Il Professore Giovanni Campo amava aprire le
lezioni di pianificazione territoriale, ma
anche i suoi interventi, con l’art. 9 della
Costituzione: “La Repubblica promuove lo
sviluppo della cultura e la ricerca
scientifica e tecnica. Tutela il paesaggio e
il patrimonio storico e artistico della
Nazione”. Proseguiva sostenendo che
“l’insostenibilità dello sviluppo è
tutta nel presupposto di un mondo globale
che considera produttive solo le iniziative
foriere di ritorni economici immediati
(ancorché fondate su consumi di risorse
irriproducibili e sulle promesse della
new economy), e che rende improponibile
il già difficile teorema che dimostra al
contrario la maggiore remuneratività
di investimenti e trasformazioni locali
mirati a perseguire risultati sostenibili
nel medio e lungo termine, senza consumare
ulteriori risorse”.
Convinto assertore che lo sviluppo
sostenibile del territorio siciliano deve
fondarsi sul “recupero dell’identità sociale
dei luoghi, compromessa dai connotati della
città diffusa sia sotto il profilo
paesistico che ambientale”, propugnava il
recupero e la riqualificazione
che “diventano le parole chiave dell’azione
di politica culturale da perseguire nel
prossimo futuro, prima che sanatorie,
condoni e altre trasformazioni (millantate
in nome di fantomatici sviluppi),
finiscano per rendere irreversibile
qualunque processo”.
E ugualmente importante è “sensibilizzare,
salvaguardare e promuovere il paesaggio
agrario, la cultura contadina e la ruralità,
per accrescere la coscienza comune sul
valore inestimabile del paesaggio agrario in
tutti i suoi aspetti, per individuare le
nuove modalità perché il paesaggio non sia
solo una bella cartolina ma anche un
sistema economico compatibile con il mondo
contemporaneo e i valori delle tante storie
locali”.
Conseguentemente “l’idea di sviluppo
interconnesso alla trasformazione fondiaria
e all’edilizia volano dell’economia,
rimasta viva in Sicilia a pervadere le nuove
figure di programmazione complessa
delle trasformazioni territoriali, non è più
sostenibile” e, quindi, ognuno di noi deve
fare una “scelta tra il mondo della perenne
sopraffazione e il mondo della solidarietà,
per contrastare le condizioni di costante
precarietà determinate dallo sfalsamento tra
la nostra storia e quella della natura”.
Il suo pensiero, così pregnante di amore e
rispetto per il territorio, descrive
pienamente le contraddizioni presenti, da
sempre, nella politica territoriale della
Regione Sicilia. Una politica basata oggi,
da una parte, sul bisogno di essere
consapevoli attori di un momento epocale in
cui il consumo di suolo e la sostenibilità
degli interventi diventano scelte
imprescindibili per qualunque
amministrazione e, dall’altra, dal rifuggire
ogni regola, avallando, attraverso la
speciale autonomia di cui l’isola gode,
scelte anche in contrasto con la
Costituzione repubblicana.
L’art. 9 della Costituzione
La scelta del prof. Giovanni Campo avvalora
la tesi che la disciplina costituzionale del
paesaggio è stabilità dall’art. 9 della
Costituzione; essa erige il valore
estetico-culturale della forma del
territorio a valore primario
dell’ordinamento e, correlativamente,
impegna tutte le pubbliche istituzioni a
concorrere alla tutela e alla promozione del
suo valore1.
Ma le differenti e successive letture
dell’art. 9, evidenziano i cambiamenti
culturali legati al significato del rapporto
esistente fra il dovere della tutela del
paesaggio e l’interesse privato;
problematica che oggi è più che mai
ricorrente nella politica paesaggistica
siciliana.
