio, le aree minerarie in disuso, quelle
legate alle attività estrattive e le aree
industriali.
21
Da definire con valutazioni ex ante
anche attraverso l’utilizzo di indicatori
specifici, come ad esempio quelli proposti
dall’Unione europea per le destinazioni
turistiche non tradizionali (Commissione
europea, 2002), ai quali sommare valutazioni
relative alla propensione delle comunità
locali all’ospitalità, alla presenza di un
sistema di risorse che ne permetta
l’effettiva attrattività turistica,
l’accessibilità del territorio o la
possibilità di un suo potenziamento.
22
Strategie di conservazione ambientale in
contesti di matrice agricola (di tipo
industriale o tradizionale) necessitano di
strumenti e forme di intervento diversi da
quelle necessarie per la conservazione
ambientale in contesti turistici o
industriali.
23
Con una popolazione di circa 1.000 abitanti
su una estensione territoriale di circa
48.000 kmq e un fronte mare di circa 9 km
integralmente libero dall’urbanizzazione, ad
eccezione del suo un centro abitato
incastonato in uno dei tratti di costa più
suggestivi della costa occidentale sarda.
24
Secondo quanto disposto dalla precedente Lr
45/1989 "Norme per l'uso e tutela del
territorio regionale", che indicava tra gli
strumenti preposti alla disciplina dell'uso
e della tutela del territorio i Ptp, redatti
per l'intera fascia costiera dei 2 km dalla
linea di battigia e per alcune parti
dell'interno, comprendendo gli ambiti
territoriali individuati ai sensi delle
leggi 1497/1939 e 431/1985, le aree dei
parchi e delle riserve naturali a norma
dalla Lr 31/1989. La vicenda
dell’annullamento di ben 13 dei 14 Ptp della
Sardegna è piuttosto complessa e
ingarbugliata e, anche per tale ragione, mi
soffermerò all’analisi delle ripercussioni
che questa ha prodotto su un livello
sott’ordinato, in particolare quello
comunale, attraverso l’analisi del caso
studio del Comune di Buggerru. Solo per
citare alcune motivazioni di tale
annullamento, in alcuni piani si riscontrava
l’eccesso di potere per mancata
valutazione dei dati relativi alla
edificabilità e altre numerose violazioni.
Si esprimeva, inoltre, la dichiarata
compatibilità, all’interno di zone a tutela
integrale, di usi palesemente incompatibili:
depuratori, discariche, inceneritori, opere
aeroportuali, ferroviarie, reti elettriche,
dighe, impianti per la trasformazione
agricola su scala industriale, alberghi,
residences, strutture residenziali
stagionali, ecc.
25
Fonte dati: materiale archivio Progemisa spa.
Agenzia Governativa regionale della
Ras_Regione Autonoma della Sardegna.
26
L’intero sistema della costa occidentale
della Sardegna, rimasta fuori dai grandi
flussi turistici tipici di altre zone
dell’isola, trova i suoi punti di forza
proprio nella assoluta incontaminazione di
molti dei suoi ambiti tutelati oggi da
importanti forme di tutela internazionali.
Neppure Alghero sembra aver trovato una sua
connotazione di vero e proprio distretto
turistico essendo caratterizzato dalla
assenza di integrazione, sia orizzontale che
verticale-settoriale, che sposta molti
benefici derivanti dalla domanda locale
verso le aree esterne (Paci R., Usai S.,
L’ultima spiaggia, 2002).
27
Volumetria che si sarebbe sommata al 50%
circa delle abitazioni inutilizzate dai
residenti all’interno del centro urbano.
28
Altri 8 Sic per un totale di oltre 3.000
ettari e, in particolare a Buggerru, i Sic
presentano valori particolarmente importanti
dal punto di vista ecologico: alcune specie
presenti sul sito, come per esempio gli
insediamenti di Pinus Pinea, sono state
addirittura definite dall’Unione europea di
importanza prioritaria. La realizzazione
dell’insediamento turistico avrebbe
compromesso, inevitabilmente, il fragile
equilibrio naturale esistente, anche
nell’eventualità che non si fosse previsto
il disboscamento dell’area.
29
Ipotizzabili attraverso l’attivazione di
processi e strategie di tipo sovracomunale.
30
Come nel caso della località di Grugua posta
in posizione strategica tra il mare e le
aree più interne e che, nel corso dei secoli
attraverso un processo di fruizione
integrata del territorio, ha assunto un
ruolo di assoluta centralità e che versa
oggi in condizioni di completo abbandono e
inacessibilità.
Le immagini sono tratte dalla Tesi di laurea
di M. G. Murru, 2002.
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