In un momento storico di radicale
ripensamento (soprattutto in Italia) dei
concetti di sviluppo, di istituzione e di
piano, in cui si assiste ad una diffusa
crisi della democrazia rappresentativa e
all’insorgere di nuove forme di
democrazia locale legate alla
frammentazione dell’interesse pubblico, si
pone il problema dell’impianto della
conoscenza a base dei processi di
pianificazione e, quindi, sia del suo
rapporto con i movimenti e i soggetti
decisionali, sia degli oggetti della
conoscenza. Cosa conoscere e a quale scopo
non è più scontato per chi fa piani.
La dimensione unitaria, fortemente
caratterizzata dalle politiche centrali, che
è stata elemento costitutivo dei processi di
sviluppo, si è nel tempo sfumata in pratiche
localistiche, anche di notevole spessore, ma
deboli nella relazionalità con i territori.
Il piano, che dal rapporto con le
istituzioni aveva tratto una sua funzione
regolativa più che previsiva (regolazione
dei cicli edilizi e dei regimi dei suoli),
ha scontato una difficoltà a declinare i
nuovi processi di sviluppo in nuovi
strumenti, meno regolativi e più previsivi,
ma anche a metabolizzare nel piano i nuovi
processi valutativi, basati su indicatori,
richiesti dalle Direttive europee e ormai
completamente recepiti dalla legislazione
nazionale (DLgs 152/2006).
Queste difficoltà si sono palesate in una
duplice forma: da un lato nell’enfasi e
nella sottolineatura dei contenuti
strategici e previsivi (sono i nuovi quadri
regionali e i piani strategici delle grandi
città), piani di raccordo con gli strumenti
attuativi, dall’altro segmentando la
dimensione unitaria della pianificazione e
ricomponendola successivamente in nuove
articolazioni istituzionali o nella ricerca
a posteriori della sua originaria
complessità (questo è avvenuto soprattutto
con i programmi complessi).
Si è così progressivamente riconfigurato il
ruolo della pianificazione: da un sistema di
definizione di assetti sostanzialmente
stabili (ma anche rigidi) e di
regolamentazione dei regimi dei suoli,
sistema fortemente garantista dei rapporti
tra enti territoriali e tra soggetti
pubblici privati, si è passati ad un sistema
in cui la stessa riforma del Titolo V della
Costituzione, riconfigurando il sistema
istituzionale, propone nuovi rapporti tra i
diversi attori istituzionali, basati non più
su procedure autoritative, ma sulla
capacità- responsabilità dei diversi
soggetti istituzionali di governare le
trasformazioni.
Il piano non più speculare alle istituzioni,
diviene in questo scenario uno strumento che
deve garantire coerenza ai diversi e spesso
conflittuali progetti di sviluppo e ne deve
verificare la compatibilità con gli
ecosistemi.
Su questa interpretazione positiva del piano
sono proprio coerenza e compatibilità che
conferiscono ai progetti di sviluppo una
sorta di valore aggiunto, che introita e
supera la dimensione puramente garantista
delle regolazioni e delle conformità
(approccio neo contrattuale – paradigma
della equità – teoria della giustizia) e
aprono le prassi della pianificazione a
prospettive cooperative, concorsuali,
concorrenziali, tipiche di un approccio
neoutilitaristico (paradigma della utilità -
teoria del bene).
La riforma del Titolo V della Costituzione
(L.C. 3/2001), infatti, ha disegnato un
nuovo assetto istituzionale delle regioni e
degli enti locali e ha delineato un nuovo
rapporto equipotere tra regioni, Stato e
Unione europea, mettendo in crisi il
tradizionale assetto gerarchico e
verticistico.
Il modello tradizionale di pianificazione a
base gerarchica, inserito in un contesto in
cui lo Stato e le istituzioni erano molto
forti e rivestivano un ruolo primario,
esercitato con procedure autoritative, aveva
progressivamente reso implicito il
sistema della conoscenza, spesso solo
autoreferenziale e giustificativo delle
scelte fatte.
L’atto valutativo si riduceva solo ad una
verifica di conformità tra il piano e la
pianificazione sovraordinata, con procedure
e dimensionamenti standard definiti dalle
leggi (cfr. Dm 1444/1968) ma sempre più
distanti dal senso comune.
Dal 1995 si è assistito (Lr 5/1995 della
Regione Toscana), all’interno della
disciplina e della pianificazione
urbanistica, ad un profondo e sostanziale
cambiamento del rapporto tra conoscenza
e pianificazione e del linguaggio
stesso dei piani; a questo processo si è, al
contempo, accompagnato un cambiamento degli
obiettivi: domanda abitativa, sviluppo
sostenibile, urban welfare,
potenziamento del sistema infrastrutturale
...
In questo quadro più generale si riconosce
nelle leggi più innovative una tendenza a
costruire l’impianto conoscitivo come parte
separata ma interagente con il
processo di pianificazione e non come un
processo preliminare ma funzionale alle sole
scelte di piano (conoscenza giustificativa)
e ad esse, quindi, orientato.
La necessità, inoltre, di controllare la
coerenza complessiva degli assetti previsti
dai diversi strumenti e valutarne la
compatibilità rispetto ad un quadro di
conoscenza condiviso ha comportato la messa
in campo di procedure valutative che
assicurino e garantiscano omogeneità di
trattamento, quindi la necessità di
applicare procedure di evidenza pubblica,
che prima erano riferite allo stesso
processo di piano nella sua interezza
(osservazioni - controdeduzioni -
approvazioni), si è trasferita sulla
formazione della conoscenza.