Nel 1968 si affermava che i beni immobili
qualificati di bellezza naturale avevano
un intrinseco valore paesistico per la loro
localizzazione e la loro inserzione in un
complesso, che ha, in modo coessenziale,
certe qualità. Essi costituirebbero, quindi,
una categoria di interesse pubblico e,
conseguentemente, l’atto vincolistico, che
ne sancisce la tutela, non è accostabile ad
un atto espropriativo (art. 42, comma 3
della Costituzione), bensì a quella
(prevista dall’art. 42, comma 2) che
affida alla legge di disciplinare i modi di
godimento della proprietà, al fine di
assicurarne la funzione sociale2.
Anche nel caso in cui l’amministrazione
proibisse di edificare sulle aree vincolate,
fabbricabili, non si comprime il diritto
sull’area, perché questo diritto è nato
con il corrispondente limite e con quel
limite vive3.
Si arriva, così, alla conclusione che la
materia del paesaggio non è
riducibile a quella dell’urbanistica,
né può ritenersi in quest’ultima assorbita o
subordinata, con la conseguenza che
l’eventuale mancato coordinamento
dell’intervento paesaggistico con le
prescrizioni urbanistiche non assume alcuna
rilevanza4.
La tutela del paesaggio era, dunque,
l’interesse prevalente dell’amministrazione,
che lo anteponeva a qualsiasi altro di tipo
privato, rispetto al quale non era richiesta
alcuna comparazione5.
Oggi l’Assessorato dei beni culturali e
ambientali della Regione Siciliana affronta
l’argomento6 della tutela
paesaggistica, specificando che tutte le
posizioni sono meritevoli di tutela, ivi
comprese, ovviamente quelle espresse
dal privato “dovendosi a riguardo ritenere
la sussistenza di interessi non tanto
antagonisti, quanto concorrenti”; ritenendo,
dunque, che la tutela del bene paesaggistico
non assicuri una funzione sociale di
godimento e, conseguentemente, l’apposizione
del vincolo, che limita la proprietà
privata, “«deve rispondere ad un interesse
pubblico chiaro ed evidente”7.
E su questo nuovo ruolo dell’art. 9
della Costituzione8 interviene
anche la Corte Costituzionale, affermando
che bisogna “ricercare una soluzione
necessariamente comparativa della dialettica
fra le esigenze dell’impresa e quelle
afferenti a valori non economici, tutte
rilevanti in sede di esercizio del potere
amministrativo di autorizzazione alla
realizzazione di attività imprenditoriali”9.
La tutela del paesaggio siciliano
La scelta di una pianificazione unitaria che
integrasse le problematiche storiche del
territorio (urbanistica e paesaggio) era
stata effettuata anche dalla Regione
Sicilia, su iniziativa dell’Assessorato dei
beni culturali e ambientali, che nel 199910
approvava le Linee guida del piano
territoriale paesistico regionale, con
lo scopo dichiarato di “definire opportune
strategie mirate ad una tutela attiva e alla
valorizzazione del patrimonio naturale e
culturale dell’isola”.
La metodologia che delineano è basata
sull’ipotesi che il paesaggio è
riconducibile ad una configurazione di
sistemi interagenti che definiscono un
modello strutturale costituito dal sistema
naturale (abiotico e biotico) e da quello
antropico (agro-forestale e insediativo).
Lungi dal fornire indirizzi precisi e
puntuali per i diversi ambiti in cui era
stato suddiviso il territorio della regione,
il documento definisce, però, quattro
assi strategici, esemplificativi delle
scelte di politica locale:
1. il consolidamento del patrimonio e delle
attività agroforestali;
2. il consolidamento e la qualificazione del
patrimonio di interesse naturalistico;
3. la conservazione e la qualificazione del
patrimonio d’interesse storico,
archeologico, artistico, culturale o
documentario;
4. la riorganizzazione urbanistica e
territoriale.
Sebbene ciascuna delle azioni ha una propria
specificità tecnica e amministrativa, le
potenzialità applicative dipendono dalla
loro interconnessione, in termini di governo
complessivo del territorio11.
Nella medesima direzione si pone il decreto
dell’Assessore dei beni culturali e
ambientali12, Atti d’indirizzo
per la pianificazione paesistica in Sicilia,
con il quale viene dichiarata la necessità
di procedere, “mediante indispensabili
contributi normativi, a una complessiva
rivisitazione dei percorsi della
pianificazione paesaggistica e …
urbanistica”.
