Francesco Rispoli intervista Giuliana Campioni e Guido Ferrara (Studio Ferrara Associati), redattori del Put dell’Isola d’Ischia1

 

 

Quali sono i tratti specifici della condizione dell’Isola d’Ischia da cui il piano urbanistico territoriale (Put) trae le mosse?

La risposta a questa domanda comporta un breve excursus sui precedenti in materia pianificazione territoriale e paesistica che hanno caratterizzato l’Isola a iniziare dal 1942 quando l’ente per la valorizzazione dell’Isola d’Ischia (Evi), su delega del Ministero della pubblica istruzione, incaricava Alberto Calza Bini della redazione del "Piano paesistico e di zonizzazione" dell’intero territorio ischitano, già posto sotto tutela col "decreto di vincolo generale" in applicazione della legge 29.6 1939, n. 1497.

Si trattava di una strumentazione nuova, per l’epoca, che veniva a rapportarsi ad un contesto intatto sia nelle sue bellezze panoramiche e nelle emergenze ambientali sia nella tessitura corrente del paesaggio urbano ed extraurbano, ma l’opportunità veniva colta fondamentalmente sotto il profilo dell’apertura verso le possibilità edificatorie, da graduare in relazione inversa alle esigenze di tutela, secondo uno schema a cerchi concentrici. Si ponevano in tal modo le basi per la pressione che successivamente si sarebbe sviluppata proprio a carico di quelle "bellezze naturali" che la legge 1497/1939 si proponeva di tutelare.

Nel 1957 era ancora l’Evi che, su delega del Ministero dei lavori pubblici, incaricava Corrado Beguinot di redigere un piano regolatore intercomunale dei sei Comuni dell’isola. Nel definire le proprie scelte entro l’ottica dell’utilizzo intensivo delle risorse, con al primo posto il suolo edificabile, e della creazione di infrastrutture idonee a consentirlo, lo strumento convalidava un modello d’uso dello spazio che nel tempo avrebbe incrementato:

- la disponibilità ad accogliere un turismo concentrato soprattutto nei due mesi estivi, con subalternità dei territori tradizionalmente interni e montani, corrispettivo sfruttamento delle fasce costiere, massiccio uso dell’auto privata;

- la diffusione dell’edilizia abitativa, intesa come fattore determinante dell’economia locale, divenuta negli ultimi lustri fenomeno diffuso di abusivismo.

Al tempo stesso, sono rimaste lettera morta le previsioni coordinate a livello intercomunale di servizi, viabilità e infrastrutture.

Questo modello ha trovato una legittimazione obliqua nella pianificazione urbanistica locale, che si è trascinata in piani regolatori o inesistenti o approvati solo pro forma, e quindi nella sostanza noncuranti delle opportunità che potevano scaturire dalla definizione di modelli insediativi fondati sull’organica composizione tra le esigenze della salvaguardia del paesaggio e quelle dello sviluppo economico.

Oggi, nella stragrande maggioranza dei casi, gli strumenti urbanistici locali non hanno riferimento alla reale situazione del territorio. Ne sono indicatori inequivocabili l’appesantimento del carico urbanistico nelle zone di completamento e di espansione e l’aggressione delle zone agricole da parte di un’edilizia residenziale diffusa che ha spesso cancellato ogni segno e traccia della precedente struttura insediativa.

Una nuova stagione poteva aprirsi quando la legge 431/1985 trasformava in obbligo la facoltà concessa alle regioni di dotarsi di piani territoriali paesisitici (Ptp) e, per motivi di inadempienza, si disponeva la sostituzione della Regione Campania con il Ministero per i beni culturali e ambientali nel compimento degli atti necessari per la redazione e l’approvazione del Ptp. L’occasione veniva perduta e il piano, redatto dalla Soprintendenza di Napoli, si dimostrava inefficace a invertire la spirale del consumo/degrado e scarsi o nulli erano i risultati che conseguiva a fronte delle principali occorrenze cui era chiamato a dare risposta. Nonostante l’assunto dichiarato di volere ovviare alla totale paralisi di ogni attività edilizia conseguente alle norme di salvaguardia previste dalla legge 431/1985, impostava infatti la propria azione su un concetto di freno e di contenimento dei processi tumultuosamente in atto sul territorio, purtroppo, dopo che i buoi erano scappati dalla stalla. In sintesi, si può affermare che l’emanazione di norme restrittive e divieti di trasformazione effettuata in modo aprioristico dal Ptp tuttora in vigore, senza valutare le reali condizioni di stato dei diversi beni, ha mortificato, per un verso, le reali e vitali esigenze di sviluppo in nome di un vincolismo da paravento, per l’altro, ha in qualche modo reso impossibile l’intervento di recupero su zone vastamente depauperate e degradate.