In questo scenario il tema della conoscenza
assume un ruolo centrale e l’opportunità di
una separazione conoscenza-piano ha
portato a ripensare e ridefinire le due
funzioni legate rispettivamente al conoscere
e all’agire.
All’espressione “analisi del (o per il)
piano” oggi si preferisce l’espressione
“quadri conoscitivi” a cui si attribuisce
una funzione di argomentazione e
legittimazione delle scelte di
trasformazione e di governo del territorio
nei confronti del committente decisore e
degli stakeholders, ivi comprese le
comunità locali.
La costruzione di una conoscenza condivisa
(Basilicata - carta regionale dei suoli,
Liguria - conoscenza fondativa, Calabria -
carta dei luoghi, Toscana - statuto dei
luoghi, Emilia Romagna - quadro conoscitivo,
Ddl Abruzzo - carta dei luoghi e dei
paesaggi) è un passo necessario per liberare
la pianificazione territoriale di livello
regionale e, più in generale, di area vasta,
dai limiti giustificazionisti propri degli
apparati conoscitivi tradizionali dei piani.
Diverso è il discorso relativo alla
completezza della separazione che non
è sviluppata in modo omogeneo in tutti gli
impianti normativi richiamati.
La natura di questa conoscenza è, al
contempo, complessa e banale. Rappresenta il
luogo di scambio delle diverse conoscenze
istituzionali (fondate su un impianto
legislativo), locali o identitarie
(conoscenza che le comunità locali hanno del
proprio territorio) e di progetto o
intenzionali (forma di conoscenza
finalizzata all’elaborazione dei diversi
progetti di trasformazione del territorio),
una conoscenza condivisa, plurale,
incrementale e perfettibile del territorio,
dell’ambiente e del paesaggio regionale, a
cui concorrono tutti gli attori delle
trasformazioni territoriali.
Una forma di conoscenza strutturata e velata
di ignoranza rispetto alle decisioni,
nella interpretazione rawalsiana della
natura ottimale delle scelte del decisore
pubblico, ma è anche imperfetta, in un
processo continuo di falsificazione e
perfettibilità in senso popperiano.
Nel sistema tradizionale la conoscenza di
progetto era quella vera e si
confrontava in termini conflittuali ma non
dialettici con quella vincolistica, mentre
la conoscenza identitaria era completamente
nell’ombra e si esprimeva solo in termini di
consenso/dissenso a posteriori.
Le tre forme di conoscenza (istituzionale,
identitaria, intenzionale) ricomposte a
prescindere dalle scelte di piano realizzano
così una condizione di nuova pubblica
evidenza proprio nell’operazione di
separazione.
L’esercizio di forme di valutazione riferite
a impianti conoscitivi condivisi è legato
alla continuità del governo del territorio,
alla ricomposizione di
territorio-ambiente-paesaggio, alla
ricomposizione dei rapporti tra
pianificazione generale e di settore (e,
quindi, alla copianificazione), ecc.; e
comporta l’esigenza di governare nel
processo di convergenza la miriade di
frammenti generati dalla frantumazione delle
attività di analisi territoriali, cioè di
ricomporre gli elementi della conoscenza
parziale a base di tutte le attività
pianificatorie e valutative in una logica di
semplificazione-normalizzazione ma anche di
un progressivo perfezionamento.
Paradossalmente la separazione del
progetto comporta una ricomposizione
incrementale ma sempre più ampia
dell’impianto conoscitivo che tende
all’onnicomprensività astenghiana.
Conoscenze relazionali ed estensive e
razionalità progettuali parziali
Si tratta di utilizzare nuovi strumenti per
risolvere nodi come quelli dei rapporti tra
modelli di conoscenza totalizzanti, ancorché
primitivi, e modelli di
pianificazione a razionalità parziale; per
consentire il colloquio interdisciplinare
fra enti e organizzazioni; per comprendere
il rapporto tra il linguaggio adottato per
la rappresentazione della conoscenza e
quello degli strumenti della pianificazione;
per stabilire dei principi certi e condivisi
di trasformabilità di un territorio; per
rendere più trasparente il processo
decisionale; per facilitare l’interazione e
l’integrazione fra enti, persone e livelli
di piani e programmi.
La conoscenza strutturata diventa un
riferimento non solo per la pianificazione,
ma anche per i processi di valutazione,
intesi oltre che nella forma di verifiche di
coerenza e di compatibilità, diversamente
proposte come pratiche a sostegno delle
nuove procedure di approvazione di
piani, anche nelle forme strutturate delle
valutazioni di tradizione europea
(valutazione di impatto ambientale,
valutazione ambientale strategica,
valutazione di incidenza).
La messa in atto di queste procedure di
valutazione implica, infatti, la necessaria
costruzione di apparati conoscitivi che
spesso hanno assunto i connotati del
giustificazionismo e dell’autoreferenzialità.
In questo scenario la conoscenza
ignorante si pone come un quadro
conoscitivo condiviso che va oltre la
specifica procedura di valutazione,
superando così la riduttiva logica
giustificativa della valutazione stessa.
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