Ritenendo, infatti, che l’attività
edificatoria ha già interessato porzioni
rilevantissime del territorio siciliano,
specifica la indispensabile necessità
che “i nuovi interventi nell’ottica dello
sviluppo sostenibile evitino consumi
immotivati delle risorse non rinnovabili,
privilegiando piuttosto il recupero e la
riqualificazione dell’esistente”. Il
medesimo documento precisa che qualsiasi
intervento di trasformazione del paesaggio
debba ricercare le condizioni che consentano
un miglioramento della qualità ambientale e
paesaggistica del contesto territoriale e la
valorizzazione delle peculiarità
naturalistiche e ambientali.
Il Codice dei beni culturali e del paesaggio
Quest’ultimo decreto assessoriale determina,
dunque, delle scelte nette
dell’amministrazione regionale nel momento
in cui afferma che la pianificazione
paesistica deve prevedere le misure di
coordinamento con la pianificazione
territoriale e settoriale e con gli
strumenti di sviluppo economico e specifica
che “gli enti locali sono tenuti a
conformare i propri strumenti urbanistici
alle previsioni della pianificazione
paesistica” (art. 5), anticipando, in
maniera sorprendente, molti dei contenuti
che saranno poi esplicitati nel DLgs
42/2004, Codice dei beni culturali e del
paesaggio.
Infatti, sia i Principi generali
(art. 1 del decreto assessoriale), che gli
Ambiti di tutela, di valorizzazione e di
recupero (art. 2) che gli Obiettivi
di qualità paesistica (art. 3), saranno
poi riproposti in modo identico nella prima
versione del Codice13.
Anche il contenuto dell’art. 5 si ritrova
all’interno dell’art. 145 del Codice (prima
versione), il quale recita che “le
previsioni dei piani paesaggistici … sono
cogenti per gli strumenti urbanistici dei
comuni, delle città metropolitane e delle
province … Per quanto attiene alla tutela
del paesaggio, le disposizioni dei piani
paesaggistici sono comunque prevalenti sulle
disposizioni contenute negli atti di
pianificazione”.
Uno dei punti critici del Codice, nella sua
prima stesura, è quello che prevede nel
territorio l’individuazione di una serie di
beni paesaggistici, che costituirebbero
ciascuno un distinto paesaggio14
in cui tutelare i valori che esso esprime
quali manifestazioni identitarie
percepibili (art. 131).
In tale ottica il territorio comprende
paesaggi riconosciuti come beni e
paesaggi non riconosciuti come
beni, rispetto ai quali “in base alle
caratteristiche naturali e storiche e in
relazione al livello di rilevanza e
integrità dei valori paesaggistici, il piano
ripartisce il territorio in ambiti omogenei,
da quelli di elevato pregio paesaggistico
fino a quelli significativamente compromessi
o degradati” (art. 143, comma 1).
Dimenticando, così, che anche nelle aree
dove più evidente è stata la trasformazione
dell’ultimo mezzo secolo, rimangono ancora
angoli risparmiati dagli interessi
di mercato e, in questi casi, anzi, i
valori risparmiati devono diventare motivo
per contaminare le parti compromesse.
Non esisterebbe, quindi, per il legislatore,
un paesaggio da tutelare nella sua
interezza, ma piuttosto una serie numerosa
di paesaggi omogenei da classificare
e gestire secondo precisi obiettivi di
qualità:
a) il mantenimento delle caratteristiche,
degli elementi costruttivi e delle
morfologie;
b) la previsione di linee di sviluppo
urbanistico ed edilizio compatibili con i
diversi livelli di valore riconosciuti e
tali da non diminuire il pregio
paesaggistico del territorio;
c) il recupero e la riqualificazione degli
immobili e delle aree sottoposti a tutela
compromessi o degradati.