 

Lo sviluppo incontrollato che ha caratterizzato l’isola sinora ammette la possibilità di recuperare le situazioni di degrado urbanistico e ambientale senza cadere ancora una volta in una tutela di tipo vincolistico che nel caso di Ischia non ha mai minimamente funzionato?

Negli ultimi 50 anni il paesaggio d’Ischia ha subìto cambiamenti strutturali: mentre la superficie agricola è scesa dal 77% al 16,6% e quella incolta è passata dal 18,21% al 47,4%, la superficie urbanizzata è salita dal 4,82% al 36%.

Se è vero che questi dati esprimono il processo di trasformazione radicale e irreversibile che ha investito l’isola nel passaggio da un’economia agricola ad un’economia fondata in modo esclusivo sulle attività terziarie, è vero anche che gli strumenti programmatori e direttori del governo del territorio, e in particolare il Ptp vigente, lo hanno gestito con misure vincolistiche inefficaci o addirittura controproducenti, nella totale ignoranza delle potenzialità che un fenomeno di tale portata può offrire per nuovi requisiti e nuove prestazioni capaci di condurre Ischia ai livelli di qualità richiesti dal turismo internazionale.

Tale prospettiva può dirsi comunque ormai aperta, poiché gli indirizzi espressi dall’accordo Stato-regioni, dal nuovo codice dei beni culturali e dalla Convenzione europea del paesaggio, forniscono un’interpretazione del paesaggio come bene culturale ed economico di valore primario per l’intera collettività. Questo nuovo approccio rende possibili modalità di tutela non solo compatibili con le caratteristiche evolutive del paesaggio e degli insediamenti ma soprattutto consente azioni di conservazione, riqualificazione e gestione delle sue componenti, molte delle quali strettamente dipendenti dalla presenza umana.

Anche nel caso di Ischia, quindi, sono ormai maturi i tempi per il passaggio dalla presunta difesa selettiva attuata sino ad oggi, ad una politica di gestione totale del territorio comprendente i seguenti adempimenti fondamentali:

- mettere in campo strategie di recupero (ambientale, urbanistico, paesaggistico), per essere in grado di attuare interventi di ribaltamento in positivo degli elementi di degrado;

- dare importanza alle azioni di prevenzione, che intendono evitare o ridurre il più possibile i danni ambientali derivanti dagli interventi sul paesaggio prima della loro manifestazione, da integrare con quelle mirate al controllo dinamico delle trasformazioni.

Del resto, un’azione preventiva in senso stretto, ossia diretta soltanto a impedire il verificarsi dei danni, costituisce nel nostro caso una condizione necessaria ma non sufficiente per una corretta politica di pianificazione del paesaggio, che è chiamata a farsi carico dell’insieme delle misure da prendersi per il risanamento del degrado prodotto nel passato e per il modellamento dell’ambiente per le generazioni future.

 

È possibile ancora uno sviluppo sostenibile e, in caso affermativo, quali possono esserne le linee guida?

Il Put dell’Isola d’Ischia, commissionato dal Consorzio dei comuni ischitani appositamente istituito, è stato redatto tra l’autunno del 2001 e la primavera del 2002 ai sensi della legge Regione Campania 18.11.1995, n. 24, "Norme in materia di tutela e valorizzazione dei beni ambientali, paesistici e culturali" che, all’art. 4, ne definisce i contenuti nei seguenti termini: "Il Put analizza e definisce le caratteristiche strutturali delle località oggetto del piano, gli elementi naturali e culturali che formano il territorio, i rapporti fra detti elementi componenti e quelli storicamente determinati, ai fini della loro tutela e valorizzazione".

Così facendo il disposto regionale predispone le condizioni per affrontare la specificità dell’isola, indiscussa emergenza ambientale e giacimento culturale, che una crescita edilizia senza condizioni sta trasformando in un luogo di pressioni e tensioni irrisolte caratterizzato da semplificazione degli ecosistemi, ridotte capacità di riequilibrio di fronte alle perturbazioni, frammentazione e banalizzazione del mosaico paesistico.

