Nell’analisi economica da diversi decenni, lo spazio non è più
considerato soltanto una sorgente di costo
per le imprese, ma assume sempre più il
ruolo di ambiente favorevole (o
sfavorevole), creatore di economie
esterne (o di diseconomie esterne): lo
spazio diviene il punto di incontro tra gli
attori dello sviluppo, in cui si organizzano
le forme di cooperazione tra le imprese, in
cui si decide la divisione sociale del
lavoro; esso è, in definitiva, il punto di
incontro tra le forze di mercato e le forme
di regolazione sociale (Garofoli, 1991).
L’analisi dell’organizzazione della produzione del distretto
industriale e dei fattori, che ne sono alla
base, consente di fare luce su nuove
variabili che acquisiscono un’importanza
rilevante nelle decisioni di localizzazione
e d’investimento degli operatori economici
e che, quindi, condizionano i processi di
trasformazione dell’economia locale. Il
processo di sviluppo acquisisce
definitivamente il suo carattere di processo
sociale rifiutando di apparire
unicamente un processo tecnico; il
territorio diventa, dunque, un fattore
attivo del processo di sviluppo in quanto
include tutti quei fattori
storico-culturali-sociali che sono alla base
di specifici modelli di organizzazione della
produzione, della continua interazione tra
gli attori economici e sociali e, quindi,
dei processi di trasformazione economica e
sociale effettivamente perseguiti. Il
concetto di sistema produttivo locale
è stato inizialmente introdotto, secondo
Garofoli, per evidenziare sia la stretta
interrelazione tra dinamiche produttive e
industriali, sia le dinamiche tra sistema
produttivo e socio-istituzionale, per i casi
di agglomerazione produttiva basati su
piccole imprese. In questo modo si
sottolinea l’emergere di un’identità
socio-economica locale, l’esistenza di
interessi e di problemi comuni a imprese e
collettività locale, che hanno portato a
specifiche forme di regolazione sociale a
livello locale.
Il legislatore, attraverso la definizione giuridica di distretto
industriale, con la legge del 5 ottobre
1991, n. 317, ha voluto creare un
orientamento territoriale
nell’applicazione delle politiche
industriali, abbandonando i generici
interventi nazionali proiettati in ambito
settoriale o verso specifici fattori
produttivi. A questo si aggiunge il ruolo
centrale - attribuito alle regioni - per
l’individuazione delle aree distrettuali e
per il sostegno finanziario al loro
sviluppo, in linea con le recenti politiche
promosse dall’Unione europea che
riconoscono il ruolo centrale di questo
organo istituzionale nella promozione e
gestione delle politiche locali.
In questo contesto culturale, la Regione Puglia cogliendo le opportunità
offerte agli enti regionali dalla recente
riforma dell’art. 117 della Costituzione,
ha recepito le norme nazionali in materia,
emanando una propria legislazione, la Lr del
31 gennaio 2003, n. 2.
Questo contributo intende illustrare in forma sintetica ed
esclusivamente introduttiva, rispetto alla
complessità dell’argomento, le modalità
con le quali la regione pugliese ha
disciplinato gli interventi di sviluppo
economico, le attività produttive, le aree
industriali e quelle ecologicamente
attrezzate nel contesto più ampio della
pianificazione urbanistica e territoriale
della regione, cercando di evidenziare, per
quanto possibile in questa fase, le criticità
e le opportunità rilevate nella norma.
La normativa
In un quadro di distribuzione delle competenze e delle funzioni
istituzionali tra i diversi livelli degli
enti locali, sempre più assoggettato al
principio di sussidiarietà, la nuova
normativa regionale attribuisce un ruolo -
mai avuto fin ora - ai comuni, che insieme
alla Giunta regionale, rappresentano i due
principali livelli decisionali previsti per
il settore.
L’esercizio delle funzioni amministrative e dei compiti inerenti la
definizione, l’attrezzamento e la gestione
delle aree industriali previste dal piano
urbanistico generale e la promozione delle
condizioni necessarie per la creazione e lo
sviluppo delle attività produttive sono
attribuiti ai comuni1 che li
svolgono nel quadro della programmazione
economica regionale e degli indirizzi
strategici di settore e territoriali.
In sede di approvazione di piani e programmi regionali a valenza
pluriennale, è prevista a carico della
Giunta regionale, l’attribuzione di
risorse per lo svolgimento da parte dei
comuni delle funzioni amministrative a essi
conferite, nel rispetto dei limiti del patto
di stabilità2.