Altro punto discutibile è la previsione che
dopo l’approvazione del piano paesaggistico
venga escluso il vincolo nelle aree
tutelate per legge15 o, al
contrario, che questo potesse estendere il
suo dettaglio fino a modificare le misure
cautelative della legge, allargando o
restringendo i limiti prescritti delle fasce
areali.
È, quindi, ancora presente la
contrapposizione tra tutela e
trasformazione: tutela di alcuni
oggetti preziosi, perciò definiti
beni, e trasformazione di tutto
quanto l’incauta corsa verso il moderno
sviluppo esclude da ogni ipotesi
conservativa.
Ma nelle modifiche al Codice16 si
può cogliere una correzione a questa
parcellizzazione e classificazione dei
paesaggi.
Infatti, non si devono più individuare
paesaggi omogenei da gestire con
obiettivi di qualità, ma in un unico
piano paesaggistico si definiscono
specifiche prescrizioni e previsioni
ordinate, che ricalcano i precedenti
obiettivi di qualità aggiungendo, al punto
b), il principio del minor consumo di
territorio e introducendo, al punto d),
l’individuazione di altri interventi di
valorizzazione del paesaggio, anche in
relazione ai principi dello sviluppo
sostenibile.
Anche le aree tutelate per legge sono
attenzionate dal legislatore e diventano
comunque di interesse paesaggistico; per
queste deve essere determinata specifica
disciplina ordinata alla loro tutela e
valorizzazione (art. 143).
Il piano paesaggistico, dunque, non deve più
attribuire obiettivi di qualità … in
funzione dei diversi livelli di valore,
ma sembra, comunque, abbastanza
improponibile una tutela generalizzata di
tutto il territorio.
Al contrario il rischio è quello che, non
individuando specifici ambiti paesaggistici
a elevata valenza, si propenda per l’individuazione
generale delle misure necessarie al
corretto inserimento degli interventi di
trasformazione del territorio nel contesto
paesaggistico, alle quali debbono riferirsi
le azioni e gli investimenti finalizzati
allo sviluppo sostenibile (art. 143).
Le scelte politiche per i beni paesaggistici
in Sicilia
Ma in Sicilia le diverse tipologie di
opere e interventi di trasformazione del
territorio17 rischiano di
risultare le vere invarianti
programmate per fornire sviluppo.
In una regione che nel 1999 definiva
opportune strategie mirate ad una tutela
attiva e alla valorizzazione del patrimonio
naturale e culturale dell’isola18 e nel 2002
anticipava, in modo quasi profetico, il
Codice dei beni culturali e del paesaggio19,
risulta alquanto incoerente la circolare del
febbraio 200620, con la quale
l’Assessorato regionale comunicava
l’opportunità di effettuare una
rivisitazione globale dei vincoli già
esistenti e operanti nel territorio e
chiariva che “relativamente ai regimi
vincolistici delle aree sottoposte a
processi di trasformazione in atto, si
impone una appropriata verifica in ordine
all’attualità delle ragioni che hanno dato
luogo agli interventi di salvaguardia, al
fine di realizzare … soluzioni che
valorizzino esigenze di tutela riscontrabili
e attuali, tali da giustificare la
permanenza delle misure di protezione”21.
Tale politica si armonizza perfettamente col
processo in atto nella regione, teso a
individuare un nuovo significato per l’art.
9 della Costituzione22,che possa
favorire l’interesse economico privato
rispetto alla tutela di un valore
paesaggistico pubblico.
Il cambiamento, però, si poteva già leggere
in numerosi atti normativi (anche
precedenti), che proponevano interventi di
trasformazione sulle aree più vulnerabili
del territorio, quali le aree agricole, le
fasce costiere o le zone soggette a vincolo.
Il territorio agricolo è stato
sicuramente quello che, più di ogni altro,
ha risentito delle esigenze di
trasformazione imposte dai vari modelli di
sviluppo economico, che sono generalmente
prevalse sulle tutela. Esso è stato
considerato come il palcoscenico in cui
organizzare qualunque attività antropica,
che possa generare ricchezza, dimenticando
che nella pianificazione urbanistica, il
vincolo a verde agricolo è preordinato non
tanto alla mera salvaguardia degli interessi
dell’agricoltura, quanto piuttosto alla
realizzazione di un migliore equilibrio tra
aree edificate e aree libere, ovvero a
preservare una determinata area da
un’eccessiva espansione edilizia che ne
comprometta i valori ambientali23.