Tenuto conto del rapporto tra sostenibilità dello sviluppo e incremento della qualità dell’ambiente, il primo obiettivo del Put è stato pertanto quindi quello di interrompere la spirale consumo-degrado proponendo come alternativa alle pratiche di gestione insostenibile un disegno di sviluppo locale finalizzato a:

- ricondurre l’isola a sistema paesistico unitario, dotato di una logica interna, ove ogni intervento progettuale può inserirsi ed essere armonizzato in un disegno complessivo;

- rapportarsi alle risorse territoriali disponibili in termini di sistema e di rete in quanto concorrenti nel loro insieme alla definizione dell’identità locale e all’offerta di servizi al turismo;

- intervenire sugli aspetti degradativi diffusi e localizzati al fine di recuperare il valori preesistenti e, ove possibile, crearne ulteriori congruenti e integrati, riconvertendo il danno ambientale in opportunità di impresa;

- sostenere le attività, come l’agricoltura multifunzionale e l’ecoturismo, capaci di dare nuova visibilità all’isola e aprirla a nuovi transetti di utenza su archi temporali diversificati;

- commisurare il processo di scelte alle risorse umane, ovvero gli abitanti residenti, in modo da creare interessi, mobilitare energie e integrarle con le capacità d’impresa storicamente radicate.

In sintesi il Put ha proposto un vero e proprio modello di sviluppo, non caso per caso, ma fondato su criteri di compatibilità ambientale, durata nel tempo e redditività e operabilità sociale.

Comincia peraltro a diffondersi la consapevolezza che il motore dell’economia locale può essere dissipato e addirittura trasformato in elemento di svantaggio rispetto a contesti ambientali competitivi, qualora le prospettive di crescita assumano il territorio dell’isola quale bene inesauribile e i parametri di riferimento del tessuto insediativo del futuro restino quelli delle periferie metropolitane.

 

Tutelare, recuperare, sviluppare: dove e in che modo?

L’incremento di abitanti, di vani, di traffico, di presenze turistiche che si è verificata negli ultimi cinquanta anni, e per di più in assenza di una verifica qualitativa di carattere strategico da parte dei vari tipi di piano, sta trasformando Ischia in una città ininterrotta con diffuse situazioni di degrado e di rischio e larghe sacche di abbandono sottostimate rispetto alle potenzialità che presentano. In base ai risultati del percorso di analisi e di valutazione dei sistemi naturalistico-ambientale, insediativo e relazionale, e dell’indagine sulle strutture socio-economiche, il Put ha potuto direttamente accertare che la carrying capacity dell’isola sta per essere superata con il pericolo dell’aumento degli squilibri ambientali in atto e dell’inversione delle curve dello sviluppo, finora orientate al continuo rialzo.

La ricaduta diretta sul piano è stata l’orientamento del quadro di proposte in funzione degli aspetti qualitativi dello sviluppo, nell’intento primario di risolvere le contraddizioni indotte da quelli di tipo quantitativo. Ciò implica importanti processi finalizzati alla riabilitazione del territorio in termini funzionali, paesaggistici e urbanistici, ivi compresa la messa a norma del patrimonio edilizio disponibile, che potranno verificarsi solo in presenza di una consapevole svolta culturale da parte della popolazione e in particolare degli amministratori, delle categorie imprenditoriali e degli opinion leaders dell’isola.

È infatti nostra radicata opinione che il Put da solo non può costituire la soluzione a tutti i problemi irrisolti, ma occorre che stabilisca un circolo virtuoso con le istituzioni ordinarie di governo del territorio, fornendo le opportunità per una più ampia responsabilizzazione delle scelte ai vari livelli (comunale, locale, privato) e che si avvalga dell’impegno e della collaborazione dei residenti. E ciò non solo ai fini di una corretta modalità pianificatoria, ma soprattutto per gli aspetti di stretta integrazione tra i diversi settori di intervento, i vari attori sociali e le istituzioni competenti richiesti dalla natura stessa dell’isola e dall’approccio olistico che è alla base del piano. A riprova di quanto sopra e in risposta al presente quesito si esemplificano alcuni dei criteri da cui sono successivamente discese norme, regole, ipotesi localizzative, interventi progettuali di dettaglio.