Ai comuni sono affidati due ruoli principali:
1. quello di catalizzatore di investimenti pubblici e privati (ormai
sempre meno distinti) e di promotore di
azioni e iniziative di marketing
territoriale con l’intento di incoraggiare
la localizzazione di nuove attività
produttive;
2. quello di agenzia di sviluppo territoriale, riproponendo, con
le dovute proporzioni, un modello di origine
nord-europea (come ad esempio nel modello
olandese, dove le municipalità acquistano
ed attrezzano i suoli prima di renderli
disponibili all’edificazione, incentivando
gli attori economici ad una partecipazione
attiva).
All’interno della prima tipologia di mansione, possono essere
comprese le seguenti funzioni:
- la fornitura di servizi informativi agli operatori italiani ed esteri
interessati ad avviare, ampliare o
ristrutturare attività produttive nella
regione;
- l’individuazione a livello territoriale e settoriale di programmi
di sviluppo che consentano opportunità di
investimenti economici e di creazione di
imprese;
- l’individuazione e la selezione di imprenditori disponibili per
investimenti sul territorio, anche capaci di
favorire accordi tra investitori e
imprenditori locali;
- l’elaborazione di studi, progetti e iniziative per promuovere lo
sviluppo produttivo nelle zone di
intervento;
- lo sviluppo di ricerca tecnologica, progettazione, sperimentazione,
acquisizione di conoscenze e prestazione di
assistenza tecnica, organizzativa e di
mercato connessa al progresso e al
rinnovamento tecnologico, nonché alla
promozione di attività di consulenza e di
assistenza.
All’interno della seconda tipologia di mansione, possono invece
essere comprese le seguenti funzioni:
- l’acquisizione e la progettazione di aree attrezzate per
insediamenti produttivi;
- la progettazione e la realizzazione delle opere di urbanizzazione e
dei servizi, nonché dell’attrezzatura
degli spazi pubblici destinati ad attività
collettive;
- la vendita, l’assegnazione e la concessione alle imprese di lotti
di aree attrezzate;
- la costruzione in aree attrezzate di fabbricati, impianti, laboratori
per attività industriali e artigianali,
commerciali all’ingrosso e al minuto,
depositi e magazzini;
- la vendita, locazione a favore delle imprese di fabbricati e impianti
in aree attrezzate;
- la realizzazione e gestione di aree produttive, artigianali,
commerciali all’ingrosso e al minuto o
destinati a centri e servizi commerciali
(tali aree possono essere individuate anche
dagli strumenti urbanistici comunali);
- il recupero degli immobili industriali preesistenti per la loro
destinazione a fini produttivi e
all’attuazione di programmi di
re-industrializzazione;
- la realizzazione e gestione di laboratori attrezzati per il controllo
della qualità dei prodotti e per
l’analisi di acque, aria, rifiuti e
rumori;
- la determinazione e riscossione dei corrispettivi dovuti dalle
imprese per i servizi di manutenzione delle
opere e per la gestione degli impianti;
- la riscossione delle tariffe e i contributi per l’utilizzo da parte
di terzi di opere e servizi realizzati o
gestiti.
È interessante notare che a distanza di soli diciotto mesi
dall’approvazione della legge regionale
che disciplina la pianificazione urbanistica
e territoriale3, in questa
normativa si introduce la prima variante
alle procedure di redazione e approvazione4
previste per il piano urbanistico esecutivo5.
Nel diagramma di flusso riportato nel seguito si illustrano le fasi
procedurali previste dalla Lr 2/2003 per la
redazione e approvazione del piano
urbanistico esecutivo o sue varianti.
Come si può notare, lo schema procedurale è rimasto quello classico
della legislazione italiana originato dalla
legge 1150/1942; non sono previste fasi di
valutazione dei piani né in fase di
formazione, né in fase di attuazione. Non
sono previsti meccanismi perequativi.
Inoltre, non appare sufficientemente chiara
la relazione tra i piani di cui all’art. 3
della Lr 2/2003 e gli altri strumenti di
pianificazione comunale. Infatti, nonostante
l’assimilazione enunciata tra i piani
urbanistici esecutivi (Pue) previsti
all’art. 15 della Lr 20/2001 e quelli
previsti all’art. 3 della Lr 2/2003, è
evidente la differente rilevanza che le due
tipologie di piani possiedono, da cui
discendono le differenti procedure cui sono
sottoposti per l’approvazione.