L’originario art. 22 della Lr 71/197824,
che consentiva nelle zone E la realizzazione
di “impianti o manufatti edilizi destinati
alla lavorazione o trasformazione di
prodotti agricoli o zootecnici locali”, le
cui eventuali eccezioni dovevano essere
congruamente motivate, proprio per
salvaguardare questi paesaggi, viene
stravolto dalle normative successive,
attente all’interesse economico privato.
Si permette la realizzazione di insediamenti
produttivi in verde agricolo25,
per favorire le iniziative economiche
previste nei patti territoriali e nei
contratti d’area, e poi si liberalizzano le
trasformazioni territoriali produttive,
facilitando la realizzazione delle varianti
allo strumento urbanistico, mediante
Conferenze di servizi26. Infine,
si incentiva la realizzazione di manufatti
edilizi anche in deroga al principio di
connessione produttiva (agricola o
zootecnica), sancito con Lr 71/197827.
Nelle stesse aree agricole possono essere
localizzati gli interventi di edilizia
residenziale pubblica agevolata,
convenzionata e sovvenzionata da realizzare
con finanziamenti e contributi statali o
regionali28. L’unica condizione è
quella che detti programmi devono
interessare aree agricole “contigue a
insediamenti abitativi e suscettibili di
immediata urbanizzazione”. In tal modo per
stadi successivi le aree agricole spariranno
del tutto, considerato che il primo
programma costruttivo realizzato in
adiacenza agli insediamenti abitativi
costituirà il lasciapassare per tutti gli
altri.
Un problema analogo esiste per le fasce
costiere, dove le costruzioni abusive
hanno contribuito in maniera determinante ad
un impoverimento progressivo di quegli
eco-sistemi che oggi risultano devastati da
seconde e terze case, abbandonate per nove
mesi l’anno.
In questi territori, nei quali vige il
divieto di edificazione entro i 150 metri
della battigia marina29, il
governo regionale30 tentava di
disegnare una sanatoria delle
costruzioni abusive realizzate lungo le
coste, attraverso l’adozione, da parte dei
comuni interessati da intensi fenomeni di
edificazione abusiva, del piano di
riqualificazione urbanistica e ambientale,
che doveva individuare le aree di interesse
paesistico e ambientale per le quali andava
vietata ogni edificazione e trasformazione
antropica.
Ma all’interno di questi piani gli immobili,
che non risultassero compatibili, anziché
essere demoliti, sarebbero acquisiti al
patrimonio comunale e ritornerebbero ai loro
proprietari che potrebbero richiederne il
diritto di abitazione. E se i proprietari
non li richiedessero potrebbero essere
destinati all’esercizio di attività
ricettiva alberghiera.
Quest’ultima potrebbe, inoltre, essere
realizzata in deroga ad ogni disposizione,
con il solo parere del Comitato tecnico che
sostituisce a tutti gli effetti qualsiasi
parere di organi di amministrazione attiva o
consultivi, degli organi preposti alla
tutela del patrimonio archeologico,
architettonico, del paesaggio, del
territorio e dell’ambiente, ivi compreso
l’eventuale nulla osta in materia di impatto
ambientale e il parere sull’eventuale
valutazione d’incidenza, previsto dall’art.
6 della direttiva 92/43/Cee Habitat, nonché
della sicurezza, della salute pubblica e
dell’igiene ambientale.
Questo ipotetico piano di riqualificazione
urbanistica e ambientale avrebbe dovuto
anche prevedere nuove zone di
trasformazione, fornendo specifiche
previsioni per l’edificazione e la modifica
di destinazione d’uso e individuare le
aree costiere elevate sul mare da sottoporre
a vincoli di edificabilità o a particolari
condizioni di utilizzazione antropica.