Il primo criterio, trasformare migliorando, lega in modo sinergico, e addirittura subordina, il nuovo sviluppo ad un processo diffuso di riabilitazione dell’isola, intendendo il risarcimento degli aspetti degradativi in atto (dissesto idrogeologico, erosione costiera, inquinamento per scarichi fognari, abbandono delle sistemazioni paesaggistiche e delle colture tradizionali, ecc.) non come investimento antieconomico calato dall’alto, ma come intervento destinato a creare condizioni di valore aggiunto convertendo in positivo il danno ambientale attraverso la fattibilità del recupero in termini di opportunità urbanistica e d’impresa.

Il secondo criterio, unitarietà nella diversità, prende atto che nelle condizioni strutturali dell’isola si riscontrano sostanziali differenze di carattere localizzativo e territoriale. Da un lato gli ambiti urbani e le periferie di pertinenza urbana costiere e retrocostiere, caratterizzate da congestione e sopra utilizzo delle risorse o da insufficienza degli standard abitativi e urbanistici. Dall’altro gli ambiti alto collinari e montani in buona misura rappresentati da ex coltivi abbandonati, stretti nell’alternativa sempre più incombente di costituire l’ultima frontiera della seconda, terza e quarta casa, ma sino ad oggi caratterizzati da sottoutilizzo del patrimonio di architettura rurale disponibile, parziale o totale abbandono delle attività di gestione dei soprassuoli, sottovalutazione delle attività agricole come fattore di conservazione dell’ambiente e di gestione del paesaggio.

Pertanto il piano è stato orientato a ridurre gli squilibri in atto tra contesti territoriali diversi, favorire la composizione di un nuovo scenario ecosistemico in cui vengano riacquisite le relazioni e le funzioni perdute, pur nelle necessarie diversità che il nuovo millennio presenta rispetto al precedente.

L’applicazione del terzo criterio, legare gli aspetti urbanistico-localizzativi agli aspetti sistemici del paesaggio, ha consentito di operare una connessione diretta tra le differenti destinazioni di zona e le condizioni di stato e le loro dinamiche e quindi di conferire alle scelte urbanistiche una valenza ecosostenibile. L’azzonamento, proposto come "Sistema dei requisiti di qualità", riconduce infatti ciascuna sottozona, in base alle specificità emerse, alle più appropriate modalità di gestione ambientale entro le tre categorie, comunque trasversali, della tutela del recupero e dello sviluppo.

 

Negli indirizzi per la formazione dei piani comunali assumono particolare rilievo le reti ecologiche e il piano degli spazi aperti, vogliamo chiarire di cosa si tratta?

A seguito dell’attuazione del Put la strumentazione urbanistica locale è caricata di responsabilità e compiti che hanno obiettivi specifici di natura paesaggistico-ambientale, con risultati che la pianificazione d’area vasta non potrebbe mai raggiungere. Al fine di soddisfare il requisito della congruità tra la pianificazione territoriale e urbanistica e stabilire una continuità tra il piano e la sua traduzione operativa in programmi e progetti, in adempimento della Lr 18.11.1995, n. 24, sono stati redatti i "Criteri metodologici vincolanti per la pianificazione urbanistica comunale". Nel dedicare una speciale attenzione al territorio aperto, detti criteri contengono specifici riferimenti alle zone agricole o extraurbane da rendere produttive ai fini dello sviluppo dell’isola in termini di sostenibilità. Pertanto suggeriscono agli estensori degli strumenti urbanistici comunali di sottoporre le suddette parti di territorio ad un processo preventivo di analisi territoriale che individui categorie di soprassuolo e di paesaggio secondo il criterio del massimo valore ambientale e della massima vulnerabilità paesaggistica, e prospettano dispositivi per collegare il recupero dello spazio agricolo abbandonato alla concessione di ogni nuovo permesso a costruire o legittimazione di sanatoria edilizia.