I Pue sono piani di iniziativa pubblica, privata o mista, definiti in
diretta esecuzione dei piani urbanistici
generali (Pug), di cui non possono
variare le previsioni6, pertanto
la loro redazione ed approvazione è
demandata esclusivamente al Consiglio
comunale e non sono sottoposti alle
verifiche di compatibilità regionale e
provinciale. Il potere regolativo dei Pue è
circoscritto all’interno delle previsioni
strutturali e programmatiche del piano
urbanistico generale.
I piani di cui all’art. 3 della Lr 2/2003, non hanno un legame così
rigido con la pianificazione comunale di
livello strutturale e, ad una prima lettura
della nuova normativa, sembrano poter essere
redatti anche in contrasto con gli strumenti
della pianificazione comunale, in quanto
oggetto di approvazione da parte della
regione, organo di livello istituzionale
superiore. Ciò potrebbe giustificarsi con
la necessità di integrare i piani per le
aree Asi e quelli per le zone industriali in
genere di cui all’art. 3 della Lr 2/2003,
all’interno delle strategie di politica
industriale stabilite in sede regionale,
anche se ciò appare in contrasto con la
delega ai comuni delle funzioni di carattere
operativo legate a questo settore, definita
all’interno della stessa legge7.
Il ruolo della regione, e in particolare della Giunta regionale, nella
definizione delle politiche del settore
industriale, appare individuato
all’interno di un’attività normativa di
armonizzazione e semplificazione delle
disposizioni regionali di settore e dei
relativi procedimenti e in un’attività di
promozione e sviluppo industriale e di
sostegno alle imprese.
Obiettivo principale di questa attività normativa sembra essere quello
di individuare i criteri di gestione
unitaria delle infrastrutture e dei servizi
delle aree ecologicamente attrezzate da
parte di soggetti pubblici e privati e i
criteri e le modalità per l’esercizio del
controllo strategico settoriale8.
L’attività di promozione dello sviluppo industriale e di sostegno
alle imprese, espletate nel concreto dalla
società Finpuglia spa, braccio operativo
della regione, si esplica9
attraverso azioni dirette a:
a) promuovere piani e progetti di sviluppo generale con particolare
attenzione alla riqualificazione ambientale
e al riutilizzo delle aree produttive
eventualmente dimesse;
b) promuovere l’attività di consulenza e assistenza per la nascita
di nuove iniziative industriali e per il
loro consolidamento;
c) indicare il tipo, la qualità e la quantità dei servizi generali
necessari per sostenere l’apparato
produttivo delle imprese minori;
d) realizzare iniziative per l’orientamento e la formazione
professionale dei lavoratori, dei quadri
direttivi e intermedi e dei giovani
imprenditori, ivi comprese quelle
finalizzate all’introduzione nelle aziende
di nuove tecnologie e metodi per il
miglioramento della qualità;
e) acquisire, esaminare e promuovere, in collaborazione con le
associazioni imprenditoriali e con quelle
delle Camere di commercio, studi e ricerche
sui mercati esteri per la individuazione di
nuovi investitori o di nuovi sbocchi per le
produzioni regionali;
f) definire, aggiornare e attivare un programma di marketing mirato.
Criticità e opportunità
Se appare importante, per una regione come la Puglia, aver disciplinato
l’esercizio delle funzioni e le modalità
organizzative relative agli interventi di
sviluppo economico, alle attività
produttive, alle aree industriali, recependo
in forma compiuta la decennale normativa in
materia di interventi per l’innovazione e
lo sviluppo delle piccole e medie imprese
artigiane e industriali (legge 5 ottobre
1991, n. 317)10, la norma
regionale non sembra esente da alcuni
elementi critici.
Il dispositivo normativo ha un carattere strettamente tecnico, non
produce un’idea di sviluppo economico del
territorio e demanda tutte le operazioni di
definizione e di regolamentazione dei
sistemi produttivi locali, ivi compresi
quelli che per la loro specializzazione
corrispondono alla definizione di distretto
industriale, a successive disposizioni.
Non individua i principi cui questa
successiva definizione deve attenersi. Non
inquadra in modo organico con il governo del
territorio la promozione e la gestione delle
attività produttive, dando scarsa rilevanza
all’idea, insita nella legislazione
nazionale, di sistemi territoriali locali
visti come reti di soggetti che
interagiscono tra loro e con le reti
sovralocali per trasformare in valore certe
risorse potenziali del milieu locale (DeMatteis,
1995), dando luogo alla riproduzione e
all’arricchimento del milieu-patrimonio
locale. In questa prospettiva, perseguita
anche dalle politiche comunitarie finanziate
attraverso i fondi strutturali, il milieu
territoriale del sistema locale potrebbe
essere considerato risorsa non rinnovabile,
elemento cardine di una strategia di
sviluppo regionale basata sulla sostenibilità
territoriale proposta da Magnaghi
(2000a), con particolare attenzione a ciò
che lo stesso autore definisce valore
aggiunto territoriale, che può essere visto
anche come una misura della sostenibilità
di progetti e azioni (Magnaghi, 2000b).