Questo disegno di legge è stato più volte
presentato all’assemblea regionale ma mai
approvato, mentre nel 2005 è stata
ratificata una modifica31 alle
disposizioni relative all’ultimo condono
edilizio32 per le opere
realizzate su immobili soggetti a vincoli
imposti a tutela degli interessi
idrogeologici e delle falde acquifere, dei
beni ambientali e paesistici, dei parchi e
delle aree protette.
Mentre la posizione dello Stato era quella
di introdurre limiti più ristretti
all’applicabilità del condono33,
l’amministrazione regionale avrebbe permesso
proprio la sanatoria di queste opere
insanabili, previo parere favorevole
rilasciato da parte delle Soprintendenze.
Solo l’intervento del Commissario dello
Stato per la Regione Sicilia, che ha
impugnato tale norma per palese violazione
della Costituzione, non ha permesso la sua
pubblicazione e ha, quindi, salvato
parte del territorio siciliano.
Quali prospettive
Con la ratifica della Convenzione europea
del paesaggio34 si dovrebbe
aprire un nuovo capitolo della storia del
territorio “in una prospettiva di sviluppo
sostenibile, a garantire il governo del
paesaggio al fine di orientare e di
armonizzare le sue trasformazioni provocate
dai processi di sviluppo sociali, economici
e ambientali”.
A sostenere tali intenti si aggiunge
l’obbligo di redigere la relazione
paesaggistica35 che deve
corredare, insieme ai grafici e alla
relazione di progetto, ogni intervento da
realizzare in area vincolata
paesaggisticamente.
Il rilascio dell’autorizzazione si inquadra,
così, in un’ottica più evoluta di protezione
e valorizzazione del paesaggio, che non si
esaurisce solo nell’apprezzamento
tecnico-discrezionale dell’intervento, ma
accerta la sua compatibilità sia rispetto ai
valori paesaggistici riconosciuti dal
vincolo che alle finalità di tutela e
miglioramento della qualità del paesaggio,
oltre che la congruità con i criteri di
gestione del bene, individuati entrambi
dalla dichiarazione di notevole interesse
pubblico e dal piano paesaggistico.
Sarà però necessario trovare enti di tutela,
classi professionali e imprenditoriali
pronti a confrontarsi con questo nuovo modo
di approccio al problema della tutela, che
possa rispondere alle questioni del minor
uso del suolo nell’ottica di uno sviluppo
sostenibile per non far perdere al
territorio le sue caratteristiche di
palinsesto delle attività che l’uomo ha
esercitato con grande rispetto e
salvaguardia per centinaia di anni.
Ma come inquadrare tali scelte normative
all’interno dell’attuale scenario politico
siciliano?
Note
1
Corte Cost., 21 dicembre 1985, n. 359.
2
Corte Cost., 29 maggio 1968, n. 56.
3
Cons. St., VI Sez., 21 ottobre 1969; Corte
Cost., 28 luglio 1995, n. 417.
4
Tar Lombardia, 11 febbraio 1995, n. 160.
5
Tar Bolzano, II Sez., 6 maggio 1996, n. 115.
6
Circolare n. 3 del 16 febbraio 2006.
7
Tar Sicilia, Sez. di Catania, 9 dicembre
1998: il diritto di proprietà può “essere
degradato dal legislatore mediante
espropriazione e/o apposizione di vincoli
espropriativi o generalizzati, ma in tutti i
casi la compressione del diritto di
proprietà deve rispondere ad un interesse
pubblico chiaro ed evidente”.
8
La presenza di questa duplicità normativa
(la materia del paesaggio e quella
urbanistica) e le problematiche legate
all’art. 42 della Costituzione (il godimento
della proprietà per assicurarne la funzione
sociale e la garanzia di indennizzo ad un
atto espropriativo) spinsero il prof
Giovanni Campo, senatore della Repubblica, a
presentare un disegno di legge nell’agosto
del 1995 (XII legislatura) relativo ad
una disciplina-quadro del riordino del
territorio ai fini dello sviluppo economico
compatibile con i principi della
salvaguardia del paesaggio, dell’ambiente,
del patrimonio archeologico, storico,
architettonico e urbanistico, nonché della
tutela della salute, della sicurezza e
dell’incolumità pubbliche.