Inoltre, considerato che la presenza di estese localizzazioni insediative è causa di frammentazione ambientale e di disturbo delle componenti biologiche, sottolineano il ruolo che può essere svolto dal verde urbano e territoriale ai fini delle connessioni ecologiche interne ed esterne alla città, del sostegno delle attività umane e delle esigenze delle altre biocenosi, del recupero di parti urbane dismesse con il conseguente incremento della qualità ambientale. Il recepimento dell’esigenza eco-connettiva apre una gamma molto ampia di possibilità operative a scala locale che il Put sintetizza e propone alle amministrazioni comunali con la creazione di sistemi di governo integrato dello spazio definiti con il termine reti ecologiche in modo da garantire la protezione della diversità biologica e ricostruire le relazioni paesistiche alla grande, media e piccola scala tra i centri abitati e lo spazio rurale e naturale. In particolare, implica la considerazione da parte della strumentazione urbanistica locale delle invarianti naturali, quali ad esempio i corsi d’acqua a carattere torrentizio (le cave) e della vegetazione non colturale connessa, dei sistemi di parchi e giardini che si sviluppano a scala territoriale, degli arbusteti e dei boschi, quali episodi strategici utili alla definizione di un modello insediativo capace di fornire minore pressione sull’ambiente e di fornire energie e risorse rinnovabili.

Il Put ha infine valutato la necessità di approfondire il nuovo ruolo degli spazi aperti di pertinenza diretta dell’edificato e di proporre concreti strumenti con i quali determinarne l’ottimizzazione entro nuove strategie d’azione. Poiché questa responsabilità, per una parte significativa, è di competenza locale, nei prossimi anni il tema della gestione quali-quantitativa della vegetazione presente nel territorio comunale dovrà essere affrontata con attenzione dalle singole amministrazioni con strumenti procedurali aventi lo scopo di migliorare globalmente la progettazione-trasformazione, dopo aver opportunamente definito i requisiti prestazionali.

Il Put prospetta pertanto due indirizzi tra loro cogenti. Il primo attiene uno schema per la riconsiderazione in termini analitici e progettuali dell’intero sistema dei vuoti urbani attraverso il loro censimento e gerarchizzazione in classi funzionali e storico-percettive. Il secondo riguarda uno schema di regolamento comunale del verde (di cui viene presentata una struttura tipo), concepito come uno strumento flessibile e aggiornabile, atto a contribuire al rinnovamento dell’apparato di guida e di controllo delle attività di tutela, uso ed edificazione del territorio urbano e rurale, considerato come un unicum progettuale che fanno riferimento a sistemi di governo integrato dello spazio definiti con il termine reti ecologiche.

 

Le pratiche di condono edilizio ancora inevase sull’Isola d’Ischia sono oltre ventimila: esse pesano come un macigno sulla pianificazione o pensate che siano un ostacolo facilmente superabile?

Premesso che nessun documento di piano può provvedere di per sé a risolvere l’inefficienza istituzionale, il Put – ove fosse approvato e vigente – potrebbe:

- prevedere il recupero delle costruzioni abusive suscettibili di sanatoria. A tale fine, secondo quanto previsto dall’art. 4 della Lr 18.11.1995, n. 24, detta ai comuni vincoli e prescrizioni immediatamente cogenti, oltre che linee guida per la regolamentazione dell’attività edilizio-urbanistica futura, nel rispetto della normativa nazionale e regionale in materia;

- prescrivere modalità operative per giungere, laddove possibile, al rilascio delle concessioni in sanatoria. Ciò deve avvenire nel rispetto della legge quadro 47/1985 e della legislazione nazionale e regionale in materia, con la finalità di accelerare e snellire la procedura per il recupero del territorio. Per quanto riguarda il coinvolgimento dell’autorità preposta alla tutela del vincolo ambientale, appare possibile e opportuno rinviare in modo complessivo al protocollo d’intesa tra la Regione Campania e la Soprintendenza ai beni ambientali e architettonici di Napoli e provincia del 25 luglio 2001.

D’altro canto, in corrispettivo, il Put non può:

- costituire di per sé strumento di sanatoria e regolarizzazione degli abusi edilizi esistenti, sia perché ciò non rientra fra le finalità proprie di questo istituto, sia – e soprattutto – perché la competenza in proposito è riservata allo Stato;

- introdurre nell’ordinamento nuove figure di sanatoria, neppure in via surrettizia o di fatto, né ampliare gli effetti di quella esistente. Un simile intervento compete, sia dal punto di vista politico che giuridico, esclusivamente al legislatore.

I comuni tuttavia possono e devono, in conseguenza della rappresentazione complessiva della realtà edificatoria esistente sul territorio, così come risulterà dal Put:

- intervenire con piani e progetti di recupero (siano essi edilizi o urbanistici, a seconda della situazione concreta) al fine di adeguare la realtà oggettiva esistente ai vincoli paesistici e garantire così una effettiva tutela del paesaggio che tenga conto delle costruzioni legittime;

- una volta chiarito quali siano gli abusi non sanabili (ex se o per mancanza dell’autorizzazione dell’autorità preposta alla tutela del vincolo) i comuni dovranno procedere – a seconda delle ipotesi concrete e nel rispetto della normativa vigente – ad attivarsi concretamente per la demolizione ovvero per l’acquisizione.