La mancata correlazione tra le politiche per il governo del territorio
e quelle per la promozione e la gestione
delle attività produttive, si evidenzia in
modo specifico nella necessità di
individuare differenti procedure per uno
strumento pianificatorio di livello
comunale, di recente regolato all’interno
della legge urbanistica regionale. Appare
inoltre rilevante la mancanza di procedure
valutative dei piani di cui all’art. 3
della Lr 2/2003, sia in fase di formazione,
sia soprattutto in fase di attuazione e
gestione del piano.
Notevoli opportunità offre, invece, la presente normativa ai comuni
maggiormente intraprendenti e dotati di un
migliore tessuto imprenditoriale, di gestire
autonomamente e nel modo più vicino alle
esigenze degli operatori del settore, le
attività produttive in genere, affidando ai
comuni un ruolo di agente di sviluppo locale
fin qui mai formalizzato in modo così
ampio.
Per una verifica effettiva delle reali opportunità offerte
dall’applicazione della normativa
regionale di cui si è fin qui discusso,
bisognerà attendere l’emanazione degli
ulteriori provvedimenti regolativi regionali
previsti e gli esiti delle prime concrete
applicazioni.
1
Lr 2/2003, art. 2, comma 1.
2
Lr 2/2003, art. 2, comma 2.
3
Lr 20/2001.
4
Lr 2/2003, art. 2, comma 5.
5 La Lr 20/2001, introduce anche in Puglia il doppio livello di
pianificazione, piano strutturale e piano
operativo, quest’ultimo affidato alla
redazione di Pue, individuato nella proposta
di riforma della legge urbanistica nazionale
del 1995, promossa dal gruppo di studio
dell’Istituto nazionale di urbanistica
coordinato da Federico Oliva e Giuseppe
Campos Venuti.
6 All’art. 18 della Lr 20/2001, regolante i rapporti fra Pug e Pue, è
detto espressamente che:
1. il Pue può apportare variazioni al Pug qualora non incida nelle
previsioni strutturali del Pug, ferma
l’applicazione del procedimento di cui
all’articolo 16;
2. ai fini della formazione del Pue, non costituiscono in ogni caso
variazione del Pug:
a. la modificazione delle perimetrazioni contenute nel Pug conseguente
alla trasposizione del Pue sul terreno;
b. la modificazione delle localizzazioni degli insediamenti e dei
relativi servizi che non comporti aumento
delle quantità e del carico urbanistico
superiore al 5 per cento.
7 All’art. 2 della Lr 2/2003 è detto espressamente che:
1. l’esercizio delle funzioni amministrative e dei compiti inerenti
la definizione, l’attrezzamento e la
gestione delle aree industriali previste dal
piano urbanistico generale e la promozione
delle condizioni necessarie per la creazione
e lo sviluppo delle attività produttive
sono attribuiti ai comuni, che li svolgono,
anche attraverso le forme associative
previste dal titolo V del DLgs 18 agosto
2000, n. 267, nel quadro della
programmazione economica regionale e degli
indirizzi strategici di settore e
territoriali.
8
Art. 5 della Lr 2/2003.
9 Artt. 2 e 6 della Lr 2/2003.
10 Il recepimento della normativa nazionale su citata, è avvenuto con la
Lr 15 gennaio 1999, n. 3 Norme di
attuazione della legge 5 ottobre 1991,
n. 317, abrogata poi con l’art. 11 della
Lr 31gennaio 2003, n. 2.
Bibliografia
Garofoli G., 1991, Modelli locali di sviluppo, FrancoAngeli,
Milano.
Dematteis G., 1995, Progetto implicito. Il contributo della
geografia umana alle scienze del territorio,
FrancoAngeli, Milano.
Magnaghi A., 2000a, Il progetto locale, Bollati Boringhieri,
Torino.
Magnaghi A., 2000b, “Identità del territorio e statuto dei
luoghi”, in Cinà G. (a cura di), Descrizione
fondativa e statuto dei luoghi, Alinea,
Firenze.
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