Con esso si individuava quale strumento
unico di gestione del territorio il Piano
regolatore d'uso del territorio, che
disciplina, a scopi di pubblica utilità,
l’uso dei suoli nei rispettivi ambiti
territoriali per la promozione di uno
sviluppo economico compatibile con il
recupero ambientale, la tutela paesistica e
idrogeologica, la tutela della salute, della
sicurezza e della pubblica incolumità. Esso,
con specifico riguardo ai principi della
salvaguardia dell’ambiente, del paesaggio,
del patrimonio storico-artistico e
archeologico, del suolo, dei corpi idrici,
dell’idrogeologia, della salute, della
sicurezza e dell’incolumità pubbliche,
assicura idonee localizzazioni ad
attrezzature e infrastrutture pubbliche;
favorisce il collegamento e la mobilità,
consentendo economici trasporti di beni
materiali, energetici e informativi;
attribuisce carichi d’uso adeguati a
ciascuna parte delle strutture territoriali
e urbane (art. 7).
9
Corte Cost., 10 luglio 2002, n. 355.
10
Decreto Assessorile 21 maggio 1999, n. 6080.
11
Le stesse scelte venivano confermate anche
dall’assessorato regionale del territorio e
dell’ambiente con la Circolare 3/2000, che
evidenziava come il piano territoriale
paesistico regionale “individua quali centri
e nuclei storici le strutture insediative
aggregate storicamente consolidate delle
quali occorre preservare e valorizzare le
specificità
storico-urbanistiche-architettoniche in
stretto e inscindibile rapporto con quelle
paesaggistico-ambientali”.
12
Decreto Assessorile 8 maggio 2002, n. 5820.
13
Il DLgs 22 gennaio 2004, n. 42, Parte terza,
Beni paesaggistici, è stato modificato dal
DLgs 157/2006.
14
Il Paesaggio viene definito come parte
omogenea di territorio i cui caratteri
derivano dalla natura, dalla storia umana o
dalle reciproche interrelazioni.
15
Ad esse la legge 431/1985 aveva esteso i
caratteri di “bellezze naturali” della legge
1497/1939.
16
Apportate con DLgs 157/2006.
17
Dall’art.143 si individuano tutti gli
elementi che possono diventare grimaldelli
per future trasformazioni del territorio: le
linee di sviluppo urbanistico ed edilizio,
il recupero e la riqualificazione degli
immobili e delle aree compromessi o
degradati, al fine di reintegrare i valori
preesistenti, nonché la realizzazione di
nuovi valori paesaggistici, le misure
necessarie al corretto inserimento degli
interventi di trasformazione del territorio
nel contesto paesaggistico, la tipizzazione
e individuazione di immobili o di aree (non
indicati agli artt. 136 e 142) da sottoporre
a specifica disciplina di salvaguardia e di
utilizzazione, la individuazione di aree
gravemente compromesse o degradate nelle
quali la realizzazione degli interventi
volti al recupero e alla riqualificazione
non richiede il rilascio di alcuna
autorizzazione.
18
Linee guida del piano territoriale
paesistico siciliano.
19
Atti d’indirizzo per la pianificazione
paesistica in Sicilia.
20
Circolare n. 3 del 16 febbraio 2006.
21
In linea con queste scelte è anche la
Circolare n. 7 del 9 marzo 2006 con la quale
il medesimo assessorato specificava che
delegava l’esecutivo ad adottare il Codice,
ai sensi dell’art. 10 della legge 6 luglio
2002, n. 137, e tra i principi fondamentali
della riforma rileva lo snellimento e
abbreviazione dei procedimenti atti a
evitare ulteriori restrizioni alla proprietà
privata.