 

Il vostro piano sembra caratterizzato da una sorta di ibridazione tra un piano strategico ed un quadro orientato alla promozione di progetti di architettura del paesaggio … quali strumenti possono dare concretamente corpo a queste strategie e progetti? Quali sono, in concreto, le opportunità offerte dal Put?

Alla domanda risponde in maniera diretta un tabulato che comprende quelle che sono state definite appunto le 20 opportunità del Put, intese come sintesi degli orientamenti assunti e delle scelte avanzate per guidare le trasformazioni verso soglie di qualità.

1. il Put stabilisce la tutela integrale degli ambiti di preminente interesse naturalistico, delle sorgenti termali, delle aree archeologiche e dell’architettura rupestre;

2. prevede la conservazione attiva e la messa in valore dei complessi ambientali e storico-testimoniali prioritari (Promontorio di S. Angelo e Castello Aragonese);

3. prevede la salvaguardia degli ambiti rurali remoti ad alta vulnerabilità relativamente alle cave, ai soprassuoli di pregio e all’edilizia tradizionale;

4. promuove la riqualificazione delle spiagge e delle strutture balneari, ivi compresa la riprogettazione dei sistemi di difesa a mare;

5. promuove il recupero urbanistico e ambientale dei litorali complessi (Maronti e Citara);

6.rende possibile l’adeguamento delle strutture portuali;

7. incentiva la riabilitazione ecologica del territorio attraverso linee guida relative alla costruzione di reti ecologiche e al sistema di spazi aperti di livello urbano e territoriale;

8. promuove la procedura di verifica ambientale delle trasformazioni di rilievo;

9. consente ovunque gli interventi sul patrimonio esistente, graduandoli sulla base della qualità e vulnerabilità delle singole zone e prevedendo la redazione da parte dei comuni di piani riguardanti l’ornato pubblico e la qualità percettiva del paesaggio urbano;

10. rende possibile lo sviluppo del termalismo e la creazione di nuovi parchi termali;

11. detta indici urbanistici nelle aree insediate immediatamente operabili per nuove costruzioni, demandandone la definizione ai Prg, sulla base del dettaglio delle condizioni di stato e delle necessità;

12. predispone la strumentazione per il recupero delle costruzioni abusive suscettibili di sanatoria e indirizza il diritto-dovere dei comuni per la messa a norma delle costruzioni abusive non sanabili, con l’accordo tra la Regione Campania e la Soprintendenza di Napoli, e con il dettaglio di piani di recupero d’iniziativa pubblica o privata;

13. sostiene l’incentivazione delle pratiche agricole e del recupero del vigneto stabilendo che ogni nuovo permesso a costruire (o legittimazione di sanatoria edilizia) sia corredato da una dotazione di terreno agricolo coltivato pari almeno a dieci volte la superficie calpestabile utile di tipo residenziale e/o ricettiva;

14. conferma la previsione di un sistema di mobilità sostenibile;

15. prevede un sistema di parcheggi scambiatori fra auto private e bus turistici e minibus navetta per l’accesso pedonale nei mesi estivi ai punti strategici del litorale sud dell’isola (S. Angelo e Maroniti);

16. consente la promozione da parte dei comuni di progetti complessi per la realizzazione di infrastrutture di collegamento innovative (comprese quelle a fune o su rotaia) attraverso l’individuazione di aree di reperimento e la previsione di progetti di fattibilità;

17. individua percorsi mare-monte per grandi traversate equestri e pedonali;

18. sostiene l’ospitalità diffusa del tipo bed and breakfast, agrituristica, ecc.;

19. predispone un piano d’azione per l’ecoturismo con la promozione di nuove imprese e professionalità;

20. recepisce e orienta in modo integrato la progettualità in corso per i Prust, l’Agenda 21 e tutti gli interventi d’iniziativa ministeriale e regionale.

 

 

Note

 

1 Cfr. Paesaggi sostenibili. Esperienze di conservazione/innovazione nei Parchi delle Madonie, del Pollino e nell’Isola d’Ischia, Il Verde Editoriale, Milano 2003, pag. 182.