22
Queste indicazioni politiche si leggono
anche in qualche sentenza, portata
dall’amministrazione regionale a supporto
delle proprie scelte. È il caso della
sentenza della Corte costituzionale 10
luglio 2002, n. 355, nella quale viene
evidenziata la necessità di “ricercare una
soluzione necessariamente comparativa della
dialettica fra le esigenze dell’impresa e
quelle afferenti valori non economici, tutte
rilevanti in sede di esercizio del potere
amministrativo di autorizzazione alla
realizzazione di attività imprenditoriali”.
23
Tar Toscana, Sez. I – Sentenza 1 settembre
2005, n. 4278 – Nella pianificazione
urbanistica, il vincolo a verde agricolo è
preordinato non tanto alla mera salvaguardia
degli interessi dell’agricoltura, quanto
piuttosto alla realizzazione di un migliore
equilibrio tra aree edificate e aree libere,
ovvero a preservare una determinata area da
un’eccessiva espansione edilizia che ne
comprometta i valori ambientali e, dunque,
anche a consentire la realizzazione di
manufatti nei limiti delle previsioni di Prg
ad essa relative (1); manufatti che ben
possono avere destinazione commerciale o
industriale e non agricola, dovendosi avere
riguardo esclusivamente al collegamento
economico e funzionale con la zona
interessata (2).
24
La Lr 71/1978 pone all’art. 2, comma 5, un
disposto molto severo: “Nella formazione
degli strumenti urbanistici generali non
possono essere destinati a usi extra
agricoli i suoli utilizzati per colture
specializzate, irrigue o dotati di
infrastrutture e impianti a supporto
dell’attività agricola, se non in via
eccezionale, quando manchino ragionevoli
possibilità di localizzazioni alternative.
Le eventuali eccezioni devono essere
congruamente motivate”.
25
Art. 35 della Lr 30/1997: “Al fine di
favorire il rapido avvio delle iniziative
produttive previste dai patti territoriali e
dai contratti d’area approvati dal Cipe sono
ammessi insediamenti produttivi in verde
agricolo, limitatamente ai singoli
interventi previsti dai patti territoriali e
dai contratti d’area già approvati dal Cipe
alla data di entrata in vigore della
presente legge, anche in deroga a quanto
previsto dall’art. 22 della legge regionale
27 dicembre 1978, n. 71, così come
sostituito dall’art. 6 della legge regionale
31 maggio 1994, n. 17”.
26
Dpr 447/1998, Dpr 440/2000, Lr 10/2000.
27
Con le due finanziarie regionali, la 6/2001
e la 2/2002. La prima, con l’art. 89,
precisa che tali disposizioni vengono estese
a “tutti gli interventi comunque previsti e
finanziati nei patti territoriali, nei
contratti d’area e negli altri strumenti di
programmazione negoziata, statali e
regionali”. La seconda, con l’art. 30,
estende del tutto la facoltà di intervenire
nel cosiddetto verde agricolo anche a
singole iniziative imprenditoriali private.
28
Lr 81/1986, art. 1, comma 1.
29
Tale divieto è previsto dalla Lr 78/1976 e
l’art. 23 della successiva Lr 37/1985
specifica che non possono conseguire la
concessione in sanatoria le costruzioni
abusive che ricadano in tali aree.
30
Il disegno di legge 317/2002 dal titolo
Norme per il governo del territorio e il
riordino delle coste.
31
L’assemblea regionale il 6 dicembre 2005
approva il disegno di legge Misure
finanziarie urgenti e variazioni al bilancio
della Regione per l’esercizio finanziario
2005. Disposizioni varie.
32
La legge 24 novembre 2003, n. 326, recante
disposizioni urgenti per favorire lo
sviluppo e per la correzione dell’andamento
dei conti pubblici, aveva tradotto in legge,
con modificazioni, il Dl 269/2003.
33
In merito si esprime così anche la Corte
costituzionale con la sentenza n. 196 del 28
giugno 2004.
34
Avvenuta il 9 gennaio del 2006.
35
Dpcm 12 dicembre 2005, che entrerà in vigore
il 30 luglio. |